CESEC, Centro Studi Ecosostenibili: chi siamo

Per una volta parliamo di noi, spendendo solo poche parole. Anzitutto siamo una microstruttura, perché l’interlocutore abbia risposte immediate e certe direttamente da chi possiede le facoltà decisionali. Questo ci consente la massima efficacia.CC 2016.06.28 Chi siamoProgettiamo il recupero strutturale e funzionale di realtà territoriali dismesse e, più in particolare, in stato di pregiudizio finanziario: aziende agricole, terreni, edifici rurali, borghi abbandonati per riportarli a nuova vita impiantandovi attività agrosilvopastorali, di trasformazione agroalimentare, artigianali, ricettive, didattiche, residenziali attuate preferibilmente secondo la formula del cohousing. Crediamo nella comunità ma non nella comune.
Attenti al rispetto del territorio ed alle sue tradizioni, relativamente ai recuperi edilizi poniamo particolare cura nell’utilizzo di materiali locali e naturali quali, per esempio, paglia e terra cruda, calce e pozzolana, beole, carpenterie in legno ed infissi e serramenti certificati non trattati con agenti chimici.
Attenti all’impatto ambientale privilegiamo l’utilizzo di energie a bassa intensità e rinnovabili: fotovoltaica e idraulica, recupero delle acque piovane e riutilizzo di quelle domestiche, minimizzazione degli sprechi anche attraverso il riutilizzo dei rifiuti.
Ove possibile tendiamo a non installare impianti di riscaldamento, diversamente ci atteniamo alle specifiche note come KlimaHaus, fissate originariamente dalla Provincia di Bolzano con il DPGP 34 del 29 settembre 2004 e che fissano in Classe A un valore di fabbisogno energetico per riscaldare efficacemente per un anno la superficie di 1 m² ≤30 kWh/m²a (parametrate a 3 litri/m² di gasolio), e in Classe Gold ≤10 kWh/m²a (1 litro/m²).
Attenti alle istanze sociali tendiamo ad insediare, nelle strutture oggetto di recupero, quote residenziali e lavorative destinate a soggetti deboli o portatori di disagio sociale, non come attività caritativa bensì creando realtà in grado di autoalimentarsi finanziariamente.
Crediamo che l’ecosostenibilità e l’iniziativa privata possano sostenersi vicendevolmente e che siano anzi maggiormente efficaci senza etichette o sponsor politici; per tale ragione la nostra attività si sviluppa preferibilmente grazie al ricorso a risorse finanziarie private: business angels e investitori ai quali, nel medio periodo, siamo in grado di riconoscere remunerazioni adeguate.
La nostra esperienza lavorativa specifica data da oltre un ventennio e attraverso le nostre sedi operative di Milano e Verona siamo attivi nel Nord e Centro Italia.

Alberto C. Steiner

Se la consapevolezza è un optional

Ho sul tavolo la perizia di un trilocale in via Cesare Correnti, a Milano, della superficie commerciale pari a 107 m2. Risale all’anno scorso e l’arguto collega lo ha valutato 750mila Euro.CC 2016.06.23 Correnti 001Notare in alto a sinistra nella planimetria qui sopra riportata quella specie di L rovesciata: è una balconata che affaccia nel cortile, alla quale si accede dal vano scala. Misura complessivamente m2 6,3308.
Se la proprietà è valutata 750.000 Euro parametrati ad una superficie commerciale di 107 m2, vale a dire 7009,34 €/m2 la balconata varrebbe 7.009,34 x 6,3308 =  44.374. Più di 44mila Euro per un pezzo di ringhiera?
L’esimio collega chiosa altresì, nella descrizione tecnica, che la proprietà è in un contesto elegante di metà Ottocento (vero) ben abitato (meglio verificare, l’esperienza mi ha insegnato che le sorprese sono in agguato) ed in un quartiere di pregio e tranquillo. Come no: dietro l’angolo ci sono le Colonne di San Lorenzo, il Parco delle Basiliche e il Ticinese ed ogni milanese sa cosa significhi ad ogni ora del giorno e soprattutto della notte: strafatti, accattoni, balordi, schiamazzi, bottiglie di birra schiantate a terra, vomito ed ogni forma di deiezione umana e disumana.CC 2016.06.23 Correnti 002La stessa via Correnti è un maleoelente corridoio impestato da auto in coda ad ogni ora del giorno, alla mattina in direzione centro ed alla sera in direzione periferia; per percorrere i suoi trecento metri scarsi ci si impiega più di mezzora.
Supermercati, scuole, servizi di quartiere? Ma non diciamo cazzate… beh, no: c’è San Vittore, non lontano. L’appartamento si trova al secondo piano, quindi nemmeno ad un piano alto: vi lascio immaginare. Inoltre, stando alla planimetria, l’accesso è da una specie di disimpegno adiacente alla cucina, il bagno affaccia sulle scale e la camera da letto padronale, considerato che non può esserlo il loculo di m 4,27 x 2,21 in alto a sinistra, è ricavata necessariamente in uno dei due locali che affacciano sulla strada. Insomma, un appartamento tagliato malissimo.CC 2016.06.23 Correnti 003Non occorrono altri commenti, dico solo che se un mio cliente disponesse di quella cifra e fosse sano di mente, con 125mila Euro gli troverei un bilocale d’appoggio in città (e non necessariamente a Ponte Lambro), con 550mila una tenuta della madonna nel Piacentino o sui colli bergamaschi o bresciani, forse addirittura sulla sponda lecchese del Lario. E gli rimarrebbero in tasca 75mila Euro da impiegare, tolto il mio compenso, come preferisce.

Alberto C. Steiner

In quel tempo… in 250mila camminarono sulle acque

Non è successo sul lago di Tiberiade ma su quello d’Iseo, grazie ad una passerella galleggiante a pelo d’acqua, installata da uno dei più grandi esponenti di una corrente artistica detta Land Art che, guarda caso, si chiama Christo.
No, pare che ai panini per la folla non abbia pensato nessuno. E in verità in verità vi dico che questo non è bene.CC 2016.06.22 Floating 001Tutti osannano la geniale installazione, Lombardia da Vedere si spinge addirittura ad affermare che «vale proprio la pena provare l’emozione di far parte di un’opera d’arte di livello internazionale.»
Io la trovo un’oscenità ributtante in ragione dell’impatto ambientale, del pericolo che può costituire per natanti e visitatori e della sua assolutà inutilità culturale.
E intanto leggo su Il Giornale di Brescia di oggi (ieri per chi legge – NdA): «In quattro giorni di apertura di The Floating Piers si sono registrati circa 250mila visitatori. E la passerella, fa sapere la cabina di regia, necessita di lavori di manutenzione straordinaria.
Ci sarà quindi una selezione nei punti di ingresso: Il residuo ponte fruibile – spiega l’organizzazione – consentirà la presenza di non oltre 1.000 persone, mentre la parte di terraferma interessata consentirà l’accesso di sole 1.000 persone.»CC 2016.06.22 Floating 002Struttura solida, non c’è che dire. Dopo 40 anni Christo, l’imballatore compuilsivo di origine bulgara definito artista per aver impacchettato qualsiasi cosa gli capitasse a tiro compresi la Porta Pinciana e il Reichstag, ritorna in Italia: confesso di non averne sentito la mancanza.
Dall’intellighenzia inculturale nostrana gli è stato concesso di scegliere il Sebino per imbrattarlo con detta passerella che, dal 18 giugno al 3 luglio, permette anche ai non credenti di camminare sulle acque per una lunghezza di tre chilometri. Realizzata con 200mila cubi di polietilene ad alta densità che formano pontili galleggianti larghi 16 metri, è rivestita da 70mila metri quadrati di scintillante tessuto arancione. Il percorso, da Sulzano a Monte Isola, si svolge tra terra e acqua includendo l’Isola di San Paolo.
Rispondendo alle lamentele dovute alle estenuanti file per poter accedere all’impagabile opera l’artista ha chiosato, stando a quanto riportato dal quotidiano La Repubblica:  “L’attesa è parte della mia opera, o avete pazienza o non venite.” Vale, come sempre, il mai abbastanza usato gavte la nata citato da Eco nel Pendolo.

ACS

L’espansione incontrollata del bosco: i pantaloni in velluto Visconti di Modrone non sono un’attenuante

Cosa fai se all’appuntamento fissato per parlare di espansione incontrollata del bosco e dei rimedi per contrastarla ti si presenta un esperto, ricercatore del Centro di politiche e bioeconomia del Crea nonché docente universitario, in giacca di tweed verde bosco, sciarpettina sofficiosa nei toni del bruciato e (supremo orrore) pantaloni color senape in velluto a costine palesemente Visconti di Modrone?Cesec-CondiVivere 2014.10.07 FioreO passi direttamente all’omicidio, nella consapevolezza che nessun tribunale accoglierà la tesi che il velluto a costine Visconti di Modrone possa costituire un’attenuante, o te ne vai. O lo ascolti, nella certezza che profferirà puttanate. E infatti: “Negli ultimi decenni oltre ad aumentare la superficie coperta dal bosco è aumentata soprattutto la densità forestale. Significa che c’è molto meno spazio tra un albero e l’altro e un sottobosco che sempre più spesso è ormai impenetrabile, tanto è vero che spesso è impossibile entrare nel bosco per spegnere le fiamme e l’unica alternativa è quella dei Canadair.”
Entrare nel bosco? Ma tu ci sei mai entrato in un bosco in fiamme? Ma tu lo sai che gli alberi bruciano a 800 gradi eh, pirla? Scusate il pirla ma è d’obbligo.CC 206.05.01 Espabosco 001E se questi sono i nostri esperti, che rilasciano dichiarazioni e interviste pubblicate persino dal National Geographic (22 febbraio scorso, leggibile qui) chissà come sono messi quelli che non ne sanno nulla…
L’articolo, impreciso e lacunoso al di là del lodevole intento, non tiene conto del fatto che da tempo immemore, ed in particolare a partire dal 1870, di foreste vergini in Italia non ce ne sono più. Oggi nel nostro Paese le foreste coprono un terzo del territorio, ed è vero che continuano ad avanzare perché in ragione dell’abbandono del territorio – in particolare di quello montano – il bosco si è ripreso il posto a suo tempo adattato a pascoli e coltivazioni e la manutenzione è sempre più scarsa.
La superficie boscata che nel nostro Paese copre oggi quasi 11 milioni di ettari, negli anni Trenta era stimata in circa 4 milioni. Ma ciò era parzialmente dovuto all’utilizzo intensivo delle foreste e, nell’arco alpino, alle devastazioni ambientali della I Guerra Mondiale. Al terine del secondo conflitto moindiale ci si è ritrovati in una situazione ancora peggiore, poiché le devastazioni avvennero quasi sull’intero territorio nazionale, ed in particolare sulla dorsale appenninica.CC 2016.05.01 Espabosco 002“E non bisogna dimenticare che sino all’inizio degli anni Sessanta, il 50 per cento delle cucine italiane era ancora alimentato a legna. Il gas ha raggiunto la totalità delle abitazioni solo nei primi anni 70” afferma nell’intervista l’ineffabile prof sopravvissuto al nostro intento di pulizia etnica. Che il legno sia stato per millenni materia prima fondamentale per cucinare e per riscaldare ambienti nessuno lo nega, ma l’affermazione è imprecisa e fa slittare di un decennio lo stato dell’arte. Ma, non pago, l’esperto aggiunge: “Ecco perché allora era quasi impossibile trovare un ramo secco in un bosco. Perché le foreste venivano coltivate, gestite e controllate. Tanto che Victor Hugo e i grandi viaggiatori dell‘800 paragonavano i nostri boschi a dei giardini” dimentico delle leggi sul legnatico che, solo per citare la Serenissima Repubblica, prevedevano la condanna capitale per chi fosse stato sorpreso a far legna al di fuori dei periodi in cui ciò era concesso tramite appositi decreti dogali.
Fortunatamente, a parte le affermazioni sussiegose degli esperti da cattedra e il fatto che spesso la politica di rimboschimento attuata nel secondo dopoguerra non abbia tenuto conto né delle biodiversità locali né delle specie autoctone, il prelievo di legname – soprattutto in montagna – è soggetto al vincolo idrogeologico.
L’articolo ha suscitato polemiche da parte di chi sostiene che la biodiversità sia direttamente proporzionale all’entità dell’abbandono della gestione dei boschi e da parte degli ecosistemisti da tastiera, quelli che vorrebbero che i boschi venissero lasciati alla natura, anzi, nel più malinteso dei sensi a Madre Terra, perché in montagna e nei boschi non serve pontificare: serve darsi da fare. E quindi a pulire boschi, sentieri e montagne si guardano bene dall’andarci preferendo ragliare alla luna.
L’abbandono gestionale è tra le prime cause del problema, e lo sa bene chi possedendo aziende agricole in montagna ha eliminato tutto ciò che è parassitario, con la conseguenza che le piante si sono rinvigorite, la produzione è migliorata qualitativamente, vacche, capre e le pecore mangiano un’ottima erba. Ma per fare questo non servono i cerchi di condivisione serve spaccarsi la schiena.
Gli attuali boschi italiani, infine, non sono foreste vergini ma il frutto della coltivazione attuata da secoli, prova ne sia la Regola Camaldolese.
Informarsi per davvero e in modo scientifico sarebbe molto utile a tutti coloro che in nome della natura sostengono la politica della non gestione: l’uomo e le sue necessità sono parte dell’ecosistema foresta esattamente come le altre specie, ed è realistico puntare ad un punto di equilibrio tra le diverse funzioni.
Sarò banale, ma continuo a preferire chi con le mani sporche ti ascolta, se ha sentito che meriti di essere ascoltato, mentre spollona o inforcona il fieno piuttosto che quelli che discettano e pontificano dall’alto del loro trono di esperti.

Alberto C. Steiner

Ciclabile del Garda: lei è un ecoappecorato, si informi!

Se ne parla da almeno un decennio. E anche quest’anno, potenza della primavera che reca con sè tramonti incendiati e serotini afrori di pitosfori, gardenie, limoni ed elezioni amministrative, riecco il progetto dell’anello ciclabile lungo le sponde del Benaco.CC 2016.04.22 Ciclogarda 001I 190 km del progetto originario, pur rimanendo almeno dai tempi di Cecco Beppe ineguagliato il perimetro del più grande specchio lacustre nazionale, si sono inspiegabilmente ridotti a 140. Ma i giornali non ne esplicano la ragione, esattamente come sembrano ignorare che la Provincia Autonoma di Trento e le Soprintendenze atesina e veronese bocciarono più volte il progetto, in particolare tra Malcesine e Torbole per la sua pericolosità lungo passaggi particolarmente ristretti e per l’elevato rischio idrogeologico, l’ultima di queste nel 2014. E quindi plaudono perepepè all’iniziativa, inneggiando all’incontro tenutosi a Roma il 7 aprile dopo “l’idea lanciata a Milano durante la Borsa Internazionale del Turismo a febbraio scorso” come scrivono all’unisono il Corriere della Sera, Il Giornale di Brescia, L’Arena (Agenzia Stefani, se ci sei batti un colpo…) e perfino Verona Green, e questo ci stupisce non poco poiché dall’altrimenti puntuale notiziario online che stimiamo non ce lo aspettavamo: ecologico e vegano, in questa circostanza ha adottato le fette di salame, sugli occhi.CC 2016.04.22 Ciclogarda 002Naturalmente Delrio, il ministro che si taglia con un grissino, “ha espresso la sua approvazione al progetto” garantendo che si attiverà “per la possibile concretizzazione di quest’opera che potrebbe dare grande impulso all’ecoturismo del territorio” assumendosi il “preciso impegno al recepimento dei necessari fondi statali”. Statali? Facciamo ammenda, ignoravamo che albergatori e commercianti benacensi fossero dipendenti di qualche carrozzone a partecipazione pubblica…
Perfetto, sentivamo giusto la mancanza di 70 milioni di euro forniti dallo stato… e approfittiamo per fare un po’ di conti: 140 km al costo di 70 milioni fa 500mila euro a km. E invece no, di più, perché il 60% del percorso risulterebbe già completato, si tratta solo di congiungere gli spezzoni ed uniformare l’aspetto esteriore ed i sistemi di sicurezza. Due milioni e mezzo a chilometro quindi. Non male: fatte le debite proporzioni quasi quanto una TAV. A Milano le ciclabili costano 60mila euro/km, in Liguria qualche anno di galera a certi amministratori locali, ma questo è un altro discorso. Siamo certi che sul Garda non accadrà, esattamente come siamo certi dell’esistenza della Befana.CC 2016.04.22 Ciclogarda 003E intanto gli ecocicloappecorati già intonano il peana ohcchebel-chebel-chebel: “140 km di piste ciclabili esclusivamente dedicati alle biciclette, senza precedenti in Europa e con i quali l’area gardesana potrebbe diventare con ogni titolo capitale europea del cicloturismo, con importanti ricadute anche economiche sul territorio, per il richiamo che un’infrastruttura del genere potrebbe avere sui turisti di tutto il Nordeuropa.”
Eccerto, mica sono pirla nel Nordeuropa, a casa loro costruiscono o recuperano tramvie e persino antiche ferrovie forestali a scartamento ridotto o Decauville che non infrequentemente costeggiano idilliaci laghetti e toccano villaggi immersi nei boschi.CC 2016.04.22 Ciclogarda 005CC 2016.04.22 Ciclogarda 004È da noi, nel Sud del mondo, che vengono a scorrazzare arroganti e impuniti dopo aver parcheggiato monumentali camper in parcheggi che vengono all’uopo continuamente predisposti, per incentivare l’afflusso turistico vien detto.
È da noi, nel Sud del mondo, che il più grande specchio lacustre non è servito nemmeno da un metro di binario, se si escludono le stazioni di Desenzano e Peschiera lungo la Milano-Venezia, e chiunque conosca almeno un po’ il Garda sa quale incubo siano la Gardesana occidentale ed orientale, specialmente se percorse nei fine settimana o d’estate. E dire che in passato il Garda poteva avvalersi di una efficiente rete di trasporti su rotaia: la ferrovia Mori-Arco-Riva, chiusa all’esercizio nel 1936, la tranvia Brescia-Salò, soppressa nel 1954, la ferrovia Verona-Caprino-Garda smantellata a partire dal 1959, la ferrovia Mantova-Peschiera cessata nel 1967 e persino il breve tratto da Desenzano a Desenzano Porto, dismesso nel 1969.
Di più, tenendo conto del fatto che l’ampiezza delle due Gardesane è quella che è, e salvo varianti che escludono gli abitati non è ampliabile per la presenza degli edifici (alcuni dei quali sono anzi stati rastremati per permettere il transito nei centri urbani di mezzi pesanti ed autobus) la ciclabile correrà lungo le rive. Dove? In commistione con le aree pedonali, naturalmente. Addirittura, secondo i primi abbozzi del progetto, verranno realizzati tratti a sbalzo, vale a dire sospesi sull’acqua, proprio per sopperire alla carenza di spazio.
Ma, e qui viene il bello, gli standard di sicurezza prevedono che la platea ciclabile sia riservata e fisicamente protetta con apposite transenne, nelle quali verranno ricavati dei varchi di attraversamento muniti di cancelletto girevole od altri accorgimenti ogni tot decine di metri, quando non addirittura sottopassi. Detto in altri termini: una barriera invalicabile di asfalto e metallo che toglierà spazio pedonale, modificherà l’impatto visivo e costerà un botto.
E chissà se, come già accade con certi appezzamenti, circoli, complessi residenziali o locali che dovrebbero essere pubblici, vedremo affissi cartelli con la scritta parcheggio bici vietato agli italiani…
Bene, mentre al Brennero camper e suv con o senza roulottes stanno scaldando i motori in attesa di calare sul Garda noi continuiamo ad osannare il cicloturismo d’assalto spacciandolo come ecologico, in particolare quello che usurpa le sedi ferroviarie dismesse, che da sede di un trasporto al servizio della collettività assumono il ruolo di giocattolo ecochic. Quel cicloturismo che fatte le debite proporzioni è ecologico come la caccia, perché come la caccia ammorba l’ambiente e crea non di rado rischi anche mortali assicurando però un indotto che fattura milioni di euro.

Alberto C. Steiner

BreBeMi, un fallimento annunciato

Secondo i dati diffusi da Legambiente e Aiscat nel 2015 la media dei passaggi non avrebbe superato i 35mila veicoli giornalieri. Che la BreBeMi fosse un’autostrada non molto frequentata era apparso chiaro sin dai primi giorni della sua apertura, ed ora i numeri ne certificano il fallimento. CC 2016.02.25 BreBeMi 001Addirittura un tracollo, visto che l’autostrada non solo non raggiunge i 120mila veicoli giornalieri preventivati in sede di progetto, ma neppure quei 60mila auspicati dai vertici della Società per garantirne il minimo fisiologico. A fare da contraltare i numeri in crescita sulla A4, dove  il traffico è aumentato fino a toccare nel tratto Milano-Brescia i 290 mila veicoli/giorno.
“Sono numeri imbarazzanti per un’autostrada che doveva essere pagata tutta dai privati ma che invece è già costata alla collettività 2,4 miliardi contro gli 800 milioni preventivati” ha dichiarato il responsabile trasporti di Legambiente Dario Balotta, aggiungendo che “si tratta di soldi ai quali vanno aggiunti i 280 milioni, 60 dal Pirellone e 180 dallo Stato, che BreBeMi riceverà nei prossimi 20 anni.”
La Società concessionaria però smentisce, dichiarando sul proprio sito una media giornaliera di 40mila veicoli nei giorni feriali e ricordando che il volume di traffico prefissato sarà raggiunto una volta terminati i lavori sul nodo di Brescia.
Per Balotta la soluzione è una sola: lo Stato attraverso l’Anas deve riprendersi la concessione e offrire il servizio gratis ai cittadini che l’autostrada l’hanno pagata già tre volte: con le tasse, con le tariffe e con i 900 ettari di suolo cementificato.
“Il fallimento di BreMeMi lo dovranno pagare i privati, i costruttori e le banche perché BreBeMi è l’emblema di un disastro economico e ambientale voluto dai privati e dalla connivenza con amministratori complici del potente di turno”, ha commentato il consigliere regionale M5S Violi.CC 2016.02.25 BreBeMi 002Sin qui la notizia, che può essere verificata con una semplice ricerca su Google e non necessita di commenti. Mi sorgono però spontanee alcune considerazioni: circa il trasporto merci su strada Siemens ha condotto a termine con successo l’esperimento di trazione elettrica, attrezzando alcuni autocarri Mercedes con motore elettrico bimodale ed un tratto stradale con bifilare per l’alimentazione. Nulla di nuovo, intendiamoci: da noi esisteva dal 1940 al 1958 la Filovia dello Stelvio, impiantata in Valtellina dall’AEM, Azienda Elettrica Milanese, da Tirano a Bormio e sino al bacino artificiale di Cancano per la costruzione delle dighe. Una volta conclusasi l’attività cantieristica l’impianto, della lunghezza di circa 40 km ed in grado di superare pendenze proibitive venne smantellato nonostante ipotesi per un suo riutilizzo.pirippiQuanto al concetto di trasporto, mentre in altri Paesi vengono potenziate linee ferroviarie e tramviarie anche al servizio di centri minori, da noi si insiste nell’illusione personalistica del trasporto individuale, camuffandolo con veicoli ibridi e car-sharing, chiudendo o lasciando andare in malora strutture esistenti.

Alberto C. Steiner

Mangia di stagione: interessante iniziativa della Provincia di Roma

Vi siete mai chiesti perché la frutta estiva è ricca d’acqua e quella invernale è più asciutta? Semplice: perché se quella estiva fosse asciutta si surriscalderebbe, mentre se quella invernale fosse ricca d’acqua gelerebbe.Cesec-CondiVivere 2014.10.14 Agriasilo 004Non manca inoltre un’importante ragione nutrizionale, come vedremo al termine di questa premessa, necessaria per inquadrare la questione: come gran parte degli Italiani della mia generazione provengo da una famiglia di antiche origini contadine. Gli ultimi furono i miei nonni paterni: tra il Polesine e il Delta del Po si occupavano di agricoltura ed allevamento di bovini e anguille sino alla devastante alluvione del 1951, quando vendettero le terre e si ritirarono. Ma le tradizioni rimasero ed io, pur essendo nato in epoca successiva, ricordo che in concomitanza delle festività natalizie una delle prelibatezze era “l’uva di Natale”, bianca e decisamente dolce a causa dell’appassimento. Da quel momento e fino a settembre di uva non se ne parlava più. In primavera arrivavano a rotazione fragole, nespole, albicocche, ciliegie, fino all’apoteosi di pesche, meloni, angurie, lamponi, more e mirtilli, questi ultimi invero presenti tutto l’anno poiché opportunamente conservati venivano usati anche in cucina. Si chiudeva con pere, fichi, noci e uva, per passare a castagne, mele, arance e cachi.
Onnipresenti datteri, banane, ananas e frutta secca ma avocado, mango, tamarindo e via tropicando chi li ha mai visti sino ai primi anni Settanta?
Di pomodori e melanzane in inverno nemmeno a parlarne; cetrioli si, ma conservati in aceto e spezie all’uso tedesco. Crauti quanti ne volevamo: freschi in stagione, bianchi e rossi, in salamoia durante il resto dell’anno insieme con conserve di verdure miste sottaceto e barattoli di salsa di pomodoro. Le insalate, infine, marcavano le stagioni con i loro colori: il tarassaco – da noi detto pissacan – nelle sue progressionii di verde da marzo a ottobre, consumabile crudo e successivamente cotto; le lattughe, la riccia, la rucola sino al rosso del radicchio di Chioggia o di Treviso, o al bianco di quello mantovano.
Menzione speciale infine per la rucola, erba povera e spontanea sdoganata come si dice ora nelle preparazioni della cucina pseudopopolare riscoperta dall’intellighenzia ecochic degli anni Settanta. Quando mia nonna leggeva di certe ricette immancabilmente commentava con un “I g’ha scoverto l’acqua in canal” che sapeva di vetriolo…CC 2015.09.13 Mangia di stagione 001Oggi andiamo al supermercato ed in ogni momento dell’anno troviamo qualunque cosa, peraltro dalle provenienze più disparate.
Paleontologi ed archeologi fissano in 10mila anni fa la fine del Paleolitico con l’introduzione di agricoltura e allevamento presso alcune società euroasiatiche.
Ma ancora oggi tali pratiche non sono universalmente condivise: Pigmei, Boscimani, Indios amazzonici, Semang malesi vivono tuttora di quanto la natura offre loro spontaneamente. Per essere più precisi resistono all’apparentemente inesorabile avanzata delle società agricole e industrializzate. Il fatto che, ancora oggi, riescano a sopravvivere di sola caccia e raccolta significa che in determinate circostanze ambientali ciò rappresenta uno stile di vita efficiente: se la natura offre spontaneamente del cibo, perché compiere sforzi per procacciarsene altro?
Alle nostre latitudini, dove la natura è stata piegata dall’Uomo per sottostare alle sue esigenze, possiamo ancora trovare numerose specie vegetali selvatiche adatte all’alimentazione. Il loro numero è però in rapida diminuzione in ragione della costante perdita di biodiversità, dovuta principalmente alle logiche di mercato dell’agricoltura intensiva e al sacrificio di interi ecosistemi a favore di aree antropizzate.
La questione sembra apparentemente slegata dalla nostra quotidianità, e invece la nostra stessa esistenza è strettamente dipendente dalla biodiversità.
E così ho anch’io pronunciato il mantra catastrofista tanto caro a chi dovrebbe avere a cuore le sorti del pianeta, nonché i mezzi per potersene occupare salvo non andare oltre il blabla dei proclami e dei convegni…KL Cesec CV 2014.03.04 Ambiente maneggiare con curaIn ogni caso e come sempre le chiacchiere stanno a zero ma i numeri parlano chiaro: dall’anno 1900 ad oggi il 75% delle varietà vegetali è andato perduto, i tre quarti delle risorse alimentari mondiali dipendono da sole 12 specie vegetali e 5 animali e delle 75.000 specie conosciute solo 7.000 vengono usate in cucina. Delle 8.000 varietà censite in Italia nel 1899 ne sono rimaste 2.000.
Dalla fine della II Guerra Mondiale ad oggi delle 400 specie di grano esistenti il 90% sono scomparse. E che dire delle mele? Oltre un migliaio di antiche varietà ha ceduto il passo nell’80% dei casi a 4 varietà: due americane, una australiana e una neozelandese. Lo stesso vale per i pomodori: delle 300 cultivar commercializzate solo 20 sono autoctone. Stessa solfa per le altre solanacee, le cucurbitacee, i legumi e via elencando.
Il nostro Paese, con 57.000 specie animali, pari a un terzo di quelle europee, e 5.600 specie floristiche (il 50% di quelle europee) il 13,5% delle quali endemiche ha un patrimonio biodiverso fra i più importanti. Bene: 138 specie, il 92% delle quali animali, sono a rischio di estinzione a causa del consumo del suolo che erode gli habitat naturali, ed in ragione dell’intensificazione dei sistemi di produzione agricola. L’Italia, capeggiata dalla Lombardia, con il 43,8% di superficie coltivata è il Paese europeo con la maggior estensione di aree agricole. Ma l’abbandono dei sistemi tradizionali e naturali in favore di quelli industriali, l’impiego di sostanze chimiche dannose per il territorio, la logica della crescita infinita stanno abbattendo drasticamente il numero delle specie esistenti e, di quelle rimanenti, le qualità nutrizionali.
La delocalizzazione produttiva, nella quale noi italiani non siamo secondi a nessuno avendo da gran tempo acquisito direttamente o attraverso holding multinazionali immense estensioni di aree nel Sud del mondo, contribuisce inoltre a dare il colpo di grazia alla biodiversità.KL-Cesec - Supermercato - OrtofruttaLe nostre abitudini alimentari, rapportate a quelle dei nostri genitori e dei nostri nonni, sono state rivoluzionate nell’ultimo quarantennio attraverso il mutamento dello stile di vita, le aumentate disponibilità di cibo ed i trattamenti di raffinazione industriale: siamo le prime generazioni della storia ad avere il problema dell’obesità e del diabete sin dalla più tenera età.Cesec-CondiVivere 2014.12.03 Zingari 003Lo sviluppo delle produzioni intensive, delle monocolture e l’evoluzione delle capacità di trasporto hanno comportato che le disponibilità agroalimentari ci consentano di avere in ogni periodo dell’anno qualsiasi prodotto o perché coltivato in serra o perché proveniente da Paesi a stagioni rovesciate rispetto alle nostre.
I prodotti vengono però raccolti con largo anticipo rispetto alla loro disponibilità al banco, e la loro maturazione e conservazione avvengono spesso durante lo stoccaggio ed il trasferimento, non di rado grazie all’impiego di prodotti potenzialmente tossici.
Tutto questo si tramuta in un maggior costo:

  • economico, in quanto il prodotto deve ripagare dei maggiori investimenti compiuti per realizzarlo fuori stagione, per conservarlo o per farlo giungere da lontano fino al nostro Paese;
  • ambientale, in quanto si ha un dispendio di energia e un maggiore sfruttamento di risorse naturali (ad esempio il gasolio usato per riscaldare le serre);
  • nutrizionale, perché ogni tipo di frutta o verdura nasce, indipendentemente dalla volontà umana, per rinfrescare d’estate e riscaldare d’inverno. Pomodori e cetrioli, per esempio, sono tipicamente estivi per tale ragione, mentre carciofi e verze sono tipicamente invernali per la ragione opposta.

Per rieducare ad un consumo alimentare responsabile, salutare ed ecosostenibile l’Assessorato alle Politiche dell’Agricoltura della Provincia di Roma ha promosso una lodevole iniziativa diffondendo un simpatico volumetto di 34 pagine, dal titolo La stagionalità dei prodotti agricoli nella provincia di Roma.CC 2015.09.13 Mangia di stagione 002Di agevole consultazione e gradevolmente illustrato descrive mese per mese i prodotti stagionali, concludendosi con un interessante capitolo sulle conserve e con uno di utili indicazioni che aiutano a consumare prodotti quanto più possibile sani e ricchi dei loro nutrienti naturali. Il volume è scaricabile in formato pdf a questo indirizzo.
Pur esulando dall’argomento della stagionalità, accenno in chiusura alla questione della filiera corta: le sue caratteristiche consentono rispetto della stagionalità, migliore qualità e freschezza del prodotto; l’assenza di intermediari permette inoltre un più adeguato compenso degli addetti, spesso schiacciati dalle politiche della grande distribuzione.

Alberto C. Steiner

Ecososteniblità dell’anima: servono ingegneri per progettare sogni

Ha scritto Franco Arminio, nel suo Geografia commossa dell’Italia interna: “Abbiamo bisogno di contadini, di poeti, di gente che sa fare il pane, di gente che ama gli alberi e riconosce il vento.
Più che l’anno della crescita, ci vorrebbe l’anno dell’attenzione.
Attenzione a chi cade, attenzione al sole che nasce e che muore, attenzione ai ragazzi che crescono, attenzione anche a un semplice lampione, a un muro scrostato.
Oggi essere rivoluzionari significa togliere più che aggiungere, significa rallentare più che accelerare, significa dare valore al silenzio, al buio, alla luce, alla fragilità, alla dolcezza.”CC 2014.04.30 Rinascere 001Questa frase mi ha indotto a rileggere l’articolo Solo attraverso profondi cambiamenti individuali il nostro Paese potrà rinascere, che pubblicai il 30 aprile 2014 su queste pagine (visionabile qui) poiché riconsiderandolo alla luce di mutamenti che non avvengono, di iniziative delle quali tanto si parla ma che sono costantemente al palo e di quella truffaldina bruttura dell’Expo 2015 mi è parso più che mai di viva attualità.
L’articolo nacque sulla scia di interessanti scritti pubblicati in quel periodo dal sito partner Consulenza Finanziaria argomentando di competitività estera e di malcostume delle aziende nostrane, oltre che di gestione del credito bancario.
Oggi più che mai il mondo, visto dal nostro Paese, appare immenso e pauroso perché i suoi equilibri stanno mutando ad una velocità inaudita, e nello scenario sono entrati di prepotenza nuovi protagonisti ben più grandi di noi, alterando antichi equilibri e stravolgendo gerarchie di potere che si credevano consolidate.
Questioni mai incontrate prima chiedono una soluzione, ma le opportunità di cambiamento vengono percepite come pericoli.
È già accaduto: per provincialismo, miopia e furbizia, quando non malafede, degli attori politici ed imprenditoriali nostrani l’Italia è arrivata impreparata alle grandi svolte, perdendo tempo prezioso. Ed anche oggi, se non saremo pronti ad intuire gli scenari del futuro, se non sapremo valutare la direzione del cambiamento nelle tendenze di lungo periodo, rischieremo di prendere una volta di più le decisioni sbagliate. Pagandole a caro prezzo.
Basti pensare che invasione è il termine più usato dagli attuali predicatori dell’Apocalisse: invasione di immigrati clandestini, di prodotti cinesi, di capitali stranieri che ci colonizzano. E non ci accorgiamo che tutto ciò che temiamo è in realtà già accaduto.
Intendiamoci: di fronte ad ogni cambiamento la paura è legittima perché le grandi novità spaventano, possono nascondere delle incognite ed il riflesso automatico ingenera un meccanismo di difesa. Oppure nega il cambiamento.
Per comprendere qualsiasi accadimento attribuendogli l’esatta misura è indispensabile non solo mutare prospettiva, ma anche osservare con distacco come l’oggetto delle nostre attenzioni risuoni dentro di noi comprendendo quali nodi da sciogliere e persino quali antiche ferite faccia vibrare. Solo così è possibile identificare la natura dei presunti pericoli che ci minacciano, stabilire se il modo per difenderci sia l’attacco – che non sempre è la miglior difesa – oppure il lasciarci morbidamente andare, per vincere la sfida senza accontentarci semplicemente di limitare i danni. Vale a dire per vivere piuttosto che accontentarci di sopravvivere.
Esistono anche da noi imprenditori illuminati: sono quelli che spesso non fanno notizia e che insieme con i più attenti osservatori possono tentare di rispondere con sano pragmatismo alle domande offrendo punti di vista nuovi e proprio per questo rivoluzionari.
Ma le scelte da fare non riguardano solo governi, classi imprenditoriali e dirigenti bensì primariamente la vita quotidiana di tutti noi: nel segno di un’Energia nuova e pulita sono tante le riforme dal basso che ciascuno di noi può avviare da subito, e costituiscono un antidoto alla lagnanza, alla rassegnazione, al senso di impotenza che non è mai nelle cose ma dentro di noi. Sono quell’impotenza, quella rassegnazione che respiriamo oggi in Italia nell’attesa sempre delusa di grandi cambiamenti, svolte, catarsi collettive, rinascite nazionali. Che dovrebbe essere sempre qualcun altro ad attuare.
Siamo invece noi che con maturata consapevolezza, impegno civile, consumi responsabili, dobbiamo incamminarci alla ricerca del nostro destino per costruire il nostro futuro. Detto in altri termini: è solo attraverso una profonda revisione dei nostri modelli produttivi, di consumo, sociali, interiori che possiamo agire per scuotere i sistemi politico e produttivo.
Ma se continuiamo a lamentarci attribuendo a chicchessia la responsabilità dei nostri fallimenti e del nostro non andare avanti, non solo resteremo al palo, ma inevitabilmente ci attende una regressione: economica, sociale, delle coscienze, intellettiva.Cesec-CondiVivere-2014.10.07-Medioevo-prossimo-venturoNon ci sono alternative: o ci risvegliamo dal sonno aprendoci ad un nuovo approccio alla qualità della vita, che presupponga un mondo nel quale il punto di riferimento non sia più il pil bensì la decrescita più o meno felice, o siamo dei morti che vagano in paesi dei balocchi, in realtà cimiteri alla portata di chiunque abbia occhi per vedere e cuore per sentire: autobus e metropolitane, centri commerciali, installazioni pseudoculturali di plastica.
Si dice che un intento individuale e decentrato non possa nulla ma non è affatto vero: dai gesti che ciascuno di noi compie ogni giorno possono nascere gli innumerevoli stimoli destinati a mutare il gradiente energetico in grado di sospingere il nostro Paese, e le nostre anime, verso l’ormai indifferibile cambiamento.Cesec-CondiVivere 2014.10.17 Appennino modenese vista suggestivaAltrimenti ci attende quello che da anni chiamo il medioevo prossimo venturo, che non considero una calamità ma un’opportunità ed al quale mi sto felicemente preparando attraverso la progettazione ecosostenibile di luoghi destinati ad accogliere piccole comunità il più possibile autosufficienti.

Alberto C. Steiner

Strage di alberi lungo la ferrovia Monza – Molteno

Non è stato nessuno. Trenord rigetta le responsabilità, affermandosi operatore di trasporto e quindi senza responsabilità in ordine alla gestione del territorio ed invitando anzi a non diffondere notizie prive di fondamento.Cesec-CondiVivere 2015.06.10 Abbattimento Alberi Ferrovia Brianza 001Rimane il fatto che i numerosissimi alberi abbattuti nelle ultime settimane, molti di loro più che centenari, si trovavano all’interno delle aree ferroviarie pertinenti agli impianti della ferrovia Monza – Molteno, e in particolare nelle stazioni di Villasanta, Biassono-Lesmo, Macherio-Canonica, Triuggio-Ponte-Albiate, ed anche di Macherio-Sovico lungo la linea Seregno – Carnate.
Si saranno abbattuti da soli perché volevano diventare mobili di pregio realizzati da qualche artigiano locale? Chissà.Cesec-CondiVivere 2015.06.10 Abbattimento Alberi Ferrovia Brianza 002Resta il fatto che il taglio degli alberi che va avanti incontrastato da alcune settimane è un giallo in cerca d’autore. Sabato 6 giugno è stata organizzata presso la stazione di Biassono una manifestazione di denuncia da parte degli Ecocivici Verdi Europei di Monza e Brianza, sono state scritte lettere ai sindaci dei comuni interessati, agli amministratori del Parco Valle del Lambro e a Trenord che, dopo la manifestazione citata, ha emesso il comunicato di cui abbiamo riferito più sopra, ed il cui testo integrale è possibile leggere negli articoli linkati.
Negli stessi articoli viene fatto notare come, se per la prima volta due diverse generazioni di attivisti per l’ambiente hanno collaborato insieme, i cittadini sono ormai incapaci di reagire, la coscienza collettiva sa ormai esprimersi solo attraverso i click sui social. E ci duole che chi si è preso la briga di scendere in paizza – o per meglio dire in stazione – abbia vergato documenti con toni molto diplomatici. Certo, è improntato al buonsenso scrivere: “Difendere gli alberi, proteggere la Terra, non significa porsi a favore di una parte, o schierarsi contro qualcuno, bensì mostrare a chiunque la straordinaria vitalità e bellezza delle nostre radici“. A nostro parere non è vero che non bisogna. Bisogna invece, eccome, perché bisogna scegliere da che parte stare.Cesec-CondiVivere 2015.06.10 Abbattimento Alberi Ferrovia Brianza 003Certo, è segno di civiltà e sensibilità abbracciare gli alberi e organizzare una biciclettata. Ma in certi momenti il buonsenso, la pacatezza, la buona educazione temiamo non bastino. E ce lo hanno insegnato anche certe esperienze e la conoscenza diretta di quale sia la considerazione che certi amministratori del bene pubblico hanno dei cittadini: zero.
Per non parlare di quella che hanno dei beni amministrati: non avendo più binari da smantellare per creare il deserto dove un tempo c’erano scali merci, rimaneva l’opportunità di abbattere gli alberi per restare nelle norme di sicurezza di un testo di legge assurdo e per evitare problemi di manutenzione del verde: “Effettivamente c’è una legge del 1980 che norma la sicurezza delle ferrovie. Ma se si dovesse applicare alla lettera si dovrebbero abbattere migliaia di alberi” afferma Roberto Albanese degli Ecocivici Verdi Europei di Monza e Brianza, aggiungendo: “In realtà in questo caso è venuto a mancare il buonsenso. O meglio, piuttosto che procedere alla manutenzione costante e a un progetto di riqualificazione coerente, si è preferito eliminare il problema con l’abbattimento degli alberi. Perché tagliare gli alberi costa meno che non mantenerli“.
Certo, andare a far presente a muso duro, sottovoce e senza troppi testimoni attorno a certi personaggi che sarebbe un vero peccato se il loro bambini dovessero piangere, aggiungendo perché non ci sono più gli alberi, è ovvio, costituirebbe un atteggiamento dai toni mafiosi che metterebbe allo stesso livello di questi parassiti. Purtroppo ai cittadini, a quelli perbene, non rimangono che l’espressione del voto e le denunce.
Così è, se vi pare. E intanto è come quando hanno ucciso l’Uomo Ragno: chi sia stato non si sa e nel frattempo si è risolto il problema buttando il bambino insieme con l’acqua.

Alberto C. Steiner

Gli articoli richiamati nel testo sono leggibili su Vorrei e su Lista per Biassono.

Mobilità sostenibile: le traverse ferroviarie del futuro

Non solo i motori elettrici ma anche le traverse ferroviarie potranno in futuro generare energia.
Per i nostri spostamenti ferrotramviari presto potremmo muoverci su binari totalmente green, almeno stando a quanto affermano i ragazzi di Green Rail, startup siciliana già premiata al concorso Edison Start. Hanno messo a punto una traversa ferroviaria ecosostenibile ottenuta da pneumatici fuori uso e plastica riciclata, ma con una struttura interna in calcestruzzo, in grado di generare energia elettrica grazie ad un sistema piezoelettrico integrato che si attiva al passaggio dei treni. Una tecnologia a basso costo, che rispetta l’ambiente e produce energia e per la quale viene ipotizzata una prospettiva di vita di 50 anni, quasi il doppio di quelle in calcestruzzo, che oggi rappresentano circa il 90% di quelle in uso.Cesec CondiVivere 2015.05.21 Traverse green 001Il cemento armato presenta diversi problemi: un’alta polverizzazione del ballast, ossia la breccia su cui poggiano i binari, una bassa resistenza allo spostamento laterale che facilita il disallineamento dei binari e la tendenza a produrre vibrazioni e rumori a causa dell’elevata rigidità. Tutti questi fattori generano alti costi di manutenzione, problemi che potrebbero essere risolti mediante l’utilizzo delle nuove traverse green.
Il sistema piezoelettrico sottorotaia, integrato all’interno della traversa montata e successivamente cablata e collegata da traversa a traversa per un circuito minimo di un chilometro, al al passaggio dei treni viene sottoposto a compressione e a vibrazione, producendo così una carica elettrica che genera energia utilizzabile per alimentare impianti di segnalamento, telefonici e di illuminazione.
In Italia ogni anno si consumano da un milione e mezzo a due milioni di traverse in calcestruzzo e tra le 100 e le 300mila in legno, in via di dismissione a causa delle emissioni nocive che generano. Sembra che il dispositivo brevettato dalla startup palermitana sia già molto richiesto sul mercato. – Notizia ripresa da Startupitalia.

Alberto C. Steiner