Chi sostiene la finanza sostenibile

Sfarfallano come foglie d’autunno gli inviti a partecipare alla kermesse della finanza sostenibile, che avrà luogo dal 4 al 12 novembre aprendosi a Roma e serpeggiando in varie lochescion itineranti per concludersi nella cornice di Palazzo Mezzanotte a Milano, sede della Borsa. Non male come epilogo per una finanza che vuole indossare il vestitino sostenibile…Cesec-CondiVivere 2014.10.20 Io odio la finanza sostenibileQuest’anno non ci andrò. Abbiamo già dato, l’anno scorso. E le ragioni per cui non intendo fare da claque all’evento le scrissi nell’articolo intitolato Onoriamo il Lupo, per noi è un animale veramente Sacro. Soprattutto se parliamo di finanza, pubblicato il 7 novembre 2013 in questo Blog, al quale rimando chi volesse approfondire.
Rileggendolo l’ho trovato addirittura più attuale oggi rispetto ad un anno fa, e prima di passare oltre ne riprendo un breve periodo:
Abbiamo visto quello che dovevamo vedere, detto quello che dovevamo dire ma soprattutto annusato un odore che avremmo preferito non sentire.
Non ci sono piaciuti i toni paludati, saccenti, supponenti. Non ci sono piaciuti i sorrisi a 96 denti splendenti d’acciaio su tre file. Non ci è piaciuto il tono da accademici illuminati, tanto per cambiare da guru della finanza, questa volta eticobiobau.
Non siamo in grado di stabilire se e in quale misura siamo finanziariamente etici e sostenibili, secondo quelli che sono diventati i parametri ufficiali. Dei quali, sinceramente, non ci frega il classico beneamato cazzo perché sono artefatti, e possiamo dimostrarlo. Ma per quanto attiene al nostro piccolo mondo di Amélie dove ci piace vivere abbiamo ancora una volta dimostrato a noi stessi di avere gli attributi e di non essere in vendita. E nemmeno in fistfactoring o in fuckleasing.
Però di una cosa, che avevamo dapprima compreso o se preferite sentito, siamo certi: la finanza, quella vera, quella con i denti a sciabola, si è appropriata dell’ecosostenibilità, della sostenibilità e della solidarietà, con la complicità di coloro che preferiscono usare il termine collettivo al posto di pubblico e nelle retrovie stanno scaldando i motori delle loro Kooperativistiche und Onlusaistische Panzer Divisionen
Indossando il vestitino etico e solidale si sta preparando l’ennesimo atto sodomitico ai danni dei risparmiatori. Non stiamo farneticando: alcune cooperative edilizie che promettevano comunità residenziali in cohousing in autocostruzione lo hanno già dimostrato. Una per tutte: Alisei.
Abbiamo fatto ciò che era nostro dovere fare affinché non rimanessero margini di dubbio circa la supposta (appunto) eticità di una certa finanza e, pur nella limitata potenza della nostra voce, possiamo lanciare un monito: attenzione a chi, con retrostante pabulus politico, irretisce, seduce, indora pillole di ecosolidarietà finanziaria, perché vuole solo avere il controllo anche di quelle realtà, per portarvi l’acqua del proprio mulino fatto di drenaggio di denari pubblici, clientele, commissioni, carrozzoni, compagnie circensi, osservatòri e corte canterina varia.Cesec-Condivivere 2014.10.20 Squali della finanza sostenibileE veniamo all’oggi. Il forum è tecnicamente un’organizzazione non lucrativa la cui finalità è quella di promuovere una finanza etica. Desumendo dal sito si legge: Accanto alle questioni dell’etica della finanza, troviamo altri ambiti sicuramente rilevanti quando si tratti di istituzioni finanziarie e responsabilità verso altri soggetti. Come ad esempio la relazione tra attività finanziaria e sviluppo locale, lotta alla disoccupazione, integrazione degli immigrati, protezione dell’ambiente. Ecco quindi che l’esercizio dell’attività finanziaria è legato a filo doppio con il dibattito sullo sviluppo sostenibile. Un bel blabla di maniera che avremmo potuto leggere nel tema in classe di uno studente di ragioneria, e dal quale chi sa leggere può evincere una matrice sdegnosamente caritativa. Siamo rimasti alla raccolta dei tappini per aiutare i negretti
La compagine societaria, pardon sociale, del forum è così composta:Cesec-CondiVivere 2014.10.20 Composizione societaria forum finanza sostenibileSoci sostenitori
ABI, Associazione Bancaria Italiana
Intesa San Paolo
Natixis
Petercam, Istitutional Asset Management
Vontobel,Private Banking
Soci Ordinari
ACRI, Associazioni di Fondazioni e di Casse di Risparmio SpA
Adiconsum
Allianz
ANASF, Associazione Nazionale Promotori Finanziari
ANIA, Associazione Nazionale fra le Imprese Assicuratrici
Assofondi Pensione
Assogestioni
Avanzi
Axa Investment Managers
Bloomberg
CDP, Carbon Disclosure Project
CGIL, Confederazione Generale Italiana Lavoratori
CISL, Confedeazione Italiana Sindacati Lavoratori
Cittadinanzattiva
Cometa fondo pensione
ECPI, Sense in Sustainability
EQUI, Private Equity
Etica Sgr SpA
FABI, Federazione Autonoma Bancari Italiani
Federcasse
Fondo Pensione Gruppo Intesa San Paolo
Generali Investment Europe
HDI Assicurazioni
Hines Italia
HSBC
ING Investment Management
Legambiente
MBS Consulting
Microfinanza
Morningstar
Pegaso Fondo Pensione
PensPlan Invest SG
RITMI, Rete Italiana Microfinanza
Societe Generale
Symphonia
Sodalitas
UBS, Unione Banche Svizzere
Unicredit
Unipol
Vigeo Italia
WWF Italia ONG Onlus

mentre il Consiglio di gestione è formato da:Cesec-CondiVivere 2014.10.20 Struttura quote forum finanza sostenibilePresidente
Maurizio Agazzi – Fondo Cometa
Consiglieri
Chiara Mazzuoccolo – Vontobel
Franca Perin – Generali Investments Sgr
Gian Franco Giannini Guazzugli – ANASF
Anna Monticelli – Intesa Sanpaolo
Manuela Mazzoleni – Assogestioni
Salvatore Cardillo – Assofondipensione
Isabel Reuss – Allianz Global Investors
Angela Tanno – ABICesec-CondiVivere 2014.10.20 Gnomo nel boscoCurioso che nel Consiglio non compaiano esponenti di realtà non bancarie… Dietro il paravento dell’etico, del sostenibile e del sociale la finanza dei soliti noti porta avanti i propri interessi. Oggi il guadagno è nell’housing sociale, e allora piatto ricco mi ci ficco: “Per fare edilizia sociale non occorre essere filantropi, neppure costruttori, basta avere le spalle coperte“. Non l’ha detto uno qualsiasi bensì Giuseppe Guzzetti, classe 1934, banchiere, politico, avvocato ed uno degli uomini più influenti d’Italia. Presidente di Fondazione Cariplo dal 1997 e dal 2000 dell’Associazione di Fondazioni e Casse di Risparmio, si proprio quell’ACRI che siede fra i soci del Forum, azionista forte di Intesa San Paolo, presente tra i soci sostenitori del Forum.
Cito dall’interessante Il business del futuro? L’housing sociale, pubblicato dal sito matteo-equilibrio1.blogspot.it ed al quale rimando per approfondimenti: Presidente della Regione Lombardia dal 1979 al 1987, incarna il dominus del governo occulto delle banche e degli intrecci con il potere politico. Lo aveva capito Tremonti, che tentò di porre rimedio al suo strapotere mettendo in dubbio il regime privatistico delle fondazioni. Fu la Corte Costituzionale a stabilire che le fondazioni sono persone giuridiche private dotate di piena autonomia statutaria e gestionale. In quell’occasione gli corse in soccorso anche Gustavo Zagrebelsky, Presidente emerito della Corte Costituzionale, che siede in diversi organi della fondazione Cariplo.
Ad onta dell’aggettivo sociale il nuovo housing è un affare per pochi: banche, fondazioni bancarie e l’immancabile Legacoop con annessi, clientes e connessi.
Se l’edilizia da sempre rappresenta business, quella sociale lo è all’ennesima potenza, e non poteva essere che la Lombardia a tenerla a battesimo, nel 2004, quando vide la luce il progetto sperimentale di autocostruzione assistita gestito da Alisei Ong-Innosense Consulting.
Risultato: nel 2006 fu posata a Pieve Emanuele la prima pietra del cantiere, che si trova in stato di abbandono dal 2011 mentre 24 famiglie che si sono giocate risparmi, energie, tempo e fiducia attendono ancora una abitazione.
Alisei ed i suoi sodali e manutengoli hanno seminato più cadaveri dell’Ebola: a Cologno Monzese, Vimercate, Brugherio, Besana Brianza, Ravenna per citare solo le prime località che mi vengono in mente.
Del resto non dico nulla di strano, artefatto o ingiurioso: basta scorrere internet per trovare riferimenti a iosa. E dire che per non dilungarmi non ho parlato dei Social Bond

Alberto C. Steiner

Vieni a vivere con me?

Sembra che presto, unitamente al defibrillatore, tra la strumentazione salvavita delle unità mobili di rianimazione troverà posto una pulsantiera da ascensore.
Nelle intenzioni del legislatore dovrebbe essere di ausilio negli stati di choc conseguenti ad attacchi di panico: avete presente quegli orribili minuti che si dilatano nell’immensità verticale tra il pianterreno ed il settimo di un qualsiasi condominio in forzata compagnia del vicino che, ne siete certi, ha votato contro la rastrelliera per le biciclette a favore dell’impianto di videosorveglianza? Oppure quel greve silenzio riempito solo da un borbottato buongiorno mentre l’occhio, anziché sorridere alla vicina, è inchiodato sulle modanature satinate che rinserrano lo specchio o, per l’appunto, sulla pulsantiera?
A me non accade, in primo luogo perché dove abito l’ascensore non c’è ed inoltre perché attacco bottone con chiunque, nelle situazioni più impensate. Ma posso comprendere.
La sindrome dell’ascensore, quindi. Che la pulsione alla sperimentazione di nuove forme abitative nasca proprio da lì?
Come per i sacchetti di plastica, nulla si crea e nulla si distrugge… in questa era postmoderna l’idea di vivere in comune torna ad occupare il panorama sociale. Tutto però si trasforma: dimenticati gli echi rivoluzionari e venute a noia le seduzioni dell’amore libero, la nostra anima è oggi tutta per emozioni suscitate da termini quali solidarietà, ecosostenibilità, integrazione assistita, decrescita felice.
La neo tendenza (c’è sempre un neo, da qualche parte…) a coabitare ha da qualche anno accelerato la propria curva di crescita: perché più che a una casa aspiriamo ad un ecosistema, perché siamo cuori verdi bio, perché siamo cuori grandi e la famiglia non ci basta, perché siamo cuori allegri e stare da soli… uff che noia.
Evviva le neocomuni quindi ma, come faceva dire il Manzoni al cancelliere Ferrer, si puedes y con juicio e facendo ricorso all’iniziativa privata, senza aspettarsi che la manna cada dal cielo, senza associarsi, consociarsi o avvilupparsi a qualche carrozzone politico che promette, illude per tornaconto, non fa crescere ed alla fine si rivela come il carro di Mangiafuoco: luccicante di lumi ma pronto a trasformare tutti in ciuchi.
I fatti lo dimostrano: le 26 iniziative censite a fine 2012 risultano essere oltre 200 alla fine dello scorso mese di settembre, ma molte di queste non sono associate alla RIVE, non compaiono sui social, non si aspettano che nessuno assegni loro alcunché. Individuano una cascina o un gruppo di case in un borgo abbandonato, studiano la fattibilità dell’intervento, mettono mano al portafogli, contraggono un mutuo e partono con la cantieristica affidandosi all’autocostruzione integrata dall’aiuto di professionalità specifiche, in particolare per quanto riguarda la statica, l’ambito energetico e gli aspetti tecnico-finanziari.Cesec-CondiVivere 2014.10.20 Ecovillaggio 005Ed anche il fattore tempo è dalla parte dell’iniziativa privata: tre anni costituiscono la durata media del periodo che va dall’idea alla consegna degli immobili, mentre nell’ambito dell’ortodossia ecosocialsostenibile non è raro trovare gente che dopo un decennio non ha ancora deciso che nome darsi.
Non è la prima volta che lo scrivo: molti hanno iniziato a comprendere che la consapevolezza passa anche dal mollare quelle sovrastrutture denominate ideologie e nel guardare alla concretezza. Per crescere insieme dopo che ciascuno ha iniziato a crescere da solo, lasciando perdere utopie, sogni, fantasie fuori contesto o di dubbia realizzazione e rivendicando ciascuno, pur in un ambito solidale, le proprie autonomie ed i propri spazi.
Soprattutto rifuggendo da quella modalità che vorrebbe annientare l’individualismo mettendo tutto in comune, soprattutto il denaro riconoscendo di fatto solamente la paghetta mensile anche a chi opera esternamente all’ecovillaggio e porta alla casa comune lo stipendio. Obbligato a sottostare ad una decisione collettiva che suona come un processo pubblico anche qualora trattasi di acquistare un minipimer per casa propria.
Questa vera e propria logica della setta (sicuramente più vantaggiosa rispetto a quella dell’Opus Dei: qui si parla di mancette variabili da 50 a 200 Euro mensili, ai nipotini di Josemaría Escrivá ne spetterebbero solo 30) permea molte vicende, ed è quella propugnata da certi aggregati portati ad esempio da quella specie di bibbia dell’ecovillaggista che è Ecovillaggi e cohousing, dove sono, come farne parte. Fortunatamente ha fatto il suo tempo, riscuotendo ormai credito solo presso alcune fasce di militante marginalità attanagliata dal male di vivere.
Questo scritto costituisce l’ideale seguito di Ecovillaggi, la rivoluzione silenziosa pubblicato in questo stesso Blog il 13 ottobre scorso.Cesec-CondiVivere 2014.10.20 Ecovillaggio 002Tra le motivazioni che portano a voler vivere in cohousing, e più ancora in ecovillaggio, non vi è solo il desiderio di una vita più ecosostenibile orientata verso un paradigma differente, una maggiore coerenza con una visione realmente ecologica ed olistica dell’esistenza. Autoproduzione, economia condivisa nello scambio ed attraverso il mutuo sostegno, consumo consapevole ed attenzione all’alimentazione nel rispetto delle diversità per chi vuol essere onnivoro, vegetariano, vegano, uno stile di vita naturale ed essenziale sono tutte nobili motivazioni, ma nascono da ben altre e più profonde, vale a dire da un vero e proprio processo di cambiamento interiore.
Detto in altri termini: nascono quando si diventa Consapevoli, Risvegliati, Guerrieri.
Decidere di vivere in un cohousing o o in un ecovillaggio non significa semplicemente metter su casa nel verde, ma ricercare primariamente un’armonia interiore attraverso un percorso di risveglio che coinvolge i piani psicologico, energetico, emotivo, relazionale, pratico ed economico legati ai concetti di sostentamento e sopravvivenza.
Tanto è vero che non ci si arriva improvvisamente, bensì attraverso un graduale percorso di crescita i cui primi segnali sono costituiti dal senso di smarrimento, frustrazione, sofferenza per come l’essere umano sia capace di condizionare se stesso distruggendo e danneggiando gravemente la Natura. Condizionamenti, menzogne, assuefazione alla violenza, egocentrismo che vengono sentiti come obsoleti e distruttivi.
Rabbia e frustrazione portano a cercare informazioni valicando quei canali ufficiali che mantengono le persone nel senso di inferiorità, di asservimento a bisogni indotti, di impotenza e paura.Cesec-CondiVivere 2014.10.20 Ecovillaggio 003Ad alcuni prende l’illusione di denunciare e controinformare, salvo scoprire che anche nell’attivismo socio-politico apparentemente più genuino si nascondono truffe e truffatori. Ad altri non par vero di aderire a gruppi, movimenti, associazioni che accogliendo amorevolmente propugnano l’ecosostenibilità, salvo scoprire che sono delle sette, e che esistono funzionalmente a una casa editrice, un marchio, una catena di ditribuzione o tutte queste cose insieme, oltre che per aprire tavoli ed organizzare convegni fruendo di fondi pubblici drenati da quel sistema che tanto denigrano.
Chi sfugge a tali ennesime sovrastrutture, illusorie bandiere di un conformismo dell’anticonformismo, inizia a pensare non già a come fare per cambiare il vecchio, bensì a come dare alimento al nuovo. Il vecchio, non più nutrito,  morirà per inedia…
Inizia quindi a ricercare soluzioni reali per sè e per la propria famiglia, più o meno allargata ad amici e conoscenti sintonici con quel modo di sentire e pensare.Cesec-CondiVivere 2014.10.20 Ecovillaggio 001Da soli o in gruppo si va a vedere questo o quel villaggio abbandonato, ed intanto tempo e situazioni contribuiscono a scremare chi vive l’esperienza come socializzante gita in campagna od occasione per l’ennesimo imbonitorio blabla. E si passa ad una fase di profonda introspezione mettendo in discussione se stessi e le proprie scelte, non guardando più all’esterno accusando e giudicando. E parafrasando la storica frase pronunciata da John Kennedy il 20 gennaio 1961: Non chiedete che cosa il vostro paese può fare per voi, ma cosa voi potete fare per il vostro paese, si inizia a domandarsi cosa realmente sia possibile fare per se stessi.
Partendo quindi dal sé, per sè e per i propri cari e non più per un evanescente collettivo, si cessa di sentirsi una marionetta, una vittima lamentosa, iniziando ad ascoltarsi per seguire concretamente ciò che si desidera, ad essere per primi quel cambiamento che si desidera per il mondo.
Abitudine, comodità, resistenza al cambiamento, paura del giudizio, timore di non farcela o di ripercussioni da parte del sistema, depressione, fissazione su pensieri di fallimento, ansia dell’incertezza sul futuro scompaiono insieme con la desuetudine ad affidarsi al proprio intuito, alla scarsa stima di sé, ai condizionamenti religiosi, culturali e familiari passivamente subiti per secoli.Cesec-CondiVivere 2014.10.20 Ecovillaggio 004Ci si rende conto di essere Cocreatori della realtà e non si ha più voglia di perder tempo attendendo che la maggioranza si decida. E nemmeno di interagire con essa, nella finalmente maturata consapevolezza che c’è chi è nato per essere libero e chi per essere schiavo e che tutto dipende dal singolo, un singolo che si è fatto la propria rivoluzione armonizzando le parti in conflitto per agire verso un radicale cambiamento della realtà esterna generando armonia intorno a sé, senza più proiettare all’esterno tensioni interiori o timori.
E si arriva così alla creazione del nuovo, scoprendo che anche nel quotidiano ancora urbano si tende a frequentare persone che vedono l’essere umano come Anima incarnata connessa con il Tutto, attratte dall’idea di coltivare orti e frutteti, di affondare le mani nella Terra con la consapevolezza che può contribuire a fornire il sostentamento necessario nella connessione profonda con gli elementi naturali, ma soprattutto con il proprio Centro. E si arriva così all’autoproduzione, magari iniziando dal terrazzo o dal giardino di casa, al mutuo sostegno, alla creazione di reti di scambio di prodotti, tecnologie, lavoro, competenze e risorse. Scoprendo infine che è possibile vivere, e vivere bene, risparmiando drasticamente sui costi della vita e, diventando sempre più indifferenti ai prodotti delle multinazionali, costituire una società parlallela ecosostenibile e alternativa. Ma soprattutto creattiva.

Alberto C. Steiner

Rieccoli: dopo Sanremo ritorna il Treno Verde

Se è giunto alla sessantaquattresima edizione il Festival di Sanremo, non vediamo ragione perché non debba accadere anche per il Treno Verde, quest’anno alla sua ventiseiesima passerella su e giù per le vie (ferrate) dello Stivale.KL Cesec CV 2014.03.11 Treno Verde 002La campagna di Legambiente e Gruppo Ferrovie dello Stato Italiane dedicata al rilevamento dell’inquinamento atmosferico e acustico, pensata per informare, sensibilizzare e promuovere tra i cittadini le buone pratiche per una mobilità sostenibile ed affidata ad un treno di quattro vetture (età media 30 anni) è partita il 13 febbraio da Palermo e, dopo aver toccato Cosenza, Potenza, Caserta, Roma, Pescara e, domani e dopodomani Ancona, giungerà a Verona dove il convoglio non verrà attestato a Porta Nuova, bensì nella ben più intima Porta Vescovo. Il 20 marzo stazionerà infine a Milano Porta Garibaldi per concludere il tour, passando prima da Varese, a Torino dove potrà essere visitato dal 25 al 27 marzo.KL Cesec CV 2014.03.11 Treno Verde 001Durante le tappe il Treno Verde, grazie alla mostra interattiva ospitata a bordo dei suoi rotabili, incontrerà studenti, cittadini e amministrazioni per promuovere la qualità dei territori, l’innovazione nei centri urbani e l’attenzione negli stili di vita.
Il ministero dell’Ambiente, che si è recentemente aggiunto la specifica …e della Tutela del Territorio e del Mare (manca l’Aria ma ne comprendiamo la ragione; volete mettere, non sia mai qualcuno si metta a declamare cose turpi tipo: Ministeri di Terra, del Mare e dell’Aria!…) sostiene Treno Verde perché, come afferma il suo attuale titolare pro-tempore: “Riteniamo che sia un’iniziativa che diffonde un’idea di sostenibilità, dal punto di vista della mobilità, della produzione di energia e del modo in cui si vive il territorio, che corrisponde all’impostazione che abbiamo cercato di dare nel corso di questi mesi e che guarda all’Italia come a un Paese che ce la può fare se rivede profondamente il suo modello di sviluppo e se affronta la grande questione ambientale come un’occasione di modernizzazione” e, blablando chiosa circa l’importanza dell’accordo di programma sottoscritto per il bacino padano: “Accordo di grande importanza sul fronte delle emissioni, dell’attività agricola e dei trasporti, di cui abbiamo già siglato la prima tranche con le regioni interessate. Ora, è molto importante passare alla seconda fase dell’accordo di programma sull’inquinamento da Pm10 perché lì credo si debba affrontare il nodo della mobilità sostenibile e di come guardare al nuovo ciclo dei finanziamenti Ue, che partono quest’anno, come a un’occasione per sostenere il passaggio verso la mobilità sostenibile in particolare dalla gomma al ferro“.KL Cesec CV 2014.03.11 Treno Verde 003Come opporre obiezioni a cotanta ecobanalità?
L’amministratore delegato di Ferrovie Italiane, per non essere da meno dichiara: ‘‘Il nostro sostegno alla campagna del Treno Verde diventa ogni anno sempre più convinto perché tutti i dati e i riscontri oggettivi confermano che la ferrovia è sempre più il fulcro irrinunciabile di una mobilità pubblica moderna e sostenibile. Guardiamo, ad esempio, al sistema delle Frecce, alla crescita esponenziale di viaggiatori registrata in pochi anni“.
Eh certo, grazie al sistema delle frecce… non fa niente se, per pagare gli spropositati costi delle infrastrutture ad alta velocità si sta lasciando andare in malora la ferrovia dei comuni mortali e la sua manutenzione, e non fa niente se la frequentazione delle frecce, in ragione delle tariffe e ad onta delle promozioni, è ormai sotto il 44%, e si sta sempre più sviluppando la concorrenza aerea.
Però, sempre secondo l’ineffabile Moretti all’uopo intervistato da La Repubblica: “Stiamo dimostrando che, laddove ci è data possibilità di esprimere in pieno le nostre capacità e potenzialità, i benefici per l’ambiente, per l’economia e per il turismo, sono incomparabili. Nel 2013 i 42 milioni di passeggeri che hanno preferito le Frecce all’auto privata o all’aereo hanno consentito di abbattere di oltre un milione di tonnellate le emissioni di Co2 nell’ambiente. E l’effetto positivo si dilata nelle città, grazie alle sinergie che stiamo incentivando con mezzi di trasporto privato, condiviso e pubblico a basso impatto ambientale“.
Come no, la città di Reggio Emilia, per esempio, ha visto grazie alla nuova stazione un’impennata tale di visitatori che non sa più dove metterli… NTV dal canto suo, si proprio quella di Italo, ha scoperto invece di avere un buco di 76 milioni e sta per chiedere ammortizzatori sociali per evitare licenziamenti. Della serie, i profitti me li pappo, i problemi li scrollo addosso alla collettività nella miglior tradizione dell’imprenditoria nazionale. Anche questo è inquinamento…KL Cesec CV 2014.03.11 Treno Verde 004Ma vediamo com’è fatto il Treno Verde. Premesso che l’ingresso è gratuito e ci mancherebbe, la prima vettura è dedicata al tema della mobilità sostenibile, dal trasporto su ferro alla mobilità elettrica, dall’urbanistica all’intermodalità, passando per le zone a traffico limitato, le piste ciclabili e le zone 30.
Alla città è invece dedicata la seconda carrozza, all’interno della quale l’allestimento è stato pensato per raccontare un’urbanistica che risponde alle esigenze dei cittadini e dell’ambiente.
Tema centrale della terza carrozza sono gli stili di vita: in questo vagone saranno forniti tanti piccoli accorgimenti per essere cittadini attenti e più smart. Ad esempio verrà spiegato come isolare l’abitazione per renderla efficiente, come fare una spesa sostenibile, come tenere sotto controllo i consumi domestici e, soprattutto, come differenziare e riciclare i rifiuti.
La quarta vettura, infine, è un vero e proprio parco urbano perché la città, secondo Legambiente, è più verde se con spazi pubblici attrezzati che consentono di passare il tempo libero, e non solo quello, respirando aria pulita o coltivando orti, riappropriandosi di tutti quegli spazi verdi spesso lasciati all’incuria e all’abbandono.KL Cesec CV 2014.03.11 Treno Verde 005Se ci gira, e se non abbiamo cose più importanti da fare, il 20 facciamo un salto a Porta Garibaldi…

Malleus

Progettare edifici in modo responsabile

Il titolo originario di questo articolo avrebbe dovuto essere: Dritte semiserie per una progettazione responsabile.KL Cesec CV 2014.03.05 Progettare 001Un mio maestro, un anziano geometra titolare di una piccola impresa di costruzioni nell’Oltrepo’ pavese con il quale ebbi occasione di collaborare, mi insegnò tantissimo anche se a volte aveva dei convincimenti stravaganti. Per esempio questo: “Quando vendi sbagli sempre, perché se avessi venduto prima avresti potuto risparmiare sui costi finanziari, e perché se avessi venduto dopo avresti potuto spuntare un prezzo maggiore.” Ma forse era solo una delle sue infinite battute…
Però una cosa mi disse, in tempi non ancora segnati dalla consapevolezza ecosostenibile, e che porto sempre dentro di me: “Quando ristrutturi una cascina, rispetta il suo stile originario senza abbatterla completamente per ricostruirla come fanno oggi i barbari dell’ edilizia. Prima di ristrutturarla filmala e fotografala per avere una testimonianza di come era, e non variarne cubatura, dimensioni, materiali. Recupera fin dove puoi i materiali originali” e aggiunse: “Quando costruisci una nuova casa fallo rispettando lo stile delle cascine e dei rustici lombardi. Un paesaggio nel quale si costruisce rispettando lo stile tradizionale appare più in armonia con le altre case e con la natura circostante. Lo stile tradizionale è più bello e caratteristico. Dà la possibilità di vivere meglio, in un ambiente più sano e più familiare. Si evitano quegli obbrobriosi scatoloni di cemento, perché la casa non è solo un posto dentro al quale mangiare e dormire, ma è anche una scultura che trasmette valori al mondo esterno.
Nonostante la crisi che attanaglia ogni settore, e che ha dato un colpo di freno anche all’edilizia, mi sono spesso domandato se i lombardi, e non solo loro, non si stiano autodistruggendo attraverso la visione di un contesto che non conduce al senso del bello, bensì al suo opposto.KL Cesec CV 2014.03.05 Progettare 002Credo che sia molto importante, prima di costruire o recuperare un edificio pensare di farlo con centratura, consapevolezza ed attenzione perchè il pensiero e l’intento possano tradursi in una casa fatta bene che contribuirà ad acuire il senso del bello, della solidità e del risparmio.
E’ anche per questa ragione che cerco di essere sempre aggiornato sull’architettura bioclimatica, sulla bioarchitettura e la bioedilizia, sulle nuove modalità per smaltire i reflui e per risparmiare energia leggendo libri in biblioteca e navigando in internet. Prima ancora di progettare cerco di comprendere consistenza e direzione delle correnti fresche e calde, ed in base a questo stabilisco, per esempio, dove realizzare la cucina affinché vi batta corrente calda e le camere perché vi batta corrente fresca.
Cerco di ottenere dalla Natura il meglio relativamente a luce, fresco, caldo, umidità. Nei progetti inserisco sempre alberi a foglia caduca e sempreverdi in modo da posizionarli per avere ombra d’inverno che rinfreschi alcune zone della casa, e che fungano da barriera porotettiva contro le correnti fredde invernali, oltre che da quinta per occultare viste poco gradevoli.
Tanto il costo del progetto non varia, i metri cubi sono i medesimi, ma una disposizione adatta all’ambiente farà risparmiare riscaldamento durante l’inverno ed evitare un climatizzatore in estate. E, prima ancora di pensare a come produrre energia elettrica e riscaldamento, penso a come risparmiarli tramite l’utilizzo di materiali appropriati a garantire l’isolamento termico, che posso ottenere con cappotto esterno tramite pannelli a incastro, soprattutto quando l’edificio esiste già, oppure inserendo tra due muri di argilla o sassi dei materiali a  basso λ, Lambda, che avrò avuto cura di conservare durante la demolizione: così l’isolante spesso è praticamente gratis.
Se sono in montagna posso costruire una casa in legno e poi, contro il rischio di incendi, rivestirla con sassi reperiti in loco ed utilizzando isolanti traspiranti e naturali: costano un po’ più degli altri, ma chi vivrà in quella casa non respirerà schifezze sotto forma di nanoparticelle di essenze aromatiche cancerogene.
Soprattutto penso ad isolare gli infissi, attraverso i quali entrano spifferi, correnti d’aria, caldo e freddo posando finestre a doppia e tripla vetrocamera con gas a basso λ, dotandole di ante in legno che non lasciano passare spifferi e, chiudendosi, includono una superficie superiore a quella dell’infisso stesso.KL Cesec CV 2014.03.05 Progettare 003Quanto all’allestimento interno è possibile realizzare armadi a muro in legno a ridosso delle pareti a contatto con il freddo esterno, perché così facendo si contribuisce ad  isolare la parete, magari posando un materiale isolante tra muro e armadio.
L’ isolamento comporta un doppio vantaggio:

  • Fa risparmiare gas ed energia, e questo è ovvio
  • Fa spendere la metà per acquistare le quote di partecipazione di fonti idriche, centrali e mulini ad acqua ed eletrici, e questa è una battuta che ha però un senso quando, come fa Kryptos Life&Water, si parla di acquistare l’acqua per salvare l’acqua
  • Fa acquistare metà dei pannelli fotovoltaici perché servirà metà energia rispetto ad una casa non isolata
  • Fa spendere meglio il denaro destinato ad acquistare un climatizzatore
  • Parlando di risparmio energetico posso aggiungere la parzializzazione programmabile dell’impianto in modo da avere caldo solo dove e quando serve.

Lampadine a basso consumo, elettrodomestici in classe A, riscaldamento mirato sono tutti accorgimenti che prendo in considerazione per evitare di acquistare ed installare impianti energetici e termici inutilmente sovradimensionati. Sinceramente, propendo per la totale assenza dell’impianto di riscaldamento, ma non sempre i committenti sono così avanti… e se temono il freddo io non posso fare la suffragetta per convicerli che può essere un timore infondato.
Qualche volta mi sono ritrovato a recuperare vecchi mulini ad acqua, e mi sono divertito ad applicarvi, quando le norme me lo consentivano, dinamo ed inverter per produrre energia elettrica e, in un caso, disponendo del terreno, del corso d’acqua, dello spazio e del salto adeguati, addirittura una piccola turbina a caduta libera acquistata per quattro soldi da una piccola centrale dismessa dall’Enel in Toscana.
I miei nonni dicevano sempre: mangiare al caldo e dormire al freddo, e non dimentico mai questa semplice norma di saggezza. E di tenere a portata di mano qualche maglione.
A proposito di riscaldamento: applicare un motore Stirling alla caldaia costa relativamente poco e serve per produrre energia.
E poi penso che ogni abitazione debba avere almeno un metro quadrato di verde per ogni metro cubo di edificato, per poter disporre di giardini il più possibile ampi, salutari per il corpo e per la mente.
Dice: “E bravo, tu recuperi case di campagna, applausi! dove lo metto io il giardino nel mio bilocale nel condominio di quattordici piani?” La risposta è semplice: “Da nessuna parte, a meno che non vi mettiate d’accordo per trasformare il più a verde possibile gli spazi comuni, i tetti dei box, creando platee, rilievi, angoli, che ne so. E’ il concetto del condominio di quattordici piani ad esser sbagliato, e io non posso farci niente, Ciccio“.
Bene, verde… verde verde verde… ah, ecco: orto! Non ci vuole molto, e poi è utile per lo spirito, oltre che per la tavola e per contribuire ad eliminare dalle strade ingombranti camion che trasportano frutta e verdura.
Eh già, arriva lui adesso! io con tre pomodori e quattro patate contribuisco ad eliminare i camion dalle strade. Ma dove vivi?
Uffa, mai sentito parlare del proverbio che dice che le gocce riempiono il bicchiere? Ciascuno fa il suo, quello che può, senza aspettarsi che sia qualcun altro a farlo, e senza aspettarsi cha sia qualcun altro a cominciare.
A proposito di orto, e di giardino: perché non annaffiare con l’acqua piovana immagazzinata in apposite cisterne esterne? Meglio ancora se, prima di usarla, viene fatta confluire in cisterne non isolate sotto terra, e in estate fatta transitare attraverso dei tubi a contatto con i muri per rinfrescare la casa. I tubi poi escono e vanno a finire nella cisterna esterna che serve per annaffiare il giardino. Se ne trovano di economicissime nel mercato dell’usato, e si possono coprire con piante che contribuiscono a loro volta a mantenere un adeguato gradiente igrometrico. Si tratta solo di progettare adeguatamente.
Eh già, e con tutta quell’acqua in giro d’estate zanzare a gogò!
Che palle! dai un alloggio a qualche pipistrello e vedrai che di zanzare non ne vedi più.
Per finire, non sono particolarmente a favore del geotermico, non mi piace l’idea di perforare il terreno per cento metri e inserire tubi che scambiano calore che, a quella profondità, è di circa 16° Celsius. Non mi piace l’idea del buco, del vuoto nel sottosuolo, della roccia non perforata adeguatamente e della potenziale fuoriuscita di gas velenosi. Ma, lo riconosco, ho le mie fisse.
Oh, a proposito di riscaldamento voglio parlare per un attimo delle stufe a pellets. A parte che ormai c’è in giro tanto di quel veleno che la metà basta e non puoi mai sapere in anticipo cosa ti metti in casa al di là delle attestazioni verbali, ed anche scritte, dei produttori, ho letto di una macchinetta che mi ha fatto tanto ridere: realizza pellets dalla segatura secca o dalla spremitura dei nocciolini dell’ uva, che in aggiunta crea olio alimentare. Mi immagino l’intera famiglia che a tavola sputazza semi d’uva in un’apposita ciotola…
E poi ne ho letta un’altra. La riassumo: “Non dividete le famiglie con il divorzio, perché dove una famiglia inquinava per una casa, adesso inquina per due.” Ma, secondo voi, cosa si fuma la gente? Ah giusto, il pellet, forse…

Malleus

Fattorie didattiche: da dove si comincia?

Premessa, noiosa ma necessaria:
“Carletto, cosa farai da grande?”
“L’ecovillaggista, papà”
“Allora molla quegli strafatti che frequenti a vai in montagna per tre anni. All’università”.
Rispondiamo, per puro divertimento, a due email che ci sono pervenute a seguito dell’articolo intitolato Percorsi per ecovillaggisti. Formativi? pubblicato oggi su questo blog e che ci accusano di essere settari e di volerci appropriare dell’ecosostenibilità per traghettarla verso freddi lidi imprenditoriali e finanziari.
A parte il fatto che ci vengono attribuiti poteri ben lontani dalle nostre modeste facoltà – roba che nemmeno con i riti Woodoo – probabilmente a differenza di chi ci scrive sappiamo invece bene, quanto “l’interesse dell’imprenditore non sempre coincide con quello pubblico, e pertanto bisogna guardarsi dal seguirlo ciecamente; le proposte di legge che vi si ispirano vengono da una categoria di persone che sono istintivamente portate a ingannare e opprimere i lavoratori, e che di fatto molto spesso li ingannano e li opprimono”. No, non l’ha scritta Marx questa frase, ma un tranquillo scozzese che si chiamava Adam Smith nel suo libro Natura e cause della ricchezza delle Nazioni, pubblicato nel 1776.
Quindi, ribadiamo con forza il nostro pensiero che condanna il dilettantismo camuffato da alternativo perché oggi, ed ancor più in un futuro niente affatto lontano, ci saranno due sole alternative: mangiare o morire di fame. Il resto sono chiacchiere, fumo o, come abbiamo scritto nell’articolo richiamato, fuffa.
Bene, ciò premesso per doverosa risposta, a nostro avviso gli ecovillaggi si studiano all’università, e non tra danze,cerchi più o meno sacri e scambi di massaggi reiki. Poi ciascuno è libero di illudersi come preferisce, ma non venga a dare lezioni quando avrebbe invece bisogno di apprenderne.KL Cesec CV 2014.02.21 Edolo neveE passiamo alle cose serie. Fattorie didattiche:da dove si comincia?
Pochi sanno che presso la Facoltà di Agraria dell’Università degli Studi di Milano è stato istituito il corso di laurea triennale in Valorizzazione e tutela dell’ambiente e del territorio montano, caratterizzato da una notevole particolarità sancita dal motto: la montagna si studia in montagna. InfattI l’ateneo ha sede a Edolo, in Valle Camonica.KL Cesec CV 2014.02.21 Università MontagnaPer il nostro Paese la montagna rappresenta una parte ampiamente significativa del territorio, che in passato contribuiva molto più che ai giorni nostri all’economia ed al sostentamento della popolazione.
Sappiamo bene come scelte economiche e politiche abbiano gradualmente trascurato queste aree comportando gravi conseguenze sociali e di degrado ambientale.
Oggi il territorio montano si presta ben più che in passato alle attività  agro-forestali, alla zootecnia di qualità, alle produzioni artigianali, alla protezione dell’ambiente ed al turismo in un contesto in grado di garantire una migliore qualità di vita per chi sceglie di operare nel settore.
Il mare e la montagna non tradiscono ma sono, semplicemente, severe maestre: le cronache traboccano di leggerezze pagate con la vita. Ed anche un notevole impegno economico e di lavoro non può essere improvvisato, soprattutto in un territorio difficile come quello montano. Ma occorrono dedizione, esperienza e prima ancora una seria formazione. Per questa ragione è stato istituito il corso di laurea in valorizzazione e tutela dell’ambiente e del territorio montano.
Martedì 25 febbraio con inizio alle ore 15:30 presso l’Aula Magna dell’università si terrà un incontro sul tema: Le fattorie didattiche: da dove si comincia?
Relatore sarà Valentino Bonomi dell’ Azienda Agricola S. Faustino, che spiegherà le opportunità legate all’apertura di una fattoria didattica. Per partecipare è necessario accreditarsi sul sito della Facoltà www.valmont.unimi.it.

Malleus

Treni dimenticati

Il 2 marzo verrà celebrata la giornata delle ferrovie dimenticate, vale a dire tutte quelle linee da tempo chiuse all’esercizio e spesso ormai disarmate, cioè private degli impianti fissi: rotaie, traverse, massicciata, palificazione. Molte costituivano ineguagliabili opere di ingegneria che, a differenza di quanto accade oggi con le varie TAV, si inserivano armoniosamente nel paesaggio. Una per tutte: la Spoleto-Norcia. Ma l’elenco è sterminato: Bribano-Agordo, Voghera-Varzi, Menaggio-Porlezza, Paola-Cosenza, parte della rete abruzzese Adriatico-Sangritana, Mantova-Peschiera, Rimini-San Marino, Mori-Arco-Riva del Garda, Ora-Predazzo per citarne alcune.KL Cesec CV 2014.02.11 Ferrovie dimenticate 002L’elenco potrebbe riguardare anche linee tramviarie: la Terni-Ferentillo, che sfiorava la cascata delle Marmore, le tramvie vicentine, il tram bianco che a Venezia percorreva il Lido. E ci fermiamo qui, con una menzione particolare per la funicolare ad acqua che univa Catanzaro Lido a Catanzaro Città, chiusa nel 1954 e riattivata nel 1998 adottando soluzioni tecnologiche d’avanguardia.
Spesso rappresentavano l’unico mezzo di trasporto in grado di garantire collegamenti in condizioni orografiche ed atmosferiche proibitive, come mostra l’immagine della Ferrovia delle Dolomiti a corredo, ed oggi se ne riparla funzionalmente alla loro trasformazione in percorsi ciclabili. Ma qualcuno, e non solo inguaribili nostalgici, insiste nel proporre il loro ripristino, non solo a fini turistici ma anche per sottrarre il trasporto locale alla morsa del traffico stradale con indubbi benefici in termini di tempi di percorrenza e di emissioni nocive.
L’immagine alla quale siamo abituati, quando pensiamo a queste ferrovie, è quella di un trenino traballante, gelido d’inverno e rovente d’estate, con orari impossibili e tempi di percorrenza assurdi. Oggi, in caso di ripristino dove possibile, non sarebbe più così: linee in sede propria, protette ed assistite da segnaletica asservita, sistemi di trazione che consentono un sensibile risparmio energetico quando non addirittura il recupero di energia.KL Cesec CV 2014.02.11 Ferrovie dimenticate 001A nostro avviso la trasformazione in piste ciclopedonali – sovente soltanto un domenicale giocattolo radical-chic – significherebbe solo la loro morte definitiva, senza dimenticare i rischi che corrono numerose ferrovie attualmente in esercizio, per esempio quella che percorre la Valle d’Aosta, della quale pubblichiamo un’immagine di stagione, che riveste invece un ruolo fondamentale in ambito non solo turistico.

Malleus

Metropolitana Milanese? Una meraviglia: fa acqua da tutte le parti.

Questo articolo nasce dalla nostra partecipazione al Forum per l’Acqua Pubblica, che ha avuto luogo a Milano sabato 18 gennaio, a dimostrazione che a volte pubblico non è affatto bello.KL-Cesec - MM Acqua 003
L’acqua di Milano, tra le più buone d’Italia, arriva in città da una falda alimentata dalle acque che scendono a valle dalle Prealpi. Oltre 2.295 km di tubi, 28 centrali e 400 pozzi portano nelle case un’acqua controllata ogni due settimane dai gestori del servizio idrico ed approvata mensilmente dalla Asl attraverso 190mila analisi per il controllo dei parametri chimici, chimico-fisici e microbiologici. Vogliamo mettere la differenza tra aprire il rubinetto e la fatica di dover portare fino a casa le bottiglie acquistate al supermercato, senza trascurare il costo e lo smaltimento una volta svuotate?
Paradossalmente però i milanesi hanno scoperto l’Acqua del Sindaco solo in concomitanza della crisi economica, che ha fatto lievitare i consumi con impennate anche del 40 per cento.
Ma com’è veramente l’acqua milanese e, soprattutto, chi sono gli uomini in blu che se ne occupano, spesso mentre i cittadini dormono?KL-Cesec - Acqua 006Dal 2003 il servizio idrico è gestito da Metropolitana Milanese, la stessa che si occupa delle quattro linee metropolitane cittadine a livello tecnico ed impiantistico, ma che non ha competenza sull’esercizio, affidato ad Atm.
MM pianifica, progetta e realizza nuove reti e impianti, curando la manutenzione di quelli esistenti nonché la captazione, la potabilizzazione e la distribuzione dell’acqua. Raccoglie infine le acque dagli scarichi fognari coordinandone la depurazione prima del rilascio all’ambiente.
Dal 6 dicembre 2012 è on line MilanoBlu, il sito dell’acqua di Milano dove i cittadini, digitando il proprio indirizzo, possono conoscere in tempo reale la qualità dell’acqua che arriva alle loro case.KL-Cesec - MM Acqua 001Perseguendo criteri di efficienza ed economicità, MM ha la finalità di gestire il servizio idrico integrato di Milano per soddisfare i fabbisogni idrici dei cittadini, in modo quantitativamente adeguato e qualitativamente ottimale, operando responsabilmente nel rispetto dell’ambiente, con una struttura organizzata in tre direzioni: Acquedotto e Acque Reflue si occupano della gestione del ciclo dell’acqua, mentre Strategia e Pianificazione garantisce la realizzazione del Piano investimenti e gestisce i rapporti con enti terzi.
Il Comune di Milano, proprietario di reti e impianti, è responsabile dell’operato di MM, che pubblica un Bilancio di Sostenibilità volto a rendere trasparente le dimensioni economica, sociale e ambientale al fine di condividere con il pubblico i principi che governano l’atteggiamento e le azioni della società nel ruolo di gestore e custode del patrimonio idrico della città e di erogatore di servizi fondamentali per la persona.
MM, e conseguentemente l’acqua milanese, ha acquisito nel 2011 la certificazione UNI EN ISO 14001:2004 Sistema di Gestione Ambientale e, nel luglio 2013, la Certificazione Energetica Uni EN ISO 50001:2011 Certificazione di Sostenibilità di Prodotto Make it Sustainable Plus relativamente alla gestione del servizio idrico integrato.
La rete di distribuzione idrica ha una lunghezza complessiva di circa 2.295 km e l’acquedotto assicura l’approvvigionamento idrico della città, attingendo dalla falda sotterranea mediante un sistema a doppio sollevamento costituito da 28 stazioni di pompaggio e da 400 pozzi mediamente attivi che alimentano la rete di adduzione e distribuzione, per un totale di 230 milioni di metri cubi di acqua potabile distribuita annualmente.
Le centrali dell’Acquedotto sono tutte telecomandate mediante un complesso sistema di telemetria composto da quattro centri, ciascuno dei quali comanda mediamente 7-8 centrali. E’ possibile controllare e comandare l’avviamento dei pozzi e dei gruppi di spinta, oltre a regolare la portata distribuita in funzione della richiesta dei clienti.KL-Cesec - MM Acqua 002Milano è sempre stata una città d’acqua, anche sotterranea, se il Bonvesin della Riva riporta la notizia che già nel 1200 esistessero 6.000 pozzi di “acqua viva” nel territorio di Milano grazie all’abbondanza e alla superficialità della falda, a soli 2 o 3 metri dal piano campagna, la cui scarsa profondità li esponeva però a contaminazioni umane e animali.
Fu però solo durante l’epopea dei massicci insediamenti industriali che la città ebbe necessità di coordinare e regolamentare la gestione idrica, oltre che di individuare fonti di approvvigionamento. Nel 1877 venne indetto un concorso pubblico per la realizzazione di un acquedotto e, nel 1881 fu prescelto il progetto della Società Italiana Condotte d’acqua che prevedeva di trasportare a Milano le acque sorgive del fiume Brembo.
Ma i bergamaschi si opposero ed il progetto venne abbandonato a favore di quello proposto dall’Ufficio Tecnico comunale, che proponeva di proseguire nell’attingimento dalla falda sotterranea con pozzi di idonea profondità.
I primi due pozzi sperimentali vennero realizzati nel 1888 presso l’Arena a servizio del quartiere residenziale che stava sorgendo fra piazza Castello, Foro Bonaparte e via Dante. Per regolarizzare la pressione di erogazione furono costruiti due grandi serbatoi di accumulo, nascosti all’interno dei torrioni del Castello Sforzesco.
La municipalità decise che la falda sotterranea doveva restare l’unica fonte di rifornimento idropotabile, scartando altre ipotesi di approvvigionamento da fontanili extraurbani, allora molto numerosi e alcuni anche con portate elevate, o da sorgenti montane. Fu in quel periodo che, grazie all’abbondante disponibilità idrica, vennero realizzati i primi bagni e servizi pubblici: consentivano l’accesso a prezzi popolari a stabilimenti balneari non proprio eleganti, ma funzionalmente non diversi da quelli che la popolazione milanese più agiata già da molti anni utilizzava, per esempio il prestigioso Kursaal Diana a Porta Venezia.
Venne presto costruito il secondo impianto di pompaggio, presso l’attuale piazza Firenze, al quale nel 1903 si aggiunsero la centrale Parini, presso l’attuale piazza della Repubblica, e la Armi: edificata nel 1904 è la più antica tra quelle ancora esistenti.
Alla fine degli anni ’20, quando gli impianti erano 17 con una capacità di pompaggio complessiva di circa 6.000 l/s, cominciò un modesto abbassamento della falda che costrinse a modificare il sistema di estrazione. Attraverso elettropompe ad asse, l’acqua veniva immensa in apposite vasche, da dove veniva successivamente pompata in rete.
Nel 1948 entra in funzione la centrale di San Siro su progetto di Gio Ponti e, negli anni Sessanta, iniziò ad evidenziarsi il problema relativo alla qualità dell’acqua, pesantemente contaminata da scarichi industriali non depurati. Col passare degli anni a causa del progressivo indiscriminato sfruttamento pubblico e privato, la falda cominciò a dar segni di “affaticamento“, fenomeno che si sarebbe invertito a partire dal 1975, conseguentemente alla chiusura degli stessi grandi stabilimenti che erano stati la causa principale del deterioramento dell’acqua di falda. In questo periodo nascono problemi legati all’innalzamento della falda, che ha portato fra l’altro a fenomeni di allagamento di sotterranei, parcheggi, metrò.
Citiamo di passaggio il caso Olona, che da decenni costituisce un grave problema in occasione di allagamenti dovuti a piene o piogge abbondanti.
Nel 1988, nel centennale della nascita della rete idropotabile, esistevano 34 centrali per una potenzialità di spinta di circa 30.000 l/s e l’acquedotto inizia ad introdurre tecnologie di potabilizzazione per garantire la qualità dell’acqua e assolvere agli adempimenti sempre più restrittivi della normativa europea in tema di limiti alla concentrazione di sostanze inquinanti nell’acqua. Il primo impianto di filtrazione, a carbone attivo, viene costruito nella centrale Vialba ed entra in funzione nel febbraio del 1992, e nel 1994 entrano in funzione le torri di aerazione nelle centrali Novara, Comasina, Suzzani, Chiusabella e Cimabue. Risale invece al settembre 2007 l’introduzione dell’impianto a osmosi inversa presso la centrale Gorla.
MM è responsabile della qualità dell’acqua distribuita e agisce nel rispetto delle disposizioni previste dal D.Lgs 31/01 del 2003. Attraverso il suo laboratorio di analisi, Metropolitana Milanese analizza ogni anno circa 190.000 parametri. I risultati vengono messi a disposizione dei clienti ogni trimestre attraverso la bolletta e il sito web. Il controllo continuo della qualità dell’acqua, principalmente in uscita dalle centrali e l’attuazione delle procedure interne consentono di attuare tempestivamente gli interventi necessari a garantire con ampio margine il rispetto dei valori di parametro prescritti.
Attraverso il sito milanoblu.com i cittadini possono prenotare una visita gratuita alle centrali di potabilizzazione o ai manufatti fognari:  vi assicuro che è un’esperienza emozionante che non ha nulla da invidiare all’analoga parigina!
KL-Cesec - MM Acqua 004Per finire, in organico ai servizi idrici milanesi vi sono ben 481 draghi: sono verdi e invece che fuoco e fiamme buttano acqua. Si, sono le fontanelle pubbliche, chiamate draghi verdi o vedovelle per il fatto che piangono costantemente dai cittadini ambrosiani, decisamente pudibondi rispetto ai piacentini che le appellano in ben altro modo…
Sono realizzate in ghisa nel tipico colore verde ramarro e vennero disegnate nel 1931 in concomitanza all’inaugurazione della Stazione Centrale. La prima venne posta in piazza della Scala e, tuttora esistente, differisce dalle altre per il fatto di essere in bronzo.
Non disponendo di rubinetto molti pensano che i draghi verdi generino spreco, ma non è così anzitutto poiché la quantità d’acqua erogata è irrisoria in confronto alla portata d’acqua distribuita dall’acquedotto: a fronte di un flusso totale istantaneo medio erogato di circa 7500 litri/secondo, la portata dell’insieme delle fontanelle è pari a circa soli 10 litri al secondo, inoltre il flusso d’acqua continuo dei draghi svolge l’importante funzione di mantenere l’acqua sempre in movimento, preservandone la freschezza e la buona qualità in corrispondenza delle tubazioni terminali cieche, le cosiddette “teste morte”.
Ricordo infine che la portata in uscita dalle fontanelle non viene inutilmente dispersa ma, attraverso la fognatura, raggiunge i depuratori e viene impiegata dai consorzi agricoli per l’irrigazione dei campi a sud della città.

Malleus

Mobilità insostenibile

Mi sono chiesto quale fosse il modo migliore di iniziare un articolo complesso e potenzialmente noioso che argomenti di mobilità sostenibile e cultura del trasporto pubblico e, pensando pensando, ho trovato la risposta in una vecchia filastrocca di Gianni Rodari:

Un signore di Scandicci
buttava le castagne
e mangiava i ricci.
Un suo amico di Lastra a Signa
buttava i pinoli
e mangiava la pigna.
Un suo cugino di Prato
mangiava la carta stagnola
e buttava il cioccolato.
Tanta gente non lo sa
e dunque non se ne cruccia:
la vita la butta via
e mangia soltanto la buccia.

Virgolettato da Luca De Vito in un articolo pubblicato oggi (ieri per chi legge, NdA) dal quotidiano La Repubblica e intitiolato Milano, una rivoluzione verde: la città ha sempre meno auto Marco Ponti, docente di economia dei trasporti del Politecnico di Milano, definisce drammatico il fatto che ben pochi giovani – prima della crisi costituenti una notevole fetta di mercato – possano oggi permettersi l’acquisto di un’auto nuova. La ragione risiederebbe nel costo elevato, negli oneri afferenti all’esercizio ed alla manutenzione e, non da ultimo, all’esosa tassazione.
Mentre nel resto d’Italia le immatricolazioni aumentano nel capoluogo lombardo il calo è netto per effetto della crisi e delle misure che incentivano la condivisione veicolare spingendo sempre più gli utenti verso i trasporti pubblici. L’articolo prosegue dichiarando che a Milano ci sarebbe un’autovettura ogni 1,76 , in Lombardia 1,67 mentre nel resto del Paese 1,61.KL-Cesec - car-sharingLo stesso quotidiano intitolava il 17 settembre scorso: Italia troppe auto, 606 ogni 1000 abitanti, e la media nei paesi europei è di 473 un articolo di Antonio Cianciullo che, illustrando come nel nostro Paese la quota di gas serra proveniente dal traffico stradale sia aumentata dal 1990 al 2011 dal 21 al 26%, ed evidenziando come i trasporti rappresentino la terza voce di spesa dopo casa e alimentazione, concludeva affermando: in chiave di sostenibilità, a parte qualche eccellenza siamo ancora indietro ed individuando nel 4,6% la quota di Pil perduta per danni prodotti dal sistema dei trasporti.
Tornando all”articolo odierno, esso riferisce come le 64.375 immatricolazioni cittadine del 2010 siano scese a 36.091 nel 2013 con un calo del 43%. A fronte della drastica riduzione, risentita anche a livello regionale con 135.000 vetture vendute in meno, si affermano sempre di più le auto ecologiche. Il calo delle immatricolazioni (l’articolo parla però solo di auto e non, per esempio, di scooter) dev’essere comunque letto nella più ampia tendenza alla riduzione del parco circolante, in atto da quasi un ventennio e che ha tolto almeno 200mila auto dalle strade cittadine, portando a 716.094 i veicoli privati che, nel 1990, erano 922.040. L’articolo si conclude evidenziando come il fenomeno ambrosiano agisca in controtendenza rispetto a quanto avviene a livello regionale e nazionale: negli ultimi vent’anni in Lombardia le auto sono aumentate da 4,8 a 5,8 milioni, mentre in tutto il paese si sono riversati 10 milioni di mezzi in più.
Per parte nostra apprezziamo quanto sostenuto da Gianmarco Giorda dell’Anfia, Associazione Nazionale Filiera Industria Automobilistica: i costi per mantenere un’automobile in molti casi sono diventati insostenibili ed è uno dei veri motivi per cui non solo non si acquistano più veicoli, ma ci si libera del vecchio mezzo senza sostituirlo aggiungendo però che la situazione milanese rappresenta lo specchio di una realtà dove i servizi di trasporto pubblico non solo esistono ma sono mediamente efficienti e quasi capillari. Chi vive a Milano e nelle città immediatamente circostanti, lungo le direttrici storiche tracciate dalle strade più antiche, può fruire di servizi di trasporto pubblico diffusi e mediamente efficaci, spesso eredi delle prime linee ferroviarie: MIlano-Monza, la seconda ferrovia italiana inaugurata nell’agosto 1840 e che già al 31 dicembre dello stesso anno aveva trasportato 150mila viaggiatori, e le sue diramazioni per Como-Chiasso (1849) e Lecco-Sondrio (1873 e 1885) oppure la ferrovia Ferdinandea Milano-Treviglio (1842) o ancora la Milano-Novara-Torino (1855) senza dimenticare la rete briantea per Erba-Asso, Como, Varese-Laveno e Malpensa Aeroporto ora gestita da Trenord ma aperta a partire dal 1877 dalle FNM, ferrovie Nord Milano. Le direttrici di traffico sono talmente stabili che il tracciato del Passante Ferroviario ricalca in sotterranea l’antico sviluppo delle ferrovie nel loro percorso urbano, dismesso con la riorganizzazione del 1931, anno di inaugurazione dell’attuale stazione Centrale: il confronto tra l’attuale mappa cittadina ed una carta topografica dei primi del ‘900 lo dimostra; consiglio quella edita nel 1914 dal TCI, Touring Club Italiano, agevolmente reperibile in rete con un’ottima risoluzione.KL-Cesec - Tram Vimercate anni 70Ciò vale anche per i trasporti extraurbani gestiti da ATM, a partire dalla linea 1 rossa della metropolitana che, dal novembre 1964 non fa altro che ricalcare lungo il Borgo dei Nobili, corso Venezia, e lo Stradone di Loreto, corso Buenos Aires, il tracciato dell’ippovia Milano-Monza inaugurata nel 1876 e cessata nel 1966. Lo stesso discorso vale per la linea 2 verde della metropolitana che altro non è se non una ferrovia di penetrazione urbana, erede delle Linee Celeri dell’Adda, a loro volta nate dall’ammodernamento delle tramvie Milano-Vimercate (1880) e Milano-Gorgonzola (1878) con le sue diramazioni per Vaprio (cessata nel 1978) e Cassano d’Adda (cessata nel 1972). Senza dimenticare le Tramvie della Brianza Milano-Limbiate, riaperta da poco all’esercizio dopo una sospensione per motivi legati alla sicurezza, e Milano-Desio della quale parliamo in questo stesso scritto funzionalmente al progetto di riapertura come metrotramvia.
Non casualmente tutte le linee citate possiedono il tratto comune di essere su ferro; il dibattito tendente a dimostrare se siano eminentemente gli itinerari storici a favorire insediamenti stabili, e con essi la convenienza ad impiantarvi costose infrastrutture di trasporto, ovvero se siano le infrastrutture fisse per la mobilità a favorire gli insediamenti è da sempre in corso e probabilmente non si concluderà mai.
Altrettanto non casualmente non sono state in questa sede indicate le vie di penetrazione provenienti da Sud: Alessandria-Mortara, Genova-Pavia, Piacenza-Lodi, tutt’altro che ininfluenti ma certamente non portatrici dei volumi di traffico peculiari della Brianza.
Resta il fatto che Milano si è lentamente trasformata attraverso numerose ridefinizioni del tessuto urbano ed il progressivo spopolamento del centro a favore dell’hinterland, dove la vita costa meno pur non offrendo ovunque servizi che diano agli abitanti la sensazione di non dover dipendere dalla città, per esempio relativamente alla fruizione del tempo libero. Nel corso dei decenni ed a scadenze più o meno canoniche, per arginare l’afflusso del traffico veicolare privato, la municipalità milanese ha posto in essere numerose iniziative tendenti al decongestionamento, dal potenziamento dei mezzi pubblici alle corsie preferenziali ai parcheggi di corrispondenza, dal divieto di traffico nel centro all’Area C, quasi sempre scontrandosi con interessi corporativi, per non dire con una cultura della bottega: se una leggenda monzese sostiene che siano stati i negozianti a brigare affinché solo dopo un cinquantennio la linea rossa del metrò giungesse in città, peraltro attestandosi nel nulla, al fine di impedire l’esodo dei potenziali clienti verso i negozi milanesi, una leggenda milanese vuole che i locali titolari di esercizi commerciali temano di perdere i clienti scoraggiati dall’impossibilità di utilizzare l’auto privata.
Al di là delle dicerie resta il fatto che scontiamo non solo i nefasti effetti di una cultura dell’auto privata invasiva, forse retaggio di un malinteso senso di autonomia e di promozione sociale, ma anche il fatto di non disporre ancora di una tariffazione dei trasporti pubblici prevista ad ampio raggio, per esempio regionale, che consenta di percorrere distanze anche notevoli con un unico documento di viaggio utilizzabile con vettori differenti, per esempio linee ferroviarie, metrotramviarie ed automobilistiche.
Ma, sia pure provvisti di un unico documento di viaggio, non sapremmo dove andare senza l’auto, se le iniziative per la mobilità sostenibile passano attraverso progetti tendenti all’eliminazione delle ferrovie perché il sistema ferroviario attuale rappresenta un grave pericolo per la città ed i suoi fabbricati; esso limita la fluidità del traffico e lo sviluppo del territorio, come recita uno studio effettuato nel 2011 dal Comune di Mantova volto a eliminare la ferrovia dal proprio territorio costruendo varianti tangenziali e spostando la stazione chissà dove, il tutto corredato di benefici, vantaggi e altre filosofiche considerazioni. La probabilità che si realizzi è, grazie agli attuali chiari di luna, prossima allo zero ma rimane istruttivo sul sentimento comune verso la ferrovia, ed anche su come si impegnino tempo e risorse in studi di fattibilità  quanto meno discutibili.KL-Cesec - Articolo Repubblica 8.2011Del resto anche la città di Torino non scherza se, come riportato nell’articolo pubblicato da La Repubblica il 27 agosto 2011 e qui riprodotto purtroppo da una malandata fotocopia, viene spacciato come un intervento a favore della qualità della vita cittadina la possibilità di spazzar via la stazione di Porta Nuova per ricucire il tessuto urbano. Il Piemonte, giova ricordarlo, è la Regione che ha smantellato il 30% delle linee ferroviarie.
KL-Cesec  - Studio Regione LombardiaUn respiro di sollievo ce lo consente, fortunatamente,  lo studio Le infrastrutture del futuro. Idee e proposte per i governi che verranno, pubblicato da Regione Lombardia nel febbraio 2013 e del quale è coautore Giorgio Stagni, ingegnere ambientale ad indirizzo urbanistico che lavora presso il Servizio Ferroviario Regionale occupandosi di programmazione dei servizi in collaborazione con il collega Fabrizio Bin, ingegnere trasportista inventore delle Linee S lombarde. Lo studio, raccolto in un volume di 81 pagine e scaricabile in formato pdf dal sito della Regione Lombardia prova a fare il punto sulle interazioni tra le infrastrutture ferroviarie e il servizio che vi si svolge, prendendo come esempio il percorso di crescita del servizio ferroviario regionale lombardo nel corso dell’ultimo decennio. Ringrazio l’ing. Stagni per le notizie desunte dal sito www.stagniweb.it unitamente alla filastrocca di Rodari e ad alcune immagini.
Tornando, letteralmente, per strada, un’iniziativa relativamente recente collocata a metà fra il trasporto privato e quello pubblico è il car-sharing. Afferma in proposito Luca Studer, esperto di mobilità sostenibile del Politecnico: una cosa notevole che è stata fatta negli ultimi anni è stato rompere il dualismo auto privata-mezzi pubblici, ora ci sono molte più alternative. Bisognerà valutare poi l’effettivo impatto del car sharing, visto che non è ancora chiaro se faccia concorrenza solo alle auto private oppure anche ai mezzi pubblici. Dalla primigenia iniziativa promossa da GuidaMi (Atm) e E-Vai ( Trenord) il fenomeno si è evoluto con le Smart accessibili direttamente su strada e senza prenotazione di Car2Go, alla quale dallo scorso dicembre si sono affiancate le 500 rosse di Enjoy (Eni-Fiat -Trenitalia) le Mini Cooper di DriveNow (Bmw) e le Volkswagen Up di Twist. Ai tassisti però non piace, non solo perché riterrebbero trattarsi di concorrenza sleale grazie ai prezzi assolutamente competitivi, ma soprattutto perché accusano il comune di tutelare il car-sharing dalle zone calde della delinquenza di strada pur obbligando le auto bianche ad andarci: Bovisa, Quarto Oggiaro, l’estremità di via Ripamonti e le vie Vaiano Valle e Selvanesco, corrispondenti ad aree occupate da campi rom.
In ragione di furti, aggressioni e rapine le società concessionarie dei servizi hanno chiesto al comune di eliminare queste strade dai noleggi, mentre i tassisti sostengono di non potersi rifiutare di andarci e questo ha scatenato le loro proteste, anche in ragione di un’altra iniziativa annunciata dal comune: l’apertura della Ztl Garibaldi alle automobiline condivise in quella che è un’isola pedonale accessibile esclusivamente a residenti, ciclisti, taxi, mezzi di soccorso e forze dell’ordine. I tassisti l’hanno presa come una decisione che intende smaccatamente valorizzare un’utenza di nicchia a discapito della collettività producendo una forte spinta alla circolazione di auto private, sia pure in condivisione, a discapito dell’intero sistema di trasporto pubblico, paventando inoltre la possibilità che vanifichi altre aree protette, presenti e previste. Com’era prevedibile i conducenti delle auto bianche sono stati bersagliati da accuse a non finire, a cominciare dalle tariffe che sarebbero elevatissime, di accampare la pretesa di agire in un libero mercato con condizioni garantiste da socialismo reale e di essere un emblema del più bieco corporativismo.
In qualità di assiduo frequentatore di taxi e tenendo presente che lo sono diventato, unitamente ad un sempre più nutrito numero di cittadini che hanno deciso di fare a meno dell’auto per gli spostamenti urbani, proprio per la possibilità di percorrere corsie riservate ed aree protette senza dover sottostare a code o a snervanti ricerche di parcheggi, posso affermare che le tariffe sono tutt’altro che improponibili e che sarebbe invece auspicabile migliorare il servizio con infrastrutture da tempo promesse: colonnine e telecamere, oltre che con una maggiore tutela delle aree formalmente destinate a posteggio ed invece liberamente invase da cani e porci in sosta vietata: a cominciare proprio da corso Garibaldi e via Ponte Vetero ormai diventate accampamento di tutti gli arroganti frequentatori di Brera per passare a Cagliero, Ticinese, Repubblica, Udine per citarne solo alcune dove i taxi sostano malvolentieri per evitare continue discussioni e liti. E questo senza citare l’accessibilità ai parcheggi, primo fra tutti il più visibile della città, quello in Duomo pateticamente piantato in mezzo alla piazza senza nemmeno uno straccio di pensilina. C’è, casomai, un’ambiguità di fondo che presiede alle dieci ore di turno giornaliere di questi artigiani: costituiscono un servizio pubblico a capitale privato, principiando dalle licenze il cui costo supera ormai i 200mila euro (e quindi i tassisti sono tutti, chi più chi meno tranne quelli anziani, indebitati con le banche) e costituisce l’equivalente della loro liquidazione quando cesseranno l’attività, nonché l’assenza di contributi da parte del comune; un tempo esisteva il cosiddetto buono carburante, oggi scomparso, e mi risulta che soltanto la casa automobilistica Mercedes pratichi loro un modesto sconto sull’acquisto delle autovetture. Un tassista non arriva oggi, nella più fortunata delle ipotesi, ai tremila euro mensili, registrati sino all’ultimo centesimo in ragione del tassametro, dai quali deve sottrarre tasse, costi di esercizio ed ammortamento del capitale investito e mancati guadagni dovuti al fermo macchina in caso di incidente o manutenzione.
Il car-sharing a mio parere, è un’encomiabile iniziativa nel momento in cui serve anche ad educare l’utenza al senso del pubblico in quanto, così come è attualmente concepito, non insegna al rispetto della circolazione in una città da sempre assediata dal traffico proponendo invece un modello individualista.KL-Cesec - Metrotramvia Seregno

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Ma, tornando ai trasporti su rotaia, ci sarebbe una novità: la tramvia Milano-Desio-Seregno starebbe per risorgere ad alcuni anni dalla sua soppressione, nella smagliante forma di metrotramvia a doppio binario sino a Paderno Dugnano e, nuovamente prolungata dopo decenni di abbandono, permetterebbe di servire l’ospedale di Desio ed attuare l’interscambio con la stazione ferroviaria di Seregno.KL-Cesec - Metrotramvia inquadrature dai filmati MCSLa società Alstom si sarebbe aggiudicata un contratto da 40 milioni di euro per la sua realizzazione, per le infrastrutture ed i sottosistemi affidata alla CMC, Cooperativa Muratori e Cementisti, di Ravenna.
La rinnovata tramvia, che avrà uno sviluppo lineare di poco superiore a 14 km ed entrerà in esercizio entro il 2016, sarà dotata dei più moderni sistemi di segnalazione e sicurezza. Da segnalare che per la prima volta in Italia sarà installata una sottostazione di alimentazione elettrica reversibile HESOP, Harmonic & Energy Saving Optimizer, che permette di recuperare la quasi totalità dell’energia altrimenti dissipata dai rotabili in frenatura restituendola alla rete elettrica per essere riutilizzata. Non si tratta di una novità assoluta, in quanto il motore elettrico permette la frenatura a recupero, oltretutto risparmiando il consumo dei freni meccanici, ed ampiamente utilizzata su tram e filobus. Pe rimanere nell’ambito milanese la Filovia dello Stelvio Tirano-Bormio, realizzata dall’AEM di Milano nel 1940 per la costruzione di alcune dighe valtellinesi, ne era provvista anche per ragioni di sicurezza in ragione delle proibitive condizioni di esercizio. La novità è nell’ottimizzazione delle prestazioni, micrometricamente regolate grazie ai controlli consentiti dall’attuale sviluppo dell’elettronica.
In chiusura di questo scritto propongo un’animazione, devo dire realizzata magistralmente, costituita da un complesso di otto filmati – liberamente disponibili su YouTube, il link è riportato sotto una delle immagini a corredo – della futura metrotramvia. Poiché sono recentemente corse voci che l’ammodernamento non si farà più e che a titolo di provvisionale ad una delle imprese aggiudicatarie sia stato riconosciuto l’astronomico indennizzo di 13 milioni di euro, il filmato merita ancor più di essere visionato, non fosse altro che per la ragione che, se fossero vere tali affermazioni, è costato più di Guerre Stellari…

Alberto C. Steiner

Immobilità urbana

Le statistiche più aggiornate individuano in 1,25 il coefficiente di occupazione urbana degli autoveicoli privati. Ciò significa che ogni auto circolante in città trasporta mediamente 1,25 persone, ovvero poco più rispetto al solo conducente. Per trasportare 250 persone occorrono 200 auto.
Sono ben note le conseguenze in termini di congestione del traffico, inquinamento e rumore. A queste devono essere aggiunti fattori sui quali non si pone la necessaria attenzione: per esempio l’erosione del manto stradale – il cui rifacimento rappresenta un costo per la collettività – a sua volta foriera di particelle rilasciate nell’atmosfera, aggregate con residui condensati (i fumi dei tubi di scarico) ed oleosi.
E tutto questo senza trascurare ciò che può essere monetizzato solo indirettamente: incremento dell’aggressività, incazzature da parcheggio, pericoli ed infortuni ad automobilisti e pedoni.
L’utilizzo di auto a trazione elettrica, ivi compresa la sua eventuale connotazione in car-sharing, può modificare notevolmente gli aspetti legati alle emissioni ed al rumore, ma non gli altri trattandosi pur sempre dell’uso di un mezzo di trasporto privato. Anzi, l’assenza di rumore potrebbe paradossalmente incrementare gli incidenti che coinvolgono pedoni.
L’impianto viario delle nostre città è inoltre di impronta medioevale, ed a nulla sono valsi i tentativi di creare assi di scorrimento e tangenziali urbane, il cui unico esito è stato quello di incrementare esponenzialmente l’afflusso veicolare realizzando veri e propri mostri cementizi. Pensiamo solo al progetto milanese di creare nell’immediato dopoguerra un’arteria centrale di scorrimento da Porta Vittoria a Porta Magenta sfruttando gli spazi creati dai bombardamenti aerei, lungo quello che oggi è l’asse Forlanini-Corsica-XXII Marzo-Vittoria-Larga-Albricci. Fortunatamente il progetto non si è concluso perché diversamente sarebbe stata sbancata una parte consisstente della città medioevale e romana: il tracciato avrebbe dovuto proseguire attraversando via Torino ed incunearsi lungo l’attuale corso Magenta. Addio al Circo e alle Terme, per dirne solo una, oltre che a piazza Borromeo ed a quel reticolo di atmosfere costituito dalle vie Morigi, Nerino, Santa Marta, San Maurilio. E chissà,  forse anche alla Stretta Bagnera
E’ il concetto ad essere sbagliato, ma questo si sa ormai da tempo anche se per pigrizia ed altro si fa poco o nulla, salvo lamentarsi che la benzina costa un patrimonio… Ma le auto, non dimentichiamolo, non vanno solo a benzina, gasolio o gpl, oggi rispettivamente a €/l 1,729, 1,656 e 0,888 secondo le tabelle ministeriali. Le auto vanno a tasse, assicurazioni, ammortamento del capitale, manutenzione periodica e straordinaria, imprevisti, pedaggi e contravvenzioni. E incidenti, con i loro costi sanitari e sociali che gravano sulla collettività.Sede Viaria 200 AutoOggi ho voluto togliermi uno sfizio, immaginando quanto spazio occupano le 200 vetture necessarie secondo le statistiche per trasportare le 250 persone indicate.
Visto che il coefficiente è 1,25 ho tralasciato Mercedes, Bmw ed altre auto ingombranti, interpretando liberamente, per il mio figurino, una Smart: larga 1.510 mm e lunga 2.700 può trasportare 2 persone: non è quindi eccessiva ma costituisce, in termini di spazio occupato al suolo e della sua proiezione visiva planimetrica, il minimo indispensabile. Ne ho allineate 200 in 20 file da 10 unità ciascuna, in una sede stradale ricavata elaborando unìimmagine aerea di corso Buenos Aires. Lo confesso, ho barato: la carreggiata di quest’arteria è larga 28 metri, io l’ho ristretta a 20. Però ho barato anche allineando le vetture come tanti soldatini e fingendo che corso Buenos sia un’arteria a senso unico: un artificio resosi necessario per motivi legati alla lunghezza dell’immagine.
Il risultato è quello che si vede nell’immagine 1, dove le auto occupano l’intero corso nel tratto piazzale Oberdan – viale Tunisia mentre, se avessi rispettato le proporzioni ed il doppio senso di marcia, sarei arrivato almeno in piazzale Lima, vale a dire che bastano 200 smart ad occupare mezzo corso Buenos Aires.
A questo punto mi son chiesto che cosa accadrebbe se le 250 persone prendessero l’autobus. Presto fatto: un bus urbano da 12 metri, ho preso come riferimento il Citaro Mercedes, uno dei più diffusi in Italia, può accogliere nella sua configurazione standard 70 persone, di cui 30 sedute. Bene, 250/70= 3,57 autobus. Poiché preferivo un numero intero ho deciso di affollare un po’ gli autobus, tenendo presente che la percorrenza media urbana di un passeggero non dura oltre i 14′, quindi il disagio dell’affollamento e dello stare in piedi è solo limitato. Ho ottenuto un 83,3 per 3 autobus che, considerando la capienza dichiarata di 70, non è poi così disastroso come affollamento.
Se dovessi calcolare veramente questo dato funzionalmente alla progettazione di una linea di trasporto dovrei: o aumentare le vetture incrementando le frequenze o incrementare la capienza delle vetture ricorrendo a mezzi articolati da 18 metri. Nel primo caso potrei anche ricorrere a veicoli di minore capienza, nel secondo, per non far viaggiare le vetture semivuote, i passaggi non potranno essere molto frequenti.
In ogni caso il risultato, poiché sto parlando solo di occupazione dello spazio, è quello illustrato nell’immagine 2.Sede Viaria 3 BusA questo punto ho voluto esagerare: e se li facessi viaggiare in tram? Ho considerato il Sirio prodotto da AnsaldoBreda – ormai diventato il tram standard italiano, oltre che esportato in Svezia, in Grecia ed in Turchia per citare solo alcuni paesi – nella sua versione da 26,45 metri di lunghezza e capace di ospitare 202 passeggeri. Se volessi farli viaggiare più comodi potrei utilizzare il modello lungo 35,35 metri, che può accogliere 285 persone 71 delle quali sedute.SirioIl risultato è: 1 vettura. E in termini di spazio occupato al suolo, raffontato con quello occupato a parità di lughezza dall’autobus, a sua volta raffontato con quello occupato dalle auto, lo si vede nell’immagine 3.Sede Viaria 1 TramHo voluto concludere provando ad immaginare come avrebbe potuto presentarsi corso Buenos Aires senza il traffico veicolare privato. Non ho cercato una foto che raffigurasse un ingorgo natalizio, non avrebbe avuto senso. Ho scelto la foto di un’ora di morbida, con i suoi bravi suv in sosta vietata, i taxi al parcheggio e nemmeno un filo d’erba, così com’è effettivamente il corso. L’ho elaborata senza lavorarci troppo di precisione ma così, giusto per curiosità: il risultato è quello dell’immagine 4.Sede Viaria FronteCosa ho voluto dimostrare con questo scritto? Sostanzialmente nulla, perché altrimenti avrei dovuto cercare riferimenti più precisi e ricorrere a dati sul traffico e sulle sue conseguenze (Comune di Milano, Atm, tassisti, Asl e ospedali…) però ritengo interessante il risultato. Che in ogni caso fa riflettere e può costituire lo spunto per un lavoro più approfondito.

Malleus-ACS