Sapessi com’è strano vedere una cascina, a Milano

Non ci crede mai nessuno, eppure Milano è il secondo Comune agricolo italiano: 2.919 ettari su una superficie comunale complessiva di 18.175 vale a dire il 16 per cento. Punteggiati da cento cascine, oltre la metà delle quali di proprietà pubblica.CC 2016.07.05 Cascine Milano 002Pascoli e grandi orti, vivai e campi di grano, risaie e ghiacciaie, mulini e fontanili, fossi e marcite nel corso di oltre un millennio hanno contribuito a costruire un paesaggio agricolo sconosciuto alla maggior parte dei cittadini.
Nella maggior parte dei casi sono dislocate nella fascia meridionale ed occidentale della città e, insieme con strutture attive nell’agricoltura, nell’allevamento, nel florovivaismo ve ne sono altre dove si svolgono attività sociali, in svariati casi alloggiando persone disagiate, ma rimane una quota non trascurabile di edifici e terreni in disuso che potrebbero essere recuperati.CC 2016.07.05 Cascine Milano 004Distretto Agricolo Milanese, Facoltà di Agraria, Politecnico, Associazione Disponibile, Fondazione Cascine Milano 2015 (per citare solo alcuni nomi) in collaborazione con il Comune e con il concorso di numerose cooperative, associazioni, comitati e privati cittadini svolgono da anni un impegnativo lavoro tendente al riutilizzo degli spazi, spesso ampi, per mantenere vivo il tema allargando la base di interessi e consensi attraverso interventi di sensibilizzazione dei cittadini e delle istituzioni, affinché le cascine ritrovino la loro vocazione agricola o rinascano attraverso interventi sociali, culturali o ambientali.Colorful rural house with gardenLe difficoltà ci sono, primariamente quelle economiche: recuperare una cascina costa e, mancando l’intento speculativo, sono ben pochi, anche nell’industria agroalimentare, gli sponsor che non cedono alla tentazione di finanziare qualche installazione urbana di dubbio gusto ma di certa visibilità funzionalmente ad un ritorno da parte del target dei consumatori dormienti. Le imprese di costruzione, e mi riferisco a quelle blasonate, preferiscono investire in grattacieli destinati a consumare suolo e rimanere vuoti, ma illuminati di notte, e le fondazioni bancarie allargano più la bocca che i cordoni della borsa.
Ma cosa si produce nelle cascine milanesi? Secondo una mappatura promossa nel maggio 2014 dal Touring Club in collaborazione con Comune di Milano, Esselunga e Distretto Agricolo Milanese e riguardante un primo lotto di 32 unità si possono anzitutto acquistare prodotti a chilometro zero, conoscere i contadini e la loro realtà lavorativa, le coltivazioni locali, l’allevamento e la vendita diretta dei prodotti della terra per promuovere una parte importante dell’economia ponendo attenzione alla qualità e alla sicurezza del cibo.CC 2016.07.05 Cascine Milano 003Grazie alla mappa i milanesi possono sapere che alla cascina Corte del Proverbio – nel parco delle Cave – è possibile acquistare miele, o che alla Cascina Grande di Chiaravalle accanto all’attività agricola vi è un centro equestre. Oppure che alla cascina Campazzo, sorella della Campazzino e nel parco del Ticinello a meno di duecento metri dalla stazione M2 di Abbiategrasso, tanti milanesi vanno a comprare latte crudo ai distributori automatici. E ancora il Nocetum gestito da un’infaticabile suora, Ancilla Beretta, che accoglie ragazze madri e donne vittime di violenza. Naturalmente la mappatura non trascura quell’ecoscicchissimo giocattolo della Cascina Cuccagna, a Porta Romana.

Alberto C. Steiner

Ecosostenibilità dell’anima: la memoria è Donna

Quando noi italiani pensiamo alla pulizia etnica ci raffiguriamo normalmente i Balcani, l’Africa post-coloniale o, andando a ritroso nel tempo, gli Armeni, i Nativi Americani, i Catari.
Quasi mai arriviamo a considerare che anche la nostra Penisola fu teatro di simili efferatezze, eppure i Celti – o, per meglio dire, le tribù di matrice celtica – primi abitanti della Lombardia e fondatori di Milano, furono dapprima sterminati fisicamente dai Romani e, successivamente, la religione cristiana tentò in ogni modo di cancellare le tracce delle loro credenze religiose basate su una Natura Madre e su un intimo contatto con foreste, acqua, animali, montagne. Ma non vi riuscì: possiamo ancora ritrovare, vivissimi e presenti, i segni di quell’arcaico e arcadico modo di intendere la vita nella tradizione, nelle leggende, nei miti, nelle feste popolari, nelle filastrocche, e nelle testimonianze oggettive.CC 2016.07.04 Celti 001Per esempio, nel capoluogo lombardo, in quella stele con la famosa “scrofa mediolanuta” sognata da Belloveso e che originò il toponimo Mediolanum, peraltro conteso con i significati di località in mezzo alla pianura oppure luogo fra corsi d’acqua, stante la presenza dell’Olona, del Lambro e del Seveso. Si tratta di uno dei bassorilievi più antichi mai rinvenuti nella Regione, che tuttora campeggia al posto d’onore su uno degli edifici più importati del capoluogo, il Palazzo della Ragione di piazza Mercanti.CC 2016.07.04 Celti 002Dei Celti si sa ancora pochissimo perché come altri erano un popolo che non affidava alla scrittura la propria memoria, ma nel corso degli anni scolastici 2009-2010 e 2010-2011 vennero attuati onorevoli tentativi, in programmi didattici per le scuole elementari e medie, per insegnare l’acquisizione di un metodo atto a riconoscere ciò che dei Celti è rimasto insegnando a bambini e ragazzi ad osservare ciò che li circonda con occhi nuovi, a censire le tradizioni popolari locali alla scoperta delle matrici celtiche e, al termine del corso, organizzando una festa con tanto di falò propiziatori.
Come in tutte le comunità arcaiche anche in quella celtica le donne occupavano un posto di rilievo nell’economia della tribù e del villaggio: furono le prime contadine, preparavano il cibo, curavano i malati, determinavano i tempi della festa e del piacere, della vita e della morte, amministravano il rapporto con gli spiriti, prevedevano il futuro e interpretavano le voci dell’aldilà. Sappiamo bene come tale cultura venne ad un certo punto demonizzata e distrutta da Chiesa e Stato: in tal senso la caccia alle streghe fu la prima “soluzione finale” della storia europea.
Ma anche in questo caso non tutto il loro sapere è andato perduto, anche se certe capacità e conoscenze sopravvivono ancora oggi, alcune rivalutate pubblicamente, altre in maniera sotterranea.CC 2016.07.04 Celti 003Ritroviamo la figura dell’Herbaria già nella cultura Romana, e non ancora con valenza completamente negativa: è storicamente provato come i primi orti non servissero per nutrire bensì per guarire, e furono proprio le donne a realizzarli; e ancora le donne provvidero a curarli ed a renderli esteticamente gradevoli, non solo per il piacere dello sguardo ma anche per l’energia che emana da ciò che costituisce una gioia per l’anima e uno sfogo di creatività.
Il corso sopra menzionato si occupò ache di tale aspetto: nella cornice del Parco Nord furono realizzate alcune aule verdi nelle quali vennero attuate delle sperimentazioni basate sull’antico uso delle erbe officinali, creando nel contempo spazi dedicati ai colori dei fiori, ed in special modo ad alcuni di essi,i che da sempre la tradizione assegna  all’uso rituale sacralizzato.
Il corso non trascurò di far conoscere, mediante audiovisivi ed altri supporti, la storia della stregoneria in Europa, il censimento delle tradizioni popolari locali e la ricognizione degli orti esistenti, coinvolgendo inoltre nelle lezioni sull’uso delle erbe e degli orti donne che se ne occupavano.

Alberto C. Steiner