Arriveremo a bassa quota con il sole alle spalle, e a un miglio di distanza gli sbattiamo la musica: Regione Lombardia entra nel Parco di Monza

La rivista monzese online Vorrei ne scriveva giorni fa in termini di ipotesi, il quotidiano online MB ha riportato ieri la notizia dell’avvenuta firma della delibera che sancisce l’ingresso della Regione nel parco recintato più ampio d’Europa.
Il provvedimento passerà ora all’esame del Consiglio comunale ma “Con la delibera l’amministrazione monzese, comproprietaria del bene insieme al Comune di Milano che ha adottato un analogo provvedimento, si impegna a condividere la proprietà secondo quanto previsto da un’intesa raggiunta tra i due comuni e la Regione” specificano i pretoriani del Comune brianteo.CC 2015.09.25 Parco Monza RegioTradotto in soldoni, perché di quelli si tratta, stiamo parlando di 70 milioni di euro ripartiti nel prossimo decennio, 21 dei quali nel triennio 2015 – 2017, con i quali Regione Lombardia finanzierà interventi di manutenzione, valorizzazione e difesa del polmone verde, “alla promozione di una fruizione attenta e consapevole delle attività svolte nel complesso, nel rispetto delle sue valenze storiche, culturali, paesaggistiche e naturalistiche.” A partire dall’autodromo, perché il G.P. di Formula 1 “svolge un ruolo centrale per la funzione sociale, sportiva e per la rilevante incidenza sull’economia dei territori circostanti.”
A parte il fatto che i ventuno milioni, in sede di accordo si sarebbero inspiegabilmente ridotti a sette, a me viene in mente che per la devastante alluvione che ha colpito il Veneto alcuni mesi fa sono stati trovati quattro risicati soldi. Però è comprensibile: i Veneti mica possiedono una risorsa naturale come l’autodromo, e poi hanno rotto le palle con questa menata dell’indipendentismo…
Mi viene anche in mente, come mi raccontava un amico medico proprio ieri, che il governo, per risparmiare, ha proposto l’abolizione di 180 (centoottanta) accertamenti diagnostici.
Dice: ma questi sono soldi della Regione Lombardia, non dello Stato. Certo, è come a casa mia quando ero ragazzo ed i miei genitori possedevano un panificio, e mia mamma per non fare confusione infilava in bustine di plastica trasparente i soldi per la Barilla piuttosto che per la Saiwa o la farina: sempre dal cassetto del negozio uscivano.
Erano mesi, per non dire anni, che si sentiva parlare in modo nebuloso di progetti per il rilancio dell’Autodromo di Monza, con conseguente stanziamento di settanta o ottanta milioni secondo un progetto caldeggiato dall’Automobile Club e, giusto per non scontentare nessuno, di un progetto collaterale per il Parco. Affidato a una società di consulenza aziendale, mica ad esperti architetti, paesaggisti, naturalisti e agronomi.
Bene, la nebbia è svanita e io, seguendo un’idea che mi ha fornito Vorrei, mi riguardo Cuore di Tenebra, il capolavoro di Conrad che ispirò Apocalypse Now di Coppola.
La platea per gli elicotteri esiste già all’interno del parco, secondo me meriterebbe di essere valorizzata affiancandola ad una pista di decollo per aerei, ovviamente realizzata con tecniche sostenibili.
Per il resto rimando all’apocalittica visione onirica immaginata da Giacomo Correale Santacroce nel citato articolo pubblicato da Vorrei, però con un’avvertenza: quello lì è matto, è un catastrofista, uno schifoso complottista e un disfattista che non comprende le magnifiche sorti e progressive.
Nell’articolo è presente un’annotazione, che trovo inquietante: la condizione posta dalla Regione, espressa attraverso l’affermazione “La sottoscrizione (dell’Intesa) e la conseguente messa a disposizione di risorse da parte di Regione Lombardia sono legate a chiarimenti del Governo (addirittura! n.d.r.) sul mantenimento a Monza del Gran Premio d’Italia di Formula Uno”. Mi associo quindi al slogan pubblicitario: “No Gran Premio, no Park”. Park? No, forse l’articolista si è sbagliato o non conosce bene la lingua d’Albione. Penso volesse scrivere pork…
Fin qui la notizia. La mia opinione di cittadino monzese che vive nella Monza vera, quella del ciuentro, vale a dire quella che finisce al Ponte dei Leoni, non Sant’alessandro, San Fruttuoso o peggio ancora San Rocco: quella non è Monza, è fuffa per poveri, è che i monzesi gongolano. Non tutti, ma quelli che piangono sono pochi e invisibili.
Ah già, dimenticavo la frase pronunciata in Apocalypse Now da Robert Duvall, il tenente colonnello della Cavalleria dell’Aria William Kilgore: “Arriveremo a bassa quota con il sole alle spalle, e a un miglio di distanza gli sbattiamo la musica.” Non è completa. La parte mancante è: “Io uso Wagner, fa cacare sotto i Vietnamiti. I miei ragazzi l’adorano!” Così è, se vi pare.

Alberto C. Steiner

Abbiamo fatto il danno: scoperto il cugino maggiore della Terra

Il telescopio spaziale Kepler della Nasa ha individuato un pianeta situato a 1.400 anni luce dalla Terra e che pare condivida molte delle sue caratteristiche, salvo avere un diametro più grande del 60 per cento. Anche la stella attorno a cui orbita, situata alla medesima distanza con cui la Terra si muove intorno al Sole, ha caratteristiche simili alla nostra stella, pur essendo del 10 per cento più grande e brillante e più vecchia di 1,5 miliardi di anni.Cesec-CondiVivere 2015.07.23 Kepler 542b 001Lo ha annunciato la divisione scientifica della Nasa in una conferenza stampa definendolo il pianeta il più simile alla Terra finora osservato.
Chiamato Kepler 452b, che è come dire il 452 barrato, sarebbe proprio un pianeta fratello, cugino, gemello da colonizzare. Evviva, anzi no: siamo rovinati.
Già immagino concioni, sermoni e dibattiti: “Grandi possibilità di esplorare questo pianeta a soli 1.400 anni luce da noi!” mentre Salvini, come al solito, metterà le mani avanti: “Si, ma aiutiamoli a casa loro.”
Aspettiamoci la crescita esponenziale di movimenti e sette di ogni specie e sottospecie il cui fine sarà quello di partire per fondare, sul nuovo corpo celeste, nuove civiltà eco bio bau veg niueig pissendlove: grado di difficoltà E, consigliati giacca a vento leggera e calzature da trekking, colazione al sacco, rtrovo alle ore 05:00 davanti alla chiesa di Santa Maria Nascente.
Non mancherà chi, seduto nell’immancabile posizione del Lotto – ma vanno bene anche Conciliazione, Cordusio e Villa San Giovanni: in fondo si tratta di traghettare – alzerà la manina porgendo il palmo per accogliere la Luce astrale mentre altri saranno finalmente certi che colà sostarono i Pleiadiani prima di giungere a noi. I potentissimi telescopi nasali avrebbero infatti individuato  le tracce di quello che sembra un campo base, con iscrizioni attestanti senso di protezione, prosperità, nutrimento ed in particolare una, che raffigurerebbe inequivocabilmente due mammelle puntate verso il cielo a significare apertura di Bellezza verso una Nuova Visione.Cesec-CondiVivere 2015.07.23 Kepler 452b 002Non mancheranno, infine, coloro che si suicideranno in massa convinti di assurgere a nuova vita sul Pianeta dell’Amore Universale: ciao ciao, ma passate prima dal nostro notaio.
La questione seria è un’altra, credo: abbiamo finalmente l’opportunità di colonizzare e impestare un nuovo mondo. Perché mai affannarci a salvaguardare questa vecchia Terra ormai asfittica?

ACS

Sharing economy: una pericolosa “alternativa”.

A fronte di 90mila italiani che affittano per brevi periodi la propria casa evitando così di essere costretti a saltare le rate del mutuo, duemila Bed & Breakfast accetterebbero di essere pagati con un baratto senza presentare il conto agli ospiti.
E se centinaia di migliaia di persone abbattono le spese di viaggio del 75% caricando in auto passeggeri che non conoscono, sette milioni di persone nel mondo dormono gratuitamente in casa d’altri al posto di pagare un albergo. Numerosissime famiglie tedesche, invece di fare la spesa, consumano alimenti da altri ritenuti superflui,  risparmiando 400 euro mensili.Cesec-CondiVivere 2015.06.06 sharing economy pericolosa alternativa 001Ma non è finita: questi sono solo alcuni esempi della sharing economy, l’economia della condivisione che sta diventando il nuovo paradigma economico basato sullo scambio, sulla condivisione e sulla collaborazione che, secondo alcune stime, sembra valga almeno 110 miliardi di euro e sia in crescita del 25 per cento ogni anno.
È la tesi sostenuta da Gea Scancarello in Mi fido di te, libro edito da Chiarelettere che si definisce un viaggio nelle opportunità create dai nuovi network che offrono servizi legati all’economia collaborativa. Il tutto raccontato direttamente da chi ha provato house sharing, carpooling, social eating, foodsaving e via condividendo.
Concordo sul fatto che, nel pieno della crisi che attanaglia sistemi produttivi e consumatori, l’economia dello scambio contribuisca a ripensare il capitalismo in una logica redistributiva, nella quale i costi si trasformano in risorse e le persone possono riappropriarsi di occasioni economiche e sociali.
Ma, a parte il fatto che sarebbe stato bello leggere questo libro in italiano invece che infarcito di inutili anglicismi, in tutto devono esserci dei limiti. Primi fra tutti la propria integrità, ovvero il proprio Spazio Sacro, e la consapevolezza che non tutto ciò che viene contrabbandato come alternativo è oro che luccica. Mi spiego: questo modello ci porta a diventare accattoni credendo di essere fuori dal coro, ci fa smarrire il senso del lavoro e della sua dignità, non ci fa alzare la mattina determinati a costruire perché qualcosa comunque accadrà.
Ovvero: non preoccupiamoci se il nostro diritto al lavoro verra’ gradualmente smantellato, del resto il lavoro è pena, costrizione e sfruttamento e, mettendo insieme un po’ di reddito di cittadinanza e un po’ di elemosina barattata in giro, dovremmo riuscire a sfangare la fine del mese.
E poi io, scusate, ma non mi fido di uno che non solo non so come guida, non so se e come sia assicurato e non so infine se nel portabagagli trasporti un quintale di fumo.
E se i gestori di B&B vogliono svilire la loro professionalità regalando il soggiorno in cambio… in cambio di che? Dormo due notti e gli ridipingo le pareti? Ma figuriamoci, loro dimostrano di non valorizzare adeguatamente la risorsa imprenditoriale sulla quale hanno investito, e io in compenso so di non valere nulla come imbianchino.
Trovo che questo libro, al di là delle buone intenzioni, sia un inno al pressapochismo ed alla mancanza di professionalità ma, se decidiamo di vivere in una comune o in una setta di matrice orientaleggiante dove la condivisione è totale abbiamo fatto bingo. Peccato che gli hippies siano morti di vecchiaia e di stenti, tranne i più furbi che son diventati guru, e siano rimasti solo gli straccioni con la presunzione di insegnare agli altri come essere alternativi.
Oltretutto seguendo il percorso indicato nel libro si fa il gioco del potere più bieco, quello che oggi non è più neppure capitalista ma iperfinanziario, che vuole una massa di beoti non pensanti, amorfi, privi di iniziativa e massificati in ogni senso verso il basso come i negri (sissignori, ho scritto negri: consultare il Devoto-Oli) ridotti a vivere in attesa degli aiuti umanitari. L’iniziativa, signori, non consiste nello svegliarsi la mattina per andare a cercare la carità mascherata da new economy. Da delettare, libro e modello.

Lorenzo Pozzi

Expo: la Carta (triplo velo) di Milano

Per chi dovesse domandarsi come mai Coca Cola è l’offical soft drink partner dell’Expo, abbiamo la risposta.
Proviene dal disclaimer che ne motiva la cooptazione: “In virtù del suo impegno sul fronte dell’innovazione e della crescita sostenibile capace di generare ricchezza per la comunità, tutelando le risorse utilizzate e incoraggiando consumi e stili di vita equilibrati…”.
Quindi, vediamo per una volta di non essere maligni, visto che caffeina e bollicine nutrono il pianeta e, tra un ruttazzo e l’altro, contribuiscono a risvegliare le fervide menti che hanno partorino nientepopò… come niente popò? No, non quel popò, lasciateci finire… nientepopodimenoche laCesec CondiVivere 2015.05.17 Carta di Milano 001Il documento elenca gli impegni che dovrebbero costituire l’eredità di Expo 2015 sulla lotta alla fame. Bene, e allora? si chiederanno i lettori… E allora non ci siamo. Non vi si parla di land grabbing e nemmeno di speculazione finanziaria sulle materie agricole. Insomma, l’ennesima dimostrazione che il problema dell’economia globale è la sudditanza del potere politico e delle istituzioni alle lobby finanziarie. Ricordate il nostro articolo Land Grabbing e vergini dai candidi manti pubblicato qui nel non sospetto 29 novembre 2013?Cesec CondiVivere 2015.05.17 Carta di Milano 002Torniamo al testo che, presentato a Milano alla vigilia dell’inizio dell’esposizione universale, contiene tutte affermazioni di buon senso, che chiunque salvo  forse Monsieur de la Palisse che ne rivendicherebbe lo spirito promotore, sottoscriverebbe (cliccare qui per il testo completo).
A leggerla bene, però, c’è un aspetto che in questa Carta di Milano lascia profondamente perplessi: è scomparso ogni riferimento al tema della finanza, che pure c’era nel Protocollo di Milano sull’alimentazione e la nutrizione, quell’iniziativa promossa dal Barilla Center for Food and Nutrition con la collaborazione di tante personalità e sigle della società civile, al quale la Carta di Milano si è ispirata e che cita espressamente fra le sue fonti. Come se l’uso del denaro non avesse nulla a che fare con l’alimentazione…
Più in generale è tutto il tema della crisi globale iniziata ormai nel 2008, e che ha pesato sui prezzi alimentari e quindi sull’accesso al cibo e la fame, a rimanere fuori dal documento, come se non c’entrasse nulla con la sfida Nutrire il pianeta energia per la vita.
Condividiamo l’opinione espressa da Leonardo Becchetti, professore di economia politica a Tor Vergata e promotore della Campagna 005: “È l’ennesima dimostrazione che il problema numero uno dell’economia globale è la sudditanza del potere politico e delle istituzioni a lobby finanziarie più grandi degli stati. Ci vorrà tempo prima di riavere un vero equilibrio dei poteri ma ci dobbiamo riuscire. E il tutto avverrà quanto più i cittadini impareranno a votare con il loro portafoglio per la finanza veramente al sostegno dell’economia reale. Intanto assistiamo allo scandalo di una parte del mondo finanziario arrogante ed autoreferenziale, che non si rende minimamente conto di come meglio potrebbero essere usate le immense risorse a disposizione per salvare vite umane e promuovere sviluppo sostenibile“.Cesec CondiVivere 2015.05.17 Carta di Milano 003Il tema del rapporto tra cibo e finanza è un grande nodo del mondo di oggi: la corsa ad acquistare terreni agricoli nel Sud del mondo e la volatilità dei prezzi nei mercati delle materie prime agricole, sono fattori che generano fame. E hanno a che fare con un certo modo di fare finanza, molto più vicino al nostro portafoglio di quanto crediamo.
È scritto nel Protocollo di Milano, varato il 3 aprile scorso: “Le parti si impegnano a identificare e proporre leggi per disciplinare la speculazione finanziaria internazionale sulle materie prime e la speculazione sulla terra, oltre che a proteggere le comunità vulnerabili dall’accaparramento della terra (land grabbing) da parte di entità pubbliche e private, rafforzando al contempo il diritto all’accesso alla terra delle comunità locali e delle popolazioni autoctone“.
Quell’impegno preciso non compare più tra quanto la Carta di Milano richiede con forza (!) a governi, istituzioni e organizzazioni internazionali, ma si parla solo genericamente di rafforzare le leggi in favore della tutela del suolo agricolo, per regolamentare gli investimenti sulle risorse naturali, tutelando le popolazioni locali. Non è esattamente la medesima cosa…
Anche nella sezione Impegni, esclusa una rapidissima evocazione della questione dell’accesso al credito, non compare nulla che abbia a che fare con la parola finanza. Quasi che questo mondo fosse un’entità a sé stante, le cui scelte non hanno ricadute concrete sull’agricoltura e sul mercato dei prodotti alimentari.
Vedremo che accadrà nel corso dell’appuntamento organizzato per il 22 prossimo a Milano dalla Campagna Sulla Fame Non Si Specula: noi speriamo solo che una manifestazione pacifica non finisca come un certo G8 di tristissima memoria.

Alberto C. Steiner

L’Expo che verrà: ci sarà da mangiare…

Però riguardo alla luce tutto l’anno nulla sappiamo… Inaugurazione dell’Expo di Milano prevista per il primo maggio prossimo: 130 paesi partecipanti e centinaia di aziende si daranno appuntamento per riflettere e pianificare il futuro dell’alimentazione, con l’obiettivo di nutrire il pianeta, focalizzandosi sull’asse principale del diritto ad un’alimentazione sana, sicura e sufficiente per tutti gli abitanti della Terra.Cesec-CondiVivere 2015.03.26 Expo 002Così dicono gli slogan, ma sarà la verità? Sui media leggeremo resoconti, ma difficilmente affidabili visto che molti di questi saranno profumantamente pagati dagli stessi organizzatori di Expo. Il nostro parere, per usare un garbato eufemismo, è che i presagi non sono buoni.
Anzitutto sarà l’Expo delle multinazionali. E non potrebbe essere diversamente. Basta scorrere l’elenco dei partecipanti per capire come dietro allo slogan nutrire il pianeta si celi lo stesso clan che da decenni il pianeta lo affama o lo (mal)nutre di cibo di dubbia qualità e di sicura insostenibilità ambientale. Pensiamo solo al fatto che anche McDonald’s sarà presente a Expo come espositore e come sponsor, ed alle altre grandi firme già in prima fila: Barilla, tramite la propria fondazione Barilla Center for Food & Nutrition, si occuperà addirittura di coordinare i lavori per la stesura del protocollo mondiale sul cibo, insieme di linee guida per la produzione sostenibile di cibo per il pianeta. Come chiedere all’oste se il vino è buono…
Ma Expo ha siglato anche una partnership con Nestlè che, attraverso la controllata San Pellegrino, diffonderà 150 milioni di bottiglie di acqua con la sigla Expo in tutto il mondo; l’impronta ecologica di ogni litro di acqua in bottiglia è da 200 a 300 volte più impattante di quella del rubinetto, non ci pare quindi una grande idea sponsorizzare un’ulteriore crescita dei consumi di plastica.
Nestlè inoltre, per chi non lo sapesse, promuove da qualche anno l’istituzione di una Borsa per l’acqua, strutturata esattamente come quella del petrolio. In pratica, come andiamo da tempo sostenendo, la borsa della sete, suscettibile addirittura di innescare conflitti armati per l’appropriazione di questo bene irrinunciabile. In parte già avviene a Chicago.Cesec-CondiVivere 2015.03.26 Expo 001E veniamo agli sponsor. Poiché Expo significa visibilità numerose multinazionali hanno donato grandi quantità di denaro all’organizzazione. Tra queste Ferrero con 3,8 milioni di euro, Coca-Cola con 6 mlioni e un contributo del 12% per ogni lattina venduta nel suo padiglione, Nestlè-San Pellegrino 5 milioni di euro, Illy 4,7 milioni e persino Martini con 1,2 milioni, in quanto è noto che gli aperitivi costituiscono un ottimo metodo per smorzare i morsi della fame, soprattutto nel terzo mondo. Non poteva mancare l’ineffabile Coop, che ha speso più di tutti: 12,4 milioni di euro per aggiudicarsi la qualifica di Official Food Distribution Premium Partner. Mica pizza e fichi, la qualifica consente di allestire all’interno dell’ambito fieristico uno spazio espositivo denominato Il supermercato del futuro.
Quanto alla comunicazione si sa, giornali e televisioni puttane sono, puttane restano e da puttane si comporteranno. Ce n’è per tutti: 5 milioni di euro per mamma Rai, 2 a Feltrinelli, 850mila euro a Mondadori, mezzo milione a Corriere della Sera e Repubblica, poco meno per Ansa, e poi a scendere Mediaset, Tm News, Il Sole 24 Ore, Il Foglio, Il Giorno. Seguono altri in ordine sparso, e non siamo al Giro d’itaGlia, senza dimenticare che 55 milioni sono già stati asssegnati a vari media nazionali in una operazione che puzza palesemente di investimento mirato a comprare un miglioramento nell’immagine di Expo dopo i tanti scandali. Giusto per dovere di cronaca: non è stata indetta nessuna gara d’appalto.
E con questo il rigore giornalistico nel denunciare eventuali nuovi scandali nell’organizzazione è garantito. Possiamo stare sereni.Cesec-CondiVivere 2015.03.26 Expo 003La grancassa mediatica ha sempre parlato, addirittura, di 100mila posti di lavoro. Si, come il milione di quelli berluscoidali… addirittura 102mila secondo una ricerca dell’Università Bocconi. A quanto pare gli unici ad aver trovato da lavorare durante l’Expo sono coloro che hanno accettato di farlo gratis: un esercito di oltre 16mila volontari, rimborsati con un buono pasto al giorno. E qui, ci dispiace dirlo, ma chi vuol esser schiavo sia…
Gli assunti regolari da parte dell’organizzazione sono solamente 793, con contratti a termine per la durata della fiera e con salari tra i 400 e i 500 euro mensili.
Però qualche vantaggio l’Expo lo ha comunque portato, alle imprese che hanno cementificato selvaggiamente, infierendo l’ennesimo colpo al già devastato territorio lombardo: 1.700.000 metri quadri di superficie per gli stand, 2.100.000 per strutture di servizio e supporto sull’area ex Alfa Romeo di Arese, opere ricettive per un fabbisogno stimato di 124.000 posti letto al giorno, realizzazione della terza pista a Malpensa e collegamento diretto Malpensa-Fiera, parcheggi presso il sito Expo e in corrispondenza di nuovi centri di interscambio, nuove tangenziali per Milano, Pedemontana e BreBeMi per complessivi 11 miliardi di investimenti per progetti già completati o in corso di realizzazione. Un’immane opera di smantellamento del patrimonio agricolo lombardo, destinata a segnare per secoli quella che un tempo era una delle pianure più verdi d’Italia.
Però ci saranno il laghetto circondato da prati e un nuovo naviglio che farà assomigliare tutto alla Venezia di Las Vegas. Non è vero: a tutt’oggi pare che il lago non vedrà mai la luce, mentre per quanto riguarda i nuovi navigli si stanno ancora cercando i soldi.
Se, inoltre, a un soggetto come Vittorio Sgarbi sono stati versati quasi due milioni per imprecisati progetti culturali, alla bolognese Best Union, strettamente collegata a Comunione e Liberazione è stata attribuita la vendita in esclusiva dei biglietti on-line. Ovvio, senza gara… ma che domande fate?
Per quanto riguarda il magistrato Raffaele Cantone, nominato come commissario straordinario anticorruzione quando i buoi erano già scappati, ha certificato anche grazie alla collaborazione della DNA, l’antimafia, come ben 46 aziende collegate alla malavita, 32 delle quali affiliate alla vera padrona di Milano, la ‘ndrangheta, siano riuscite ad aggiudicarsi appalti per oltre 100 milioni di euro.Cesec-CondiVivere 2015.03.26 Expo 004E se è vero che i posti di lavoro direttamente creati dall’Expo saranno solo una manciata e mal retribuiti pare però che migliaia ne arriveranno dall’indotto, tra bar, hotel, cooperative di costruzione, eccetera e sino alle immancabili slot. Sarà… fatto sta che per ora l’unico settore che incrementerà i propri guadagni sarà quello della prostituzione. Secondo un’inchiesta del Corsera saranno addirittura 15mila le professioniste del sesso a pagamento che sbarcheranno a Milano per allietare le pause dei milioni di turisti previsti per l’evento. E anche in questo caso, ovviam,ente, ci sarà lo zampino della malavita.
Bene, questo è quanto. Sono alcuni anni che ne parliamo, per la precisione da quando Milano presentò la propria candidatura. Siamo stati trattati da cinici e retrogradi profeti di sventura, esattamente come il mondo della politica e degli affari ha trattato i vari comitati territoriali che si sono opposti all’Expo.
E parliamoci chiaro: associazioni, comitati di quartiere, centri sociali, intellettuali (quelli non mancano mai) non servono più a niente. Dovevano svegliarsi prima, rischiando e battendosi come hanno fatto i Valsusini contro la TAV, non secondo la protesta alla milanese: a chiacchiere e spritz da Radetzky o al Rosmarino.

Alberto C. Steiner

L’Africa morirà. Questo come la fa sentire? Non colpevole.

Accade di parlare della devastazione di cui sono preda i paesi del Sud del mondo e, inevitabilmente, il discorso vira puntando ai sensi di colpa che attanaglia certi occidentali: colpa nostra se sono ridotti così, li abbiamo per secoli colonizzati, sfruttati, ridotti in schiavitù.Cesec-CondiVivere 2014.12.06 Africa 001Per quanto mi riguarda mi dichiaro non colpevole. Penso anzi che per certi aspetti l’epoca delle colonie fu migliore di quella attuale, almeno le cose erano chiare e non esistevano democrazie di paglia, in realtà feudo di satrapi locali fantocci rapaci e feroci nelle mani di istituzioni finanziarie internazionali. Meglio ancora se li avessero lasciati in pace, ma questo è un altro discorso.
Oggi assistiamo ad una nuova colonizzazione di quei paesi, perpetrata da paesi che furono a loro volta colonizzati: e trattasi di una colonizzazione senza né pudore né ritegno, che va sotto il nome di land grabbing.Cesec-CondiVivere 2014.12.06 Land grabbingE la finanza dai denti a sciabola, indossato il vestitino ecosostenibile nonché solidale per non lasciarsi sfuggire il pallino e il boccone, ci marcia. Lanciando social impact investment, massiccie campagne di fund raising e via enumerando. Della serie: der Wolf, das Haar verliert… Non mi dilungo, ne ho scritto esaustivamente il 29 novembre 2013 nell’articolo Land Grabbing e vergini dai candidi manti dove, chi avrà voglia di leggerlo, ҄troverà illuminanti considerazioni sul povero negretto espresse da un amico di origine centroafricana, presidente di un’associazione che tenta di dare una mano alle popolazioni dell’Africa più povera.
E vengo al punto. Serge Latouche, avversario tra i più noti dell’occidentalizzazione del pianeta e sostenitore della decrescita e del localismo, racconta nelle sue memorie che un giorno un’anziana donna del Benin gli chiese: “Ma quando tornate voi francesi?” a significare che il paradosso africano seguiterà a congiungersi tragicamente a quello occidentale fintanto che la cultura occidentale si manterrà solo grazie al desiderio del resto del mondo di entrare a farne parte.Cesec-CondiVivere 2014.12.06 Africa 002Un progetto globale di socetà autonoma e fondata sulla decrescita deve ormai interessare anche i Paesi del Sud del mondo, considerato che oggi siamo di fronte all’evidenza di quanto Albert Tévoédjrè denunciò già nel 1978 nel volume La povertà, ricchezza dei popoli: l’assurdità del mimetismo culturale e industriale, i falsi bisogni, l’assenza di misura della società della crescita, la disumanizzazione dei rapporti sociali dominati dal denaro, la distruzione dell’ambiente elogiando nel contempo la sobrietà dell’autoproduzione delle piccole comunità tradizionali, come quella africana da lui ben conosciuta.
L’auto-organizzazione degli esclusi dalla modernità costituisce un esempio di costruzione di società autonoma, ed economa, in condizioni di infinita precarietà, che non deve quasi nulla alle élite locali. Un’alternativa autentica, costretta suo malgrado a subire la persistente minaccia di una globalizzazione arrogante e bellicosa.Cesec-CondiVivere 2014.12.06 Africa 003Dopo aver corrotto l’Africa ufficiale, la colonizzazione dell’immaginario minaccia sempre più anche quell’altra: media internazionali, radio, televisione, internet, finanza assistenzialista erodono la coesione sociale al punto che – ancora oggi – i paradisi posticci del Nord del mondo appaiono ai giovani ben più appetibili rispetto al loro inferno locale.
L’invasione di beni di consumo cinesi a prezzi stracciati mette anche qui in crisi quegli artigiani del riciclo che avevano battuto la concorrenza delle esportazioni europee, mentre i processi di emulazione minano la solidarietà che cementava l’universo alternativo.
E infine: macchine scassate, telefonini fuori uso, computer riciclati, rifiuti di ogni sorta dell’Occidente. Una società dei consumi di seconda mano che come un cancro divora le esistenze, segnata da un inquinamento dilagante senza né misura né ritegno. Chi in queste condizioni non sarebbe incazzato e divorato dal desiderio di rivalsa?
E tutto questo senza abdicare a quanto scrissi su queste stesse pagine il 14 marzo scorso nell’articolo intitolato Africa: quando i regali sono inutili.
L’unica speranza rimane la crisi in atto: che colpisca definitivamente i paesi del Nord, in tempo per lasciare al resto del mondo un po’ di speranza.
Certo, noi Occidentali non andremo più in vacanza alle Seychelles. Del resto già oggi è sempre più difficile andarci alle condizioni che ci siamo imposti nell’età dell’oro del consumismo chilometrico, che appartiene ormai al passato.
Chi si ricorda più di quando il compassato Financial Times sottotitolò Il turismo sarà considerato sempre più il nemico pubblico numero uno dell’ambiente l’articolo Welcome to the age of less a firma di Richard Tomkins pubblicato il 10 novembre 2006? Accadde allorché Richard Branson, fondatore di Virgin, lanciò l’idea dei viaggi turistici spaziali.
Che il gusto di viaggiare e il desiderio di avventura siano parte dell’animo umano va benissimo. Costituiscono una fonte di arricchimento che non deve inaridirsi, ma la curiosità legittima e il desiderio di conoscenza si sono trasformati in consumo commerciale e distruttivo dell’ambiente, della cultura e del tessuto sociale dei paesi target dell’industria turistica. Oggi qualsiasi bifolco, purché possa permetterselo, può andare ovunque e tornare sentenziando “ho fatto” lo Yucatan, piuttosto che lo Yemen o il Chenesò senza aver visto altro che il resort nel quale era confinato e il paesaggio dal finestrino del Land Cruiser che lo porta spot da qualche parte, può ammorbare vicini, conoscenti e amici con i propri inutili selfies, senza aver compreso un accidente del luogo che non ha visitato, e non lasciare nulla di suo, tranne qualche dollaro di elemosina in mance, acquisti di paccottiglia o, nei casi peggiori, uso sessuale di minorenni.
La mania di spostarsi sempre più lontano, sempre più rapidamente, sempre più spesso, e spendendo sempre meno, questo bisogno in gran parte artificiale indotto dal nulla, esacerbato dai media, sollecitato dai tour operator e da tutto l’indotto della macchina turistica deve essere ridimensionato.
Essendo di rapina, questo turismo non è rispettoso dei paesi visitati e dei loro abitanti, e non è assolutamente vero che costituisca un aiuto: per ogni 1.000 Euro spesi per una vacanza solo poco più di 150 rimangono nel paese ospite.
In futuro, anzi già sta accadendo ora, la penuria di risorse energetiche ed economiche, i cambiamenti climatici, le tensioni politiche e sociali ci imporranno di viaggiare sempre meno lontano, meno spesso e meno rapidamente. E a prezzi sempre più alti.
In realtà la prospettiva è drammatica solo per chi deve colmare il vuoto e il disincanto indotti da chi tenta di farci vivere sempre più virtualmente, viaggiando però concretamente a spese del pianeta.Cesec-CondiVivere 2014.12.06 Africa 004Forse è arrivato il momento di riappropriarci della saggezza. Ma come sempre 90/10: ci sarà chi soccomberà e chi no.
Intendiamoci, non sono un Templare della Decrescita, però possiedo una grave limitazione: penso. Oltretutto con la mia testa, e non mi importa il classico accidente se le mie opinioni, e soprattutto il mio sentire, sono fuori dal coro. Anzi.
In ogni caso non mi piacciono i fervorini annegati nella melassa dello sviluppo sostenibile, che denunciano la frenesia delle attività umane o l’imballarsi del macchinario del progresso del quale, se sicuramente non siamo il motore, siamo però gli ingranaggi e perfino i lubrificatori e gli addetti al rifornimento.
Andremo a sbattere contro il muro, prima o poi, ed io sinceramente spero più prima che poi, in modo che questo Moloch criminale e criminogeno vada in pezzi. Così potremo, con qualche utile frammento recuperato, ricostruire un mondo veramente sostenibile. Fino alla prossima volta.
Oggi ci vengono proposti obbrobri come lo sviluppo sostenibile, continuamente invocati in modo incantatorio e che mi sono stancato di chiamare ossimori ma ai quali preferisco attribuire il nome che meritano: truffe, per convincerce del cambiamento in corso attraverso una rottura tranquilla, utile solo a mascherare il non cambiamento. Per mantenere intonsi i profitti, evitare il mutare delle abitudini e cambiare rotta di pochi gradi, giusto per far vedere ai crocieristi che la scia si è modificata, mentre il pianista nel salone delle feste strimpella con sempre maggiore fervore.
Forse la verità è che si preoccupano per noi e non vogliono renderci infelici… E invece sarebbe una gran cura, addirittura la migliore delle cure possibili: una bella stramusata di realtà che ci metta una volta per tutte di fronte alla fatica di vivere, allo specchio dove riflettere tutta l’inutilità dei giocattolini dei quali ci circondiamo per compensare l’orrore del vuoto, il terrore del silenzio.

Alberto C. Steiner