Parco Sud Milano: e se le case di riposo diventassero fattorie?

Il Parco agricolo Sud Milano, area estesa per 46.300 ettari che interessa il territorio di 61 comuni,  comprende le tre antiche abbazie cistercensi di Chiaravalle, Mirasole e Viboldone, alcuni castelli, storici complessi agricoli fortificati e ben 1.400 aziende agricole.CC 2016.02.26 Parco Sud 001Il Parco Sud ha visto molte idee, tanti progetti, convegni a non finire ed i suoi prati sono stati idealmente calpestati da innumerevoli passerelle elettorali. Ma ancora oggi stenta a decollare una seria attività di coordinamento che muova da un’univocità di intenti, tanto è vero che ogni tanto qualcuno si pone delle domande. Per esempio il Comune di Cesano Boscone, che il 29 gennaio scorso ha organizzato la serata di informazione  “Il Parco Agricolo Sud Milano ha un futuro?”, momento di confronto pubblico pensato per conciliare l’ambito agricolo e quello cittadino, ricercando provvedimenti strutturali per diminuire le emissioni e per far conoscere le ricchezze di un territorio che può consentire l’avvio di nuove economie, basate sulla valorizzazione del made in Italy e del capitale umano. Insieme con agricoltori (pochi) ed istituzioni (scarse) vi hanno preso parte Giovanni Gottardi del WWF, Renato Aquilani dell’Associazione per il Parco Sud Milano, Domenico Finiguerra di Salviamo il paesaggio e Michela Palestra, Presidente del Parco.
Insomma: Nihil sub sole Novi Ligure, direbbero in provincia di Alessandria…
Fortunatamente il territorio del Parco comprende anche realtà dove non si convegna e non si chiacchiera ma si lavora concretamente e senza bisogno dei riflettori. Per esempio la Comunità Nocetum: questo luogo di spiritualità, accoglienza e condivisione situato nella Cascina Corte S. Giacomo, all’estrema propaggine meridionale di un quartiere da sempre considerato difficile, il Corvetto, promuove la connessione tra città e ambito rurale accogliendo al proprio interno un alloggio per donne in situazione di disagio e fragilità sociale e per i loro bambini ed organizzando percorsi didattici per scuole e gruppi, attività di volontariato ed iniziative per favorire l’integrazione, la coesione sociale e la valorizzazione del territorio.CC 2016.02.26 Parco Sud 002Ma anche altri nel Parco, per esempio mentre a Milano si inaugurava la monumentale esposizione sul cibo di plastica, continuavano a lavorare silenziosi, su piccola scala, attenti alla qualità e alle relazioni umane: agricoltori, gruppi, associazioni e reti che credono in un modo diverso di produrre, distribuire e consumare cibo. Sarà l’energia dell’ora et labora che ancora, a distanza di secoli, emana da quella terra? Chissà, può essere…
Alcuni progetti interessanti potrebbero riguardare la possibilità di far incontrare anziani e giovani per dialogo e scambio di conoscenze ed insegnamenti in un’ottica di aiuto reciproco, anche economico. Oggi sono considerati mondi lontani l’uno dall’altro, per via dell’età e degli spazi e dei momenti passati insieme, ma una volta accadeva spontaneamente: dove andava a vivere il giovane universitario fuori sede? A casa della vecchia zia che stava proprio nella stessa città sede della Facoltà. Oggi che l’assottigliamento delle vecchie zie ha assunto connotati preoccupanti, si potrebbe riscoprire ex-lege quello che il buon senso intergenerazionale aveva sempre dato per scontato. Ed ecco, per esempio, un centro di alloggio per anziani dove gli studenti potrebbero soggiornare gratis in cambio di un monte ore da dedicare a compagnia e supporto degli ospiti. E i ragazzi risparmierebbero almeno 500 Euro al mese di affitto insegnando, che ne so, l’uso di internet ed e-mail od organizzando il tempo ai nonni putativi i quali (non si sono assottigliate solo le zie, ma anche i nipoti, complice il drastico crollo delle nascite) sarebbero felici di chiacchierare con i ragazzi.
E se in questo mélange generazionale – lasciando stare l’ipotesi di trovare una zia ricca e sola, senza eredi e che veda nel giovane virgulto un perfetto erede da adottare – ci si inventasse una home farm e la casa di riposo diventasse una fattoria urbana? Dov’è scritto che la terza età debba essere considerata una specie di parcheggio in attesa della morte?CC 2016.02.26 Parco Sud 003Trasformare una casa di riposo in fattoria urbana non sarebbe difficile: gli anziani avrebbero un ruolo attivo coltivando frutta e verdura per autoconsumo e per la vendita. A costo quasi zero sarebbe terapeutico anche sotto il profilo della forma fisica, visto che è noto come essere attivi, avere dei progetti e vederne i risultati mantenga giovani, giovi all’umore e al fisico. Sembra un’ovvietà? Certo, lo è. Proprio per questo basta poco per trasformarla in realtà, oltretutto contribuendo alla tutela del territorio ed al recupero di edifici altrimenti destinati ad un progressivo degrado.

Alberto C. Steiner

Mangia di stagione: interessante iniziativa della Provincia di Roma

Vi siete mai chiesti perché la frutta estiva è ricca d’acqua e quella invernale è più asciutta? Semplice: perché se quella estiva fosse asciutta si surriscalderebbe, mentre se quella invernale fosse ricca d’acqua gelerebbe.Cesec-CondiVivere 2014.10.14 Agriasilo 004Non manca inoltre un’importante ragione nutrizionale, come vedremo al termine di questa premessa, necessaria per inquadrare la questione: come gran parte degli Italiani della mia generazione provengo da una famiglia di antiche origini contadine. Gli ultimi furono i miei nonni paterni: tra il Polesine e il Delta del Po si occupavano di agricoltura ed allevamento di bovini e anguille sino alla devastante alluvione del 1951, quando vendettero le terre e si ritirarono. Ma le tradizioni rimasero ed io, pur essendo nato in epoca successiva, ricordo che in concomitanza delle festività natalizie una delle prelibatezze era “l’uva di Natale”, bianca e decisamente dolce a causa dell’appassimento. Da quel momento e fino a settembre di uva non se ne parlava più. In primavera arrivavano a rotazione fragole, nespole, albicocche, ciliegie, fino all’apoteosi di pesche, meloni, angurie, lamponi, more e mirtilli, questi ultimi invero presenti tutto l’anno poiché opportunamente conservati venivano usati anche in cucina. Si chiudeva con pere, fichi, noci e uva, per passare a castagne, mele, arance e cachi.
Onnipresenti datteri, banane, ananas e frutta secca ma avocado, mango, tamarindo e via tropicando chi li ha mai visti sino ai primi anni Settanta?
Di pomodori e melanzane in inverno nemmeno a parlarne; cetrioli si, ma conservati in aceto e spezie all’uso tedesco. Crauti quanti ne volevamo: freschi in stagione, bianchi e rossi, in salamoia durante il resto dell’anno insieme con conserve di verdure miste sottaceto e barattoli di salsa di pomodoro. Le insalate, infine, marcavano le stagioni con i loro colori: il tarassaco – da noi detto pissacan – nelle sue progressionii di verde da marzo a ottobre, consumabile crudo e successivamente cotto; le lattughe, la riccia, la rucola sino al rosso del radicchio di Chioggia o di Treviso, o al bianco di quello mantovano.
Menzione speciale infine per la rucola, erba povera e spontanea sdoganata come si dice ora nelle preparazioni della cucina pseudopopolare riscoperta dall’intellighenzia ecochic degli anni Settanta. Quando mia nonna leggeva di certe ricette immancabilmente commentava con un “I g’ha scoverto l’acqua in canal” che sapeva di vetriolo…CC 2015.09.13 Mangia di stagione 001Oggi andiamo al supermercato ed in ogni momento dell’anno troviamo qualunque cosa, peraltro dalle provenienze più disparate.
Paleontologi ed archeologi fissano in 10mila anni fa la fine del Paleolitico con l’introduzione di agricoltura e allevamento presso alcune società euroasiatiche.
Ma ancora oggi tali pratiche non sono universalmente condivise: Pigmei, Boscimani, Indios amazzonici, Semang malesi vivono tuttora di quanto la natura offre loro spontaneamente. Per essere più precisi resistono all’apparentemente inesorabile avanzata delle società agricole e industrializzate. Il fatto che, ancora oggi, riescano a sopravvivere di sola caccia e raccolta significa che in determinate circostanze ambientali ciò rappresenta uno stile di vita efficiente: se la natura offre spontaneamente del cibo, perché compiere sforzi per procacciarsene altro?
Alle nostre latitudini, dove la natura è stata piegata dall’Uomo per sottostare alle sue esigenze, possiamo ancora trovare numerose specie vegetali selvatiche adatte all’alimentazione. Il loro numero è però in rapida diminuzione in ragione della costante perdita di biodiversità, dovuta principalmente alle logiche di mercato dell’agricoltura intensiva e al sacrificio di interi ecosistemi a favore di aree antropizzate.
La questione sembra apparentemente slegata dalla nostra quotidianità, e invece la nostra stessa esistenza è strettamente dipendente dalla biodiversità.
E così ho anch’io pronunciato il mantra catastrofista tanto caro a chi dovrebbe avere a cuore le sorti del pianeta, nonché i mezzi per potersene occupare salvo non andare oltre il blabla dei proclami e dei convegni…KL Cesec CV 2014.03.04 Ambiente maneggiare con curaIn ogni caso e come sempre le chiacchiere stanno a zero ma i numeri parlano chiaro: dall’anno 1900 ad oggi il 75% delle varietà vegetali è andato perduto, i tre quarti delle risorse alimentari mondiali dipendono da sole 12 specie vegetali e 5 animali e delle 75.000 specie conosciute solo 7.000 vengono usate in cucina. Delle 8.000 varietà censite in Italia nel 1899 ne sono rimaste 2.000.
Dalla fine della II Guerra Mondiale ad oggi delle 400 specie di grano esistenti il 90% sono scomparse. E che dire delle mele? Oltre un migliaio di antiche varietà ha ceduto il passo nell’80% dei casi a 4 varietà: due americane, una australiana e una neozelandese. Lo stesso vale per i pomodori: delle 300 cultivar commercializzate solo 20 sono autoctone. Stessa solfa per le altre solanacee, le cucurbitacee, i legumi e via elencando.
Il nostro Paese, con 57.000 specie animali, pari a un terzo di quelle europee, e 5.600 specie floristiche (il 50% di quelle europee) il 13,5% delle quali endemiche ha un patrimonio biodiverso fra i più importanti. Bene: 138 specie, il 92% delle quali animali, sono a rischio di estinzione a causa del consumo del suolo che erode gli habitat naturali, ed in ragione dell’intensificazione dei sistemi di produzione agricola. L’Italia, capeggiata dalla Lombardia, con il 43,8% di superficie coltivata è il Paese europeo con la maggior estensione di aree agricole. Ma l’abbandono dei sistemi tradizionali e naturali in favore di quelli industriali, l’impiego di sostanze chimiche dannose per il territorio, la logica della crescita infinita stanno abbattendo drasticamente il numero delle specie esistenti e, di quelle rimanenti, le qualità nutrizionali.
La delocalizzazione produttiva, nella quale noi italiani non siamo secondi a nessuno avendo da gran tempo acquisito direttamente o attraverso holding multinazionali immense estensioni di aree nel Sud del mondo, contribuisce inoltre a dare il colpo di grazia alla biodiversità.KL-Cesec - Supermercato - OrtofruttaLe nostre abitudini alimentari, rapportate a quelle dei nostri genitori e dei nostri nonni, sono state rivoluzionate nell’ultimo quarantennio attraverso il mutamento dello stile di vita, le aumentate disponibilità di cibo ed i trattamenti di raffinazione industriale: siamo le prime generazioni della storia ad avere il problema dell’obesità e del diabete sin dalla più tenera età.Cesec-CondiVivere 2014.12.03 Zingari 003Lo sviluppo delle produzioni intensive, delle monocolture e l’evoluzione delle capacità di trasporto hanno comportato che le disponibilità agroalimentari ci consentano di avere in ogni periodo dell’anno qualsiasi prodotto o perché coltivato in serra o perché proveniente da Paesi a stagioni rovesciate rispetto alle nostre.
I prodotti vengono però raccolti con largo anticipo rispetto alla loro disponibilità al banco, e la loro maturazione e conservazione avvengono spesso durante lo stoccaggio ed il trasferimento, non di rado grazie all’impiego di prodotti potenzialmente tossici.
Tutto questo si tramuta in un maggior costo:

  • economico, in quanto il prodotto deve ripagare dei maggiori investimenti compiuti per realizzarlo fuori stagione, per conservarlo o per farlo giungere da lontano fino al nostro Paese;
  • ambientale, in quanto si ha un dispendio di energia e un maggiore sfruttamento di risorse naturali (ad esempio il gasolio usato per riscaldare le serre);
  • nutrizionale, perché ogni tipo di frutta o verdura nasce, indipendentemente dalla volontà umana, per rinfrescare d’estate e riscaldare d’inverno. Pomodori e cetrioli, per esempio, sono tipicamente estivi per tale ragione, mentre carciofi e verze sono tipicamente invernali per la ragione opposta.

Per rieducare ad un consumo alimentare responsabile, salutare ed ecosostenibile l’Assessorato alle Politiche dell’Agricoltura della Provincia di Roma ha promosso una lodevole iniziativa diffondendo un simpatico volumetto di 34 pagine, dal titolo La stagionalità dei prodotti agricoli nella provincia di Roma.CC 2015.09.13 Mangia di stagione 002Di agevole consultazione e gradevolmente illustrato descrive mese per mese i prodotti stagionali, concludendosi con un interessante capitolo sulle conserve e con uno di utili indicazioni che aiutano a consumare prodotti quanto più possibile sani e ricchi dei loro nutrienti naturali. Il volume è scaricabile in formato pdf a questo indirizzo.
Pur esulando dall’argomento della stagionalità, accenno in chiusura alla questione della filiera corta: le sue caratteristiche consentono rispetto della stagionalità, migliore qualità e freschezza del prodotto; l’assenza di intermediari permette inoltre un più adeguato compenso degli addetti, spesso schiacciati dalle politiche della grande distribuzione.

Alberto C. Steiner

Ecososteniblità dell’anima: servono ingegneri per progettare sogni

Ha scritto Franco Arminio, nel suo Geografia commossa dell’Italia interna: “Abbiamo bisogno di contadini, di poeti, di gente che sa fare il pane, di gente che ama gli alberi e riconosce il vento.
Più che l’anno della crescita, ci vorrebbe l’anno dell’attenzione.
Attenzione a chi cade, attenzione al sole che nasce e che muore, attenzione ai ragazzi che crescono, attenzione anche a un semplice lampione, a un muro scrostato.
Oggi essere rivoluzionari significa togliere più che aggiungere, significa rallentare più che accelerare, significa dare valore al silenzio, al buio, alla luce, alla fragilità, alla dolcezza.”CC 2014.04.30 Rinascere 001Questa frase mi ha indotto a rileggere l’articolo Solo attraverso profondi cambiamenti individuali il nostro Paese potrà rinascere, che pubblicai il 30 aprile 2014 su queste pagine (visionabile qui) poiché riconsiderandolo alla luce di mutamenti che non avvengono, di iniziative delle quali tanto si parla ma che sono costantemente al palo e di quella truffaldina bruttura dell’Expo 2015 mi è parso più che mai di viva attualità.
L’articolo nacque sulla scia di interessanti scritti pubblicati in quel periodo dal sito partner Consulenza Finanziaria argomentando di competitività estera e di malcostume delle aziende nostrane, oltre che di gestione del credito bancario.
Oggi più che mai il mondo, visto dal nostro Paese, appare immenso e pauroso perché i suoi equilibri stanno mutando ad una velocità inaudita, e nello scenario sono entrati di prepotenza nuovi protagonisti ben più grandi di noi, alterando antichi equilibri e stravolgendo gerarchie di potere che si credevano consolidate.
Questioni mai incontrate prima chiedono una soluzione, ma le opportunità di cambiamento vengono percepite come pericoli.
È già accaduto: per provincialismo, miopia e furbizia, quando non malafede, degli attori politici ed imprenditoriali nostrani l’Italia è arrivata impreparata alle grandi svolte, perdendo tempo prezioso. Ed anche oggi, se non saremo pronti ad intuire gli scenari del futuro, se non sapremo valutare la direzione del cambiamento nelle tendenze di lungo periodo, rischieremo di prendere una volta di più le decisioni sbagliate. Pagandole a caro prezzo.
Basti pensare che invasione è il termine più usato dagli attuali predicatori dell’Apocalisse: invasione di immigrati clandestini, di prodotti cinesi, di capitali stranieri che ci colonizzano. E non ci accorgiamo che tutto ciò che temiamo è in realtà già accaduto.
Intendiamoci: di fronte ad ogni cambiamento la paura è legittima perché le grandi novità spaventano, possono nascondere delle incognite ed il riflesso automatico ingenera un meccanismo di difesa. Oppure nega il cambiamento.
Per comprendere qualsiasi accadimento attribuendogli l’esatta misura è indispensabile non solo mutare prospettiva, ma anche osservare con distacco come l’oggetto delle nostre attenzioni risuoni dentro di noi comprendendo quali nodi da sciogliere e persino quali antiche ferite faccia vibrare. Solo così è possibile identificare la natura dei presunti pericoli che ci minacciano, stabilire se il modo per difenderci sia l’attacco – che non sempre è la miglior difesa – oppure il lasciarci morbidamente andare, per vincere la sfida senza accontentarci semplicemente di limitare i danni. Vale a dire per vivere piuttosto che accontentarci di sopravvivere.
Esistono anche da noi imprenditori illuminati: sono quelli che spesso non fanno notizia e che insieme con i più attenti osservatori possono tentare di rispondere con sano pragmatismo alle domande offrendo punti di vista nuovi e proprio per questo rivoluzionari.
Ma le scelte da fare non riguardano solo governi, classi imprenditoriali e dirigenti bensì primariamente la vita quotidiana di tutti noi: nel segno di un’Energia nuova e pulita sono tante le riforme dal basso che ciascuno di noi può avviare da subito, e costituiscono un antidoto alla lagnanza, alla rassegnazione, al senso di impotenza che non è mai nelle cose ma dentro di noi. Sono quell’impotenza, quella rassegnazione che respiriamo oggi in Italia nell’attesa sempre delusa di grandi cambiamenti, svolte, catarsi collettive, rinascite nazionali. Che dovrebbe essere sempre qualcun altro ad attuare.
Siamo invece noi che con maturata consapevolezza, impegno civile, consumi responsabili, dobbiamo incamminarci alla ricerca del nostro destino per costruire il nostro futuro. Detto in altri termini: è solo attraverso una profonda revisione dei nostri modelli produttivi, di consumo, sociali, interiori che possiamo agire per scuotere i sistemi politico e produttivo.
Ma se continuiamo a lamentarci attribuendo a chicchessia la responsabilità dei nostri fallimenti e del nostro non andare avanti, non solo resteremo al palo, ma inevitabilmente ci attende una regressione: economica, sociale, delle coscienze, intellettiva.Cesec-CondiVivere-2014.10.07-Medioevo-prossimo-venturoNon ci sono alternative: o ci risvegliamo dal sonno aprendoci ad un nuovo approccio alla qualità della vita, che presupponga un mondo nel quale il punto di riferimento non sia più il pil bensì la decrescita più o meno felice, o siamo dei morti che vagano in paesi dei balocchi, in realtà cimiteri alla portata di chiunque abbia occhi per vedere e cuore per sentire: autobus e metropolitane, centri commerciali, installazioni pseudoculturali di plastica.
Si dice che un intento individuale e decentrato non possa nulla ma non è affatto vero: dai gesti che ciascuno di noi compie ogni giorno possono nascere gli innumerevoli stimoli destinati a mutare il gradiente energetico in grado di sospingere il nostro Paese, e le nostre anime, verso l’ormai indifferibile cambiamento.Cesec-CondiVivere 2014.10.17 Appennino modenese vista suggestivaAltrimenti ci attende quello che da anni chiamo il medioevo prossimo venturo, che non considero una calamità ma un’opportunità ed al quale mi sto felicemente preparando attraverso la progettazione ecosostenibile di luoghi destinati ad accogliere piccole comunità il più possibile autosufficienti.

Alberto C. Steiner

Riabitare Antiche Pietre

Dopo quasi un anno di assenza dovuta a questioni organizzative riprendiamo le pubblicazioni sul blog Riabitare Antiche Pietre:CC RAP 2015.03.30 WP Copertinauno strumento di servizio, tramite il quale proporre soluzioni immobiliari in campagna e in montagna, terreni, aziende agricole dismesse, rustici da recuperare, borghi abbandonati da riportare a nuova vita in qualità di residenze in cohousing, fattorie didattiche, ecovillaggi all’insegna di un’edilizia sostenibile, nel rispetto della Natura e adottando soluzioni tecnologiche non invasive, specialmente per l’approvvigionamento energetico e idrico e per il riscaldamento.
Non trascurabile il fatto che le proposte nascono da situazioni di contenzioso immobiliare, il che rende decisamente meno sensibile l’incidenza del costo di acquisto.
Segnaliamo in particolare il cambiamento della piattaforma da Myblog a WordPress, ed il primo articolo: Riabitare per CondiVivere, che parla di quello che non è un salto nel buio ma nella Luce.

ACS