Pane, origini della vita e spreco alimentare.

Proponiamo questo articolo, decisamente prenatalizio perché tra pochi giorni tavole imbandite, cibi tradizionali, chi ha mangiato che cosa e dove, chili da smaltire a gennaio costituiranno la notizia. Noi preferiamo invece parlare di un unico soggetto, semplice e fortemente evocativo: il pane.KL-Cesec - Non di solo pane 1Non di solo pane, progetto pluriennale situato tra le iniziative di Expo 2015 al quale partecipano fotografi, pittori, scultori, videomaker, designer uniti attorno al tema del pane: cibo, ma anche elemento culturale ed immateriale rappresentativo della sostenibilità sociale, ambientale ed economica. Il pane è connaturato alla nostra simbologia evolutiva, religiosa, economica, è il lievito sociale che arricchisce la comunità, è cibo per tutti ma è anche il pane che manca, è la memoria della fame, della guerra, della povertà, di buone e cattive abitudini, di sprechi imperdonabili.La proposta stimola sui temi dell’alimentazione, dei consumi, degli stili di vita attraverso una mostra collettiva che percorre il tempo, possiede una profonda valenza rituale ed è spunto di meditazione perché mediante segni, simboli, forme e materiali, attraverso la storia del pane riporta alle radici dell’Uomo che parte dalla Terra assimilata alla Madre poiché simbolo di fecondità, fertilità e nutrimento.KL-Cesec - Non di solo pane 2Dal nomadismo agli insediamenti stanziali all’emigrazione in cerca di cibo, il pasto consumato collettivamente si arricchisce di nuovi rituali diventando esso stesso rito, e la tavola luogo dove accogliere, condividere, esprimere cultura od esibire il proprio status.
E dalla tavola al luogo paradigmatico dei tempi in cui viviamo, simbolo di spreco, consumismo superficiale e disattento, metafora della disgregazione in un’alternanza di significati che mettono a confronto il valore che attribuiamo al cibo, paradosso di un’epoca ricca di contraddizioni: la discarica.
Siamo partiti da questa mostra, ottimamente allestita, per riprendere uno dei nostri temi fondamentali ricordando che un terzo degli alimenti finisce nella spazzatura, e che per limitare questo spreco basterebbe imparare a fare meglio la spesa e a conservare correttamente gli acquisti.
Se ad accumulare in casa prodotti vecchi, non scaduti ma considerati di dubbia bontà, per esempio perché aperti da molto tempo, sono soprattutto i single, lasciar scadere i prodotti prima di consumarli è prerogativa delle famiglie con figli, che fanno maggiori scorte in dispensa. Nessuno sfugge agli avanzi, gettando le porzioni di cibo rimaste dopo i pasti.
E ce n’è per ogni tipologia di alimento: frutta e verdura vanno a male perché spesso acquistate in quantità maggiore del necessario, o perché non conservate correttamente; il latte a lunga conservazione scaduto finisce nella spazzatura insieme allo yogurt ed a pezzi di formaggio avanzati e ricoperti di muffa; vengono buttate non solo le bibite aperte e non consumate nel giro di qualche giorno ma persino il vino, specialmente se rosso, mentre scatolame, conserve, sughi, farine, legumi secchi vengono scartati se scaduti o considerati vecchi.
Anche i surgelati vengono buttati se ci accorge di averli nel freezer da troppo tempo o quando, una volta scongelati, cambiano colore ed emanano cattivi odori, non di rado perché dimenticati nel frigorifero.
La carne è invece un alimento che si butta raramente: viene conservata in frigorifero o nel congelatore, mentre il pesce viene acquistato per il consumo immediato e difficilmente viene congelato, raramente sprecato.
E concludiamo la carrellata con il pane: ancora oggi fa sentire particolarmente in colpa buttarlo, è perciò difficile che finisca nella spazzatura.KL-Cesec - Bueo marso e sprecoStabilire quale sia il male peggiore, tra il cibo-spazzatura e la quantità di cibo che finisce nella spazzatura, è arduo anche se gli effetti del primo problema si stanno ridimensionando grazie alla sempre maggiore attenzione dedicata al nostro benessere e alla qualità di ciò che portiamo in tavola.
Per quanto riguarda lo spreco distrazione ed insensibilità regnano sovrane, come se ciò non avesse a che fare con la nostra salute e con quella del pianeta. I dati sono sconcertanti: nel mondo finiscono nella spazzatura 1,3 miliardi di tonnellate di cibo, in pratica un terzo di quanto prodotto. Lo ha recentemente denunciato la Fao, l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura, nel suo ultimo Rapporto sulle conseguenze ambientali dello spreco di prodotti alimentari. Crisi o non crisi, ciò significa che acquistiamo più cibo di quello che realmente ci occorre, dissipando più risorse naturali rispetto a quelle strettamente necessarie.
Conseguentemente produciamo più rifiuti di quelli che altrimenti produrremmo, rifiuti da smaltire, riciclare, recuperare. Operazioni che hanno a loro volta un costo e un impatto sull’ambiente e sulle risorse disponibili per noi e per le generazioni future. La Fao ha anche calcolato le conseguenze economiche dirette di questi sprechi: ammontano alla cifra mostruosa di 550 miliardi di euro l’anno.
Per capirci, 550 miliardi di euro costituiscono l’ammontare dei crediti che Equitalia avrebbe da riscuotere, a 557 miliardi assomma il costo previsto per realizzare la linea 5 della metropolitana milanese.
Ma, oltre alle implicazioni ecologiche ed economiche, non va sottovalutata quella etica: un terzo di tutto il cibo che viene prodotto nel mondo va perduto quando vi sono 870 milioni di persone che sono, letteralmente, alla fame. E quanto ciò sia ingiustificabile lo sappiamo tutti, dal momento che gettare nella spazzatura anche solo un pezzo di pane è motivo di disagio, anche se meno che in passato. Lo spreco alimentare è un argomento tabù quando ci riguarda personalmente. Infatti, quando parli con qualcuno, nessuno ammette di buttare cibo, anzi. Tutti a mettere le mani avanti: “Io non butto niente, se mi accorgo che qualcosa sta per scadere la congelo” oppure: “riutilizzo gli avanzi per preparare torte salate“. Salvo poi scoprire, se ci si prende la briga di tenere un diario alimentare, che nella pattumiera finisce di tutto.KL-Cesec - Supermercato - OrtofruttaIl buongiorno si vede dal mattino… e il mattino, nel nostro caso, è la spesa al supermercato dove solo una sparuta minoranza arriva con la lista, dove un sacco di gente si fa prendere dalle offerte promozionali (sono fatte apposta!) e dalle confezioni maxxxi, maxi-risparmio, dove tantissimi cedono alla seduzione di slogan salutisti e nutrizionisti di prodotti alla Mulino Bianco.
Del resto è noto che i GOI, Gruppi Operativi Incursori, del marketing sono abilissimi a farci diventar scemi fin da piccoli. E’ storia di questi giorni prenatalizi, ed ha un nome, ovviamente quanto mai evocativo: Sugar, zucchero. Trattasi di un’assolutamente inutile foca meccanica dall’iniziale esorbitante costo di oltre 100 euro (già ribassato del 50% da Coop, Auchan e persino dalla blasonata Rinascente) proposta al target di riferimento – da 3 a 6 anni – attraverso ridondanti pubblicità televisive che mostrano fiabeschi paesaggi innevati con tanto di igloo e bambina felice. Ci è accaduto di assistere a veri e propri pianti greci, in special modo di bambine, intrippate dal desiderio di avere quel gioco. Che non sviluppa nulla, non fa nulla a parte due o tre movimenti che nemmeno il Big Jim dei nostri tempi, per intenderci quello che poteva calciare un pallone grazie ad un pulsante sulla schiena, non serve a nulla, non è interattivo, e presumibilmente dopo tre giorni finisce nella cesta dei giochi dimenticati…
Ok, atto dovuto… e poi in questi tempi di insicurezza e di paura c’è la sindrome della dispensa vuota. Abbiamo assistito a veri e propri assalti ai forni di manzoniana memoria, in questi giorni di terrore indotto dal 9 dicembre, neanche fosse la profezia dei Maya: l’Italia si ferma! e noi che ci divertivamo come monelli a gridarci, da sei metri di distanza: “serve il sedano?” “nooo, ne abbiamo ancora un gamboooo!” mentre gli zombies attorno a noi riempivano parossisticamente i carrelli, uno per componente familiare, di ogni ben di dio, assolutamente indispensabile in un’economia di guerra: tonno, fagioli, pizza margherita surgelata, prosecco, improbabili merendine Ciccia&BrufoliBio, panettone perché-è-in-offerta-e-magari-a-natale-non-si-sa-mai…KL-Cesec - SupermercatoL’Italia non si è fermata, il nostro gambo di sedano è ancora lì, e occhieggia ridendo divertito dal frigo nella consapevolezza di essere stato protagonista del nostro divertissement, non sappiamo se inteso come quell’istanza filosofica concettualizzata da Blaise Pascal, sappiamo solo che abbiamo riso tanto…
Purtroppo, contro il tanto insano quanto compulsivo bisogno di dovizia alimentare poco o nulla possono iniziative lodevoli come quella di alcuni supermercati inglesi: hanno adottato la promozione 2×1 in due fasi, in pratica i clienti ritirano il secondo prodotto in omaggio la volta successiva.
Niente, è la stessa ragione per cui è ormai impossibile contrastare qualsiasi puttanata venga pubblicata su Facebook, versione virtuale della piazza e del bar del paese. Almeno al bar, il cacciapalle lo riconoscevi e, in casi, estremi, due schiaffoni ben dati risolvevano la questione. Salvo poi berci sopra tutti insieme.
Bene, e passiamo alla scadenza degli alimenti. Premesso che le aziende produttrici prevedono un franco di sicurezza, la buona abitudine di controllare la data di scadenza degli alimenti è tutt’altro che diffusa, per molti addirittura non esiste differenza tra da consumarsi entro e da consumarsi preferibilmente entro, interpretando entrambe in senso restrittivo: non si deve più mangiare. Se la prima è tassativa perché ne va della sicurezza dell’alimento, la seconda significa solo che l’alimento, dopo quella data, non garantirà gusto, aroma, colore, consistenza e parte del valore nutrizionale che gli sono propri e anche parte del suo valore nutrizionale.
Non ci riteniamo migliori di altri, però potremmo avere un frigo delle dimensioni di quelli presenti nelle camere d’albergo, salvo che per il comparto dei surgelati. Detto in altri termini: pur svolgendo un’attività lavorativa intensa riusciamo, senza per questo svenarci, a fare la spesa pressoché quotidianamente. Dedichiamo quella mezzora congiunta alla passeggiata, all’aperitivo, al che ne so, decidendo praticamente ogni giorno che cosa abbiamo voglia di mangiare per cena.
Certo, sappiamo bene che per la maggior parte delle persone acquistare meno e fare la spesa più spesso, è un’esigenza che si scontra con il poco tempo a disposizione e la poca voglia di svolgere un’incombenza spesso ritenuta fastidiosa. Ecco il punto nodale della questione: fastidiosa.
Fare la spesa significa provvedere primordialmente alla grotta, alla caverna, alla tana. E se oggi circolano a piede libero un sacco di coppie, di famiglie costituite da ex-singles abituati a trovare la pappa pronta grazie a mammà oppure stanche ed insofferenti per il fatto di essere coppia, sinceramente non è affar nostro.
Torniamo al solito discorso: c’è chi nasce per essere Libero e chi per essere schiavo, e ciascuno della propia vita ne fa quel che gli pare.
Comunque sia, una volta tornati a casa con la spesa, molti non sanno come conservarla, molti non hanno ben chiaro come usare il frigorifero, un ripiano vale l’altro, i prodotti vengono riposti a casaccio, quasi nessuno sospetta che la temperatura del frigo non sia omogenea in tutti i suoi scomparti e che esiste un preciso criterio per posizionare gli alimenti al suo interno, un criterio che allunga la vita dei prodotti. Il cibo però non finisce nell’immondizia solo perché non consumato in tempo – ed è quindi scaduto, ammuffito, emana cattivo odore o sapore – ma anche perché se ne è cucinato troppo. Preparare porzioni eccessive è un difetto di pianificazione che riguarda moltissime famiglie. Potremmo parlare di consapevolezza e risveglio, ma non vogliamo infierire…
E passiamo finalmente all’apoteosi del trash: la spazzatura! Ansia da raccolta differenziata, e il cerchio si chiude: dove è partita anche quella dell’umido, si sono moltiplicati nervosismi e ansie. La si fa con sforzo, controvoglia e sfiducia. Che sia il motivo per cui non ci si applica abbastanza?
Come conseguenza lo spreco di cibo che, per onor del vero, si verifica in ogni fase della catena alimentare, diventa un problema etico, al quale però si aggiungono costi economici e ambientali, con ripercussioni sul clima, sullo sfruttamento del suolo, sulle risorse idriche e sulla biodiversità.
Il cibo che finisce nella spazzatura mangia una quantità impensabile di risorse naturali e genera rifiuti ed emissioni inquinanti nell’atmosfera.
E intanto c’è chi sopravvive grazie ad immonde pappette fornite dagli aiuti internazionali…

Toscana: ferrovie in controtendenza? Una rondine non fa primavera…

Era stata chiusa due anni fa, la storica linea ferroviaria Cecina-Saline di Volterra, che si snoda per circa 30 km e che comprendeva lo spettacolare tratto a cremagliera da Saline a Volterra. Ma dopo interpellanze, petizioni, manifestazioni dell’interesse che non vogliamo definire popolare ma della gente, è stata riaperta in questi giorni all’esercizio.Treno inaugurale - La RepubblicaIl viaggio inaugurale è stato affidato ad un treno storico, costituito dall’automotrice Aln 772.3265 costruita nel 1942 e dopo anni di abbandono perfettamente restaurata per l’effettuazione di treni storici: “Credo che le linee minori come questa abbiano diritto di continuare a vivere, nonostante i costi che sosteniamo per tenerle aperte e per riaprirle. Il segnale che voglio mandare oggi è che la Regione Toscana, unica in Italia, ha fatto questa scelta e che intende proseguire in questa direzione” ha dichiarato il presidente della Toscana Enrico Rossi, che ha precisato: ”Due anni fa abbiamo avuto un taglio di 100 milioni sui 500 che ci venivano dati per il trasporto pubblico locale. Nonostante ciò ci abbiamo messo 90 milioni dal nostro bilancio e abbiamo mantenuto i servizi. Adesso, grazie alla revisione della spesa regionale e ai risparmi che abbiamo prodotto, siamo in grado di investire sul recupero e la valorizzazione delle linee cosiddette minori”. Per la Cecina – Saline di Volterra sono stati investiti 800 mila euro e si sta valutando se recuperare altre linee di notevole interesse sociale, paesaggistico e turistico. Il presidente della regione non ha mancato di far notare che per sistemare le ferrovie minori toscane sarebbero sufficienti circa 800 milioni di euro, affermando che “non sono molti se si pensa ai 90 miliardi che lo Stato ha speso per l’Alta velocità”.Aln_Cecina-VolterraAlle parole di Rossi hanno fatto da corollario quelle del sindaco di Volterra Mario Buselli: “Oggi è stata una giornata storica e di grande gioia per il Volterrano e la Valle del Cecina. Esprimo la piena soddisfazione a nome di tutti i sindaci del territorio, presenti in gran numero. Il treno torna a correre ricollegando l’entroterra al mare, un asse strategico nel vero e proprio cuore della Toscana. Di questo devo ringraziare l’impegno da parte della Regione Toscana che ha determinato un cambio di passo importante nella valorizzazione del treno come mezzo da utilizzare per muoversi“.
Per parte nostra non possiamo che commentare che sembra roba da museo, e invece è una delle sfide che ci attendono per valorizzare la quotidianità del trasporto e la promozione del territorio anche in chiave turistica. Le premesse ci sono tutte, ed i lavori necessari al ripristino delle ferrovie che è possibile recuperare costituirebbero un investimento ed una possibilità di lavoro.
E la ripresa del loro esercizio avrebbe valenza ben superiore alla trasformazione in piste ciclabili.

Case di carta e uomini di cartone

Nonostante la crisi, Milano rimane l’unica città italiana che stenti a riconoscere, se la lasci anche solo per qualche anno. A parte quartieri ingessati come Brera e i Navigli ridotti al rango di luna-park è tutto un demolire e ricostruire, un riqualificare, un sintetizzare declinando, contaminando e via cementificando.
Non è raro e non è ignoto come certe imponenti operazioni immobiliari servano solo a creare le premesse per una finanza di carta, avulsa dal contesto delle reali necessità urbane e finalizzata ad una riqualificazione patrimoniale interbancaria fittizia, mentre in aree non necessariamente periferiche languono, a rievocare immagini da dopo-bomba, scheletri che  avrebbero dovuto costituire le riqualificazioni di dieci, venti, venticinque, trent’anni fa.Cesec - Pin Lake ApocalypseMentre tanta gente dorme per strada o in macchina, di edifici vuoti e sovente mai abitati a Milano non ne mancano. E potrebbero essere riqualificati, se non con poca spesa visto il degrado al quale tempo ed incuria li hanno assoggettati, almeno per evitare di sottrarre ulteriore spazio alla superficie cittadina. E questo, oltre a far tornare a lavorare l’industria delle costruzioni in un contesto diverso da quello tutt’altro che ecosostenibile che conosciamo, contribuirebbe in modo sostanziale a risolvere problemi di degrado urbano.
Beninteso: per ecosostenibile non intendiamo solo polveri sottili, amianto, anidride carbonica: Anche certa finanza nuoce gravemente alla salute.
In altri luoghi del pianeta, per esempio negli Usa, se non siamo alla casa usa e getta poco ci manca. Le imprese edili sono incredibilmente tornate a lavorare in città zeppe di case invendute, dalla California meridionale a Las Vegas, da Phoenix in Arizona all’estremo Nord-Ovest di Seattle.
La ragione è semplice: nessuno vuole andare a vivere in case disabitate da tempo, miserevoli in quanto bisognose di restauri, in quartieri ormai deserti e conseguentemente insicuri e socialmente degradati. Quindi, con sano pragmatismo, meglio ripartire da zero: giù tutto e ricostruire sulle medesime aree case nuove meno costose, in quartieri che tornano a vivere, adottando tecniche costruttive più economiche e con maggiore attenzione al risparmio energetico.
E le abitazioni sfitte che ingolfano il mercato immobiliare restano sfitte o invendute e, in casi che vanno facendosi sempre più frequenti, cominciano a essere demolite da banche e assicurazioni che ne sono divenute proprietarie dopo aver cacciato i loro debitori ormai insolventi. Si è infine scoperto che in molti casi è più conveniente azzerare un valore patrimoniale e assumersi anche i costi di demolizione piuttosto che continuare a spendere soldi per i continui interventi di manutenzione – tetti da restaurare, alberi da potare, giardini da tenere in ordine, superfici esterne di legno da verniciare di frequente – necessari per mantenere la proprietà sul mercato in condizioni presentabili, ma con la prospettiva di non riuscire, comunque, a venderla per anni.
E così, da Chicago a Cleveland, in Ohio, le demolizioni di case che ormai hanno un valore minimo e che nessuno vuole sono diventate assai frequenti. Lo Stato col maggior numero di case rase al suolo è il Michigan, alle prese con l’esodo di una parte della popolazione, rimasta senza lavoro per la profondissima crisi del sistema industriale. La città di Detroit ha appena avviato un programma di demolizione di 450 edifici residenziali. Molti ritengono che sia solo l’inizio, visto che nell’area urbana ci sono già 33 mila case sfitte e altre 50 mila stanno per diventarlo, visto che i proprietari hanno fatto default sul mutuo. Intanto città devastate dalla crisi dell’auto come Flint (quella di Roger & Me, il film di Michael Moore sulla prima crisi della General Motors) usano i fondi dello stimolo fiscale, i sostegni all’economia varati da Obama subito dopo il suo insediamento alla Casa Bianca all’inizio del 2009, proprio per fare a pezzi le case ritenute non più abitabili.Cesec - Environment post ApocalypseTorniamo  a casa nostra, dove da sempre vige il detto: se riparte l’immobiliare riparte l’Italia. Si, forse in termini di Pil, non certo in termini di qualità della vita. Questione di opinioni…
Da noi quasi l’80% dei cittadini è proprietario della casa in cui vive prevalentemente e ben 1.400.000 sono i lavoratori che operano a vario titolo nel settore immobiliare. Parliamo di quelli censiti, è ovvio, non di quelli che se gli capita un incidente sul lavoro il titolare dell’impresa dà loro fuoco o tenta di far credere che siano finiti sotto al tram…
A differenza di altri paesi dov’è diffusa la grande proprietà immobiliare e nonostante che banche, istituti religiosi, previdenziali ed assicurativi detengano cospicui patrimoni, da noi i quasi 4.500 miliardi di valore delle abitazioni private svolgono un ruolo fondamentale per il benessere e la stabilità dei nuclei familiari, ed è innegabile che la proprietà immobiliare diffusa abbia prodotto ricchezza per la maggioranza dei cittadini, contribuendo a suo modo al formarsi di un capitalismo popolare, rimasto immune nel tempo dalle crisi prodotte dall’eccessiva finanziarizzazione dei mercati e che nel contempo ha garantito, con la propria patrimonializzazione, una parte del debito pubblico nazionale.
Per un privato, per una famiglia, investire ora in immobili con l’idea di metterli a reddito non è difficile, è impossibile. A parte la difficoltà di accedere al credito per l’ottenimento di mutui, esiste un concreto rischio credito o d’impresa o comunque vogliamo chiamarlo, vale a dire la niente affatto aleatoria possibilità che l’inquilino non paghi l’affitto. Agire per via giudiziaria significa, oltre che sostenere spese giudiziarie e legali, mettere una croce sopra al mancato guadagno sino all’esecuzione dello sfratto: chi vive a Modena, Trento o Monza può mettere in preventivo dai 9 ai 18 mesi di sofferenza, mentre chi vive a Milano o in altre grandi città del Nord e del Centro può mettersi il cuore in pace per tre-quattro anni. Lasciamo perdere i tempi delle città del Sud…
Oltre a questo, tra i fattori che stanno allontanando gli italiani dall’investimento immobiliare si annoverano l’alta tassazione del bene-casa, che in questi ultimi tempi è diventata la più alta d’Europa e l’erosione del valore dei beni immobili, anch’essa prevalentemente causata da una modalità di tassazione applicata in forma patrimoniale e non reddituale.
Nonostante questo quadro a tinte fosche l’investimento immobiliare rimane per gli italiani un faro nella crisi, che illumina tra marosi, secche e  scogli affioranti la navigazione notturna delle famiglie, che vorrebbero ma non riescono più a comprar casa.
Ad ogni analisi trimestrale le compravendite sprofondano, l’andamento delle variazioni dei passaggi di proprietà è sempre più negativo: il calo è più accentuato nel Nord Est e nel Nord Ovest (rispettivamente -28,5 e -26,7%). La ragione, a dar retta agli ultimi dati del Crif, starebbe nell’erogazione da parte degli istituti di credito di ipoteche immobiliari a garanzia di mutui calata di oltre il 45% poiché le banche, adottando criteri sempre più restrittivi, hanno praticamente dimezzato l’erogazione di mutui. Tant’è vero che molti clienti interessati a comprare casa, per evitare l’umiliazione di un rifiuto alla concessione del mutuo, hanno smesso di cercare, sperando in tempi migliori.
Quando quel genio carismatico il cui nome era Cerutti Gino ma lo chiamavan Drago, intervenne a favore di un allentamento della stretta creditizia, soprattutto nei confronti delle famiglie e delle piccole aziende, ottenne che numerose banche iniziassero da quel momento a chiedere, oltre a tutto il resto, anche il certificato Inps, e certune legate al mondo cooperativo persino le attestazioni delle tessere fedeltà dalle quali desumere, attraverso l’analisi degli acquisti, il tenore di vita dei mutuandi. Non ci è giunta notizia di banche che abbiano chiesto il tema natale e la foto dell’aura… Insomma, il tutto nel classico stile delle banche che non vogliono concedere mutui.
Del resto, non più tardi di pochi giorni fa un banchiere intervistato, risentitosi per le numerose critiche che gli giungevano in quanto rappresentante del sistema-credito, ha reagito attaccando a propria volta le critiche e sostenendo che le banche comprando i Btp stanno salvando l’Italia. Certo, con i miliardi di Euro avuti dalla Bce all’1% li compreremmo anche noi i Btp, ma avremmo il pudore di non qualificarci come salvatori della patria…Cesec - Casetta di cartaBene, alla fine di questa chiacchierata, la nostra opinione non solo rimane sempre la stessa, ma anzi si rafforza: è il momento di vedere le cose da un’altra prospettiva. Affermava lo scrittore e psichiatra Mario Tobino: per comprendere i matti devi ragionare da matto. Ecco, chi si vuole salvare per sopravvivere deve cominciare a ragionare da matto. Matto, non stupido.
I matti sono quelli fuori dal coro. Sono quelli che pensano che possa esistere la solidarietà, che si possano abbattere i costi, che si possa vivere ad un ritmo rallentato all’insegna di una decrescita felice, che si possa essere autosufficienti ed ecosostenibili. Per l’ambiente e per se stessi. Sono quelli che non cedono alle lusinghe delle notizie artefatte messe in giro a bella posta. Sono quelli che credono nel potere di una parola, anzi di due: cohousing ed autocostruzione.
Ma badando bene di non lasciarsi sedurre dalle sirene dei carrozzoni pubblici che fanno luccicare cooperative sociali ed agevolazioni finanziarie. Purtroppo è meglio un bagno nell’acqua fredda a dura della realtà: e la realtà si chiama iniziativa privata.

Malleus

Viaggiare in bici, e Co.Mo.Do.

Cesec - Bike Film FestivalTorna a Milano da 13 al 15 dicembre il BFF, Bike Film Festival, uno dei più importanti eventi culturali legati alla bicicletta capace, durante l’anno, di tenere desta l’attenzione in oltre quaranta città in ogni parte del mondo.
Quest’anno l’evento coinvolgerà il quartiere di Lambrate, uno dei più rappresentativi della città, un tempo sede di aziende di risonanza mondiale: Innocenti, Faema, Gondrand, Richard Ginori per citarne solo alcune ed ora, dopo anni di dismissioni e degrado, in corso di riqualificazione come polo del design. Una scelta legata proprio all’intento di reinterpretare le due ruote in una zona definita il simbolo della rinascita creativa del capoluogo lombardo, ricca di storia ma proiettata verso il futuro.
Il BFF non è solo cinema, pur avendo in programma la proiezione di ben 40 film tra corti e mediometraggi, ma un grande evento aperto a tutti, durante il quale sarà possibile visitare mostre ed area espositiva, assistere a performance ed esibizioni di bike polo, partecipare a laboratori per conoscere meglio il poliedrico mondo della bici, ascoltare musica e ballare nelle serate di venerdì 13 e sabato 15.
Al momento di pubblicare non sappiamo se siano previsti corsi di ri-educazione per ciclisti, in special modo con riferimento al rispetto dei pedoni sui marciapiedi.Cesec - Bikesharing MonzaContestualmente all’evento l’ultimo numero della rivista BC, dedicata al mondo delle due ruote, affronta un tema estremamente attuale: quello del lavoro, con un ampio servizio dedicato alle opportunità create dal successo della bicicletta nel settore del turismo, della logistica, della mobilità in generale.Cesec - Voghera-VarziNel frattempo, su altri fronti collaterali ma strettamente interconnessi, la politica si muove per sostenere la mobilità dolce: il 26 novembre scorso Co.Mo.Do., Confederazione di Associazioni per la Mobilità Dolce, ha presentato alla Camera dei Deputati un disegno di legge sulla tutela e la valorizzazione del patrimonio ferroviario italiano in abbandono, come primo passo di un iter finalizzato alla valorizzazione delle Ferrovie dismesse e dimenticate. L’obiettivo è quello di realizzare una rete di mobilità dolce. Da parte nostra confidiamo, come abbiamo avuto modo di affermare in diverse occasioni, che questo non significhi solo piste ciclabili, ma anche il recupero, dove possibile, di infrastrutture che con un ragionevole investimento possono tornare utili, non solo per svolgervi finalità ludiche, ma come strumento per la mobilità sociale. Altrimenti significherebbe solo l’ennesima manifestazione di quell’ecologismo da salotto, distante anni luce dalla realtà quotidiana e  che rende di sè un’immagine deleteria in puro stile: Maestà il popolo non ha pane! che mangino le brioches…integrali.
Di quest’immagine, chi prenderebbe volentieri il treno per recarsi a scuola o al lavoro ed è invece costretto ad utilizzare l’auto privata oppure autoservizi che scontano comunque i nefasti effetti del traffico veicolare, non sa che farsene.

Mosè salvato dalle acque. E le acque, chi le salva?

 Presso il museo del Louvre è conservata una diorite dell’altezza di circa mezzo metro detta la Stele della vittoria di Sargon, in accadico Sharru-kin, che significa re legittimo.
Fondatore della dinastia di Akkad e grande conquistatore  vissuto tra il XXIV e il XXIII secolo a.C. a lui vennero dedicate queste parole: Sono Sargon, non conobbi mio padre, mia madre era una sacerdotessa, mi concepì e mi dette alla luce in segreto. Mi mise in una cesta di giunchi e sigillò il coperchio con del bitume. Mi depose sul fiume che non mi sommerse ma mi sospinse fino all’irrigatore Aqqi, che mi accolse come un figlio, mi allevò e fece di me un frutticoltore.
La vicenda di Sargon è praticamente identica a quella di altre due figure di salvati dalle acque tra il mito e la storia, nella cultura occidentale e cristiana molto note: Mosè e Romolo.
Sargon era figlio di una sacerdotessa, come Romolo lo era della vestale Rea Silvia: entrambe avevano fatto voto di castità e per questa ragione partorirono segretamente.
Sargon e Romolo ufficialmente non conobbero il padre ed entrambi, ed in questo la leggenda li accomuna a Mosè, vennero abbandonati in un fiume dentro una cesta impermeabilizzata con bitume.
Diversa la vicenda di Mosè, il cui nome deriverebbe dalla radice משה che starebbe a significare colui che è stato estratto dall’acqua: salvato nientemeno che dalla figlia del faraone divenne pastore dopo aver commesso un omicidio che lo costrinse alla fuga.
In queste tre vicende l’acqua, se non come elemento di potenziale morte, viene comunque vista come veicolo di allontanamento, occultamento, separazione e, indirettamente, trasformazione e rinascita ad una nuova vita.Cesec - Francis Danby DiluvioL’acqua come minaccia, addirittura come castigo divino che è anche purificazione, la troviamo nel diluvio universale e ancora, sempre come elemento minaccioso, da dominare e trasformare, nelle vicende di Gesù che cammina sull’acqua o che la muta in vino. E, naturalmente, non poteva mancare nell’Apocalisse, nonché nelle attuali vicende legate alle correnti migratorie destinate, che lo si voglia o meno, ad introdurre un profondo cambiamento nei costumi della nostra società.Cesec - Salvataggio nel MediterraneoMa l’acqua è vista anche come elemento purificatore per eccellenza: nel battesimo cristiano e nelle abluzioni ebraiche, islamiche, induiste.
L’acqua vista infine come elemento da sfidare: da Ulisse a navigatori come Vespucci, Magellano, Colombo, Cook per citarne solo alcuni.
Il fuoco lo fermi l’acqua no, recita un antico proverbio a significarne l’inarrestabile potenza …
Anche le nostre terre, nel loro piccolo, sono collegate a miti legati all’acqua. Valga per tutte la leggenda di san Gerardo dei Tintori, il co-patrono di Monza, fondatore nel 1174 di uno dei più antichi ospedali italiani investendovi tutta la fortuna ereditata dal padre e del quale si racconta che abbia arrestato una piena del fiume Lambro, salvando così l’ospedale dall’inondazione.Cesec - Sauvé des EauxAbbiamo sin qui accennato, senza nessuna pretesa di completezza, a note vicende per dire che, se miti e leggende parlano di salvezza dalle acque, oggi è giunto il momento di salvare l’acqua.
Acqua: un bene prezioso tutt’altro che inesauribile, sempre meno puro ed al tempo stesso sempre più prezioso per l’esistenza umana. L’acqua sempre più oggetto di mire speculative, dalle quali – ed è questo il punto – dev’essere salvata.
Stiamo assistendo ad una virata nelle politiche dell’alimentazione mondiale tendente al monopolio: dei semi, delle coltivazioni ed oggi anche dell’acqua. Detto in altre parole: qualcuno ha deciso di decidere chi avrà il diritto di nutrirsi e dissetarsi, e chi no. E l’asservimento alimentare è peggio delle peggiori carestie: porta alla schiavitù.
Per questa ragione noi, nella modestia delle nostre potenzialità o, se preferite, in una logica di nicchia che altro non è se non consapevolezza di, giustappunto come si suol dire, in quante spanne d’acqua possiamo muoverci,  siamo attivi nell’individuazione di fonti e bacini per fare in modo, attraverso opportuni strumenti finanziari e societari, che l’acqua sia di proprietà dei diretti utilizzatori, vale a dire di coloro che, in un’area territorialmente delimitata, in un comprensiorio, in un contesto locale hanno interesse diretto a fruire della loro acqua.
Se il nostro sogno, progetto, chiamatelo come volete, in ogni caso non utopia, si espanderà a macchia d’olio o a macchia di leopardo non lo sappiamo. In fondo nemmeno ci interessa: quello che ci preme è agire, presto, bene e concretamente nell’interesse di tutti.
Compriamo l’acqua per salvare l’acqua, è uno dei nostri slogan. Con la collaborazione di tutti coloro che sentono l’esigenza di salvaguardare il proprio futuro attraverso un profondo lavoro, è il caso di dirlo, sul qui-e-ora.

Qual’è la tua aula, Carletto? Uffa papà, terzo olmo a sinistra… non te lo ricordi mai!

In 500 anni di pace gli Svizzeri hanno saputo solo inventare l’orologio a cucù, afferma Orson Welles ne Il terzo uomo; il fatto che quel film di spionaggio di svolgesse nell’Austria dell’immediato dopoguerra, ci fa inoltre venire in mente un vecchio detto austriaco: Berna è grande il doppio del cimitero di Vienna, ma ci si diverte solo la metà. Sarà…Cesec - Langnau am Albis ZHIntanto dal settimanale Internazionale apprendiamo che a Langnau am Albis, comune del Canton Zurigo, 6.780 abitanti lungo la sponda dello Zürichsee a una decina di chilometri a Sud-Ovest del capoluogo, i bambini delle elementari vanno a scuola nel bel mezzo al bosco, che vi sia il sole, piova o nevichi.
Lo racconta il breve documentario School’s out: lessons from a forest kindergarten di Lisa Molomot e Rona Richteron che proponiamo (cliccare sul testo sottolineato), dove si vedono i bambini che si rotolano nella neve, imparano ad accendere il fuoco, a vivere il contatto con la natura e gli animali.
L’idea della scuola, a partire da quella materna, nel bosco è nata negli anni ’50 in Danimarca e poi si è estesa nel resto d’Europa, in particolare in Germania.
Lo confessiamo: ci  era venuta la tentazione di commentare pubblicando la foto di uno degli innumerevoli ingorghi stradali mattutini che affliggono le vie davanti alle nostre scuole, ma preferiamo dare Energia all’immagine ideale di bambini che, in un ecovillaggio in cohousing, se ne vanno a giocare alla scuola nel bosco.

Costruire una casa spendendo solo 180 Euro. Incredibile?

Una ghiotta segnalazione che non poteva non indurci a curiosare: noi adoriamo i pazzi! perché sono geniali e quell’uomo, indiscutibilmente, lo è. A parte lo sterco di vacca… non ha fatto che adottare un sistema costruttivo antichissimo e del quale anche noi siamo appassionati: il metodo cosiddetto in terra cruda.
Ne avevamo parlato sul sito KryptosLife non molto tempo fa, illustrando una casa bellissima che sembrava quella dei Teletubbies.Casa da 180 Euro
Casa 180 Euro - 2Siamo andati a curiosare anche un sito linkato: incredibile! c’è addirittura un tizio che si è fatto la casa utilizzando un double-decker, un tipico autobus britannico bipiano. Ci ha fatto venire in mente un tedesco che negli anni ’70 aveva realizzato la propria casa sulla sponda bresciana del Garda, ora non ricordiamo dove, utilizzando tre vecchie carrozze ferroviarie, forse della CIWL, Compagnie Internationale des Wagons Lits: presente l’Orient-Espress? In quel caso il trasporto, lungo le stradine tutte tornanti delle alture gardesane, gli era costato un botto…
Peccato che oggi l’esperienza non sia riproducibile da noi, il Paese dove occorre un patentino anche per respirare: a causa dell’insaziabile fame di denaro delle Amministrazioni locali persino una scatola di cartone fa volumetria, e pertanto è soggetta a concessione edilizia, e nulla può essere costruito se non su aree edificabili. E senza trascurare l’impatto ambientale, l’antisismica, l’antincendio, il Genio Civile. Non osiamo pensare a cosa potrebbe accadere qualora dovessimo presentare un progetto che nel capitolato specifica, tra i materiali: legante in escrementi di bovino opportunamente resi inerti, disseccati e compattati… Però ci piacerebbe farlo, non fosse altro che per vedere le facce dei tecnici comunali…Orient EspressE da noi,in un bosco, possiamo dimenticarci di costruire a meno che non siamo agricoltori o svolgiamo una qualche attività attinente al patrimonio florofaunistico. E in questo caso dobbiamo fare i conti con la Forestale che viene a censire pure i fili d’erba. E fin qui siamo d’accordo: se non esistessero queste norme, finalmente restrittive, chiunque potrebbe costruire qualunque cosa ovunque. Peccato che le stalle siano state chiuse dopo che i buoi erano – tutt’altro che accidentalmente – scappati e che siano state rese edificabili aree importantissime sotto il profilo ambientale, per non parlare di quelle a rischio idrogeologico.
Però è possibile recuperare l’esistente, qualunque ne fosse la funzione originaria. E’ per questa ragione che, attraverso Cesec e KryptosLife, la società che dell’ecocompatibilità ha fatto la propria mission, siamo attivi sia pure tra mille difficoltà per riportare a nuova vita borghi abbandonati, in una logica ecosostenibile e di condivisione.
Ma, in conclusione, dobbiamo nostro malgrado ammettere una cosa: noi, anche quando ci spacciamo per ecosolidali biocompatibili, manchiamo di quella cultura antropologica che ci fa anche solo ipotizzare di poter realizzare una casa come quella dell’inglese. Per un semplice motivo: i Britannici, avendo posseduto un impero, hanno spaziato tra culture le più diverse fra loro, nativi americani, africani e medio-orientali, indiani, aborigeni australiani e neozelandesi ed è conseguentemente entrata nel loro DNA l’apertura alle soluzioni anche più eccentriche. Noi siamo stati sempre e solo territorio di conquista sul quale più o meno tutti si sono avvicendati; ci siamo sempre tenuti stretti i nostri fazzolettini di terra in una logica di localismo esasperato che non ammetteva aperture, pena uno dei più atavici fra gli spettri: la fame. La differenza tra chi è stato padrone e chi è stato servo è che non è il padrone quello che abbisogna di apparenze.
Una riprova l’abbiamo nei viaggi all’estero: generalmente mentre britannici, olandesi e scandinavi percorrono distanze impensabili, talvolta con mezzi di fortuna, o s’infilano nel cuore malfamato delle città, gli italiani se ne stanno rinchiusi nei villaggi vacanze. Salvo tornare a casa ed affermare: ho fatto lo Yucatan, ho fatto lo Yemen… Sarà anche per questa ragione che, anche in luoghi realizzati all’insegna dell’ecocompatibilità e dove addirittura si svolgono pratiche olistiche, troviamo i mobili dell’Ikea?