La ricetta contro lo spopolamento dei piccoli borghi? La banda larga. Parola di Legambiente.

Un recentissimo dossier di Legambiente lo definisce disagio insediativo riferendosi a quelli che stanno sempre più diventando comuni fantasma: 2.430 secondo le stime dell’associazione ambientalista, piccoli borghi dove un cittadino su 7 è andato via e ci sono due anziani per ogni giovane, una casa su tre vuota.Castello TorrechiaraPer corroborare la propria tesi che, almeno per quanto ci riguarda, è la scoperta dell’acqua calda, Legambiente infarcisce la relazione con dati numerici che, oltre a renderla leggibile con difficoltà (ma a ciò contribuiscono anche l’assoluta mancanza di scorrevolezza del testo e l’utilizzo di una lingua che assomiglia soltanto all’italiano) spesso fuori contesto e che si contraddicono fra loro. Eccone un esempio: «Due anziani per ogni giovane, una casa su tre vuota, 36 abitanti per ogni chilometro quadrato, un ragazzo su sette che è scappato altrove: ecco perché rischiano di sparire, letteralmente, 2.430 Comuni italiani. Piccoli o piccolissimi borghi, spesso incantevoli, che soffrono di forte disagio demografico ed economico. Pur avendo bellezze e caratteristiche uniche che potrebbero renderli attraenti dal punto di vista turistico, infatti, mancano di servizi, e così l’ospitalità ricettiva è cresciuta appena del 21% negli ultimi 25 anni, passando da 1,12 milioni di posti letto a 1,36. Per capirci, mentre le presenze turistiche aumentavano del 15% in questi piccoli centri, in città arrivavano al 35%. Anche la popolazione straniera, pur cresciuta negli ultimi 15 anni, è rimasta inferiore del 22,1% rispetto alla media nazionale. Dato ribadito dal deficit di imprese straniere, pari a -25.6%. È come dire che l’attrattività economica e le opportunità lavorative sono mediamente inferiori.»KL Cesec CV 2014.03.12 Agriturismi 001Afferma Legambiente che mentre le città del triangolo industriale (nostra osservazione: che non esiste più da decenni), del Nord-Est (ancora nostra osservazione: dove i miracoli sono finiti da tempo), della Pianura Padana e di alcune aree marchigiane, toscane e campane crescevano consolidando la propria identità e trascinando anche i paesini dell’hinterland, il 30% dei comuni italiani, concentrati nelle aree interne dell’Appennino e del Sud – in particolare Campania, Puglia e Sicilia – nell’ultimo quarto di secolo restava al palo.
Con redditi bassi, tassi di disoccupazione alti non solo per i ragazzi tra i 20 e i 30 anni, ma anche per i 30-54enni, e una riduzione impressionante dei giovani: gli ultra 65enni in questi paesini sono aumentati dell’83% rispetto ai giovani fino a 14 anni. Se i cittadini italiani crescevano del 7%, nei piccolissimi borghi i residenti diminuivano del 6,3%, con 675 mila abitanti in meno.
Questione di condizioni ambientali? si chiede Legambiente. Non sempre, si risponde, perché se è vero che la montagna soffre, ma non dappertutto, ci sono centinaia di piccoli comuni a disagio in collina e pianura, segno che «più che le condizioni altimetriche sono le condizioni di collegamento e innervatura delle reti a governare lo sviluppo». Eccola qui la chiave di lettura: l’innervatura delle reti. Ci torneremo fra poco.KL Cesec CV 2014.03.16 Agrinido 001Come evitare che questi comuni diventino paesi fantasma? E pronta, l’associazione ambientaiola, fornisce la risposta:
Anzitutto sfruttando le opportunità residenziali, perché «Se solo un quarto delle 500 mila abitazioni non utilizzate lo fossero, potremmo addirittura ospitare fino a 1,5 milioni di nuovi cittadini, e se solo un quarto dei posti letto fossero utilizzati secondo le medie urbane, il turismo creerebbe benessere diffuso: 123 milioni di presenze ogni anno, un fatturato di quasi 10 milioni di euro con oltre 300 mila nuovi posti di lavoro».
Perfetto, e ci siamo costruiti un’identità disneyana di santi, navigatori, ristoratori, barman e camerieri.
E conseguentemente valorizzando l’agricoltura: «Se solo un quarto delle superfici agricole abbandonate negli ultimi 20 anni fosse riutilizzato, potremmo avere oltre 125mila nuove aziende agricole, con una media di 12 ettari ognuna» vale a dire 1.500.000 ettari complessivi, vale a dire 15.000 km2, insomma un po’ più della Calabria (15.221,90) e un po’ meno del Lazio (17.232,29). Non male, considerando che l’intera superficie italiana è pari a 302.072,84 km2.
E tutto questo grazie alle nuove forze di giovani laboriosi e capaci, «che scelgano di andare o tornare a vivere in posti molto più salutari, genuini, belli e semplici, potendo nello stesso tempo svolgere il proprio lavoro da casa, grazie a reti internet veloci e smartworking.» Insomma, parliamoci chiaro, qui non servono bamboccioni.
Ma occhio all’incongruenza, sostanziata da quel: svolgere il lavoro da casa grazie a reti internet veloci e smartworking. Spiegateci, cari ambientazionalisti: ma questi giovani vanno a recuperare le terre abbandonate per svolgervi attività agricola o cosa? E se svolgono attività agricola è ovvio che “lavorano da casa”, come è altrettanto ovvio che una rete internet veloce fa comodo ma non è un imprescindibile strumento per pacciamare, spollonare, mungere capre o voltare fieno. E la campagna è proprio il posto meno adatto per pensare ad uno “smart”working. C’è il working, e basta e avanza.CC 2016.06.09 Smartworking 001Ed ecco che Legambiente tira fuori la soluzione, corroborata da una proposta di legge a cura del piddino Ermete Realacci, attualmente in discussione alle Commissioni riunite Ambiente, Territorio e Lavori Pubblici e Bilancio della Camera. Dichiara il parlamentare: «L’intenzione è di approvare questa proposta di legge per andare presto in Aula; è una legge su cui con Legambiente lavoriamo da tempo anche con la campagna Voler Bene all’Italia.»
Tra le misure principali del provvedimento la diffusione della banda larga e misure di sostegno per l’artigianato digitale (lo vogliamo vedere l’artigianato digitale: i bit fatti a mano uno per uno con materiali ecocompatibili, magari da portatori di disagio sociale? Chissà…).
Naturalmente il disegno di legge parla anche di semplificazione per il recupero dei centri storici in abbandono o a rischio spopolamento, al fine di convertirli “anche” in alberghi diffusi (attenzione: “anche”); di interventi di manutenzione del territorio con priorità alla tutela dell’ambiente; di messa in sicurezza di strade e scuole e interventi di efficientamento energetico del patrimonio edilizio pubblico, nonché di acquisizione e riqualificazione di terreni e edifici in abbandono.
Bene, evviva. E il recupero del territorio, e l’agricoltura rinata grazie ai giovani operosi? Boh…
Il nostro sospetto è che, come suol dirsi, alla fine della fiera i piccoli borghi montani e collinari potranno in primo luogo beneficiare della banda larga a spese pubbliche. E che la riqualificazione ecosostenibile del territorio passi attraverso opere di cantieristica: case, strade, edifici pubblici, alberghi diffusi presumibilmente affidati a carrozzoni cooperativi e che, vedendo ben pochi clienti, dovranno prima o poi essere sostenuti da interventi di finanza pubblica.
Che ve lo diciamo a fare: se Legambiente non esistesse bisognerebbe inventarla.

Alberto C. Steiner

Nuovi giocattoli bancari: la Bad Bank. A spese dei contribuenti.

“Mi credo che i scrivi sta roba per insempiar la gente”, avrebbero sentenziato Carpinteri e Faraguna, le glorie satiriche del quotidiano triestino Il Piccolo.
Invece no, è tutto vero e se ne sta discutendo in questi giorni. Ma in che cosa consiste la Bad Bank per le sofferenze, ed in particolare per quelle immobiliari? Assolutamente in nulla di nuovo e, naturalmente, in nulla che si possa fare senza il consenso di Commissione e BCE.CC 2016.03.03 Bad Bank 1Ma vediamo come funzionerà il giocattolo: lo schema di accordo prevede che il Tesoro presti, dietro una remunerazione che dovrà essere di mercato per evitare l’accusa di aiuto di Stato, una garanzia fideiussoria alle società-veicolo costituite ad hoc – la o le bad bank – per l’acquisto dei crediti in sofferenza oggi detenuti dalle banche italiane. Non di quelli buoni, bensì di quelli marci: anomali, tossici, di dubbia esigibilità.CC 2016.03.03 Bad Bank 4Le società veicolo compreranno dunque i crediti in sofferenza effettuando un investimento che sarà remunerato attraverso due meccanismi: incassando i crediti da quegli stessi debitori in sofferenza che già facevano fatica a ripagare (meglio, che non ripagavano proprio) le banche o, se non dovesse essere sufficiente, escutendo la garanzia rilasciata dallo Stato.
Lo Stato si accollerà quindi, almeno parzialmente, il rischio credito connesso al mancato rimborso delle sofferenze attualmente nella pancia delle banche e lo sforzo sarà tanto più oneroso quanto più alto sarà il prezzo che le bad bank dovranno pagare alle banche per l’acquisto. Quello che rende complicato un meccanismo apparentemente semplice è proprio il fatto che il prezzo di cessione dei crediti sarà inevitabilmente condizionato dal valore al quale essi sono attualmente iscritti nei bilanci delle banche. Valore ormai ampiamente esuberante rispetto al valore di mercato dei beni a suo tempo costituiti a garanzia.CC 2016.03.03 Bad Bank 3Faccio un esempio: immaginiamo un prestito in sofferenza del valore nominale di 1.000 Euro, a suo tempo garantito da un immobile del valore di 1.000 ma iscritto per 3.000, e già c’era qualcosa che non quadrava… Il prestito sarà stato svalutato in funzione delle concrete probabilità di recupero, per definizione inferiori al 100% trattandosi, appunto, di sofferenze; la banca, cioè, avrà già registrato nel conto economico degli anni passati una perdita pari alla quota del credito che non ritiene più recuperabile. Ora, se ipotizziamo che la svalutazione sia stata del 50% (e quindi che la banca immagini ancora di recuperare il residuo 500) e che non voglia subire ulteriori perdite, il credito dovrà essere venduto a un prezzo non inferiore a 500. In caso contrario, la stessa cessione alla bad bank genererà altre perdite nei bilanci delle banche, e la necessità di nuovi aumenti di capitale. Come si fanno gli aumenti di capitale? Semplice: mungendo il parco buoi, vale a dire i risparmiatori sottoscrittori delle azioni della banca.
Si dà il caso che il grado di svalutazione medio delle sofferenze nei bilanci bancari vada da un minimo del 43% (Banco Popolare) a un massimo del 65,3% (Montepaschi).
E si dà anche il caso che, secondo le previsioni, il prezzo medio stimato per le cessioni di portafogli di sofferenze sia intorno al 25%-30%; se queste stime si rivelassero corrette, il sistema bancario si troverebbe difronte alla concreta possibilità di dover sopportare nuove perdite per una cifra vicina ai 40 miliardi di euro, rappresentati da quel 10-20% medio di delta tra grado di svalutazione e prezzo di cessione, se vorrà davvero liberarsi delle sofferenze.
Ci ritroveremo, dunque, da un lato le banche che tenteranno di tenere il prezzo dei crediti più alto possibile, dall’altro le bad bank che cercheranno di abbassarlo temendo di perdere parte dell’investimento necessario ad acquistarli. In mezzo rimarrà il Tesoro, che con le sue mirabolanti fideiussioni a garanzia rischierà di fare la fine del vaso di coccio tra i due vasi di ferro, prendendosi perdite scaricate dagli altri.
Non ci credete? Per averne la riprova basta chiedere dove le bad bank prenderanno i soldi per comprare i crediti. Nel posto più vicino e semplice da immaginare: saranno prestati dalle stesse banche cedenti. La bad bank emetterà obbligazioni, le obbligazioni verranno acquistate dalla banca cedente e la bad bank utilizzerà il danaro raccolto per acquistare i crediti, così restituendolo alla stessa banca cedente. La banca cedente metterà successivamente sul mercato i titoli, completando così nei fatti una cessione fino a quel momento effettuata solo sulla carta.
Sembra un po’ strambo, ma questo meccanismo è usuale nelle operazioni di cosiddetta cartolarizzazione, e comporta un rischio: che il prezzo di cessione dei crediti non corrisponda al loro valore reale perché negoziato tra due controparti non indipendenti tra loro. Nelle operazioni di mercato questo rischio è trascurabile, poiché la banca sa bene che se vuole liberarsi dei titoli emessi dalla bad bank, deve farlo a prezzi corretti pena il rischio di non trovare compratori. Ma siamo sicuri che accadrà la stessa cosa anche in un’operazione in cui interviene lo Stato con la sua garanzia? E’ evidente che in questo caso le banche e le bad bank potrebbero avere la tentazione di gonfiare i prezzi, approfittando della presenza del Tesoro e delle sue garanzie per scaricare sui contribuenti gli effetti della sopravvalutazione dei crediti ceduti.CC 2016.03.03 Bad Bank 2Negli Stati Uniti sarebbe addirittura considerato illegale e fioccherebbero condanne fino a 75 anni di detenzione, che non verrebbero trascorsi al centro clinico del carcere o ai domiciliari…
Ora possiamo finalmente tornare alla domanda dalla quale siamo partiti: questo meccanismo può funzionare senza il consenso dell’Unione Europea? Considerato che la garanzia statale sarà finanziata dallo Stato in deficit, che il deficit sarà coperto dal debito pubblico, che il debito pubblico italiano viene abitualmente acquistato dalla BCE nel contesto del programma di Quantitative Easing e che seduti nel board della stessa BCE non ci sono proprio dei fessi… beh, direi che la risposta è abbastanza semplice. Fine della storia e…. chi vuol esser lieto sia.

Alberto C. Steiner

Ecososteniblità dell’anima: servono ingegneri per progettare sogni

Ha scritto Franco Arminio, nel suo Geografia commossa dell’Italia interna: “Abbiamo bisogno di contadini, di poeti, di gente che sa fare il pane, di gente che ama gli alberi e riconosce il vento.
Più che l’anno della crescita, ci vorrebbe l’anno dell’attenzione.
Attenzione a chi cade, attenzione al sole che nasce e che muore, attenzione ai ragazzi che crescono, attenzione anche a un semplice lampione, a un muro scrostato.
Oggi essere rivoluzionari significa togliere più che aggiungere, significa rallentare più che accelerare, significa dare valore al silenzio, al buio, alla luce, alla fragilità, alla dolcezza.”CC 2014.04.30 Rinascere 001Questa frase mi ha indotto a rileggere l’articolo Solo attraverso profondi cambiamenti individuali il nostro Paese potrà rinascere, che pubblicai il 30 aprile 2014 su queste pagine (visionabile qui) poiché riconsiderandolo alla luce di mutamenti che non avvengono, di iniziative delle quali tanto si parla ma che sono costantemente al palo e di quella truffaldina bruttura dell’Expo 2015 mi è parso più che mai di viva attualità.
L’articolo nacque sulla scia di interessanti scritti pubblicati in quel periodo dal sito partner Consulenza Finanziaria argomentando di competitività estera e di malcostume delle aziende nostrane, oltre che di gestione del credito bancario.
Oggi più che mai il mondo, visto dal nostro Paese, appare immenso e pauroso perché i suoi equilibri stanno mutando ad una velocità inaudita, e nello scenario sono entrati di prepotenza nuovi protagonisti ben più grandi di noi, alterando antichi equilibri e stravolgendo gerarchie di potere che si credevano consolidate.
Questioni mai incontrate prima chiedono una soluzione, ma le opportunità di cambiamento vengono percepite come pericoli.
È già accaduto: per provincialismo, miopia e furbizia, quando non malafede, degli attori politici ed imprenditoriali nostrani l’Italia è arrivata impreparata alle grandi svolte, perdendo tempo prezioso. Ed anche oggi, se non saremo pronti ad intuire gli scenari del futuro, se non sapremo valutare la direzione del cambiamento nelle tendenze di lungo periodo, rischieremo di prendere una volta di più le decisioni sbagliate. Pagandole a caro prezzo.
Basti pensare che invasione è il termine più usato dagli attuali predicatori dell’Apocalisse: invasione di immigrati clandestini, di prodotti cinesi, di capitali stranieri che ci colonizzano. E non ci accorgiamo che tutto ciò che temiamo è in realtà già accaduto.
Intendiamoci: di fronte ad ogni cambiamento la paura è legittima perché le grandi novità spaventano, possono nascondere delle incognite ed il riflesso automatico ingenera un meccanismo di difesa. Oppure nega il cambiamento.
Per comprendere qualsiasi accadimento attribuendogli l’esatta misura è indispensabile non solo mutare prospettiva, ma anche osservare con distacco come l’oggetto delle nostre attenzioni risuoni dentro di noi comprendendo quali nodi da sciogliere e persino quali antiche ferite faccia vibrare. Solo così è possibile identificare la natura dei presunti pericoli che ci minacciano, stabilire se il modo per difenderci sia l’attacco – che non sempre è la miglior difesa – oppure il lasciarci morbidamente andare, per vincere la sfida senza accontentarci semplicemente di limitare i danni. Vale a dire per vivere piuttosto che accontentarci di sopravvivere.
Esistono anche da noi imprenditori illuminati: sono quelli che spesso non fanno notizia e che insieme con i più attenti osservatori possono tentare di rispondere con sano pragmatismo alle domande offrendo punti di vista nuovi e proprio per questo rivoluzionari.
Ma le scelte da fare non riguardano solo governi, classi imprenditoriali e dirigenti bensì primariamente la vita quotidiana di tutti noi: nel segno di un’Energia nuova e pulita sono tante le riforme dal basso che ciascuno di noi può avviare da subito, e costituiscono un antidoto alla lagnanza, alla rassegnazione, al senso di impotenza che non è mai nelle cose ma dentro di noi. Sono quell’impotenza, quella rassegnazione che respiriamo oggi in Italia nell’attesa sempre delusa di grandi cambiamenti, svolte, catarsi collettive, rinascite nazionali. Che dovrebbe essere sempre qualcun altro ad attuare.
Siamo invece noi che con maturata consapevolezza, impegno civile, consumi responsabili, dobbiamo incamminarci alla ricerca del nostro destino per costruire il nostro futuro. Detto in altri termini: è solo attraverso una profonda revisione dei nostri modelli produttivi, di consumo, sociali, interiori che possiamo agire per scuotere i sistemi politico e produttivo.
Ma se continuiamo a lamentarci attribuendo a chicchessia la responsabilità dei nostri fallimenti e del nostro non andare avanti, non solo resteremo al palo, ma inevitabilmente ci attende una regressione: economica, sociale, delle coscienze, intellettiva.Cesec-CondiVivere-2014.10.07-Medioevo-prossimo-venturoNon ci sono alternative: o ci risvegliamo dal sonno aprendoci ad un nuovo approccio alla qualità della vita, che presupponga un mondo nel quale il punto di riferimento non sia più il pil bensì la decrescita più o meno felice, o siamo dei morti che vagano in paesi dei balocchi, in realtà cimiteri alla portata di chiunque abbia occhi per vedere e cuore per sentire: autobus e metropolitane, centri commerciali, installazioni pseudoculturali di plastica.
Si dice che un intento individuale e decentrato non possa nulla ma non è affatto vero: dai gesti che ciascuno di noi compie ogni giorno possono nascere gli innumerevoli stimoli destinati a mutare il gradiente energetico in grado di sospingere il nostro Paese, e le nostre anime, verso l’ormai indifferibile cambiamento.Cesec-CondiVivere 2014.10.17 Appennino modenese vista suggestivaAltrimenti ci attende quello che da anni chiamo il medioevo prossimo venturo, che non considero una calamità ma un’opportunità ed al quale mi sto felicemente preparando attraverso la progettazione ecosostenibile di luoghi destinati ad accogliere piccole comunità il più possibile autosufficienti.

Alberto C. Steiner

Sharing economy: una pericolosa “alternativa”.

A fronte di 90mila italiani che affittano per brevi periodi la propria casa evitando così di essere costretti a saltare le rate del mutuo, duemila Bed & Breakfast accetterebbero di essere pagati con un baratto senza presentare il conto agli ospiti.
E se centinaia di migliaia di persone abbattono le spese di viaggio del 75% caricando in auto passeggeri che non conoscono, sette milioni di persone nel mondo dormono gratuitamente in casa d’altri al posto di pagare un albergo. Numerosissime famiglie tedesche, invece di fare la spesa, consumano alimenti da altri ritenuti superflui,  risparmiando 400 euro mensili.Cesec-CondiVivere 2015.06.06 sharing economy pericolosa alternativa 001Ma non è finita: questi sono solo alcuni esempi della sharing economy, l’economia della condivisione che sta diventando il nuovo paradigma economico basato sullo scambio, sulla condivisione e sulla collaborazione che, secondo alcune stime, sembra valga almeno 110 miliardi di euro e sia in crescita del 25 per cento ogni anno.
È la tesi sostenuta da Gea Scancarello in Mi fido di te, libro edito da Chiarelettere che si definisce un viaggio nelle opportunità create dai nuovi network che offrono servizi legati all’economia collaborativa. Il tutto raccontato direttamente da chi ha provato house sharing, carpooling, social eating, foodsaving e via condividendo.
Concordo sul fatto che, nel pieno della crisi che attanaglia sistemi produttivi e consumatori, l’economia dello scambio contribuisca a ripensare il capitalismo in una logica redistributiva, nella quale i costi si trasformano in risorse e le persone possono riappropriarsi di occasioni economiche e sociali.
Ma, a parte il fatto che sarebbe stato bello leggere questo libro in italiano invece che infarcito di inutili anglicismi, in tutto devono esserci dei limiti. Primi fra tutti la propria integrità, ovvero il proprio Spazio Sacro, e la consapevolezza che non tutto ciò che viene contrabbandato come alternativo è oro che luccica. Mi spiego: questo modello ci porta a diventare accattoni credendo di essere fuori dal coro, ci fa smarrire il senso del lavoro e della sua dignità, non ci fa alzare la mattina determinati a costruire perché qualcosa comunque accadrà.
Ovvero: non preoccupiamoci se il nostro diritto al lavoro verra’ gradualmente smantellato, del resto il lavoro è pena, costrizione e sfruttamento e, mettendo insieme un po’ di reddito di cittadinanza e un po’ di elemosina barattata in giro, dovremmo riuscire a sfangare la fine del mese.
E poi io, scusate, ma non mi fido di uno che non solo non so come guida, non so se e come sia assicurato e non so infine se nel portabagagli trasporti un quintale di fumo.
E se i gestori di B&B vogliono svilire la loro professionalità regalando il soggiorno in cambio… in cambio di che? Dormo due notti e gli ridipingo le pareti? Ma figuriamoci, loro dimostrano di non valorizzare adeguatamente la risorsa imprenditoriale sulla quale hanno investito, e io in compenso so di non valere nulla come imbianchino.
Trovo che questo libro, al di là delle buone intenzioni, sia un inno al pressapochismo ed alla mancanza di professionalità ma, se decidiamo di vivere in una comune o in una setta di matrice orientaleggiante dove la condivisione è totale abbiamo fatto bingo. Peccato che gli hippies siano morti di vecchiaia e di stenti, tranne i più furbi che son diventati guru, e siano rimasti solo gli straccioni con la presunzione di insegnare agli altri come essere alternativi.
Oltretutto seguendo il percorso indicato nel libro si fa il gioco del potere più bieco, quello che oggi non è più neppure capitalista ma iperfinanziario, che vuole una massa di beoti non pensanti, amorfi, privi di iniziativa e massificati in ogni senso verso il basso come i negri (sissignori, ho scritto negri: consultare il Devoto-Oli) ridotti a vivere in attesa degli aiuti umanitari. L’iniziativa, signori, non consiste nello svegliarsi la mattina per andare a cercare la carità mascherata da new economy. Da delettare, libro e modello.

Lorenzo Pozzi

Expo: la Carta (triplo velo) di Milano

Per chi dovesse domandarsi come mai Coca Cola è l’offical soft drink partner dell’Expo, abbiamo la risposta.
Proviene dal disclaimer che ne motiva la cooptazione: “In virtù del suo impegno sul fronte dell’innovazione e della crescita sostenibile capace di generare ricchezza per la comunità, tutelando le risorse utilizzate e incoraggiando consumi e stili di vita equilibrati…”.
Quindi, vediamo per una volta di non essere maligni, visto che caffeina e bollicine nutrono il pianeta e, tra un ruttazzo e l’altro, contribuiscono a risvegliare le fervide menti che hanno partorino nientepopò… come niente popò? No, non quel popò, lasciateci finire… nientepopodimenoche laCesec CondiVivere 2015.05.17 Carta di Milano 001Il documento elenca gli impegni che dovrebbero costituire l’eredità di Expo 2015 sulla lotta alla fame. Bene, e allora? si chiederanno i lettori… E allora non ci siamo. Non vi si parla di land grabbing e nemmeno di speculazione finanziaria sulle materie agricole. Insomma, l’ennesima dimostrazione che il problema dell’economia globale è la sudditanza del potere politico e delle istituzioni alle lobby finanziarie. Ricordate il nostro articolo Land Grabbing e vergini dai candidi manti pubblicato qui nel non sospetto 29 novembre 2013?Cesec CondiVivere 2015.05.17 Carta di Milano 002Torniamo al testo che, presentato a Milano alla vigilia dell’inizio dell’esposizione universale, contiene tutte affermazioni di buon senso, che chiunque salvo  forse Monsieur de la Palisse che ne rivendicherebbe lo spirito promotore, sottoscriverebbe (cliccare qui per il testo completo).
A leggerla bene, però, c’è un aspetto che in questa Carta di Milano lascia profondamente perplessi: è scomparso ogni riferimento al tema della finanza, che pure c’era nel Protocollo di Milano sull’alimentazione e la nutrizione, quell’iniziativa promossa dal Barilla Center for Food and Nutrition con la collaborazione di tante personalità e sigle della società civile, al quale la Carta di Milano si è ispirata e che cita espressamente fra le sue fonti. Come se l’uso del denaro non avesse nulla a che fare con l’alimentazione…
Più in generale è tutto il tema della crisi globale iniziata ormai nel 2008, e che ha pesato sui prezzi alimentari e quindi sull’accesso al cibo e la fame, a rimanere fuori dal documento, come se non c’entrasse nulla con la sfida Nutrire il pianeta energia per la vita.
Condividiamo l’opinione espressa da Leonardo Becchetti, professore di economia politica a Tor Vergata e promotore della Campagna 005: “È l’ennesima dimostrazione che il problema numero uno dell’economia globale è la sudditanza del potere politico e delle istituzioni a lobby finanziarie più grandi degli stati. Ci vorrà tempo prima di riavere un vero equilibrio dei poteri ma ci dobbiamo riuscire. E il tutto avverrà quanto più i cittadini impareranno a votare con il loro portafoglio per la finanza veramente al sostegno dell’economia reale. Intanto assistiamo allo scandalo di una parte del mondo finanziario arrogante ed autoreferenziale, che non si rende minimamente conto di come meglio potrebbero essere usate le immense risorse a disposizione per salvare vite umane e promuovere sviluppo sostenibile“.Cesec CondiVivere 2015.05.17 Carta di Milano 003Il tema del rapporto tra cibo e finanza è un grande nodo del mondo di oggi: la corsa ad acquistare terreni agricoli nel Sud del mondo e la volatilità dei prezzi nei mercati delle materie prime agricole, sono fattori che generano fame. E hanno a che fare con un certo modo di fare finanza, molto più vicino al nostro portafoglio di quanto crediamo.
È scritto nel Protocollo di Milano, varato il 3 aprile scorso: “Le parti si impegnano a identificare e proporre leggi per disciplinare la speculazione finanziaria internazionale sulle materie prime e la speculazione sulla terra, oltre che a proteggere le comunità vulnerabili dall’accaparramento della terra (land grabbing) da parte di entità pubbliche e private, rafforzando al contempo il diritto all’accesso alla terra delle comunità locali e delle popolazioni autoctone“.
Quell’impegno preciso non compare più tra quanto la Carta di Milano richiede con forza (!) a governi, istituzioni e organizzazioni internazionali, ma si parla solo genericamente di rafforzare le leggi in favore della tutela del suolo agricolo, per regolamentare gli investimenti sulle risorse naturali, tutelando le popolazioni locali. Non è esattamente la medesima cosa…
Anche nella sezione Impegni, esclusa una rapidissima evocazione della questione dell’accesso al credito, non compare nulla che abbia a che fare con la parola finanza. Quasi che questo mondo fosse un’entità a sé stante, le cui scelte non hanno ricadute concrete sull’agricoltura e sul mercato dei prodotti alimentari.
Vedremo che accadrà nel corso dell’appuntamento organizzato per il 22 prossimo a Milano dalla Campagna Sulla Fame Non Si Specula: noi speriamo solo che una manifestazione pacifica non finisca come un certo G8 di tristissima memoria.

Alberto C. Steiner

L’Expo che verrà: ci sarà da mangiare…

Però riguardo alla luce tutto l’anno nulla sappiamo… Inaugurazione dell’Expo di Milano prevista per il primo maggio prossimo: 130 paesi partecipanti e centinaia di aziende si daranno appuntamento per riflettere e pianificare il futuro dell’alimentazione, con l’obiettivo di nutrire il pianeta, focalizzandosi sull’asse principale del diritto ad un’alimentazione sana, sicura e sufficiente per tutti gli abitanti della Terra.Cesec-CondiVivere 2015.03.26 Expo 002Così dicono gli slogan, ma sarà la verità? Sui media leggeremo resoconti, ma difficilmente affidabili visto che molti di questi saranno profumantamente pagati dagli stessi organizzatori di Expo. Il nostro parere, per usare un garbato eufemismo, è che i presagi non sono buoni.
Anzitutto sarà l’Expo delle multinazionali. E non potrebbe essere diversamente. Basta scorrere l’elenco dei partecipanti per capire come dietro allo slogan nutrire il pianeta si celi lo stesso clan che da decenni il pianeta lo affama o lo (mal)nutre di cibo di dubbia qualità e di sicura insostenibilità ambientale. Pensiamo solo al fatto che anche McDonald’s sarà presente a Expo come espositore e come sponsor, ed alle altre grandi firme già in prima fila: Barilla, tramite la propria fondazione Barilla Center for Food & Nutrition, si occuperà addirittura di coordinare i lavori per la stesura del protocollo mondiale sul cibo, insieme di linee guida per la produzione sostenibile di cibo per il pianeta. Come chiedere all’oste se il vino è buono…
Ma Expo ha siglato anche una partnership con Nestlè che, attraverso la controllata San Pellegrino, diffonderà 150 milioni di bottiglie di acqua con la sigla Expo in tutto il mondo; l’impronta ecologica di ogni litro di acqua in bottiglia è da 200 a 300 volte più impattante di quella del rubinetto, non ci pare quindi una grande idea sponsorizzare un’ulteriore crescita dei consumi di plastica.
Nestlè inoltre, per chi non lo sapesse, promuove da qualche anno l’istituzione di una Borsa per l’acqua, strutturata esattamente come quella del petrolio. In pratica, come andiamo da tempo sostenendo, la borsa della sete, suscettibile addirittura di innescare conflitti armati per l’appropriazione di questo bene irrinunciabile. In parte già avviene a Chicago.Cesec-CondiVivere 2015.03.26 Expo 001E veniamo agli sponsor. Poiché Expo significa visibilità numerose multinazionali hanno donato grandi quantità di denaro all’organizzazione. Tra queste Ferrero con 3,8 milioni di euro, Coca-Cola con 6 mlioni e un contributo del 12% per ogni lattina venduta nel suo padiglione, Nestlè-San Pellegrino 5 milioni di euro, Illy 4,7 milioni e persino Martini con 1,2 milioni, in quanto è noto che gli aperitivi costituiscono un ottimo metodo per smorzare i morsi della fame, soprattutto nel terzo mondo. Non poteva mancare l’ineffabile Coop, che ha speso più di tutti: 12,4 milioni di euro per aggiudicarsi la qualifica di Official Food Distribution Premium Partner. Mica pizza e fichi, la qualifica consente di allestire all’interno dell’ambito fieristico uno spazio espositivo denominato Il supermercato del futuro.
Quanto alla comunicazione si sa, giornali e televisioni puttane sono, puttane restano e da puttane si comporteranno. Ce n’è per tutti: 5 milioni di euro per mamma Rai, 2 a Feltrinelli, 850mila euro a Mondadori, mezzo milione a Corriere della Sera e Repubblica, poco meno per Ansa, e poi a scendere Mediaset, Tm News, Il Sole 24 Ore, Il Foglio, Il Giorno. Seguono altri in ordine sparso, e non siamo al Giro d’itaGlia, senza dimenticare che 55 milioni sono già stati asssegnati a vari media nazionali in una operazione che puzza palesemente di investimento mirato a comprare un miglioramento nell’immagine di Expo dopo i tanti scandali. Giusto per dovere di cronaca: non è stata indetta nessuna gara d’appalto.
E con questo il rigore giornalistico nel denunciare eventuali nuovi scandali nell’organizzazione è garantito. Possiamo stare sereni.Cesec-CondiVivere 2015.03.26 Expo 003La grancassa mediatica ha sempre parlato, addirittura, di 100mila posti di lavoro. Si, come il milione di quelli berluscoidali… addirittura 102mila secondo una ricerca dell’Università Bocconi. A quanto pare gli unici ad aver trovato da lavorare durante l’Expo sono coloro che hanno accettato di farlo gratis: un esercito di oltre 16mila volontari, rimborsati con un buono pasto al giorno. E qui, ci dispiace dirlo, ma chi vuol esser schiavo sia…
Gli assunti regolari da parte dell’organizzazione sono solamente 793, con contratti a termine per la durata della fiera e con salari tra i 400 e i 500 euro mensili.
Però qualche vantaggio l’Expo lo ha comunque portato, alle imprese che hanno cementificato selvaggiamente, infierendo l’ennesimo colpo al già devastato territorio lombardo: 1.700.000 metri quadri di superficie per gli stand, 2.100.000 per strutture di servizio e supporto sull’area ex Alfa Romeo di Arese, opere ricettive per un fabbisogno stimato di 124.000 posti letto al giorno, realizzazione della terza pista a Malpensa e collegamento diretto Malpensa-Fiera, parcheggi presso il sito Expo e in corrispondenza di nuovi centri di interscambio, nuove tangenziali per Milano, Pedemontana e BreBeMi per complessivi 11 miliardi di investimenti per progetti già completati o in corso di realizzazione. Un’immane opera di smantellamento del patrimonio agricolo lombardo, destinata a segnare per secoli quella che un tempo era una delle pianure più verdi d’Italia.
Però ci saranno il laghetto circondato da prati e un nuovo naviglio che farà assomigliare tutto alla Venezia di Las Vegas. Non è vero: a tutt’oggi pare che il lago non vedrà mai la luce, mentre per quanto riguarda i nuovi navigli si stanno ancora cercando i soldi.
Se, inoltre, a un soggetto come Vittorio Sgarbi sono stati versati quasi due milioni per imprecisati progetti culturali, alla bolognese Best Union, strettamente collegata a Comunione e Liberazione è stata attribuita la vendita in esclusiva dei biglietti on-line. Ovvio, senza gara… ma che domande fate?
Per quanto riguarda il magistrato Raffaele Cantone, nominato come commissario straordinario anticorruzione quando i buoi erano già scappati, ha certificato anche grazie alla collaborazione della DNA, l’antimafia, come ben 46 aziende collegate alla malavita, 32 delle quali affiliate alla vera padrona di Milano, la ‘ndrangheta, siano riuscite ad aggiudicarsi appalti per oltre 100 milioni di euro.Cesec-CondiVivere 2015.03.26 Expo 004E se è vero che i posti di lavoro direttamente creati dall’Expo saranno solo una manciata e mal retribuiti pare però che migliaia ne arriveranno dall’indotto, tra bar, hotel, cooperative di costruzione, eccetera e sino alle immancabili slot. Sarà… fatto sta che per ora l’unico settore che incrementerà i propri guadagni sarà quello della prostituzione. Secondo un’inchiesta del Corsera saranno addirittura 15mila le professioniste del sesso a pagamento che sbarcheranno a Milano per allietare le pause dei milioni di turisti previsti per l’evento. E anche in questo caso, ovviam,ente, ci sarà lo zampino della malavita.
Bene, questo è quanto. Sono alcuni anni che ne parliamo, per la precisione da quando Milano presentò la propria candidatura. Siamo stati trattati da cinici e retrogradi profeti di sventura, esattamente come il mondo della politica e degli affari ha trattato i vari comitati territoriali che si sono opposti all’Expo.
E parliamoci chiaro: associazioni, comitati di quartiere, centri sociali, intellettuali (quelli non mancano mai) non servono più a niente. Dovevano svegliarsi prima, rischiando e battendosi come hanno fatto i Valsusini contro la TAV, non secondo la protesta alla milanese: a chiacchiere e spritz da Radetzky o al Rosmarino.

Alberto C. Steiner

L’Africa morirà. Questo come la fa sentire? Non colpevole.

Accade di parlare della devastazione di cui sono preda i paesi del Sud del mondo e, inevitabilmente, il discorso vira puntando ai sensi di colpa che attanaglia certi occidentali: colpa nostra se sono ridotti così, li abbiamo per secoli colonizzati, sfruttati, ridotti in schiavitù.Cesec-CondiVivere 2014.12.06 Africa 001Per quanto mi riguarda mi dichiaro non colpevole. Penso anzi che per certi aspetti l’epoca delle colonie fu migliore di quella attuale, almeno le cose erano chiare e non esistevano democrazie di paglia, in realtà feudo di satrapi locali fantocci rapaci e feroci nelle mani di istituzioni finanziarie internazionali. Meglio ancora se li avessero lasciati in pace, ma questo è un altro discorso.
Oggi assistiamo ad una nuova colonizzazione di quei paesi, perpetrata da paesi che furono a loro volta colonizzati: e trattasi di una colonizzazione senza né pudore né ritegno, che va sotto il nome di land grabbing.Cesec-CondiVivere 2014.12.06 Land grabbingE la finanza dai denti a sciabola, indossato il vestitino ecosostenibile nonché solidale per non lasciarsi sfuggire il pallino e il boccone, ci marcia. Lanciando social impact investment, massiccie campagne di fund raising e via enumerando. Della serie: der Wolf, das Haar verliert… Non mi dilungo, ne ho scritto esaustivamente il 29 novembre 2013 nell’articolo Land Grabbing e vergini dai candidi manti dove, chi avrà voglia di leggerlo, ҄troverà illuminanti considerazioni sul povero negretto espresse da un amico di origine centroafricana, presidente di un’associazione che tenta di dare una mano alle popolazioni dell’Africa più povera.
E vengo al punto. Serge Latouche, avversario tra i più noti dell’occidentalizzazione del pianeta e sostenitore della decrescita e del localismo, racconta nelle sue memorie che un giorno un’anziana donna del Benin gli chiese: “Ma quando tornate voi francesi?” a significare che il paradosso africano seguiterà a congiungersi tragicamente a quello occidentale fintanto che la cultura occidentale si manterrà solo grazie al desiderio del resto del mondo di entrare a farne parte.Cesec-CondiVivere 2014.12.06 Africa 002Un progetto globale di socetà autonoma e fondata sulla decrescita deve ormai interessare anche i Paesi del Sud del mondo, considerato che oggi siamo di fronte all’evidenza di quanto Albert Tévoédjrè denunciò già nel 1978 nel volume La povertà, ricchezza dei popoli: l’assurdità del mimetismo culturale e industriale, i falsi bisogni, l’assenza di misura della società della crescita, la disumanizzazione dei rapporti sociali dominati dal denaro, la distruzione dell’ambiente elogiando nel contempo la sobrietà dell’autoproduzione delle piccole comunità tradizionali, come quella africana da lui ben conosciuta.
L’auto-organizzazione degli esclusi dalla modernità costituisce un esempio di costruzione di società autonoma, ed economa, in condizioni di infinita precarietà, che non deve quasi nulla alle élite locali. Un’alternativa autentica, costretta suo malgrado a subire la persistente minaccia di una globalizzazione arrogante e bellicosa.Cesec-CondiVivere 2014.12.06 Africa 003Dopo aver corrotto l’Africa ufficiale, la colonizzazione dell’immaginario minaccia sempre più anche quell’altra: media internazionali, radio, televisione, internet, finanza assistenzialista erodono la coesione sociale al punto che – ancora oggi – i paradisi posticci del Nord del mondo appaiono ai giovani ben più appetibili rispetto al loro inferno locale.
L’invasione di beni di consumo cinesi a prezzi stracciati mette anche qui in crisi quegli artigiani del riciclo che avevano battuto la concorrenza delle esportazioni europee, mentre i processi di emulazione minano la solidarietà che cementava l’universo alternativo.
E infine: macchine scassate, telefonini fuori uso, computer riciclati, rifiuti di ogni sorta dell’Occidente. Una società dei consumi di seconda mano che come un cancro divora le esistenze, segnata da un inquinamento dilagante senza né misura né ritegno. Chi in queste condizioni non sarebbe incazzato e divorato dal desiderio di rivalsa?
E tutto questo senza abdicare a quanto scrissi su queste stesse pagine il 14 marzo scorso nell’articolo intitolato Africa: quando i regali sono inutili.
L’unica speranza rimane la crisi in atto: che colpisca definitivamente i paesi del Nord, in tempo per lasciare al resto del mondo un po’ di speranza.
Certo, noi Occidentali non andremo più in vacanza alle Seychelles. Del resto già oggi è sempre più difficile andarci alle condizioni che ci siamo imposti nell’età dell’oro del consumismo chilometrico, che appartiene ormai al passato.
Chi si ricorda più di quando il compassato Financial Times sottotitolò Il turismo sarà considerato sempre più il nemico pubblico numero uno dell’ambiente l’articolo Welcome to the age of less a firma di Richard Tomkins pubblicato il 10 novembre 2006? Accadde allorché Richard Branson, fondatore di Virgin, lanciò l’idea dei viaggi turistici spaziali.
Che il gusto di viaggiare e il desiderio di avventura siano parte dell’animo umano va benissimo. Costituiscono una fonte di arricchimento che non deve inaridirsi, ma la curiosità legittima e il desiderio di conoscenza si sono trasformati in consumo commerciale e distruttivo dell’ambiente, della cultura e del tessuto sociale dei paesi target dell’industria turistica. Oggi qualsiasi bifolco, purché possa permetterselo, può andare ovunque e tornare sentenziando “ho fatto” lo Yucatan, piuttosto che lo Yemen o il Chenesò senza aver visto altro che il resort nel quale era confinato e il paesaggio dal finestrino del Land Cruiser che lo porta spot da qualche parte, può ammorbare vicini, conoscenti e amici con i propri inutili selfies, senza aver compreso un accidente del luogo che non ha visitato, e non lasciare nulla di suo, tranne qualche dollaro di elemosina in mance, acquisti di paccottiglia o, nei casi peggiori, uso sessuale di minorenni.
La mania di spostarsi sempre più lontano, sempre più rapidamente, sempre più spesso, e spendendo sempre meno, questo bisogno in gran parte artificiale indotto dal nulla, esacerbato dai media, sollecitato dai tour operator e da tutto l’indotto della macchina turistica deve essere ridimensionato.
Essendo di rapina, questo turismo non è rispettoso dei paesi visitati e dei loro abitanti, e non è assolutamente vero che costituisca un aiuto: per ogni 1.000 Euro spesi per una vacanza solo poco più di 150 rimangono nel paese ospite.
In futuro, anzi già sta accadendo ora, la penuria di risorse energetiche ed economiche, i cambiamenti climatici, le tensioni politiche e sociali ci imporranno di viaggiare sempre meno lontano, meno spesso e meno rapidamente. E a prezzi sempre più alti.
In realtà la prospettiva è drammatica solo per chi deve colmare il vuoto e il disincanto indotti da chi tenta di farci vivere sempre più virtualmente, viaggiando però concretamente a spese del pianeta.Cesec-CondiVivere 2014.12.06 Africa 004Forse è arrivato il momento di riappropriarci della saggezza. Ma come sempre 90/10: ci sarà chi soccomberà e chi no.
Intendiamoci, non sono un Templare della Decrescita, però possiedo una grave limitazione: penso. Oltretutto con la mia testa, e non mi importa il classico accidente se le mie opinioni, e soprattutto il mio sentire, sono fuori dal coro. Anzi.
In ogni caso non mi piacciono i fervorini annegati nella melassa dello sviluppo sostenibile, che denunciano la frenesia delle attività umane o l’imballarsi del macchinario del progresso del quale, se sicuramente non siamo il motore, siamo però gli ingranaggi e perfino i lubrificatori e gli addetti al rifornimento.
Andremo a sbattere contro il muro, prima o poi, ed io sinceramente spero più prima che poi, in modo che questo Moloch criminale e criminogeno vada in pezzi. Così potremo, con qualche utile frammento recuperato, ricostruire un mondo veramente sostenibile. Fino alla prossima volta.
Oggi ci vengono proposti obbrobri come lo sviluppo sostenibile, continuamente invocati in modo incantatorio e che mi sono stancato di chiamare ossimori ma ai quali preferisco attribuire il nome che meritano: truffe, per convincerce del cambiamento in corso attraverso una rottura tranquilla, utile solo a mascherare il non cambiamento. Per mantenere intonsi i profitti, evitare il mutare delle abitudini e cambiare rotta di pochi gradi, giusto per far vedere ai crocieristi che la scia si è modificata, mentre il pianista nel salone delle feste strimpella con sempre maggiore fervore.
Forse la verità è che si preoccupano per noi e non vogliono renderci infelici… E invece sarebbe una gran cura, addirittura la migliore delle cure possibili: una bella stramusata di realtà che ci metta una volta per tutte di fronte alla fatica di vivere, allo specchio dove riflettere tutta l’inutilità dei giocattolini dei quali ci circondiamo per compensare l’orrore del vuoto, il terrore del silenzio.

Alberto C. Steiner

Se la violenza è funzionale

Parto da una stupidaggine per introdurre un discorso serio. Naturalmente la premessa è inventata.
Da qualche tempo il mio computer fa i capricci: nulla di grave, beninteso, però mi causa fastidio. Un amico esperto, dopo aver analizzato tutte le componenti ed avere accertato l’assenza di virus, malware e simili nefandezze ha emesso il verdetto: “Tutto ok, la DDR3 perfetta, il clock apposto, la RAM va bene… il problema casomai è la ROM: dovresti scegliertene una decente”. Ecco… e così ora sono in imbarazzo: quale Rom scegliere? Questa della foto può andare, penso…Cesec-CondiVivere 2014.12.03 Zingari 001Lo zingaro: quel mostro laido dedito al furto, al borseggio ed ai più loschi commerci sin dall’infanzia. Peggio ancora la zingara: quella lurida e mefitica strega, inquietante e forse un po’ puttana, dedita all’accattonaggio e che ruba i bambini. Per non parlare di quelle tribù allocate nelle nostre periferie, alle quali vengono regalate case e utenze mentre noi che ci sudiamo il pane… e che ammorbano il panorama con le loro sconcezze da selvaggi fornendo un pessimo biglietto da visita durante i percorsi di avvicinamento alle nostre città. Notoriamente, se non ci fossero i campi nomadi, i nostri suburbi visti dall’autostrada o dalla ferrovia apparirebbero ben più accoglienti e ordinati di un paesaggio svizzero da cartolina.
Come sempre è vero tutto e il contrario di tutto, e con questo non voglio dire che gli zingari siano dei santi, caso mai sono Sinti…Cesec-CondiVivere 2014.12.03 Zingari 005Credo però che se non esistessero, gli zingari, bisognerebbe inventarli, della serie: forza, diamo in pasto al popolo un nemico in modo che concentri l’attenzione su un falso obiettivo.
Il servo teme il servo e noi, da sempre servi e massimamente incolti, temiamo chiunque attenti anche solo immaginificamente al nostro orticello. Il quotidiano più letto in Italia non è Il Corriere della Sera, e non si disputa il palmares con La Repubblica. Nossignori, il quotidiano più letto è la “Gazza”, e non credo sia un caso.
Oh intendiamoci, noi italiani non siamo razzisti. Lo premettiamo sempre, in ogni discorso: “Non è per essere razzista ma…” Vero, non siamo noi ad essere razzisti, sono loro che, di volta in volta, sono negri o zingari, mussulmani demmerda o culattoni, veganimalardi o mangiacadaveri.
Italiano brava gente… anche quelli che nel 1935 bombardarono con i gas asfissianti gli Abissini per liberarli dal barbone nero, re africano. Già, ma il maresciallo Graziani era un fascista. Beh, il fascismo non lo avevano ancora inventato il primo novembre del 1911, quando la prima bomba lanciata da un aereo, una granata a mano Haasen di fabbricazione danese, esplose su un’oasi alla periferia di Tripoli, per opera del sottotenente pilota marchese Giulio Gavotti.
Per non farla troppo lunga arrivo al punto. La verità è che la crescita economica e demografica vengono solitamente espresse in percentuali, il che nasconde l’essenziale: la crescita economica in termini di merci e servizi avviene soprattutto nel mondo già ricco, quella demografica in quello povero.
Sempre più persone nascono con una prospettiva di ignoranza, povertà e fame: sono superflue, senza valore nell’economia della dipendenza reciproca, e tuttavia esposte ai suoi effetti. E sempre più nascono con la violenza come unica via d’uscita.
Tutti i modi tentati fino a oggi per dare sussistenza, si badi bene: sussistenza, a un numero più alto di persone elevando il loro livello di vita hanno consumato e consumano risorse limitate e caricano suolo, aria, acqua di scorie, pattume, liquami.Cesec-CondiVivere 2014.12.03 Zingari 002In questo secolo, ed in quello da poco trascorso, si è chiarito che il livello di vita dei paesi industrializzati o per meglio dire ex-industrializzati non può essere mantenuto ed esteso a tutta la popolazione mondiale. Ci siamo creati un modo di vivere che deve essere forzatamente limitato ad una minoranza.
In questa minoranza, fino a non molti anni fa costituita da un’ampia classe media in un numero limitato di paesi e da una esigua classe superiore in quelli restanti, i membri si riconoscevano dalla capacità di acquisto. Essi avevano un comune interesse a conservare i loro privilegi, se si fosse reso necessario anche ricorrendo alla violenza. Anche loro, quindi, nascevano con una prospettiva di violenza.
Come se non bastasse, bastava leggere Keynes o Ford per saperlo, si sono affacciate al mercato del consumo nuove realtà, nuovi attori che rappresentano potenzialmente quasi un terzo della popolazione mondiale. E questi, per dirla con Aldo, Giovanni e Giacomo, ci ciulano il cibo.Cesec-CondiVivere 2014.12.03 Zingari 003È da questa violenza, quella esercitata, quella sopita e quella delegata a chi fa il lavoro sporco camuffato da missione di pace, che germogliano i sogni di genocidio. Le ingiustizie che difendiamo ci costringono a mantenere armi di sterminio con le quali le nostre fantasie possono in qualsiasi momento diventare realtà.
La violenza globale costituisce in realtà il nocciolo duro della nostra esistenza, e non possiamo gesuiticamente fingere che non sia vero.
Si, ma cosa c’entra la Rom decente in tutto questo? C’entra per uno di quegli accadimenti che a me piacciono, quelle storie minori che la cronaca non registra perché non istiga al rancore.
C’entra perché la Rom decente è addirittura una stilista e una modella. Tutto iniziò a Carbonia, in Sardegna, nell’ottobre del 2011: dai campi nomadi all’atelier di alta moda sfidando i cliché sugli zingari e superando diffidenze e ruggini, il sogno di nove ragazze Rom di etnia serba e bosniaca divenne realtà attraverso il progetto Zingarò, una formazione nel settore della moda che dopo un periodo di apprendistato avrebbe consentito alle partecipanti di entrare con un ruolo da protagoniste nel mondo del lavoro sartoriale.Cesec-CondiVivere 2014.12.03 Zingari 004Inizialmente venne avviata una bottega all’interno della comunità San Lorenzo di Iglesias e e successivamente fu creata un’impresa: sartoria per uomo, donna e bambino con il marchio autoironico Zingarò. Ed ora le Rom decenti, rimaste in cinque e che spesso presentano i loro modelli indossandoli personalmente e che anche quest’anno chiuderanno il bilancio con significativo utile netto, stanno per aprire uno show room a Roma, dopo essersi fatte notare anche nelle piu’ importanti passerelle italiane ed europee. Certo, tuttiicriminidegliimmigrati o imolaoggi non ne hanno parlato, e nemmeno il misfatto quotidiano.

ACS

Chi sostiene la finanza sostenibile

Sfarfallano come foglie d’autunno gli inviti a partecipare alla kermesse della finanza sostenibile, che avrà luogo dal 4 al 12 novembre aprendosi a Roma e serpeggiando in varie lochescion itineranti per concludersi nella cornice di Palazzo Mezzanotte a Milano, sede della Borsa. Non male come epilogo per una finanza che vuole indossare il vestitino sostenibile…Cesec-CondiVivere 2014.10.20 Io odio la finanza sostenibileQuest’anno non ci andrò. Abbiamo già dato, l’anno scorso. E le ragioni per cui non intendo fare da claque all’evento le scrissi nell’articolo intitolato Onoriamo il Lupo, per noi è un animale veramente Sacro. Soprattutto se parliamo di finanza, pubblicato il 7 novembre 2013 in questo Blog, al quale rimando chi volesse approfondire.
Rileggendolo l’ho trovato addirittura più attuale oggi rispetto ad un anno fa, e prima di passare oltre ne riprendo un breve periodo:
Abbiamo visto quello che dovevamo vedere, detto quello che dovevamo dire ma soprattutto annusato un odore che avremmo preferito non sentire.
Non ci sono piaciuti i toni paludati, saccenti, supponenti. Non ci sono piaciuti i sorrisi a 96 denti splendenti d’acciaio su tre file. Non ci è piaciuto il tono da accademici illuminati, tanto per cambiare da guru della finanza, questa volta eticobiobau.
Non siamo in grado di stabilire se e in quale misura siamo finanziariamente etici e sostenibili, secondo quelli che sono diventati i parametri ufficiali. Dei quali, sinceramente, non ci frega il classico beneamato cazzo perché sono artefatti, e possiamo dimostrarlo. Ma per quanto attiene al nostro piccolo mondo di Amélie dove ci piace vivere abbiamo ancora una volta dimostrato a noi stessi di avere gli attributi e di non essere in vendita. E nemmeno in fistfactoring o in fuckleasing.
Però di una cosa, che avevamo dapprima compreso o se preferite sentito, siamo certi: la finanza, quella vera, quella con i denti a sciabola, si è appropriata dell’ecosostenibilità, della sostenibilità e della solidarietà, con la complicità di coloro che preferiscono usare il termine collettivo al posto di pubblico e nelle retrovie stanno scaldando i motori delle loro Kooperativistiche und Onlusaistische Panzer Divisionen
Indossando il vestitino etico e solidale si sta preparando l’ennesimo atto sodomitico ai danni dei risparmiatori. Non stiamo farneticando: alcune cooperative edilizie che promettevano comunità residenziali in cohousing in autocostruzione lo hanno già dimostrato. Una per tutte: Alisei.
Abbiamo fatto ciò che era nostro dovere fare affinché non rimanessero margini di dubbio circa la supposta (appunto) eticità di una certa finanza e, pur nella limitata potenza della nostra voce, possiamo lanciare un monito: attenzione a chi, con retrostante pabulus politico, irretisce, seduce, indora pillole di ecosolidarietà finanziaria, perché vuole solo avere il controllo anche di quelle realtà, per portarvi l’acqua del proprio mulino fatto di drenaggio di denari pubblici, clientele, commissioni, carrozzoni, compagnie circensi, osservatòri e corte canterina varia.Cesec-Condivivere 2014.10.20 Squali della finanza sostenibileE veniamo all’oggi. Il forum è tecnicamente un’organizzazione non lucrativa la cui finalità è quella di promuovere una finanza etica. Desumendo dal sito si legge: Accanto alle questioni dell’etica della finanza, troviamo altri ambiti sicuramente rilevanti quando si tratti di istituzioni finanziarie e responsabilità verso altri soggetti. Come ad esempio la relazione tra attività finanziaria e sviluppo locale, lotta alla disoccupazione, integrazione degli immigrati, protezione dell’ambiente. Ecco quindi che l’esercizio dell’attività finanziaria è legato a filo doppio con il dibattito sullo sviluppo sostenibile. Un bel blabla di maniera che avremmo potuto leggere nel tema in classe di uno studente di ragioneria, e dal quale chi sa leggere può evincere una matrice sdegnosamente caritativa. Siamo rimasti alla raccolta dei tappini per aiutare i negretti
La compagine societaria, pardon sociale, del forum è così composta:Cesec-CondiVivere 2014.10.20 Composizione societaria forum finanza sostenibileSoci sostenitori
ABI, Associazione Bancaria Italiana
Intesa San Paolo
Natixis
Petercam, Istitutional Asset Management
Vontobel,Private Banking
Soci Ordinari
ACRI, Associazioni di Fondazioni e di Casse di Risparmio SpA
Adiconsum
Allianz
ANASF, Associazione Nazionale Promotori Finanziari
ANIA, Associazione Nazionale fra le Imprese Assicuratrici
Assofondi Pensione
Assogestioni
Avanzi
Axa Investment Managers
Bloomberg
CDP, Carbon Disclosure Project
CGIL, Confederazione Generale Italiana Lavoratori
CISL, Confedeazione Italiana Sindacati Lavoratori
Cittadinanzattiva
Cometa fondo pensione
ECPI, Sense in Sustainability
EQUI, Private Equity
Etica Sgr SpA
FABI, Federazione Autonoma Bancari Italiani
Federcasse
Fondo Pensione Gruppo Intesa San Paolo
Generali Investment Europe
HDI Assicurazioni
Hines Italia
HSBC
ING Investment Management
Legambiente
MBS Consulting
Microfinanza
Morningstar
Pegaso Fondo Pensione
PensPlan Invest SG
RITMI, Rete Italiana Microfinanza
Societe Generale
Symphonia
Sodalitas
UBS, Unione Banche Svizzere
Unicredit
Unipol
Vigeo Italia
WWF Italia ONG Onlus

mentre il Consiglio di gestione è formato da:Cesec-CondiVivere 2014.10.20 Struttura quote forum finanza sostenibilePresidente
Maurizio Agazzi – Fondo Cometa
Consiglieri
Chiara Mazzuoccolo – Vontobel
Franca Perin – Generali Investments Sgr
Gian Franco Giannini Guazzugli – ANASF
Anna Monticelli – Intesa Sanpaolo
Manuela Mazzoleni – Assogestioni
Salvatore Cardillo – Assofondipensione
Isabel Reuss – Allianz Global Investors
Angela Tanno – ABICesec-CondiVivere 2014.10.20 Gnomo nel boscoCurioso che nel Consiglio non compaiano esponenti di realtà non bancarie… Dietro il paravento dell’etico, del sostenibile e del sociale la finanza dei soliti noti porta avanti i propri interessi. Oggi il guadagno è nell’housing sociale, e allora piatto ricco mi ci ficco: “Per fare edilizia sociale non occorre essere filantropi, neppure costruttori, basta avere le spalle coperte“. Non l’ha detto uno qualsiasi bensì Giuseppe Guzzetti, classe 1934, banchiere, politico, avvocato ed uno degli uomini più influenti d’Italia. Presidente di Fondazione Cariplo dal 1997 e dal 2000 dell’Associazione di Fondazioni e Casse di Risparmio, si proprio quell’ACRI che siede fra i soci del Forum, azionista forte di Intesa San Paolo, presente tra i soci sostenitori del Forum.
Cito dall’interessante Il business del futuro? L’housing sociale, pubblicato dal sito matteo-equilibrio1.blogspot.it ed al quale rimando per approfondimenti: Presidente della Regione Lombardia dal 1979 al 1987, incarna il dominus del governo occulto delle banche e degli intrecci con il potere politico. Lo aveva capito Tremonti, che tentò di porre rimedio al suo strapotere mettendo in dubbio il regime privatistico delle fondazioni. Fu la Corte Costituzionale a stabilire che le fondazioni sono persone giuridiche private dotate di piena autonomia statutaria e gestionale. In quell’occasione gli corse in soccorso anche Gustavo Zagrebelsky, Presidente emerito della Corte Costituzionale, che siede in diversi organi della fondazione Cariplo.
Ad onta dell’aggettivo sociale il nuovo housing è un affare per pochi: banche, fondazioni bancarie e l’immancabile Legacoop con annessi, clientes e connessi.
Se l’edilizia da sempre rappresenta business, quella sociale lo è all’ennesima potenza, e non poteva essere che la Lombardia a tenerla a battesimo, nel 2004, quando vide la luce il progetto sperimentale di autocostruzione assistita gestito da Alisei Ong-Innosense Consulting.
Risultato: nel 2006 fu posata a Pieve Emanuele la prima pietra del cantiere, che si trova in stato di abbandono dal 2011 mentre 24 famiglie che si sono giocate risparmi, energie, tempo e fiducia attendono ancora una abitazione.
Alisei ed i suoi sodali e manutengoli hanno seminato più cadaveri dell’Ebola: a Cologno Monzese, Vimercate, Brugherio, Besana Brianza, Ravenna per citare solo le prime località che mi vengono in mente.
Del resto non dico nulla di strano, artefatto o ingiurioso: basta scorrere internet per trovare riferimenti a iosa. E dire che per non dilungarmi non ho parlato dei Social Bond

Alberto C. Steiner

Quando l’acqua non muore: la scelta di Rochefort

Nelle piccole Comunità le idee nascono per essere applicate. E noi pensiamo che il futuro risieda nelle piccole Comunità autonome ed autosufficienti, pur se fra loro interconnesse.
L’acqua, ormai definita oroblu, costituirà sempre più un bene primario e dovrà essere messa al riparo dalle mani adunche della speculazione internazionale, in special modo se camuffata con il vestitino etico. Non con bombe, barricate o manifestazioni di piazza destinate ad essere strumentalizzate, bensì con l’unica arma veramente rivoluzionaria: il notaio.
Si, proprio quel professionista che serve a stilare gli atti necessari a costituire associazioni, consorzi, società. Per entrare legalmente nel sistema attuando interventi di finanza etica attraverso società, niente affatto marginali, di proprietà dei diretti utilizzatori dell’acqua. Vale a dire i cittadini di comuni, comprensori, aree territoriali più o meno estese.Cesec-CondiVivere 2013.10.20 Rochefort 002E che l’acqua non rappresenti solo un costo ma un utile potenziale persino nei suoi utilizzi apparentemente marginali, lo dimostra un’iniziativa partita sperimentalmente due anni fa nella città francese di Rochefort e che oggi conferma la validità della scelta di trasformare il costo di un depuratore delle acque reflue in risorsa per la collettività.
Ricordate quando i nostri nonni ci insegnavano che buttare è sbagliato? Bene, nella città francese affacciata sull’Atlantico hanno pensato bene di non buttare nemmeno… la cacca, Evitando di fingere che la recessione non esista ed aguzzando l’ingegno poiché i soldi erano pochi, quell’amministrazione comunale ha pensato a come mutare le difficoltà in opportunità trasformando i costi di un depuratore in introiti per la collettività. Va detto che il costo di depurazione delle acque reflue, generalmente piuttosto alto, è quantificabile in circa 60 euro annui pro-capite.Cesec-CondiVivere 2013.10.20 Rochefort 003A Rochefort, presso il fiume Charente, hanno quindi realizzato un impianto che depura le acque con la tecnica detta del lagunaggio: prima di raggiungere il fiume i liquami passano attraverso un sistema di bacini dove vengono ripuliti utilizzando luce solare e degradazione batterica; infine vengono fatti fermentare per produrre gas. Da ultimo acque e fanghi vengono separati.
Questo sistema ha ridotto dell’85% i consumi energetici rispetto ai depuratori tradizionali; i silos per la fermentazione dei fanghi posti a valle del sistema producono gas per autotrazione, venduto tramite distributori allestiti presso l’impianto medesimo generando in tal modo introiti per la collettività.Cesec-CondiVivere 2013.10.20 Rochefort 001Esaurita la notizia veniamo ora alla nostra realtà e, per un attimo, immaginiamo che esista una legge che consente l’utilizzo di detersivi, saponi e shampoo solo se biodegradabili al 100%. In questo modo anche i residui solidi potrebbero essere utilizzati senza nessun problema.
Non è impossibile, perché già oggi sono disponibili prodotti per l’igiene biodegradabili completamente e il loro costo, leggermente più elevato in ragione della relativamente modesta diffusione, diminuirebbe sensibilmente in ragione di un utilizzo massiccio, e verrebbe inoltre compensato ampiamente dai vantaggi economici derivanti dal binomio risparmio energetico + introito di un sistema come quello in uso nella cittadina francese.
Aggiungiamo che a Rochefort l’acqua è un bene comune e tale è rimasto, in barba ai furbetti, alle società multiutility colluse con le multinazionali speculative ed ai trasformisti capaci di dire contemporaneamente no ma anche sì.
E’ la dimostrazione che ha senso privatizzare il servizio idrico, facendo però in modo che tale privatizzazione sia pubblica, vale a dire che i soci della società proprietaria dell’acqua a livello di distribuzione locale siano i diretti fruitori. Non è affatto una contraddizione se tale atto, compiuto secondo le regole e le possibilità offerte dalla legge, costituisce una forma di autodetrrminazione ben più rivoluzionaria ed efficace di rivolte o blocchi stradali: rompe il sistema usando le regole stesse del sistema.
Acquistare l’acqua per salvare l’acqua non diventa più solo uno slogan, ma la dimostrazione che è possibile. I nostri Comuni devono solo modificare il proprio statuto inserendo una volta per tutte l’acqua come bene primario della comunità, appoggiando e sostenendo le iniziative tese a preservarla da speculazioni. Contribuendo così a cancellare quel capitolo dolente che, nel nostro Paese, viene mal-inteso come sviluppo, parola usata ed abusata spesso in abbinamento a pil.

ACS