Mangia di stagione: interessante iniziativa della Provincia di Roma

Vi siete mai chiesti perché la frutta estiva è ricca d’acqua e quella invernale è più asciutta? Semplice: perché se quella estiva fosse asciutta si surriscalderebbe, mentre se quella invernale fosse ricca d’acqua gelerebbe.Cesec-CondiVivere 2014.10.14 Agriasilo 004Non manca inoltre un’importante ragione nutrizionale, come vedremo al termine di questa premessa, necessaria per inquadrare la questione: come gran parte degli Italiani della mia generazione provengo da una famiglia di antiche origini contadine. Gli ultimi furono i miei nonni paterni: tra il Polesine e il Delta del Po si occupavano di agricoltura ed allevamento di bovini e anguille sino alla devastante alluvione del 1951, quando vendettero le terre e si ritirarono. Ma le tradizioni rimasero ed io, pur essendo nato in epoca successiva, ricordo che in concomitanza delle festività natalizie una delle prelibatezze era “l’uva di Natale”, bianca e decisamente dolce a causa dell’appassimento. Da quel momento e fino a settembre di uva non se ne parlava più. In primavera arrivavano a rotazione fragole, nespole, albicocche, ciliegie, fino all’apoteosi di pesche, meloni, angurie, lamponi, more e mirtilli, questi ultimi invero presenti tutto l’anno poiché opportunamente conservati venivano usati anche in cucina. Si chiudeva con pere, fichi, noci e uva, per passare a castagne, mele, arance e cachi.
Onnipresenti datteri, banane, ananas e frutta secca ma avocado, mango, tamarindo e via tropicando chi li ha mai visti sino ai primi anni Settanta?
Di pomodori e melanzane in inverno nemmeno a parlarne; cetrioli si, ma conservati in aceto e spezie all’uso tedesco. Crauti quanti ne volevamo: freschi in stagione, bianchi e rossi, in salamoia durante il resto dell’anno insieme con conserve di verdure miste sottaceto e barattoli di salsa di pomodoro. Le insalate, infine, marcavano le stagioni con i loro colori: il tarassaco – da noi detto pissacan – nelle sue progressionii di verde da marzo a ottobre, consumabile crudo e successivamente cotto; le lattughe, la riccia, la rucola sino al rosso del radicchio di Chioggia o di Treviso, o al bianco di quello mantovano.
Menzione speciale infine per la rucola, erba povera e spontanea sdoganata come si dice ora nelle preparazioni della cucina pseudopopolare riscoperta dall’intellighenzia ecochic degli anni Settanta. Quando mia nonna leggeva di certe ricette immancabilmente commentava con un “I g’ha scoverto l’acqua in canal” che sapeva di vetriolo…CC 2015.09.13 Mangia di stagione 001Oggi andiamo al supermercato ed in ogni momento dell’anno troviamo qualunque cosa, peraltro dalle provenienze più disparate.
Paleontologi ed archeologi fissano in 10mila anni fa la fine del Paleolitico con l’introduzione di agricoltura e allevamento presso alcune società euroasiatiche.
Ma ancora oggi tali pratiche non sono universalmente condivise: Pigmei, Boscimani, Indios amazzonici, Semang malesi vivono tuttora di quanto la natura offre loro spontaneamente. Per essere più precisi resistono all’apparentemente inesorabile avanzata delle società agricole e industrializzate. Il fatto che, ancora oggi, riescano a sopravvivere di sola caccia e raccolta significa che in determinate circostanze ambientali ciò rappresenta uno stile di vita efficiente: se la natura offre spontaneamente del cibo, perché compiere sforzi per procacciarsene altro?
Alle nostre latitudini, dove la natura è stata piegata dall’Uomo per sottostare alle sue esigenze, possiamo ancora trovare numerose specie vegetali selvatiche adatte all’alimentazione. Il loro numero è però in rapida diminuzione in ragione della costante perdita di biodiversità, dovuta principalmente alle logiche di mercato dell’agricoltura intensiva e al sacrificio di interi ecosistemi a favore di aree antropizzate.
La questione sembra apparentemente slegata dalla nostra quotidianità, e invece la nostra stessa esistenza è strettamente dipendente dalla biodiversità.
E così ho anch’io pronunciato il mantra catastrofista tanto caro a chi dovrebbe avere a cuore le sorti del pianeta, nonché i mezzi per potersene occupare salvo non andare oltre il blabla dei proclami e dei convegni…KL Cesec CV 2014.03.04 Ambiente maneggiare con curaIn ogni caso e come sempre le chiacchiere stanno a zero ma i numeri parlano chiaro: dall’anno 1900 ad oggi il 75% delle varietà vegetali è andato perduto, i tre quarti delle risorse alimentari mondiali dipendono da sole 12 specie vegetali e 5 animali e delle 75.000 specie conosciute solo 7.000 vengono usate in cucina. Delle 8.000 varietà censite in Italia nel 1899 ne sono rimaste 2.000.
Dalla fine della II Guerra Mondiale ad oggi delle 400 specie di grano esistenti il 90% sono scomparse. E che dire delle mele? Oltre un migliaio di antiche varietà ha ceduto il passo nell’80% dei casi a 4 varietà: due americane, una australiana e una neozelandese. Lo stesso vale per i pomodori: delle 300 cultivar commercializzate solo 20 sono autoctone. Stessa solfa per le altre solanacee, le cucurbitacee, i legumi e via elencando.
Il nostro Paese, con 57.000 specie animali, pari a un terzo di quelle europee, e 5.600 specie floristiche (il 50% di quelle europee) il 13,5% delle quali endemiche ha un patrimonio biodiverso fra i più importanti. Bene: 138 specie, il 92% delle quali animali, sono a rischio di estinzione a causa del consumo del suolo che erode gli habitat naturali, ed in ragione dell’intensificazione dei sistemi di produzione agricola. L’Italia, capeggiata dalla Lombardia, con il 43,8% di superficie coltivata è il Paese europeo con la maggior estensione di aree agricole. Ma l’abbandono dei sistemi tradizionali e naturali in favore di quelli industriali, l’impiego di sostanze chimiche dannose per il territorio, la logica della crescita infinita stanno abbattendo drasticamente il numero delle specie esistenti e, di quelle rimanenti, le qualità nutrizionali.
La delocalizzazione produttiva, nella quale noi italiani non siamo secondi a nessuno avendo da gran tempo acquisito direttamente o attraverso holding multinazionali immense estensioni di aree nel Sud del mondo, contribuisce inoltre a dare il colpo di grazia alla biodiversità.KL-Cesec - Supermercato - OrtofruttaLe nostre abitudini alimentari, rapportate a quelle dei nostri genitori e dei nostri nonni, sono state rivoluzionate nell’ultimo quarantennio attraverso il mutamento dello stile di vita, le aumentate disponibilità di cibo ed i trattamenti di raffinazione industriale: siamo le prime generazioni della storia ad avere il problema dell’obesità e del diabete sin dalla più tenera età.Cesec-CondiVivere 2014.12.03 Zingari 003Lo sviluppo delle produzioni intensive, delle monocolture e l’evoluzione delle capacità di trasporto hanno comportato che le disponibilità agroalimentari ci consentano di avere in ogni periodo dell’anno qualsiasi prodotto o perché coltivato in serra o perché proveniente da Paesi a stagioni rovesciate rispetto alle nostre.
I prodotti vengono però raccolti con largo anticipo rispetto alla loro disponibilità al banco, e la loro maturazione e conservazione avvengono spesso durante lo stoccaggio ed il trasferimento, non di rado grazie all’impiego di prodotti potenzialmente tossici.
Tutto questo si tramuta in un maggior costo:

  • economico, in quanto il prodotto deve ripagare dei maggiori investimenti compiuti per realizzarlo fuori stagione, per conservarlo o per farlo giungere da lontano fino al nostro Paese;
  • ambientale, in quanto si ha un dispendio di energia e un maggiore sfruttamento di risorse naturali (ad esempio il gasolio usato per riscaldare le serre);
  • nutrizionale, perché ogni tipo di frutta o verdura nasce, indipendentemente dalla volontà umana, per rinfrescare d’estate e riscaldare d’inverno. Pomodori e cetrioli, per esempio, sono tipicamente estivi per tale ragione, mentre carciofi e verze sono tipicamente invernali per la ragione opposta.

Per rieducare ad un consumo alimentare responsabile, salutare ed ecosostenibile l’Assessorato alle Politiche dell’Agricoltura della Provincia di Roma ha promosso una lodevole iniziativa diffondendo un simpatico volumetto di 34 pagine, dal titolo La stagionalità dei prodotti agricoli nella provincia di Roma.CC 2015.09.13 Mangia di stagione 002Di agevole consultazione e gradevolmente illustrato descrive mese per mese i prodotti stagionali, concludendosi con un interessante capitolo sulle conserve e con uno di utili indicazioni che aiutano a consumare prodotti quanto più possibile sani e ricchi dei loro nutrienti naturali. Il volume è scaricabile in formato pdf a questo indirizzo.
Pur esulando dall’argomento della stagionalità, accenno in chiusura alla questione della filiera corta: le sue caratteristiche consentono rispetto della stagionalità, migliore qualità e freschezza del prodotto; l’assenza di intermediari permette inoltre un più adeguato compenso degli addetti, spesso schiacciati dalle politiche della grande distribuzione.

Alberto C. Steiner

Ecososteniblità dell’anima: servono ingegneri per progettare sogni

Ha scritto Franco Arminio, nel suo Geografia commossa dell’Italia interna: “Abbiamo bisogno di contadini, di poeti, di gente che sa fare il pane, di gente che ama gli alberi e riconosce il vento.
Più che l’anno della crescita, ci vorrebbe l’anno dell’attenzione.
Attenzione a chi cade, attenzione al sole che nasce e che muore, attenzione ai ragazzi che crescono, attenzione anche a un semplice lampione, a un muro scrostato.
Oggi essere rivoluzionari significa togliere più che aggiungere, significa rallentare più che accelerare, significa dare valore al silenzio, al buio, alla luce, alla fragilità, alla dolcezza.”CC 2014.04.30 Rinascere 001Questa frase mi ha indotto a rileggere l’articolo Solo attraverso profondi cambiamenti individuali il nostro Paese potrà rinascere, che pubblicai il 30 aprile 2014 su queste pagine (visionabile qui) poiché riconsiderandolo alla luce di mutamenti che non avvengono, di iniziative delle quali tanto si parla ma che sono costantemente al palo e di quella truffaldina bruttura dell’Expo 2015 mi è parso più che mai di viva attualità.
L’articolo nacque sulla scia di interessanti scritti pubblicati in quel periodo dal sito partner Consulenza Finanziaria argomentando di competitività estera e di malcostume delle aziende nostrane, oltre che di gestione del credito bancario.
Oggi più che mai il mondo, visto dal nostro Paese, appare immenso e pauroso perché i suoi equilibri stanno mutando ad una velocità inaudita, e nello scenario sono entrati di prepotenza nuovi protagonisti ben più grandi di noi, alterando antichi equilibri e stravolgendo gerarchie di potere che si credevano consolidate.
Questioni mai incontrate prima chiedono una soluzione, ma le opportunità di cambiamento vengono percepite come pericoli.
È già accaduto: per provincialismo, miopia e furbizia, quando non malafede, degli attori politici ed imprenditoriali nostrani l’Italia è arrivata impreparata alle grandi svolte, perdendo tempo prezioso. Ed anche oggi, se non saremo pronti ad intuire gli scenari del futuro, se non sapremo valutare la direzione del cambiamento nelle tendenze di lungo periodo, rischieremo di prendere una volta di più le decisioni sbagliate. Pagandole a caro prezzo.
Basti pensare che invasione è il termine più usato dagli attuali predicatori dell’Apocalisse: invasione di immigrati clandestini, di prodotti cinesi, di capitali stranieri che ci colonizzano. E non ci accorgiamo che tutto ciò che temiamo è in realtà già accaduto.
Intendiamoci: di fronte ad ogni cambiamento la paura è legittima perché le grandi novità spaventano, possono nascondere delle incognite ed il riflesso automatico ingenera un meccanismo di difesa. Oppure nega il cambiamento.
Per comprendere qualsiasi accadimento attribuendogli l’esatta misura è indispensabile non solo mutare prospettiva, ma anche osservare con distacco come l’oggetto delle nostre attenzioni risuoni dentro di noi comprendendo quali nodi da sciogliere e persino quali antiche ferite faccia vibrare. Solo così è possibile identificare la natura dei presunti pericoli che ci minacciano, stabilire se il modo per difenderci sia l’attacco – che non sempre è la miglior difesa – oppure il lasciarci morbidamente andare, per vincere la sfida senza accontentarci semplicemente di limitare i danni. Vale a dire per vivere piuttosto che accontentarci di sopravvivere.
Esistono anche da noi imprenditori illuminati: sono quelli che spesso non fanno notizia e che insieme con i più attenti osservatori possono tentare di rispondere con sano pragmatismo alle domande offrendo punti di vista nuovi e proprio per questo rivoluzionari.
Ma le scelte da fare non riguardano solo governi, classi imprenditoriali e dirigenti bensì primariamente la vita quotidiana di tutti noi: nel segno di un’Energia nuova e pulita sono tante le riforme dal basso che ciascuno di noi può avviare da subito, e costituiscono un antidoto alla lagnanza, alla rassegnazione, al senso di impotenza che non è mai nelle cose ma dentro di noi. Sono quell’impotenza, quella rassegnazione che respiriamo oggi in Italia nell’attesa sempre delusa di grandi cambiamenti, svolte, catarsi collettive, rinascite nazionali. Che dovrebbe essere sempre qualcun altro ad attuare.
Siamo invece noi che con maturata consapevolezza, impegno civile, consumi responsabili, dobbiamo incamminarci alla ricerca del nostro destino per costruire il nostro futuro. Detto in altri termini: è solo attraverso una profonda revisione dei nostri modelli produttivi, di consumo, sociali, interiori che possiamo agire per scuotere i sistemi politico e produttivo.
Ma se continuiamo a lamentarci attribuendo a chicchessia la responsabilità dei nostri fallimenti e del nostro non andare avanti, non solo resteremo al palo, ma inevitabilmente ci attende una regressione: economica, sociale, delle coscienze, intellettiva.Cesec-CondiVivere-2014.10.07-Medioevo-prossimo-venturoNon ci sono alternative: o ci risvegliamo dal sonno aprendoci ad un nuovo approccio alla qualità della vita, che presupponga un mondo nel quale il punto di riferimento non sia più il pil bensì la decrescita più o meno felice, o siamo dei morti che vagano in paesi dei balocchi, in realtà cimiteri alla portata di chiunque abbia occhi per vedere e cuore per sentire: autobus e metropolitane, centri commerciali, installazioni pseudoculturali di plastica.
Si dice che un intento individuale e decentrato non possa nulla ma non è affatto vero: dai gesti che ciascuno di noi compie ogni giorno possono nascere gli innumerevoli stimoli destinati a mutare il gradiente energetico in grado di sospingere il nostro Paese, e le nostre anime, verso l’ormai indifferibile cambiamento.Cesec-CondiVivere 2014.10.17 Appennino modenese vista suggestivaAltrimenti ci attende quello che da anni chiamo il medioevo prossimo venturo, che non considero una calamità ma un’opportunità ed al quale mi sto felicemente preparando attraverso la progettazione ecosostenibile di luoghi destinati ad accogliere piccole comunità il più possibile autosufficienti.

Alberto C. Steiner

Rinasce la Biblioteca di Alessandria

CondiVivere significa anche vivere liberamente cultura e informazione per un’ecologia della mente e dell’anima.
Al di là delle attestazioni formali Internet è sempre meno libero, sempre più oggetto di censure e manipolazioni ed a propria volta manipolatore. Intendiamoci, Internet non è che un mezzo, gestito da esseri umani.
Questa è una delle ragioni per cui bisogna prendere sempre più con le pinze le notizie che vi vengono veicolate, spesso distorte e finalizzate a far vedere e credere il peggio, in ossequio a quel divide et impera che, con ci casca, funziona sempre.
Accade però che nascano iniziative degne di nota, oltre che di encomio. Parliamo di una di queste, riprendendo la notizia dal nostro sito partner Consulenza Finanziaria.Cesec-CondiVivere 2015.05.16 Biblioteca Alessandria 001In quello che forse può essere il prossimo step nella lotta per la libertà d’informazione su internet, la blockchain startup con sede a San Diego, Blocktech, lancia una campagna di crowdfounding per sostenere Alexandria, una piattaforma decentralizzata, opensource e peer-to-peer per ogni sorta di media.
Usando la tecnologia della blockchain, Alexandria permette agli utenti di distribuire praticamente ogni sorta di media, – incluso video, musica, podcast, libri e progetti 3D-stampabili – su di un network di computer globale e incensurabile.
Parlando a Cointelegraph, il CEO di Blocktech Davon Read, ha spiegato: “Possiamo comparare Alexandria a Youtube oppure a Soundcloud, ma, grazie a diverse tecnologie peer-to-peer, la piattaforma non si appoggia a nessun server. Gli utenti possono pubblicare tutto ciò che vogliono, e hanno il pieno controllo di come vengono pubblicate le loro opere“.
Anche se Alexandria è promossa come piattaforma, bisogna sottolineare che il software Alexandria, non memorizza tecnicamente nessun contenuto, su nessun supporto digitale. Utilizza invece la blockchain per memorizzare e distribuire magnet links collegati al protocollo BitTorrent, popolare per il file-sharing peer-to-peer. Come tale, Alexandria è forse più comprensibile se descritta come una versione decentralizzata di siti torrent come Piratebay, ma con diverse funzionalità aggiuntive come lo streaming e le opzioni di pagamento integrate.
Il vantaggio maggiore di Alexandria rispetto ai normali siti di torrent è naturalmente l’assenza di server centrali, il che significa che il servizio non può essere chiuso o bloccato, come è invece avvenuto più e più volte con siti di questo genere. Finchè qualcuno farà mining sulla rete di Florincoin, Alexandria continuerà ad esistere.
Read aggiunge: “L’obiettivo era fondamentalmente quello di dare a tutti sul pianeta, il diritto alla libertà di parola. Non facendo passare leggi che possono essere abrogate, annacquate o semplicemente ignorate, ma creando un sistema direttamente sul web. Con Alexandria, un cittadino può condividere video sulla brutalità della polizia, un informatore può rilasciare prove di corruzione, un bambino prodigio può condividere la sua idea innovativa per la soluzione al riscaldamento globale, una vedova di guerra in Siria può condividere il suo documentario indipendente sulla vita in una zona di guerra e usare i proventi per aiutare a ricostruire il paese e Cody Wilson può condividere le sue armi da fuoco 3D stampabili, senza che nessuno possa censurarle.
Inoltre, Alexandria tenterà di sostituire i modelli attuali di monetizzazione, che molti creatori di contenuti utilizzano abitualmente su internet, con diverse forme di pagamento diretto da parte degli utenti. Attualmente Alexandria dà due opzioni: la possibilità di offrire mance opzionali ed un “pay-what-you-want”, ma il team sta pianificando per il futuro l’implementazione di diverse altre opzioni, come i micro-abbonamenti e un innovativo meccanismo di ‘copyright peer-to-peer’. Io personalmente odio la pubblicità sul Web, e in realtà non è molto efficace. Gli artisti fanno di questi tempi, meno di 1 dollaro da 1000 condivisioni dei loro contenuti. Pensiamo che micro tipping diretti e altre opzioni di pagamento basati sulle cryptocurrency possano fornire molto più valore agli artisti, ed una migliore esperienza per il pubblico“.Cesec-CondiVivere 2015.05.16 Biblioteca Alessandria 002Mentre la maggior parte dei tipi di pagamento in Alexandria può essere fatto in bitcoin, il software attuale è costruito sulla base di Florincoin, un altcoin lanciato nel 2013. Florincoin assomiglia a Bitcoin e soprattutto a Litecoin per molti versi, ma da questa cryptocurrency si distingue per la possibilità di collegare 528 byte di informazioni per ogni transazione. Alexandria utilizza questa opzione per memorizzare magnet links, nonché dati aggiuntivi sulla blockchain di Florincoin. Ciò significa che gli uploader di contenuti hanno bisogno di possedere alcuni florincoin per pagare le mining fees, che possono essere acquistate in Bitcoin all’interno della stessa app di Alexandria.
Read, non nega la possibilità di passare Alexandria su un’altra open blockchain, precisa però: “In questo momento, ha più senso per noi utilizzare Florincoin come nostro database e mi aspetto che questo continui ad essere la soluzione migliore per Alexandria nel lungo termine. Se dovesse però diventare evidente la necessità di cercare soluzioni migliori, quali potranno dimostrarsi le side chains o Ethereum, saremo disposti a cambiare i nostri piani“.Cesec-CondiVivere 2015.05.16 Biblioteca Alessandria 003Lo sviluppo di Alexandria è attualmente in fase α Alfa. Il team di Block Tech spera di essere in grado di raccogliere 36.000 dollari attraverso un crowdfounding per completare la beta privata in sei settimane e raccogliere ulteriori 42.000 dollari per rilasciare una beta pubblica opensource sei settimane più tardi. Il team, ha inoltre pubblicato un piano di sviluppo per dettagliare come verranno impiegati gli ulteriori fondi.

Alberto C. Steiner – Consulenza Finanziaria

Medioevo prossimo venturo? È già arrivato

Partiamo da una premessa dal sapore filosofico anche se, argomentando di sopravvivenza, c’è ben poco spazio per la filosofia: la filosofia va bene quando si ha la pancia piena e a noi piace il fare, non le chiacchiere.Cesec-CondiVivere 2015.03.20 Medioevo prossimo venturo 001Come nel Medioevo, vediamo i primi segni di incastellamento: luoghi sicuri cinti da mura, nella versione moderna con portineria, sensori anti-intrusione e telecamere, villette circondate da mura (a quando il fossato con i coccodrilli?), pubblicizzate come luogo di assoluta tranquillita’ e sicurezza, luoghi in realtà niente affatto inespugnabili sorti in ossequio ad una mentalita’ chiusa che ha sviluppato il marketing della paura, chiusi come prigioni, ma in realtà solo prigioni dell’anima.
Quello che da tempo andiamo propugnando non è un concetto di isolamento, bensì di comunità, e niente affatto chiusa o isolata. Semplicemente una comunità dove le menti ed i cuori non sono stati messi all’ammasso. Comunità orgogliose della propria identità, libere dalla paura, aperte a chiunque nell’ambito del reciproco rispetto, pensate per essere libere dai condizionamenti mediatici, i cui abitanti amano se stessi e quindi il mondo.
Sembra che sia destino di ogni cultura umana seguire un percorso ciclico, da una fase iniziale di novità, espansiva e innovativa, ad una fase di assestamento per poi giungere alla fase terminale di disgregazione, arroccamento su idee ormai svuotate del contenuto, chiusura verso il mondo, individualismo, solo più un fantasma, parodia di se stesso, destinato ineluttabilmente a crollare, spazzato via come un fragile gigante di argilla.Cesec-CondiVivere 2015.03.20 Medioevo prossimo venturo 002Prendiamo per esempio il caso italiano: in soli quattro lustri, il cosiddetto governo è diventato la parodia di se stesso, arroccato contro un nemico esterno che non è mai esistito ma solo creato ad arte per distogliere l’attenzione, contro un fantomatico partito eversivo dei magistrati, contro quei comunisti che sono in realtà, come sempre sono stati, solo scarti di sacrestia.
Le frasi d’ordine ripetute incessantemente come dei mantra sono: “Non si puo’ contraddire la volontà popolare”, come se quella massa ormai amorfa e istupidita chiamata popolo fosse in grado di esprimere un parere autonomo, ma questa è la truffa mistificatrice di tutte le cosiddette democrazie… Altra frase topica: “Bisogna pensare a lavorare”, e infatti oggi un giovane su cinque è disoccupato…, e per finire: “Bisogna fare le riforme”.
Nel Medioevo il sovrano era investito della sovranita’ in quanto eletto da dio, ovvero incoronato dal suo rappresentante in terra, il papa. Ma oggi, dove il valore alto della cultura non è certamente un dio sia pure in versione trascendente, bensì il Popolo, ecco che l’investitura ovvero il voto degli elettori assume la stessa valenza simbolica.
Ma in una piccola comunità questo voto non serve a delegare, ma solo a stabilire chi gode della fiducia e si assume una responsabilità. In altre parole chi fa che cosa, sotto il diretto controllo degli altri membri della comunità stessa, a loro volta singolarmente responsabili di un aspetto della vita sociale. Incapaci o truffaldini non verrebbero puniti semplicemente non rinnovando loro la fiducia ma verrebbero estromessi dalla comunità, senza trascurare la rifusione del danno. Legge tribale? E perché no?
Ferma restando la massima libertà, il libero arbitrio responsabile di ciascun individuo, in ossequio alla nota massima di Aleister Crowley: “Fai ciò che vuoi sarà tutta la legge” con il corollario spesso volutamente dimenticato: “Amore è la legge, amore sotto la volontà”.
Quindi, non solo il sovrano non è infallibile, ma spesso – almeno dalle nostre parti – è nudo. E, sempre dalle nostre parti, vige il concetto della massima libertà. Ma libertà non significa affatto lassismo, permessivismo, fa cio’ che vuoi, né tantomeno Peace&Love a prescindere.

ACS

Campo di Brenzone: una perla abbandonata sul Garda

In posizione incantevole a mezza costa sulla sponda veronese del lago di Garda, all’ombra del monte Baldo e circondato da campi di ulivi secolari, un pugno di case pressoché disabitate aspetta di essere riportato a nuova vita: è Campo, un antico borgo dal quale si gode la vista di tutto il Garda.CC 2014.10.03 Campo Brenzone 001Lontano dalla strada e non accessibile in auto, ma in quindici minuti di camminata si giunge in riva al lago. Numerosi sentieri indicati da segnavia portano in vetta al monte Baldo, per chi non vuole faticare scalabile in cabinovia dalla vicina Malcesine.
Campo, situato a 45°42′ N 10°46′ E ed il cui toponimo deriva dai campi coltivati ad ulivi, è una frazione di Brenzone, con i suoi 50 km2 di estensione territoriale il comune più vasto del Veneto, e la sua esistenza è riscontrabile sin dall’anno 1023; oggi consta di un abitante censito, in realtà i residenti sono ben… nove facenti capo a due nuclei familiari.CC 2014.10.03 Campo Brenzone 003La via che conduce a Campo sale dal lago stretta fra le antiche case, selciata e molto ripida. Appena termina l’abitato appaiono i primi ulivi, che accompagnano il rimanente percorso in una campagna curata, caratterizzata da terrazzamenti con muretti a secco e da un panorama mozzafiato: in basso si vede la chiesa di San Giovanni di Magugnano, sullo sfondo della sponda bresciana con le alte scogliere che cadono a picco sul lago ed il santuario di Montecastello.
Presto si giunge alla valle detta della Madonna dell’Aiuto, percorsa da un torrente quasi sempre in secca, e superato un ponticello in muratura, la visione che si schiude raggiungendo l’antico borgo medievale ripaga di ogni fatica.
Oltre che dalle pittoresche case in pietra arroccate, disabitate e raccolte su se stesse attorno ai resti del castello ormai ricoperto dalla vegetazione, attorno al quale si è sviluppata la frazione, Campo è caratterizzato da vasti uliveti, da un fitto bosco di lecci e faggi e dalla chiesetta romanica dedicata a San Pietro in Vincoli eretta tra il XII ed il XIV Secolo, un piccolo scrigno che conserva pregevoli affreschi d’influenza bizantina databili al 1358 e… qualche misteriosa particolarità.DCF 1.0Il borgo è raggiungibile esclusivamente a piedi poiché la stradina carrabile, recentemente realizzata grazie ai fondi regionali funzionalmente al progetto di recupero, non è percorribile dai non residenti ed è anzi provvidenzialmente sbarrata ben prima di giungere all’agglomerato. Ma ciò non impedisce a numerosi turisti di visitare Campo, noto per essere uno dei punti più spettacolari della costa lacustre veneta; trattasi fortunatamente di un turismo di nicchia attento alle sfumature della natura e felice di sapere che l’unico punto di ristoro è costituito dall’antica fontana in pietra.
Durante il periodo medioevale, Campo e tutta l’area gardesana passarono sotto varie dominazioni: scaligera, viscontea, carrarese fino ad arrivare alla Repubblica di Venezia e, a partire dal 1797, seguirono le vicende napoleoniche ed asburgiche sino al termine della I Guerra Mondiale.CC 2014.10.03 Campo Brenzone snRimarcabile il fatto che nel territorio di Brenzone non esistesse una via comoda per raggiungere Verona o Trento, poiché la stessa morfologia della catena montuosa ricca di strapiombi sui due versanti e chiusa dal lago sul versante occidentale, e dalla Val d’Adige su quello orientale, la rendeva un’immensa fortezza naturale, accessibile soltanto da nord o da sud; ciò permise a borghi come Campo di rimanere in gran parte immuni dalla penetrazione del potere cittadino.
Ancora oggi le strade che corrono a mezza costa, per lo più mulattiere selciate e delimitate per lunghi tratti da muretti a secco, ricalcano sentieri e piste antiche costituendo una fitta rete di tratturi colleganti le diverse contrade e la zona abitata con le rive del lago da una parte e, dall’altra, con la zona olivetata, i boschi e i pascoli, come ad esempio il sentiero che da Magugnano-Marniga porta, attraverso Campo, ai pascoli di Prada e a San Zeno di Montagna. Va annotato che il comune di Brenzone aveva giurisdizione sui pascoli sino a Cima Telegrafo e a Cima Coal Santo.
Questi sentieri, arterie vitali del versante occidentale del Baldo, cominciano ad essere fitti proprio a nord di Punta San Vigilio; da Garda partiva invece la strada in costa detta Cavalara, che riuniva i piccoli centri rivieraschi e quelli sopracosta.
Campo si trova al punto di confluenza di diverse mulattiere; in particolare, fino agli inizi del XX Secolo, erano importanti quella che da Castelletto, attraverso Biasa, giunge al borgo, detta strada vicinale di Campo e quella che da Magugnano-Marniga saliva verso Prada, detta strada comunale della Cà Romana o strada comunale di Campo.
Queste due arterie s’incrociavano proprio a Campo e proseguivano nella strada comunale di Caprino che attraverso Torri, Monte Motta e Pesina costituiva l’unica via di collegamento fra le contrade dell’alto lago e quelle del basso lago e dell’entroterra gardesano, in particolare Caprino, nodo delle vie di comunicazione dell’entroterra veronese e importante centro di mercati del bestiame.
Per queste mulattiere, che a tratti passano anche sotto i portici delle case, si saliva a piedi, o con animali da tiro e le tipiche slitte di fabbricazione locale, le sbarusole, sbarossole o carièle. Ancora oggi sulle pietre del selciato molto levigate si possono notare i solchi lasciati dal frequente passaggio delle slitte.CC 2014.10.03 Campo Brenzone 004I muretti di contenimento, detti marogne, costituiscono il limite perimetrale dei sentieri nelle zone a terrazzamenti o a pascolo e sono un elemento tipico del paesaggio collinare e montano non solo lacustre, ma di tutto il territorio veronese; sono realizzati in blocchi sbozzati di pietra, faccia a vista e a secco, ricavati dallo spietramento dei campi messi a coltura o a pascolo ed in alcuni punti aperti da piccoli barbacani per favorire lo scolo delle acque dai campi nei periodi di abbondanti precipitazioni.
Del resto, la ristrettezza e le asperità del territorio, confinato tra il lago e le impervie e scoscese pendici del Monte Baldo, spesso solcate da valli profonde e torrenti, hanno comportato notevoli difficoltà nel realizzare vie di comunicazione terrestre, rendendo per secoli le comunicazioni via terra praticamente impossibili e non favorendo lo sviluppo di centri abitati che non fossero, fino alla prima metà dell’Ottocento, modesti nuclei sparsi collegati da mulattiere e sentieri stretti tra muri a secco.
Proprio per tale ragione intense ed importanti furono invece le comunicazioni per via d’acqua che produssero vivaci rapporti, anche familiari, tra le opposte sponde lacustri.
La via lacustre, tra tutte le vie di transito era sicuramente quella più veloce, comoda, frequentata e, in alcuni periodi, anche meno pericolosa e quindi meno costosa, rimase fondamentale nelle diverse epoche e sotto i vari domini fino agli inizi del Novecento.
Tra l’altro la Via dell’Ambra, che aveva origine nella penisola dello Jutland e, percorrendo i corsi dell’Elba e dell’Inn, valicate le Alpi attraversava il Garda e la Val d’Adige per sfociare sulle coste del Mediterraneo e delle regioni dell’Oriente.
Sino ai primi decenni del Novecento l’economia locale, oltre che dalla pesca e dalla navigazione, dipendeva prevalentemente dalle attività legate alla terra: allevamento di bachi da seta, produzione casearia come attestano le numerose malghe tuttora esistenti, coltivazione di ulivi. Da ricordare anche la produzione di legna e di due importanti derivati: lignite e calce. Per la produzione di quest’ultima, destinata principalmente all’esportazione, venivano utilizzate particolari costruzioni in pietra di forma circolare, le calchére, alcune delle quali visibili ancora oggi.

Breve e triste historia del nostro tentativo di recupero
Tra settembre e novembre dello scorso anno 2013 abbiamo stabilito contatti finalizzati ad una proposta di recupero del borgo: costituzione di un ecovillaggio con unità abitative in cohousing, recupero dei terreni già coltivati a oliveto ed impianto di specie compatibili con il territorio e la sua storia, impianto di laboratori artigianali per il recupero di mestieri della tradizione locale erano le linee giuda del progetto, i cui oneri sarebbero stati sostenuti da investitori privati e da una banca attiva nel settore della finanza etica.
Siamo stati ricevuti con estrema cortesia e profondo interesse dall’allora Sindaco, che ci ha messo a disposizione l’Ufficio Tecnico Comunale. Abbiamo successivamente preso contatti con la Sovrintendenza di Verona poiché l’area è vincolata.
Abbiamo infine preso contatto con la Fondazione che detiene il borgo e che teoricamente ne dovrebbe curare il recupero. E qui, al di là di una richiesta economica stratosferica rispetto all’effettivo valore di edifici e terreni, abbiamo iniziato a non capire: a parte i fondi erogati da una fondazione bancaria locale e spesi per la necessaria messa in sicurezza di alcuni manufatti pericolanti, non ci risultava chiara l’attribuzione di contributi comunitari ma soprattutto non ci risultava chiaro se ed in quale misura fossero pervenuti, né come ne fosse stato pianificato l’esborso. Non da ultimo, il borgo venne acquisito dalla Fondazione rilevandolo dal Comune, il cui sindaco all’epoca dell’operazione era colui che incontrammo nella veste di Presidente della Fondazione, in cambio di un terreno edificabile. Salvo scoprire che, rispettando le distanze di legge, non vi si sarebbe potuto edificare molto e pertanto era in corso un’azione legale tra Comune e Fondazione.
Insomma, ci siamo scontrati con il più classico dei muri di gomma: cose non dette e che forse non si possono dire, nonché molta resistenza. Aggiungendo a tutto questo il disinteresse, quando non la supponenza e la nemmeno tanto larvata derisione di chi a parole si dichiarava fautore del recupero del borgo, anche attraverso la costituzione di gruppi, associazioni e movimenti, ma nella realtà dei fatti sembrava vivere nell’ignavia al fine di potersi lamentare delle occasioni perdute, abbiamo deciso di lasciar perdere, nella consapevolezza che i borghi italiani attualmente abbandonati, e che aspettano soltanto di poter favorire chi intenda darsi da fare per la loro rinascita, sono oltre tremila.
Peccato: una posizione imperdibile, una storia del territorio non qualsiasi, concrete possibilità di sviluppo in un’ottica di vita sostenibile esuscettibile di creare posti di lavoro buttata alle ortiche. Anzi, a lago.

Alberto C. Steiner

Il progetto ecocompatibile della Via Mala

Non occorreva attendere l’inverno, bastava il mese di settembre per godere delle stalattiti che ornavano le rocce debordanti, anzi inglobanti, la tortuosa sede viaria sulla quale durante la notte si formavano tranelli di ghiaccio quasi invisibili nella luce radente dell’alba. Prima di diventare consapevole ed ecosostenibile una delle mie palestre dell’ardimento consisteva proprio nel percorrere un istante prima dell’alba con la mia 037, inseguito o superato sulla strettissima carreggiata dalla Montecarlo di mio cugino Matteo, il tragitto Clusone – Lovere via Castione-Dezzo in 44′ netti, miglior tempo stabilito in assoluto da non so più quale matto, lungo la Via Mala in controsterzo e derapata dimenticando di possere i freni e lavorando solo di cambio e inerzia sulle curve ghiacciate, a rischio di finire contro le rocce o, peggio, di sotto. Adrenalina. E caffè sulla piazza di Lovere. Del resto, meglio trasgredire a vent’anni che a cinquanta…KL Cesec CV 2014.03.05 Mala 001Ma cos’è, anzi cos’era, la Via Mala per chi non la conosce? Semplice: un canyon lungo 13 chilometri percorso da una stretta via a mezza costa tutta curve e controcurve, pendenze e contropendenze in discesa verso il lago d’Iseo, sovrastata da rocce debordanti ed a strapiombo sull’abisso: la Via Mala.
La Via Mala è una tra le arterie montane più panoramiche e spettacolari d’Europa,è l’ex Strada Statale 294 che a cavallo delle province di Brescia e Bergamo attraversa i comuni di Angolo Terme, Azzone, Colere, Vilminore di Scalve e Schilpario. La strada, aperta al traffico nel 1864, era caratterizzata da due elementi d’eccezione: l’ubicazione e la modalità costruttiva: si snodava infatti a mezza costa lungo la forra della valle lungo un percorso esistente già nell’alto Medioevo, di origine glaciale molto profonda e stretta, incisa dallo scorrere costante delle acque del fiume Dezzo.
Il tracciato stradale, in alcuni punti coraggiosamente scavato nella roccia, rappresentava l’alternativa al sentiero largo appena 80 cm utilizzato fino al 1860 con le slitte per il trasporto a valle dei minerali ferrosi cavati dalle miniere della valle di Scalve.KL Cesec CV 2014.03.05 Mala 002I vertiginosi precipizi che terrorizzavano i viaggiatori del passato lasciano tuttora senza fiato, e anche se le auto utilizzano una nuova strada quasi interamente in galleria, che ha preso il posto della vecchia chiusa sul finire degli anni ’80, il vecchio itinerario può essere ancora ripercorso, per esempio affrontando dal basso lungo il sentiero sul fondo della gola una scalinata di 275 gradini, dove i precipizi si trasformano in pareti alte fino a 500 metri. E lo spettacolo è talmente suggestivo che un gruppo di giovani architetti locali: Alessandro Beber, Giancarlo Beltracchi, Fabio Bonetti e Carlo Piccinelli ha pensato qualche anno fa di mettere a punto un progetto per valorizzarlo. Con un ponte osservatorio sulla stessa gola che ne è diventato il simbolo. Ma il programma non riguardava solo i tratti panoramici del tracciato. L’obiettivo consisteva nel  promuovere l’intero Sistema Via Mala con tutti i suoi itinerari per farne un museo all’aperto.
Proprio perché i tratti più difficili e spettacolari, intagliati nella roccia a picco, furono abbandonati nacque il progetto per conservarne valorizzarne la memoria ed il patrimonio storico e ambientale. L’accesso all’itinerario recuperato è situato in località Casa Cantoniera, vale a dire, provenendo dalla Val di Scalve, subito dopo la terza galleria a sinistra.
Oggi la Via Mala è il portale che apre al Parco delle Orobie Bergamasche per chi proviene dalla Valle Camonica.KL Cesec CV 2014.03.05 Mala 003La forra del torrente Dezzo, con le sue pareti a strapiombo e da tempo teatro di pratiche sportive quali canottaggio, arrampicata e pesca, grazie al recupero ha potuto potenziare l’offerta di attività ricreative rivolgendosi ad un pubblico ancora più vasto e diversificato, in un contesto ambientale ricco e di altissimo pregio. Per chi proviene dalla Valle Camonica la Via Mala costituisce l’accesso al Parco delle Orobie Bergamasche e, varcando questa soglia virtuale, si entra in un contesto naturalistico di notevole interesse: la profonda forra, le particolari stratificazioni rocciose, le marmitte, le antiche miniere, i graffiti rupestri, i roccoli, i sentieri ed altri affascinanti risvolti dovuti all’importante azione dell’acqua nelle varie stagioni, nonché numerose emergenze geologiche, alcune delle quali sono state evidenziate lungo il percorso museale attraverso il posizionamento di appositi visori di tipo ludico-didattico.
Sotto il profilo ambientale le elevate proprietà naturalistiche sono dovute anche alla presenza di tre tra le più vaste aree riconosciute a livello europeo come Siti di Importanza Comunitaria: l’area dell’Alta Val di Scalve, la Presolana e la riserva naturale Boschi del Giovetto ad Azzone.
Nel territorio della Val di Scalve sono inoltre presenti altre ZPS, Zone di Protezione Speciale ed il biotopo chiamato in più modi: cascata di travertino, cascata di ghiaccio, cascata pietrificata oppure, ed è la denominazione più poetica, Il luogo degli Arcobaleni, visibile sulla parete frontale del Vallone emesso in evidenza dal progetto di recupero e restauro.
La rarità di molte specie vegetali ed animali presenti in Valle di Scalve corona infine un panorama merleggiato da catene montuose scabrose e niente affatto morbide relativamente al loro profilo.
E’ in questo contesto che nacque l’idea di inserire il progetto di recupero della Via Mala impostandone la filosofia nel massimo rispetto dei valori contestuali.  Nel risolvere le problematiche di recupero ambientale, di messa in sicurezza e di risposta alle esigenze funzionali, è stato utilizzato un approccio ecocompatibile, facendo uso ove possibile di tecniche e materiali naturali.
Una delle parti più sensibili di tutto il progetto ha riguardato il canale del Vallone, prima dei lavori interamente impegnato dai materiali di risulta provenienti dagli scavi delle gallerie e del quale, grazie ad alcune gradonature realizzate con strutture in terre rinforzate è stato rimodellato l’impluvio e, con lo stesso materiale di risulta, sono stati realizzati l’area del parcheggio ed il percorso che scende per la visita al greto del fiume. L’uso di terre rinforzate – dette anche terre armate – e quello di biostuoie ha consentito di mantenere completamente verde l’intera vallata, mantenendo il massimo grado di permeabilità e gestendo al meglio l’assetto idrogeologico.
Al piede vi è un muro di scogliera antierosivo realizzato in massi sormontato da gradonature costituite da palificate lignee doppie e sentieri, anche questi incordonati da palificate lignee.
La sensibilità nei confronti della bioarchitettura non si è fermata all’utilizzo dei materiali, entrando a fondo nei concetti e nei presupposti progettuali. Significativo in questo senso l’ampio riuso dei materiali presenti in loco valorizzandoli all’interno del progetto, che ha creato un sensibile risparmio economico ed ambientale dato dalla riduzione dei rifiuti, esaltando nel contempo le caratteristiche degli elementi antropici tipici, che hanno consentito di non tradire l’aspetto storico e culturale della strada.
Per gli elementi architettonici aggiunti: pensiline, balcone, parapetti si è utilizzato l’acciaio cor-ten, che non richiede né manutenzione né trattamenti con vernici ed è un materiale totalmente riciclabile. Nel caso delle barriere paramassi l’acciaio è stato abbinato a tronchi di legno in luogo delle troppo usuali reti tirantate ad anelli e, tra le soluzioni di ingegneria naturalistica, vi è anche un vallo in terre rinforzate gabbionato con pietra reperita in loco.
L’attenzione alla percezione spaziale ha fatto sì che i nuovi manufatti fossero dotati di una propria trasparenza, consentendo la continuità visiva e migliorando conseguentemente la fruizione della natura circostante mediante la creazione di effetti vedo-non-vedo. Gli interventi sono stati effettuati tendendo ad intaccare il meno possibile gli elementi naturali, privilegiando anzi le soluzioni che permettevano di attaccarsi a manufatti esistenti quali strada e muri.
TibetLe pensiline parasassi inoltre, la cui copertura è in lamiera microforata, affondano le loro radici nella base stradale rocciosa, sfiorando senza mai toccarle le rocce circostanti. Alcuni interventi di mitigazione ambientale hanno infine permesso di mascherare elementi tecnologici e stradali utilizzando elementi vegetali, inglobati nel contesto.
Questo articolo è stato ispirato dall’immagine qui riprodotta, casualmente vista girovagando in internet, che ritrare un camion impegnato in un difficile passaggio lungo una strada di montagna tibetana.

Malleus

Alla scoperta delle antiche Strade Maestre della Brianza

Domenica 2 marzo il Comune di Lurago d’Erba propone una passeggiata per riscoprire due strade antiche del territorio.KL Cesec CV 2014.02.28 Lurago 002Rimaste finora sconosciute, erano vie maestre  di epoca medioevale ma probabilmente databili anteriormente alla tarda romanità. Documenti del Quattrocento, recentemente ritrovati all’Archivio di Stato di Milano,  attestano una Strata per Mediolanum  ed una per Como che si incrociavano a Fabbrica Durini.  Fortunatamente queste antiche vie conservano ancora tratti osservabili che verranno percorsi fra paesaggi  tuttora boschivi  ed agresti della Brianza.
Lo scopo della camminata è quello di riproporre una lettura storica inusuale di quest’area briantea;  l’iniziativa è rivolta a chi per lavoro o per passione si interessa alla storia del territorio ed alla cultura locale.
Il ritrovo è fissato per domenica 2 marzo presso il Municipio di Lurago d’Erba in Piazza Giovanni XXIII alle ore 8:45. Il percorso si snoda per 6 Km circa e gli organizzaotri consigliano di indossare calzature ed indumenti adeguati a un’escursione campestre. KL Cesec CV 2014.02.28 Lurago 003KL Cesec CV 2014.02.28 Lurago 004L’itinerario e tempi di massima sono:
Ore 9:00 Lurago d’Erba
Passaggio presso i resti della ex chiesa altomedievale di San Giorgio a Colciago e visita dell’annesso ossario
Passaggio sentiero di Longura con visione del piccolo borgo di Calpuno
Si raggiungerà il Pont di Pubiet  e lo stagno del Parco Locale di Interesse Sovracomunale Zoc del Peric
Ore 9:50 Fabbrica Durini
Visione in lontananza del castello Durini
Visita all’interno della cappella della Madonna del Viandante
Visita ai resti della collina fortificata del Monbert
Ci si addentrerà nei boschi della Val Francia e dei suoi massi trovanti  lungo i resti della Strada per Milano
Ore 10:40 Cremnago d’Inverigo
Nei boschi della Valsorda vi sono i resti più suggestivi dell’antica strada per Milano
Visita al Lazzaretto e del sui affreschi oltre a ai resti di una via secondaria denominata Via Chava
Ore 11:30 Arosio-Carugo
Visita alla seicentesca ‘Fontana del Nan’ che alimentava Villa Arese Borromeo di Cesano Maderno
Visita alla  Riserva Naturale del Guercio e dei suoi fontanili
Sopralluogo a cascina Guardia, probabile luogo fortificato altomedievale.
Si prevede di terminare la passeggiata alle 12:30 presso località Pilastrello ad Arosio.KL Cesec CV 2014.02.28 Lurago 001Lurago è raggiungibile in treno (linea FN Milano Cadorna – Canzo-Asso) utilizzando le stazioni di Inverigo o Lambrugo. In caso di maltempo o innevamento, la gita verrà rimandata a domenica 23 marzo. Per informazioni e adesioni scrivere a comunicazione@comune.luragoderba.co.it.

Malleus

Mosè salvato dalle acque. E le acque, chi le salva?

 Presso il museo del Louvre è conservata una diorite dell’altezza di circa mezzo metro detta la Stele della vittoria di Sargon, in accadico Sharru-kin, che significa re legittimo.
Fondatore della dinastia di Akkad e grande conquistatore  vissuto tra il XXIV e il XXIII secolo a.C. a lui vennero dedicate queste parole: Sono Sargon, non conobbi mio padre, mia madre era una sacerdotessa, mi concepì e mi dette alla luce in segreto. Mi mise in una cesta di giunchi e sigillò il coperchio con del bitume. Mi depose sul fiume che non mi sommerse ma mi sospinse fino all’irrigatore Aqqi, che mi accolse come un figlio, mi allevò e fece di me un frutticoltore.
La vicenda di Sargon è praticamente identica a quella di altre due figure di salvati dalle acque tra il mito e la storia, nella cultura occidentale e cristiana molto note: Mosè e Romolo.
Sargon era figlio di una sacerdotessa, come Romolo lo era della vestale Rea Silvia: entrambe avevano fatto voto di castità e per questa ragione partorirono segretamente.
Sargon e Romolo ufficialmente non conobbero il padre ed entrambi, ed in questo la leggenda li accomuna a Mosè, vennero abbandonati in un fiume dentro una cesta impermeabilizzata con bitume.
Diversa la vicenda di Mosè, il cui nome deriverebbe dalla radice משה che starebbe a significare colui che è stato estratto dall’acqua: salvato nientemeno che dalla figlia del faraone divenne pastore dopo aver commesso un omicidio che lo costrinse alla fuga.
In queste tre vicende l’acqua, se non come elemento di potenziale morte, viene comunque vista come veicolo di allontanamento, occultamento, separazione e, indirettamente, trasformazione e rinascita ad una nuova vita.Cesec - Francis Danby DiluvioL’acqua come minaccia, addirittura come castigo divino che è anche purificazione, la troviamo nel diluvio universale e ancora, sempre come elemento minaccioso, da dominare e trasformare, nelle vicende di Gesù che cammina sull’acqua o che la muta in vino. E, naturalmente, non poteva mancare nell’Apocalisse, nonché nelle attuali vicende legate alle correnti migratorie destinate, che lo si voglia o meno, ad introdurre un profondo cambiamento nei costumi della nostra società.Cesec - Salvataggio nel MediterraneoMa l’acqua è vista anche come elemento purificatore per eccellenza: nel battesimo cristiano e nelle abluzioni ebraiche, islamiche, induiste.
L’acqua vista infine come elemento da sfidare: da Ulisse a navigatori come Vespucci, Magellano, Colombo, Cook per citarne solo alcuni.
Il fuoco lo fermi l’acqua no, recita un antico proverbio a significarne l’inarrestabile potenza …
Anche le nostre terre, nel loro piccolo, sono collegate a miti legati all’acqua. Valga per tutte la leggenda di san Gerardo dei Tintori, il co-patrono di Monza, fondatore nel 1174 di uno dei più antichi ospedali italiani investendovi tutta la fortuna ereditata dal padre e del quale si racconta che abbia arrestato una piena del fiume Lambro, salvando così l’ospedale dall’inondazione.Cesec - Sauvé des EauxAbbiamo sin qui accennato, senza nessuna pretesa di completezza, a note vicende per dire che, se miti e leggende parlano di salvezza dalle acque, oggi è giunto il momento di salvare l’acqua.
Acqua: un bene prezioso tutt’altro che inesauribile, sempre meno puro ed al tempo stesso sempre più prezioso per l’esistenza umana. L’acqua sempre più oggetto di mire speculative, dalle quali – ed è questo il punto – dev’essere salvata.
Stiamo assistendo ad una virata nelle politiche dell’alimentazione mondiale tendente al monopolio: dei semi, delle coltivazioni ed oggi anche dell’acqua. Detto in altre parole: qualcuno ha deciso di decidere chi avrà il diritto di nutrirsi e dissetarsi, e chi no. E l’asservimento alimentare è peggio delle peggiori carestie: porta alla schiavitù.
Per questa ragione noi, nella modestia delle nostre potenzialità o, se preferite, in una logica di nicchia che altro non è se non consapevolezza di, giustappunto come si suol dire, in quante spanne d’acqua possiamo muoverci,  siamo attivi nell’individuazione di fonti e bacini per fare in modo, attraverso opportuni strumenti finanziari e societari, che l’acqua sia di proprietà dei diretti utilizzatori, vale a dire di coloro che, in un’area territorialmente delimitata, in un comprensiorio, in un contesto locale hanno interesse diretto a fruire della loro acqua.
Se il nostro sogno, progetto, chiamatelo come volete, in ogni caso non utopia, si espanderà a macchia d’olio o a macchia di leopardo non lo sappiamo. In fondo nemmeno ci interessa: quello che ci preme è agire, presto, bene e concretamente nell’interesse di tutti.
Compriamo l’acqua per salvare l’acqua, è uno dei nostri slogan. Con la collaborazione di tutti coloro che sentono l’esigenza di salvaguardare il proprio futuro attraverso un profondo lavoro, è il caso di dirlo, sul qui-e-ora.

Campo, un progetto che non decolla

 Con Deliberazione Regionale n.2802 del 23 novembre 2010 avente come oggetto: Comune di Brenzone – Recupero e valorizzazione storico-culturale, paesaggistica, turistica e ambientale di Brenzone – località Campo; Approvazione della Convenzione relativa alle modalità di attuazione dell’intervento ai sensi della L.R. 13/1999 venne stanziato un importo di 760.000 €.
cesec,condivivere,campodibrenzone,borgo,cohousing,lagodigardaNell’agosto 2011, fu approvata dal Consiglio Europeo, e conseguentemente ritenuta finanziabile, la proposta di massima finalizzata al salvataggio di Campo per farne un’accademia del restauro ed un centro di eccellenza per la tutela delle tradizioni artigianali locali, eventualmente non disgiunto da un’attività di albergo diffuso sulla scorta di quanto realizzato in altri borghi abbandonati italiani e previo parere favorevole della Soprintendenza dei Beni Ambientali di Verona. All’uopo venne costituita appositamente la
Fondazione Campo – Campo Stiftung ed alcuni studi di massima furono redatti dall’Accademia del Restauro di Raesfeld, in Germania, e da Edilscuola di Verona con il parziale sostegno economico della Fondazione Cariverona.
Numerose le ipotesi progettuali legate al riuso del sito, previo un recupero che nei fatti non è ancora iniziato, non solo per mancanza di fondi.
Se un eventuale plesso museale può avere buone possibilità teoriche di essere realizzato in ragione dell’esiguità degli spazi e degli investimenti occorrenti, così non sembra essere per un centro che salvaguardi l’eccellenza artigiana: “
la gente vuole arrivare in auto, diversamente potremo contare solo su un’utenza occasionale” affermava in un’intervista rilasciata tempo fa all’Arena, il quotidiano veronese, un esponente della Confartigianato locale, aggiungendo: “e questo a fronte di investimenti finanziari non indifferenti che, in un momento economico difficile come l’attuale, sarebbe molto arduo recuperare. Certo, sarebbe bello poter educare la gente a non usare l’auto, alle passeggiate nella natura ed ai silenzi, ma il turismo mordi e fuggi non è tarato su questa lunghezza d’onda. E oggi più che mai dobbiamo prendere quello che c’è”. Pessimismo o sano pragmatismo? Sta di fatto che, oltre a qualche convegno e ad alcune pubblicazioni non si è andati.
Un’altra ipotesi sulla quale punta il recupero di Campo è la costituzione di un albergo diffuso, una soluzione che, rispettando e valorizzando il territorio ed i suoi caratteri naturalistici ed antropologici, offre un’ospitalità, generalmente di ottimo livello qualitativo.
Esempi in Italia non ne mancano. Come scrive Giancarlo Dall’Ara nel suo sito www.albergodiffuso.com un albergo diffuso è sostanzialmente due cose:
·
 un modello di ospitalità originale
·
 un modello di sviluppo turistico del territorio.
In estrema sintesi si tratta di una proposta concepita per offrire agli ospiti l’esperienza di vita di un centro storico di una città o di un paese, potendo contare su tutti i servizi alberghieri, cioè su accoglienza, assistenza, ristorazione, spazi e servizi comuni per gli ospiti, alloggiando in case e camere che distano non oltre 200 metri dal “cuore” dell’albergo diffuso: lo stabile nel quale sono situati la reception, gli ambienti comuni, l’area ristoro.
cesec,condivivere,cohousing,campodibrenzone,lagodigarda,borgo,recuperoMa l’AD è anche un modello di sviluppo del territorio che non crea impatto ambientale. Per dare vita ad un Albergo Diffuso infatti non è necessario costruire niente, dato che ci si limita a recuperare/ristrutturare e a mettere in rete quello che esiste già. Inoltre un AD funge da “presidio sociale” e anima i centri storici stimolando iniziative e coinvolgendo i produttori locali considerati come componente chiave dell’offerta. Un AD infatti, grazie all’autenticità della proposta, alla vicinanza delle strutture che lo compongono, e alla presenza di una comunità di residenti riesce a proporre più che un soggiorno, uno stile di vita. Proprio per questo un AD non può nascere in borghi abbandonati.
E poiché offrire uno stile di vita è spesso indipendente dal clima, l’AD è fortemente destagionalizzato, può generare indotto economico e può offrire un contributo per evitare lo spopolamento dei borghi.
La prima idea italiana di Albergo Diffuso nacque dal terremoto che sconvolse il Friuli nel 1976 utilizzando a fini ricettivi turistici le case ristrutturate con i fondi destinati alla ricostruzione. Il progetto-pilota, a firma dell’architetto Carlo Toson, risalente al 1982 e relativo al Borgo Maranzanis di Comeglians nacque da un’idea del poeta e scrittore Leonardo Zanier. All’epoca, in una logica di
marketing l’approccio iniziale poteva essere definito product oriented: si tenevano cioè in considerazione le prospettive di sviluppo del territorio e le aspettative dei proprietari delle case, ma si trascuravano le esigenze degli ospiti. Oggi il modelo dell’Albergo Diffuso, normato da 13 regioni italiane come modello orizzontale sostenibile, attrattore per i centri storici ed i borghi, non offre solo posti letto bensì il concetto di albergo che non si costruisce, respirando lo stile di vita del borgo grazie alla possibilità di alloggiare in case che si trovano in mezzo a quelle dei residenti, vale a dire nell’ambito di una comunità viva. Diversamente si tratterebbe di un villaggio per turisti.
Esistono attualmente diversi alberghi diffusi, attivi con successo; ai primi costituitisi in Friuli a Sauris, in Sardegna a Bosa, in Puglia ad Alberobello se ne sono aggiunti nelle Marche, in Abruzzo, nel Lazio, in Molise, in Toscana, in Trentino Alto Adige ed in Basilicata dove una particolare menzione merita l’albergo diffuso
Grotte della Civita di Matera, realizzato ricavando residenze dagli storici Sassi, mentre di quello denominato Sextantio, in Abruzzo, riferiamo a parte in ragione delle sue caratteristiche di unicità.

Alberto C. Steiner

 

Campo, la nostra ipotesi di Recupero

 In quanto rispettosi del territorio e delle identità culturali suggeriamo un’ipotesi su cui lavorare: non albergo diffuso sic et simpliciter, bensì l’attuazione di una realtà residenziale in cohousing e, tra gli spazi di proprietà comune, quelli destinati all’attività ricettiva.

cesec,borgo,cohousing,albergodiffuco,campodibrenzoneCohousing, ovvero comunità coresidenziale, significa che ciascun nucleo familiare vive in uno spazio di proprietà esclusiva, condividendo spazi comuni pensati per lo svolgimento di un’attività collettiva: biblioteca, ludoteca, lavanderia e via enumerando. Perché non un albergo diffuso? o, addirittura, la possibilità per chi lo desidera di aprire la propria casa ad un’attività di Bed & Breakfast, con l’albergo diffuso a coprire un ventaglio di esigenze ulteriormente ampio.
In buona sostanza, alcune persone o nuclei familiari acquisterano una casa o un appartamento (dipende dalle singole esigenze e dalle possibilità che emergeranno relativamente alla suddivisione degli spazi in sede progettuale) condividendo nel contempo la proprietà degli spazi destinati all’attività alberghiera. Questa soluzione potrà altresì consentire la creazione di posti di lavoro, tutelando nel contempo l’ambito territoriale ed evitando che l’iniziativa assuma la connotazione di un presepe o di una
Disneyland avulsa dal contesto come fin troppe ormai ne esistono, per esempio in Toscana.
Ci rendiamo conto che panorama, antiche case arroccate ed ulivi secolari non bastano ad attirare persone. Windsurf, vela, mountain-bike possono essere praticati non essendo necessariamente residenti a Campo. Che fare quindi per attrarre turisti, possibilmente non
mordi-e-fuggi? L’idea è quella di strutturare percorsi di benessere fisico e spirituale: attività olistiche, meditative e naturopatiche, preparazione e vendita di prodotti naturali a base di olive, olio, miele, risorse del bosco (per alimentazione, erboristica, cosmetica e via enumerando) organizzazione di eventi, disponibilità di spazi per singoli e gruppi che intendano organizzarvi convegni, incontri e seminari tematici, e magari un luogo dove, favorendo l’avvicinamento all’alimentazione naturale, ritrovare i sapori della tradizione locale, beninteso senza dimenticare quel prezioso corpo fruttifero ipogeo, come viene definito nei trattati naturalistici, che gli intenditori sanno bene dove trovare sulle pendici del Monte Baldo: il tartufo.

cesec,condivivere,campodibrenzone,borgo,cohousing,lagodigardaQuesta possibilità si sposa, a nostro avviso, con un’ipotesi a suo tempo ventilata: costituzione di un nucleo permanente di artisti, in una fucina di creatività a contatto con la natura e lontana quanto basta da traffico veicolare, rumori ed altre fonti di disturbo.
Se, infine, la distanza tra Campo ed i principali centri limitrofi: Rovereto e Trento, Verona, Desenzano e persino Brescia, potrà consentire ai residenti di recarsi agevolmente al lavoro, la connotazione ecosostenibile del borgo potrà permettere lo sviluppo di un mercato
a km zero che promuova i prodotti locali, magari attraverso l’accorpamento ad uno dei numerosi Gruppi di Acquisto Solidale presenti sul territorio.
Le idee non mancano, noi stiamo buttando qualche sasso… vedremo se e quali forme prenderanno le onde nello stagno.

Alberto C. Steiner