Vieni a vivere con me?

Sembra che presto, unitamente al defibrillatore, tra la strumentazione salvavita delle unità mobili di rianimazione troverà posto una pulsantiera da ascensore.
Nelle intenzioni del legislatore dovrebbe essere di ausilio negli stati di choc conseguenti ad attacchi di panico: avete presente quegli orribili minuti che si dilatano nell’immensità verticale tra il pianterreno ed il settimo di un qualsiasi condominio in forzata compagnia del vicino che, ne siete certi, ha votato contro la rastrelliera per le biciclette a favore dell’impianto di videosorveglianza? Oppure quel greve silenzio riempito solo da un borbottato buongiorno mentre l’occhio, anziché sorridere alla vicina, è inchiodato sulle modanature satinate che rinserrano lo specchio o, per l’appunto, sulla pulsantiera?
A me non accade, in primo luogo perché dove abito l’ascensore non c’è ed inoltre perché attacco bottone con chiunque, nelle situazioni più impensate. Ma posso comprendere.
La sindrome dell’ascensore, quindi. Che la pulsione alla sperimentazione di nuove forme abitative nasca proprio da lì?
Come per i sacchetti di plastica, nulla si crea e nulla si distrugge… in questa era postmoderna l’idea di vivere in comune torna ad occupare il panorama sociale. Tutto però si trasforma: dimenticati gli echi rivoluzionari e venute a noia le seduzioni dell’amore libero, la nostra anima è oggi tutta per emozioni suscitate da termini quali solidarietà, ecosostenibilità, integrazione assistita, decrescita felice.
La neo tendenza (c’è sempre un neo, da qualche parte…) a coabitare ha da qualche anno accelerato la propria curva di crescita: perché più che a una casa aspiriamo ad un ecosistema, perché siamo cuori verdi bio, perché siamo cuori grandi e la famiglia non ci basta, perché siamo cuori allegri e stare da soli… uff che noia.
Evviva le neocomuni quindi ma, come faceva dire il Manzoni al cancelliere Ferrer, si puedes y con juicio e facendo ricorso all’iniziativa privata, senza aspettarsi che la manna cada dal cielo, senza associarsi, consociarsi o avvilupparsi a qualche carrozzone politico che promette, illude per tornaconto, non fa crescere ed alla fine si rivela come il carro di Mangiafuoco: luccicante di lumi ma pronto a trasformare tutti in ciuchi.
I fatti lo dimostrano: le 26 iniziative censite a fine 2012 risultano essere oltre 200 alla fine dello scorso mese di settembre, ma molte di queste non sono associate alla RIVE, non compaiono sui social, non si aspettano che nessuno assegni loro alcunché. Individuano una cascina o un gruppo di case in un borgo abbandonato, studiano la fattibilità dell’intervento, mettono mano al portafogli, contraggono un mutuo e partono con la cantieristica affidandosi all’autocostruzione integrata dall’aiuto di professionalità specifiche, in particolare per quanto riguarda la statica, l’ambito energetico e gli aspetti tecnico-finanziari.Cesec-CondiVivere 2014.10.20 Ecovillaggio 005Ed anche il fattore tempo è dalla parte dell’iniziativa privata: tre anni costituiscono la durata media del periodo che va dall’idea alla consegna degli immobili, mentre nell’ambito dell’ortodossia ecosocialsostenibile non è raro trovare gente che dopo un decennio non ha ancora deciso che nome darsi.
Non è la prima volta che lo scrivo: molti hanno iniziato a comprendere che la consapevolezza passa anche dal mollare quelle sovrastrutture denominate ideologie e nel guardare alla concretezza. Per crescere insieme dopo che ciascuno ha iniziato a crescere da solo, lasciando perdere utopie, sogni, fantasie fuori contesto o di dubbia realizzazione e rivendicando ciascuno, pur in un ambito solidale, le proprie autonomie ed i propri spazi.
Soprattutto rifuggendo da quella modalità che vorrebbe annientare l’individualismo mettendo tutto in comune, soprattutto il denaro riconoscendo di fatto solamente la paghetta mensile anche a chi opera esternamente all’ecovillaggio e porta alla casa comune lo stipendio. Obbligato a sottostare ad una decisione collettiva che suona come un processo pubblico anche qualora trattasi di acquistare un minipimer per casa propria.
Questa vera e propria logica della setta (sicuramente più vantaggiosa rispetto a quella dell’Opus Dei: qui si parla di mancette variabili da 50 a 200 Euro mensili, ai nipotini di Josemaría Escrivá ne spetterebbero solo 30) permea molte vicende, ed è quella propugnata da certi aggregati portati ad esempio da quella specie di bibbia dell’ecovillaggista che è Ecovillaggi e cohousing, dove sono, come farne parte. Fortunatamente ha fatto il suo tempo, riscuotendo ormai credito solo presso alcune fasce di militante marginalità attanagliata dal male di vivere.
Questo scritto costituisce l’ideale seguito di Ecovillaggi, la rivoluzione silenziosa pubblicato in questo stesso Blog il 13 ottobre scorso.Cesec-CondiVivere 2014.10.20 Ecovillaggio 002Tra le motivazioni che portano a voler vivere in cohousing, e più ancora in ecovillaggio, non vi è solo il desiderio di una vita più ecosostenibile orientata verso un paradigma differente, una maggiore coerenza con una visione realmente ecologica ed olistica dell’esistenza. Autoproduzione, economia condivisa nello scambio ed attraverso il mutuo sostegno, consumo consapevole ed attenzione all’alimentazione nel rispetto delle diversità per chi vuol essere onnivoro, vegetariano, vegano, uno stile di vita naturale ed essenziale sono tutte nobili motivazioni, ma nascono da ben altre e più profonde, vale a dire da un vero e proprio processo di cambiamento interiore.
Detto in altri termini: nascono quando si diventa Consapevoli, Risvegliati, Guerrieri.
Decidere di vivere in un cohousing o o in un ecovillaggio non significa semplicemente metter su casa nel verde, ma ricercare primariamente un’armonia interiore attraverso un percorso di risveglio che coinvolge i piani psicologico, energetico, emotivo, relazionale, pratico ed economico legati ai concetti di sostentamento e sopravvivenza.
Tanto è vero che non ci si arriva improvvisamente, bensì attraverso un graduale percorso di crescita i cui primi segnali sono costituiti dal senso di smarrimento, frustrazione, sofferenza per come l’essere umano sia capace di condizionare se stesso distruggendo e danneggiando gravemente la Natura. Condizionamenti, menzogne, assuefazione alla violenza, egocentrismo che vengono sentiti come obsoleti e distruttivi.
Rabbia e frustrazione portano a cercare informazioni valicando quei canali ufficiali che mantengono le persone nel senso di inferiorità, di asservimento a bisogni indotti, di impotenza e paura.Cesec-CondiVivere 2014.10.20 Ecovillaggio 003Ad alcuni prende l’illusione di denunciare e controinformare, salvo scoprire che anche nell’attivismo socio-politico apparentemente più genuino si nascondono truffe e truffatori. Ad altri non par vero di aderire a gruppi, movimenti, associazioni che accogliendo amorevolmente propugnano l’ecosostenibilità, salvo scoprire che sono delle sette, e che esistono funzionalmente a una casa editrice, un marchio, una catena di ditribuzione o tutte queste cose insieme, oltre che per aprire tavoli ed organizzare convegni fruendo di fondi pubblici drenati da quel sistema che tanto denigrano.
Chi sfugge a tali ennesime sovrastrutture, illusorie bandiere di un conformismo dell’anticonformismo, inizia a pensare non già a come fare per cambiare il vecchio, bensì a come dare alimento al nuovo. Il vecchio, non più nutrito,  morirà per inedia…
Inizia quindi a ricercare soluzioni reali per sè e per la propria famiglia, più o meno allargata ad amici e conoscenti sintonici con quel modo di sentire e pensare.Cesec-CondiVivere 2014.10.20 Ecovillaggio 001Da soli o in gruppo si va a vedere questo o quel villaggio abbandonato, ed intanto tempo e situazioni contribuiscono a scremare chi vive l’esperienza come socializzante gita in campagna od occasione per l’ennesimo imbonitorio blabla. E si passa ad una fase di profonda introspezione mettendo in discussione se stessi e le proprie scelte, non guardando più all’esterno accusando e giudicando. E parafrasando la storica frase pronunciata da John Kennedy il 20 gennaio 1961: Non chiedete che cosa il vostro paese può fare per voi, ma cosa voi potete fare per il vostro paese, si inizia a domandarsi cosa realmente sia possibile fare per se stessi.
Partendo quindi dal sé, per sè e per i propri cari e non più per un evanescente collettivo, si cessa di sentirsi una marionetta, una vittima lamentosa, iniziando ad ascoltarsi per seguire concretamente ciò che si desidera, ad essere per primi quel cambiamento che si desidera per il mondo.
Abitudine, comodità, resistenza al cambiamento, paura del giudizio, timore di non farcela o di ripercussioni da parte del sistema, depressione, fissazione su pensieri di fallimento, ansia dell’incertezza sul futuro scompaiono insieme con la desuetudine ad affidarsi al proprio intuito, alla scarsa stima di sé, ai condizionamenti religiosi, culturali e familiari passivamente subiti per secoli.Cesec-CondiVivere 2014.10.20 Ecovillaggio 004Ci si rende conto di essere Cocreatori della realtà e non si ha più voglia di perder tempo attendendo che la maggioranza si decida. E nemmeno di interagire con essa, nella finalmente maturata consapevolezza che c’è chi è nato per essere libero e chi per essere schiavo e che tutto dipende dal singolo, un singolo che si è fatto la propria rivoluzione armonizzando le parti in conflitto per agire verso un radicale cambiamento della realtà esterna generando armonia intorno a sé, senza più proiettare all’esterno tensioni interiori o timori.
E si arriva così alla creazione del nuovo, scoprendo che anche nel quotidiano ancora urbano si tende a frequentare persone che vedono l’essere umano come Anima incarnata connessa con il Tutto, attratte dall’idea di coltivare orti e frutteti, di affondare le mani nella Terra con la consapevolezza che può contribuire a fornire il sostentamento necessario nella connessione profonda con gli elementi naturali, ma soprattutto con il proprio Centro. E si arriva così all’autoproduzione, magari iniziando dal terrazzo o dal giardino di casa, al mutuo sostegno, alla creazione di reti di scambio di prodotti, tecnologie, lavoro, competenze e risorse. Scoprendo infine che è possibile vivere, e vivere bene, risparmiando drasticamente sui costi della vita e, diventando sempre più indifferenti ai prodotti delle multinazionali, costituire una società parlallela ecosostenibile e alternativa. Ma soprattutto creattiva.

Alberto C. Steiner

A passo d’asino, per andare lontano

Tra le attività ecosostenibili e sociali da inserire in quella che chiamiamo ormai la nostra cascina in provincia di Bergamo un posto di assoluto rilievo, insieme con l’agriasilo, è occupato dall’onoterapia, la pet-therapy effettuata utilizzando gli asini.Cesec CV 2014.07.30 A passo d'asino 002Abbiamo incontrato alcuni esponenti della Cooperativa Sociale Onlus A Passo d’Asino, formata da persone appassionate e competenti che operano in varie sedi: aziende agricole, scuole, parchi compreso quello di Monza offrendo interventi assistiti, trekking someggiato, ricerca e consulenza veterinaria, attiviutà per bambini, gruppi, singoli.
L’onoterapia riveste per noi un significato di particolare importanza per le sue componenti ecologiche, sostenibili e di condivisione nel rispetto degli animali.
L’asino è un animale accogliente, empatico ed affettuoso che ama il contatto fisico e la sua socievolezza e disponibilità lo rendono un animale dotato di notevoli capacità relazionali e l’attività di mediazione, ovvero pet-therapy, con gli asini può essere rivolta a tutte le persone di qualsiasi età, in buona salute o che presentino problematiche psicomotive, relazionali, affettive, cognitive, fisiche, organiche.
Il progetto A Passo d’Asino parte dal presupposto che l’asino ha in sé il passo come andatura naturale, un passo lento e sicuro col quale si muove verso obiettivi precisi.
Chiunque può affiancare un asino in cammino e anche le persone che vivono in situazioni di disagio avranno la possibilità di trovare nell’asino un amico a cui aggrapparsi: ciò significa procedere a passo d’asino e da qui ha origine il progetto.
Insieme con l’asino, compagno dell’uomo lungo la storia, la Cooperativa si pone come obiettivo l’essere a servizio della persona, offrendo attività che abbiano nel miglioramento della qualità della vita un comune denominatore.
L’asino non è da intendersi come strumento ma come protagonista, e prioritaria è la sua rivalutazione e tutela globale.Cesec CV 2014.07.30 A passo d'asino 003L’asino coinvolge la persona nella sua totalità fisica, cognitiva e psicologica. Mentre il cavallo reagisce alla sensazione di pericolo scappando, l’asino resta dove si trova trasmettendo sicurezza e tranquillità; per tale ragione è maggiormente indicato in situazioni che richiedono un intervento nella sfera emotivo-relazionale.
Sembra banale: l’asino ha il mantello e ciò consente di accarezzarlo trasmettendo e ricevendo sensazioni piacevoli; il tatto è legato alla dimensione emotiva, riportando ai momenti di intimità con la figura materna e concorre alla strutturazione dell’identità.
A differenza di altri animali usati per le TAA, Terapie Assistite con Animali, l’asino contiene, vale a dire che è sufficientemente dimensionato per offrire accoglienza e protezione; può essere abbracciato da terra e montato, inducendo rilassamento attraverso il contatto, ed è inoltre sufficientemente robusto per sopportare pesi in modo da accogliere e restituire accoglienza.
Infine l’asino è curioso, socievole, rispettoso e ciò lo rende adatto nei casi in cui il paziente non sopporti intrusioni nel proprio spazio vitale ed abbia bisogno di procedure di avvicinamento graduali e delicate.
Nel contempo l’asino cerca il contatto fisico, ha bisogno di essere in comunicazione emotiva con gli umani, di essere toccato e coccolato.
Per finire, quando un bambino ed un asino si incontrano nasce un legame speciale, difficile da spiegare a parole, ma così forte che sorprende tutte le volte. L’ennesima dimostrazione in tal senso si è avuta a Milano dal 7 all’11 luglio, quando dodici bambini si sono incontrati al Parco Nord per condividere esperienze e prendersi cura di Ledi, Guendalina ed Ulisse.Cesec CV 2014.07.30 A passo d'asino 001Ringraziamo Paolo Regis e Ilaria Raffa per il gradevole e proficuo incontro che abbiamo avuto presso la “nostra” cascina bergamasca come premessa alla prossima fattiva collaborazione.

Alberto C. Steiner

Or ben m’intendete: questa tramvia non s’ha da fare, né domani né mai

Il rinnovato tram Milano Seregno mangiato dall’Expo? A quanto riferisce il quotidiano Il Sole 24 Ore http://www.ilsole24ore.com/art/impresa-e-territori/2014-07-20/expo-pronte-prime-grandi-opere-081318.shtml?uuid=ABKSlecB sembrerebbe proprio di si, nonostante il progetto esecutivo e nonostante l’opera già appaltata la ricostruzione della tramvia Milano-Seregno slitterà, e il corsivo non è casuale.KL-Cesec - Metrotramvia Seregno

Per visionare i filmati cliccare qui

Ma consoliamoci: proprio oggi verranno inaugurati la Brebemi e l’arco Teem, 73 chilometri di asfalto per far viaggiare su gomma debito pubblico, corruzione, inquinamento e devastazione del territorio con il miraggio di snellire il traffico ma in realtà inducendo ad un suo incremento.
Forse qualcuno ha creduto che sarebbero bastati arresti e scandali per fermare la follia faraonica di Expo, che costerà ai cittadini un mucchio di soldi altrimenti spendibili per finanziare opere decisamente più utili. Per l’appunto come la tramvia per Seregno la cui realizzazione, in termini ufficiali, slitterà a dopo l’Expo.
Purtroppo ben conosciamo, e da decenni, le dinamiche delle provvisorie sospensioni, degli slittamenti e delle chiusure per riqualificazione di linee tramviarie.
Tanto per cambiare si è atteso il periodo estivo, quando le persone vanno in vacanza e l’attenzione si abbassa, per cambiare le carte in tavola.
Chissà se i comitati degli utenti saprano rispondere e organizzare la protesta per questo ulteriore gesto di malgoverno dei beni comuni.
In compenso neppure la Rho-Monza, rimasta priva di autorizzazioni ambientali e che avrebbe richiesto un investimento di 250 milioni, si farà. Sinceramente non ci dispiace.
Della tramvia Milano- Seregno avevamo parlato il 16 gennaio scorso su questo stesso Blog http://cesec-condivivere.myblog.it/2014/01/16/trasporti-integrati/.

ACS

Non muore la movida ma nasce la social street

CondiVivere è anche questo. Qualcuno ricorderà l’articolo pubblicato il 5 febbraio scorso sul nostro blog Riabitare Antiche Pietre intitolato Monza: la pace di una clinica svizzera a due passi dal centro. Ne riportiamo l’inizio: “Avrebbe dovuto diventare la via della Movida, ma visto che a parte uno storico negozio di biciclette, una gelateria, una vetreria artistica, qualche bottega etnochic, due pub (chiusi) e ristorantini tipici (non occorre fissare il tavolo), nonché le immancabili agenzie immobiliari, non si è mai… movida, è tornata ad essere la strada sonnacchiosa di sempre. Anzi, più di sempre: trasformata in isola semipedonale, riselciata in cubetti di porfido, abbellita da qualche vasca piantumata e chiuso il passaggio a livello in passato all’origine di tanti incidenti a incauti pedoni, è diventata un’oasi di tranquillità a due passi dal centro. Stiamo parlando della via Bergamo: strada riqualificata, case ristrutturate che però mantengono l’impronta vagamente Bohèmienne pur se, ad onor del vero, con un’atmosfera serale più ginevrina che parigina…KL Cesec RAP 2014.02.04 Monza via BergamoCantava de André, nell’indimenticabile Via del Campo: dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior.
Senza pensare a tanto mi piace però immaginare che sia andata così: due persone una mattina chattano, nel mortorio dei propri negozi deserti. Ad un certo punto una sporge la testa oltre lo schermo, e vede la faccia dell’altra dietro la vetrina del negozio di fronte. Mollano il computer e si incontrano in mezzo alla strada. Una terza persona che svogliatamente seguiva la chat da casa propria scende in strada, seguita da una quarta, e da una quinta addirittura in ciabatte. E così decidono di esserci, toccarsi, annusarsi, condividere un caffè per davvero. E di fare qualcosa per evitare di rintanarsi nuovamente dietro la lucina azzurra.
Nella realtà è accaduto che qualcuno, ed in particolare l’associazione Proiezione 180 che si occupa di disabilità e disagio e che, guarda caso, ha sede proprio in una vecchia corte di via Bergamo, ha provato ad importare nel sonnacchioso capoluogo brianteo l’idea della social street nata un anno fa a Bologna. E sembra che ci stia riuscendo.Monza Social StreetPer ora c’è una pagina su Facebook, via bergamo socievole, già cult tra i monzesi e destinata a traghettare a costo zero dall’estraneità alla condivisione, dallo striminzito buongiorno tra vicini alla consapevolezza di far parte di un gruppo con l’obiettivo di trasformare la via in una palestra di buone pratiche, una community del buon vicinato: lezioni di pianoforte in cambio di un’ora di inglese, il materasso che da una cantina trasloca in casa di chi non ce l’ha, seggiolini per bimbi in prestito, sos per computer in panne, contrasto allo spreco alimentare. Un’ottima occasione utile per risolvere i problemi quotidiani di tutti, tenere la via viva e pulita, aiutare le persone sole e in difficoltà. I cittadini sono stati veramente in gamba organizzandosi in completa autonomia, senza offrirsi per fare da claque a tavoli, osservatori, congreghe.
Un segno che l’Energia della gente stia cambiando, che veramente si stia aprendo il Portale? Chissà… Resta il fatto che si tratta di una splendida iniziativa, perché è noto che da quando sono spariti i cortili, la tendenza è di interessarsi ognuno ai fatti propri.
E per le ore 19 di mercoledì 26 marzo è stato organizzato un aperitivo, dove tutti potranno incontrarsi, conoscersi meglio, gettare le basi delle innumerevoli iniziative che potranno nascere.
Nascerà anche qualche amore? Perché no, niente di più facile… e anche vita più facile per la movida che, ne siamo sicuri, risorgendo e crescendo assomiglierà sempre di meno a quella milanese di corso Como.

ACS

A scuola di orto, a Cernusco sul Naviglio

L’attenzione alla produzione alimentare a km zero ha portato alla nascita ed allo stabilizzarsi di manifestazioni locali, veri e propri mercatini di quartiere aperti al pubblico che vi può acquistare frutta, verdura, latticini, salumi commercializzati da produttori locali. Questi mercati si sono sempre più diffusi su tutto il territorio nazionale, e costituiscono un fenomeno di costume oltre che il segnale di una ritrovata consapevolezza al riguardo di un bisogno di natura e salute sotto il profilo alimentare. Secondo un censimento effettuato da Biobank, Federconsumatori e Coldiretti le aziende agricole bio lombarde che partecipano regolarmente a tali manifestazioni sarebbero 1.188: 237 con sede nella provincia di Milano, 37 di Monza e Brianza, 49 lecchesi e 62 comasche, 54 varesine e 42 della provincia di Sondrio e infine ben 255 bresciane, 290 pavesi e 162 mantovane. Non siamo riusciti a reperire dati dalla provincia di Lodi.KL Cesec CV 2014.03.10 Corbari 005A Milano, a parte la Cascina Cuccagna di Porta Romana, vero e proprio capostipite dei mercati bio, quelli storici sono il Verzierebio del sabato al quartiere Isola e il Mangiasano in Piazza Gramsci, ai quali recentemente se ne sono aggiunti altri dal carattere più o meno estemporaneo in varie zone cittadine; alcuni incontrano il favore del pubblico e si trasformano ben presto in incontri più o meno stabili, come per esempio quello che ha luogo una domenica al mese presso la Fabbrica del Vapore nell’area lasciata libera da un noto teatro che ha ritrovato la propria sede definitiva.
Anche in altre località dove la consapevolezza ecologista e l’attenzione al biologico non sono mai state particolarmente marcate si assiste ad un risveglio, per esempio a Monza dove ogni quarta domenica ha luogo il Mercatino del Biologico in piazza Duomo, inficiato però dalla presenza di emanazioni degli incombenti padroni di casa virtuali: volontari ed attivisti parrocchiali che propongono torte fatte in casa e ciarpame vario proveniente dallo svuotamento di soffitte e cantine con l’intento di raccogliere fondi, e ciò non contribuisce a fugare quell’atmosfera fumosa e mistificatoria che, per esempio nell’ambito finanziario, ancora oggi fa confondere la finanza etica con quella caritativa ed assistenziale.
Ben diversa invece l’aria che si respira, sempre a Monza, tra le bancarelle che ogni due settimane allegramente invadono la piazza del Carrobiolo, dove ha sede un convento i cui frati da qualche anno producono Fermentum, una birra bio eccezionalmente buona e che oltre a frutta, verdura, salumi e formaggi comprende anche manufatti quali tessuti ed abiti realizzati con filati e pigmenti naturali. Gli espositori non sono tutti a km zero: alcuni di essi provengono dalla Valtellina ed uno, che propone rimedi naturali ricavati da erbe, fiori e radici, addirittura dai colli piacentini.KL Cesec CV 2014.03.10 Corbari 003In altre realtà i mercati bio vengono spesso utilizzati per attrarre turisti, come quelli sul Lario a Como, Lecco, Bellagio o sul Garda a Gardone, Desenzano, Toscolano, Moniga, Sirmione, Salò.
Ma sta assumendo i contorni di un vero fenomeno sociale la spesa fatta direttamente in cascina: naturalmente non vi si trovano ananas o banane ma i prodotti locali secondo la rotazione stagionale.
Limitandoci alle verdure, in quanto Padani parliamo di ciò che troviamo dalle nostre parti, lieti di ricevere informazioni da parte di lettori residenti in altre aree geografiche. A marzo si inizia con le lattughe che ci accompagneranno fino all’autunno e con le diverse insalatine, e non è infrequente trovare quella vera e propria medicina che è il tarassaco, e poi spinaci, rucola, ravanelli, cicorino, catalogna, asparagi. In aprile e maggio la disponibilità riguarda zucchine, biete, piselli, fagiolini mentre a giugno, insieme con le prime patate novelle, arrivano pomodori, peperoni, melanzane, borlotti. E settembre é una vera esplosione di prodotti, con i primi radicchi, le zucche, i cavoli, i broccoli, le rape, le cime e così via fino all’autunno inoltrato in cui ai pomodori o melanzane si sostituiscono i finocchi, di nuovo gli spinaci, la valerianella, le coste, i cavolfiori, tutti i radicchi.KL Cesec CV 2014.03.10 Corbari 002I produttori più attenti danno inoltre ampio spazio in tutte le stagioni alle erbe selvatiche: ortiche, farinaccio, borsa del pastore, cecerbe, luppolo, rafanistro, rosolaccio, piantaggine e alle aromatiche: rosmarino, menta, basilico, salvia, lavanda, timo e ginepro dove le condizioni climatiche e l’altitudine lo consentono.
Ma un dato interessante emerge dall’ultimo censimento effettuato  congiuntamente da Istat, Federconsorzi e Coldiretti: cala il numero di aziende agricole ma aumenta la loro dimensione media. La conduzione familiare resta prevalente, ma si rafforzano forme più flessibili di gestione fondiaria mentre, pur nell’ambito di una riduzione della forza lavoro, cresce la manodopera salariata secondo un concetto di agricoltura sempre più professionale e imprenditoriale. Le aziende agricole e zootecniche attive in Italia sono 1.597.034 e registrano un calo del 34,7% rispetto al 2000, ma contemporaneamente cresce la dimensione media aziendale arrivando a 7,9 ettari di SAU, Superficie Agricola Utilizzata, con un incremento del 46,1 per cento su un totale di 13,7 milioni di ettari, in calo del 2,9% rispetto all’anno 2000. Tra queste sono aumentate quelle con un’estensione superiore ai 30 ettari e cresce il numero di quelle biologiche: tra nuove imprese e conversioni sono oggi 45.167 e la loro localizzazione prevalente è, neanche a dirlo, in Lombardia, Emilia Romagna, Veneto, Piemonte e Toscana.
Mediamente la loro superficie è di 18 ettari, e coltivano prevalentemente cereali da granella, prati permanenti e pascoli oltre al prodotto prevalente nell’ambito delle coltivazioni certificate: la vite, con oltre 320 mila ettari, 56.042 dei quali localizzati in Veneto.
Oggi è normale parlare di aziende agricole bio e di prodotti a km zero, ma circa quaranta anni fa, quando i primi esperimenti cominciavano ad affacciarsi timidamente nel panorama nazionale, “quelli lì” erano i matti, i visionari, gli spostati quando non addirittura gli hippies, quei lazzaroni drogati che lasciavano banche, fabbriche e non di rado aziende di famiglia per imbarcarsi in questa avventura dai contorni oscuri e dagli esiti incerti.
Tra questi non sono mancati esponenti di grandi catene editoriali come i Crespi del Corriere della Sera o quelli dell’antica nobiltà fondiaria lombarda proprietaria dell’intera collina di Sant’Angelo Lodigiano, dove oggi si produce l’unico vino milanese e dove è stato realizzato uno dei meglio strutturati musei dell’agricoltura.KL Cesec CV 2014.03.10 Corbari 001Uno di questi matti si chiama Antonio Corbari. Nel 1976 molla la scuola professionale che dirige per collaborare con un amico contadino a Pessano con Bornago, nella Brianza milanese. Dopo un anno acquista un appezzamento a Cernusco sul Naviglio dove inizia a produrre ortaggi imprimendo poco dopo una svolta radicale alla propria attività dedicandosi completamente al biologico.
Si fa promotore del Biologico in Piazza e fa da incubatoio per l’attività di altri colleghi/concorrenti, sviluppando quella che diventa ben presto una vera e propria seconda attività: tenere corsi e seminari a tema aperti al pubblico ed agli operatori dalle provenienze più disparate, per esempio albanesi grazie al contatto con un missionario. Finché arriviamo alla nascita dei GAS, Gruppi di Acquisto Solidale. A chi si rivolgono i primi per avere consigli e prodotti? Ma ad Antonio Corbari, naturalmente. E infine arriva l’Istituto di entomologia della Facoltà di Agraria, che dopo una ricerca durata due anni sui terreni della sua azienda agricola scopre colonie di insetti che possono vivere solo in terre incontaminate. E oggi? E oggi provate, per esempio al sabato mattina, a fare la spesa alla Cascina Corbari, poco distante dalla Cascina Imperiale, quattrocentesco esempio di corte fortificata lombarda: mettetevi l’animo in pace, non sfuggirete alla coda. Ma è una coda piacevole, naturalmente rispettosa delle precedenze, dove c’è sempre qualcuno con cui scambiare opinioni, battute, racconti, consigli anche gastronomici: per esempio al riguardo del remulàss sula quale abbiamo scritto qualche tempo fa, una sorta di rapa che sembrava relegata al folclore di certe canzonacce milanesi e che invece qui, in stagione, è più che mai viva e pronta a finire in pentola!
Intendiamoci, l’estensione dei loro terreni non è quella delle piantagioni di Via col Vento e non potete pretendere che proprio tutto-tutto-tutto sia a km zero. Però è tutto bio, senza se e senza ma.
Sara Petrucci è una giovane agronoma entusiasta, con specializzazione in agricoltura biologica e multifunzionale che lavora da anni presso Corbari, ed è stata più  volte docente di corsi di orticoltura ed anche quest’anno, il 10, 12, 24 e 31 maggio terrà un Corso di Orticoltura Biologica Familiare: quattro lezioni che prevedono una parte teorica e prove pratiche in campo.KLK Cesec CV 2014.03.10 Corbari 004Il corso è rivolto a chiunque desideri apprendere conoscenze di base, eventualmente da approfondire, su come coltivare un orto per l’autoconsumo secondo metodi naturali e biologici. Questi i temi delle sessioni:

  • Sabato 10 maggio – Il terreno, le lavorazioni e la fertilità: l’importanza della sostanza organica e il compost con la prova pratica dell’allestimento di un un cumulo di compostaggio.
  • Sabato 17 maggio – Progettare l’orto biologico, rotazioni e consociazioni: le diverse famiglie botaniche a cui appartengono gli ortaggi coltivati, con prova pratica di lavorazione del terreno e formazione di aiuole.
  • Sabato 24 maggio – Caratteristiche fisiologiche e tecniche colturali: i principali ortaggi coltivati, lattughe, pomodori, zucchine, fagioli, con prova pratica di traianti e semine nelle aiuole formate durante la lezione precedente.
  • Sabato 31 maggio – La difesa ecologica da malattie, parassiti ed erbe infestanti: sostanzialmente la prova pratica della preparazione di un macerato e un giro di riconoscimento di flora spontanea commestibile.

Chi volesse aderire all’iniziativa partecipando al corso può farlo scrivendo all’indirizzo info@corbaribio.it o telefonando al numero impresso sul volantino.

Malleus

Progettare edifici in modo responsabile

Il titolo originario di questo articolo avrebbe dovuto essere: Dritte semiserie per una progettazione responsabile.KL Cesec CV 2014.03.05 Progettare 001Un mio maestro, un anziano geometra titolare di una piccola impresa di costruzioni nell’Oltrepo’ pavese con il quale ebbi occasione di collaborare, mi insegnò tantissimo anche se a volte aveva dei convincimenti stravaganti. Per esempio questo: “Quando vendi sbagli sempre, perché se avessi venduto prima avresti potuto risparmiare sui costi finanziari, e perché se avessi venduto dopo avresti potuto spuntare un prezzo maggiore.” Ma forse era solo una delle sue infinite battute…
Però una cosa mi disse, in tempi non ancora segnati dalla consapevolezza ecosostenibile, e che porto sempre dentro di me: “Quando ristrutturi una cascina, rispetta il suo stile originario senza abbatterla completamente per ricostruirla come fanno oggi i barbari dell’ edilizia. Prima di ristrutturarla filmala e fotografala per avere una testimonianza di come era, e non variarne cubatura, dimensioni, materiali. Recupera fin dove puoi i materiali originali” e aggiunse: “Quando costruisci una nuova casa fallo rispettando lo stile delle cascine e dei rustici lombardi. Un paesaggio nel quale si costruisce rispettando lo stile tradizionale appare più in armonia con le altre case e con la natura circostante. Lo stile tradizionale è più bello e caratteristico. Dà la possibilità di vivere meglio, in un ambiente più sano e più familiare. Si evitano quegli obbrobriosi scatoloni di cemento, perché la casa non è solo un posto dentro al quale mangiare e dormire, ma è anche una scultura che trasmette valori al mondo esterno.
Nonostante la crisi che attanaglia ogni settore, e che ha dato un colpo di freno anche all’edilizia, mi sono spesso domandato se i lombardi, e non solo loro, non si stiano autodistruggendo attraverso la visione di un contesto che non conduce al senso del bello, bensì al suo opposto.KL Cesec CV 2014.03.05 Progettare 002Credo che sia molto importante, prima di costruire o recuperare un edificio pensare di farlo con centratura, consapevolezza ed attenzione perchè il pensiero e l’intento possano tradursi in una casa fatta bene che contribuirà ad acuire il senso del bello, della solidità e del risparmio.
E’ anche per questa ragione che cerco di essere sempre aggiornato sull’architettura bioclimatica, sulla bioarchitettura e la bioedilizia, sulle nuove modalità per smaltire i reflui e per risparmiare energia leggendo libri in biblioteca e navigando in internet. Prima ancora di progettare cerco di comprendere consistenza e direzione delle correnti fresche e calde, ed in base a questo stabilisco, per esempio, dove realizzare la cucina affinché vi batta corrente calda e le camere perché vi batta corrente fresca.
Cerco di ottenere dalla Natura il meglio relativamente a luce, fresco, caldo, umidità. Nei progetti inserisco sempre alberi a foglia caduca e sempreverdi in modo da posizionarli per avere ombra d’inverno che rinfreschi alcune zone della casa, e che fungano da barriera porotettiva contro le correnti fredde invernali, oltre che da quinta per occultare viste poco gradevoli.
Tanto il costo del progetto non varia, i metri cubi sono i medesimi, ma una disposizione adatta all’ambiente farà risparmiare riscaldamento durante l’inverno ed evitare un climatizzatore in estate. E, prima ancora di pensare a come produrre energia elettrica e riscaldamento, penso a come risparmiarli tramite l’utilizzo di materiali appropriati a garantire l’isolamento termico, che posso ottenere con cappotto esterno tramite pannelli a incastro, soprattutto quando l’edificio esiste già, oppure inserendo tra due muri di argilla o sassi dei materiali a  basso λ, Lambda, che avrò avuto cura di conservare durante la demolizione: così l’isolante spesso è praticamente gratis.
Se sono in montagna posso costruire una casa in legno e poi, contro il rischio di incendi, rivestirla con sassi reperiti in loco ed utilizzando isolanti traspiranti e naturali: costano un po’ più degli altri, ma chi vivrà in quella casa non respirerà schifezze sotto forma di nanoparticelle di essenze aromatiche cancerogene.
Soprattutto penso ad isolare gli infissi, attraverso i quali entrano spifferi, correnti d’aria, caldo e freddo posando finestre a doppia e tripla vetrocamera con gas a basso λ, dotandole di ante in legno che non lasciano passare spifferi e, chiudendosi, includono una superficie superiore a quella dell’infisso stesso.KL Cesec CV 2014.03.05 Progettare 003Quanto all’allestimento interno è possibile realizzare armadi a muro in legno a ridosso delle pareti a contatto con il freddo esterno, perché così facendo si contribuisce ad  isolare la parete, magari posando un materiale isolante tra muro e armadio.
L’ isolamento comporta un doppio vantaggio:

  • Fa risparmiare gas ed energia, e questo è ovvio
  • Fa spendere la metà per acquistare le quote di partecipazione di fonti idriche, centrali e mulini ad acqua ed eletrici, e questa è una battuta che ha però un senso quando, come fa Kryptos Life&Water, si parla di acquistare l’acqua per salvare l’acqua
  • Fa acquistare metà dei pannelli fotovoltaici perché servirà metà energia rispetto ad una casa non isolata
  • Fa spendere meglio il denaro destinato ad acquistare un climatizzatore
  • Parlando di risparmio energetico posso aggiungere la parzializzazione programmabile dell’impianto in modo da avere caldo solo dove e quando serve.

Lampadine a basso consumo, elettrodomestici in classe A, riscaldamento mirato sono tutti accorgimenti che prendo in considerazione per evitare di acquistare ed installare impianti energetici e termici inutilmente sovradimensionati. Sinceramente, propendo per la totale assenza dell’impianto di riscaldamento, ma non sempre i committenti sono così avanti… e se temono il freddo io non posso fare la suffragetta per convicerli che può essere un timore infondato.
Qualche volta mi sono ritrovato a recuperare vecchi mulini ad acqua, e mi sono divertito ad applicarvi, quando le norme me lo consentivano, dinamo ed inverter per produrre energia elettrica e, in un caso, disponendo del terreno, del corso d’acqua, dello spazio e del salto adeguati, addirittura una piccola turbina a caduta libera acquistata per quattro soldi da una piccola centrale dismessa dall’Enel in Toscana.
I miei nonni dicevano sempre: mangiare al caldo e dormire al freddo, e non dimentico mai questa semplice norma di saggezza. E di tenere a portata di mano qualche maglione.
A proposito di riscaldamento: applicare un motore Stirling alla caldaia costa relativamente poco e serve per produrre energia.
E poi penso che ogni abitazione debba avere almeno un metro quadrato di verde per ogni metro cubo di edificato, per poter disporre di giardini il più possibile ampi, salutari per il corpo e per la mente.
Dice: “E bravo, tu recuperi case di campagna, applausi! dove lo metto io il giardino nel mio bilocale nel condominio di quattordici piani?” La risposta è semplice: “Da nessuna parte, a meno che non vi mettiate d’accordo per trasformare il più a verde possibile gli spazi comuni, i tetti dei box, creando platee, rilievi, angoli, che ne so. E’ il concetto del condominio di quattordici piani ad esser sbagliato, e io non posso farci niente, Ciccio“.
Bene, verde… verde verde verde… ah, ecco: orto! Non ci vuole molto, e poi è utile per lo spirito, oltre che per la tavola e per contribuire ad eliminare dalle strade ingombranti camion che trasportano frutta e verdura.
Eh già, arriva lui adesso! io con tre pomodori e quattro patate contribuisco ad eliminare i camion dalle strade. Ma dove vivi?
Uffa, mai sentito parlare del proverbio che dice che le gocce riempiono il bicchiere? Ciascuno fa il suo, quello che può, senza aspettarsi che sia qualcun altro a farlo, e senza aspettarsi cha sia qualcun altro a cominciare.
A proposito di orto, e di giardino: perché non annaffiare con l’acqua piovana immagazzinata in apposite cisterne esterne? Meglio ancora se, prima di usarla, viene fatta confluire in cisterne non isolate sotto terra, e in estate fatta transitare attraverso dei tubi a contatto con i muri per rinfrescare la casa. I tubi poi escono e vanno a finire nella cisterna esterna che serve per annaffiare il giardino. Se ne trovano di economicissime nel mercato dell’usato, e si possono coprire con piante che contribuiscono a loro volta a mantenere un adeguato gradiente igrometrico. Si tratta solo di progettare adeguatamente.
Eh già, e con tutta quell’acqua in giro d’estate zanzare a gogò!
Che palle! dai un alloggio a qualche pipistrello e vedrai che di zanzare non ne vedi più.
Per finire, non sono particolarmente a favore del geotermico, non mi piace l’idea di perforare il terreno per cento metri e inserire tubi che scambiano calore che, a quella profondità, è di circa 16° Celsius. Non mi piace l’idea del buco, del vuoto nel sottosuolo, della roccia non perforata adeguatamente e della potenziale fuoriuscita di gas velenosi. Ma, lo riconosco, ho le mie fisse.
Oh, a proposito di riscaldamento voglio parlare per un attimo delle stufe a pellets. A parte che ormai c’è in giro tanto di quel veleno che la metà basta e non puoi mai sapere in anticipo cosa ti metti in casa al di là delle attestazioni verbali, ed anche scritte, dei produttori, ho letto di una macchinetta che mi ha fatto tanto ridere: realizza pellets dalla segatura secca o dalla spremitura dei nocciolini dell’ uva, che in aggiunta crea olio alimentare. Mi immagino l’intera famiglia che a tavola sputazza semi d’uva in un’apposita ciotola…
E poi ne ho letta un’altra. La riassumo: “Non dividete le famiglie con il divorzio, perché dove una famiglia inquinava per una casa, adesso inquina per due.” Ma, secondo voi, cosa si fuma la gente? Ah giusto, il pellet, forse…

Malleus

Carletto guarda: le Apuane! Dove papà? Non le vedo

Carletto guarda: le Apuane!
Dove papà? Non le vedo
Uffa, non serve che guardi fuori dal finestrino… qui, sul tablet, in queste vecchie foto.
KL Cesec CV 2014.03.04 Cave di marmo
In questo scritto parto dallo scempio delle Apuane per terminare il mio viaggio in Lombardia, nella un tempo operosa Brianza, all’insegna di consumo del suolo tra agricoltura che scompare ed attività mercantili e mercatali cinesi.
Prendo le mosse da una petizione lanciata per fermare la distruzione delle Alpi Apuane, che pienamente condivido ed il cui link riporto in calce a questo scritto ma, come è mio costume, cerco di affrontare la questione da una prospettiva differente rispetto a quella canonica infarcita dai dogmatismi dell’ecosostenibilità.KL Cesec CV 2014.03.04 Petizione ApuaneArrivo subito al punto: quel composto di carbonato di calcio comunemente detto marmo è un prodotto assolutamente inutile per l’esistenza umana.
Senza nulla togliere alle antiche ville Romane, alle Pietà, al Mosè ed a tutte le statue ed i monumenti destinati a celebrare imperitura la gloria umana, facendo le debite proporzioni se ipoteticamente il marmo sin qui estratto occupasse volumetricamente un container da 60 piedi, tutti gli ingegneri ed architetti dell’antica Roma messi insieme, nonché Michelangelo e soci ne avrebbero prelevato l’equivalente di due, o forse tre, cucchiaini da caffè.
Il marmo non possiede nessuna delle caratteristiche che ne fanno una pietra da costruzione: fragile, delicato, non sopporta tensioni né sollecitazioni torsionali e, in più, tende a sfaldarsi. Viene infatti utilizzato come pietra per pavimentazioni e rivestimenti, dopo essere stato adeguatamente trattato antigelivo, antimacchia, antitutto. In fase di posatura bisogna maneggiarlo come fosse nitroglicerina. E se nell’uso quotidiano vi casca sul pavimento o sul piano della cucina una goccia di vino o aceto o limone, per non dire di trementina, siete fregati.
Però, e mi riferisco a quello bianco di Carrara, è bello, bianco, splendente, luminescente. Detto in altri termini, è perfetto per supportare pulsioni egoiche dalla nascita alla morte ed oltre, visto che è usatissimo anche per monumenti funebri.
Personalmente preferisco ed utilizzo, quando non posso farne a meno e dietro espressa richiesta di un committente che non sono riuscito a convincere, il botticino, il rosso veronese o quello portoghese, anche se per me l’apoteosi è rappresentata dall’azul brasiliano, composto da sodalite ed indiscutibilmente più versatile di quello nostrano. In realtà il marmo non mi piace, gli preferisco di gran lunga il serizzo e la beola ma, lo riconosco, queste sono mie ubbie progettuali.
Soprattutto non mi piace tutto quello che gravita oggi attorno al marmo: dalle ville alla Scarface a tutto il sottobosco di maneggioni, intermediari, traffichini ed evasori fiscali, al fatto che il marmo (sto parlando di quello di Carrara) si dice non venga più lavorato in loco ma spedito via mare in India ed altri paesi asiatici dove la manodopera costa infinitamente meno e dove gli imprenditori possono serenamente evitare l’installazione di costosi sistemi di sicurezza antinfortunistica.
E così a Carrara, dove anche le botteghe artigiane degli scultori si sono ridotte al lumicino, restano le briciole, nel vero senso degli sfridi di lavorazione. Vale a dire le scoasse che, idealmente raccolte con la paletta, finiscono all’industria cosmetica, cartotecnica e delle vernici.
E che dire infine del prezzo fissato non si sa bene in base a quali criteri in 450 €/t quando in realtà si sa benissimo che il valore di transazione è almeno dieci volte superiore? E che la differenza viene tradizionalmente regolata in nero? Però è stato istituito un osservatorio… io amo gli osservatori: per non stare lì in piedi sotto il sole piantano un ombrellone, aprono un tavolo, e osservano.
Specialisti in tal senso sono quelli dell’ONU, che troppe volte ho incrociato quando esercitavo il mestiere delle armi: come osservavano loro non osservava nessuno. Ma, pensandoci bene, anche quando da ragazzo andavo in camporella al Parco Lambro o al Forlanini era pieno di osservatori…
Paradosso: è perfettamente inutile fermare la distruzione delle Alpi Apuane. Semplicemente perché le Apuane non esistono più. Esiste un passo sull’antica Via del Sale, la cui strada scorre ormai all’interno di una cava; esistono le malattie a carico dell’apparato respiratorio degli abitanti di Carrara, Pietrasanta e degli altri comuni facenti parte del comprensorio; esistono contributi per diritti di scavo – eufemisticamente detti di coltivazione – che affluiscono nelle casse comunali nella misura di qualche milione all’anno, ma esistono debiti pluriennali di portata ben superiore ai contributi introitati che i comuni hanno contratto per realizzare tangenziali e vie di scorrimento che tengano i camion del marmo, il cui carico ad onta di leggi e regolamenti nessuno si guarda bene dal coprire, lontani dagli abitati. Esistono costi sanitari dovuti al pulviscolo infinitesimale che si respira ed alla contaminazione delle vene idriche, e queste sono certezze. Ma esisterebbe una cultura della colonizzazione dove i colonizzati sarebbero gli Apuani; questo è invece un luogo comune, perché l’effettiva consistenza economica e sociale del marmo non ha affatto limitate ricadute per la comunità, visto che il settore lapideo continua a rappresentare l’ossatura portante dell’economia locale, occupando più di 12.517 persone, circa 1.000 delle quali impegnate direttamente nell’attività estrattiva (dati Cciaa) e la filiera non si è affatto svuotata, ma lavora 600.000 tonnellate di materiale locale, vale a dire il 40% di quanto viene esportato dall’intero Paese, nonostante il drastico ridimensionamento della lavorazione innescato dall’ingresso sulle arene commerciali globali dei Paesi emergenti.
Per avere un’idea della rilevanza sociale del fenomeno riporto il numero di abitanti dei comuni appartenenti al distretto marmifero apuano: Carrara 64.127, Fivizzano 8.815, Massa 68.941, Minucciano 2.521, Montignoso 10.439, Piazza al Serchio 2.501, Pietrasanta 24.931, Seravezza 13.440, Stazzema 3.367, Vagli di Sotto 995 per complessivi 200.077 residenti. La filiera marmifera interessa quindi il 6,25% della popolazione locale.
Disconoscere le reali dimensioni del settore è perciò irresponsabile, disinformato o strumentale: intorno al marmo non campa un ristretto numero di attività e di individui come si vuol far credere, e le imprese che operano direttamente e nell’indotto del marmo fanno girare oltre un terzo dell’intera economia provinciale.
Perciò, stante quello che ho affermato più sopra, e di cui posso fornire dati e fonti, questa è casomai la vera peste del marmo: l’assenza di una seria regolamentazione, di una volontà locale di crearla. Niente di nuovo sotto il sole: massimizzare i profitti privati, fregare tutto e tutti per non parlare di quella cosa inutile e dannosa che è il fisco, e buttare sulla collettività gli oneri sociali che tutto questo comporta. Devi realizzare una strada esterna all’abitato perché altrimenti i miei camion inquinano e tritano le vecchiette? Che me ne frega, fattela.
E non crediamo alle favole della consapevolezza dei cittadini: è già stato tentato, in passato e più volte, di sensibilizzarli al problema, e il risultato è stata un’alzata di scudi al grido: ci vogliono togliere il lavoro.
Sotto questo aspetto ho sempre ammirato gli Svizzeri: a casa loro guai se tocchi un filo d’erba, ma loro fanno ciò che gli pare in casa degli altri che glie lo permettono. E non a caso ho citato gli svizzeri, che nel panorama lapideo apuano non sono esattamente degli sconosciuti.
Con tutto il rispetto per la biosfera e per l’eventuale morte di una marmotta la questione è quindi ben altra: non siamo diversi dall’India o dall’Amazzonia colonizzate, solo che a noi italiani, themostfurboftheworld, come sempre non ci frega nessuno: siamo bravissimi a colonizzarci da soli.
Scusate il francesismo: siamo e resteremo un popolo di merda, servi adusi a lamentarci ed a fotterci tra servi. Scusate, ho scritto popolo. No, noi non siamo un popolo, e meno ancora una nazione, siamo solo un’accozzaglia di gente che condivide il medesimo spazio.KL Cesec CV 2014.03.04 Consumo del suoloDovremmo invece parlare di consumo del suolo, che è forse il vero problema nazionale. Consumo del suolo è un’espressione efficace anche se impropria perché, in realtà, il suolo non si consuma ma cambia uso attraverso i processi di trasformazione da usi agricoli o naturali ad usi urbani. Pensiamo solo alla Lombardia, quella che possiede le terre più fertili in assoluto e che contribuisce per il 16% al prodotto agroalimentare nazionale, dove dal 1999 al 2007 si sono persi oltre 43.000 ettari, e altri 27mila dal 2007 al 2012.
Urbanizzazione e impermeabilizzazione dei suoli comportano pesanti compromissioni del patrimonio ambientale e paesaggistico, risultando strettamente correlati ai dissesti idrogeologici che purtroppo costituiscono in Italia una emergenza costante. Ma che continuiamo a fronteggiare come se si trattasse di sciagure ineluttabili e non di improvvida gestione del territorio.
Probabilmente grazie alla crisi che ha reso più debole la pressione edificatoria, la limitazione del consumo di suolo sembra finalmente entrata nell’agenda politica regionale, dove parebbe finalmente concreta la possibilità di portare a conclusione l’iter legislativo del progetto di legge: Disposizioni per la riduzione del consumo di suolo e per il riuso del suolo edificato, da tempo immemore fermo a prender polvere da qualche parte.KL Cesec CV 2014.03.04 Ambiente maneggiare con curaE’ sperabile che la legge enunci con chiarezza l’importante principio fondamentale: il suolo libero è una risorsa non riproducibile da preservare e tutelare nelle funzioni produttive e paesaggistico ambientali, e prima di trasformarlo si deve accertare se siano praticabili soluzioni alternative.
E’ necessario che in tal senso la legge esprima procedure univoche di computo e monitoraggio, evitando che opere di grande impatto, fossero di interesse generale come le infrastrutture, siano sottratte a bilanci e valutazioni di sostenibilità come è purtroppo troppe volte accaduto, o che deroghe permissive riducano la portata di un provvedimento quanto mai urgente. E’ anche importante che la legge sia in grado di responsabilizzare tutti gli attori delle trasformazioni territoriali, definendo la necessità di verificare nessi oggettivi tra bisogni e previsioni di sviluppo, e introduca misure disincentivanti e di compensazione ecologica per gli interventi di trasformazione, e al contrario di incentivo al riuso, al fine di rendere sempre meno conveniente l’edificazione su suoli liberi.
Finora non abbiamo avuto segnali in tal senso e va tenuto ben presente che consumare il suolo non significa solo edificare. La viabilità stradale comporta un consumo relativamente modesto ma gli oneri indotti, sociali e sanitari, sono oggi ormai inconcepibili. E non mi riferisco solo alle varie gronde, tangenziali, tangenzialine e bretelle in corso di realizzazione, ma anche alla viabilità ordinaria che dev’essere adeguata allorché viene realizzato un complesso suscettibile di creare anomali afflussi veicolari.KL Cesec CV 2014.03.04 Megastore cineseKL Cesec CV 2014.03.04 CineseUn esempio, giusto per chiarire: lungo la strada che collega Argate con Carugate, c’è l’area dismessa dall’industria chimica Uquifa, che ha delocalizzato licenziando 80 lavoratori. In quest’area, quindi senza apparente consumo di suolo, sono in corso i lavori per realizzare entro il 2015 il megastore cinese all’ingrosso più grande d’Europa, esteso su 45.000 metri quadri oltre a parcheggi e piazzali di manovra, che raggrupperà 220 attività commerciali Made in China, negozi, ristoranti, bar, parrucchieri e, naturalmente, troiai camuffati da centri massaggi (sfido chiunque a dirmi che non sono troiai).
L’ostruzionismo, in verità non particolarmente barricadiero, espresso dalla comunità locale è stato rintuzzato dall’amministrazione comunale, alla quale andranno 12 milioni di euro di oneri di urbanizzazione, che verranno investiti in lavori pubblici, a partire dall’edificazione di una nuova scuola materna e alla riqualificazione di varie zone della città. Tutto ha un prezzo, per chi è in vendita.

ACS

https://secure.avaaz.org/it/petition/Ferma_la_distruzione_delle_Alpi_Apuane/?pv=47

L’Insubria c’è. E ci osserva dall’alto delle vette prealpine.

Nel territorio compreso fra Milano e i laghi prealpini esistono legami antichi che il tempo non ha mai cancellato: stessa lingua e stessa storia, nonostante le dominazioni e le frontiere politiche susseguitesi nei secoli.
Paradossalmente, e fortunatamente aggiugiamo, la globalizzazione e la crescente integrazione fra stati hanno comportato che le regioni riacquistassero importanza. E la regione dei laghi ha ritrovato questo nome, a lungo dimenticato e che suona strano: Insubria. KL Cesec CV 2014.02.03 Insubria 002Ma ci sono tante Insubrie. C’è quella storica, che si riferisce al territorio compreso fra il Po e i laghi prealpini abitato sin dall’antichità da una popolazione di origine celtica, successivamente conglobata nell’Impero Romano. C’è quella politica, nata negli anni Novanta e della quale, poiché nasconde spesso fuffa e giochi strumentali, non ci interessa proprio nulla. Del resto, se è vero che non crediamo più alla favola della democrazia rappresentata e delegata, figuriamoci se crediamo a icone e bandiere inventate di sana pianta per raccattare voti.
C’è infine l’Insubria delle persone, quella che ben conoscono i frontalieri: italiani che lavorano in Vallese e in Ticino e svizzeri che lavorano in Piemonte e Lombardia. Oppure artigiani e imprenditori, che grazie all’entrata in vigore dei trattati bilaterali possono affrontare con maggiore libertà attività economiche dalle due parti della frontiera. E infine i consumatori, interessati a spendere in modo oculato i loro soldi, o semplicemente intenzionati ad approfittare pienamente dell’offerta culturale e di svago offerta da una regione estremamente ricca, interessante e che non ce la fa proprio a nascondersi sotto il tappeto, a fingere di non possedere la propria profonda radice culturale.KL Cesec CV 2014.02.03 Insubria 001Ciò premesso andiamo a Lecco, città della quale abbiamo parlato la scorsa estate a proposito del Movimento per l’Acqua Pubblica e che nel 2013 è stata insignita del titolo di Città Alpina attribuitole da una giuria internazionale e consegnatole in una cerimonia pubblica, ed entrando così a far parte di un ristretto gruppo al quale appartengono città italiane, slovene, austriache, tedesche, svizzere e francesi.
Noi, quella sera, c’eravamo. Da furestèe, forestieri, infiltrati, ma non abbiamo dimenticato quanto ci siamo fatti coinvolgere da quel clima da stadio e nel contempo di profonda commozione e da prima della Scala.
E oggi vogliamo ricordare qui le parole del sindaco Virginio Brivio, pronunciate allorché ricevette il testimone dalle mani di Jean Luc Rigaut, sindaco di Annecy, Città alpina 2012: “E’ un onore e al contempo una particolare responsabilità e noi, insieme ai nostri concittadini, dobbiamo dimostrarci all’altezza“.
Non sta a noi giudicare se l’Amministrazione lecchese sia stata o meno all’altezza. Per chi volesse approfondire i risultati sono sul sito del Comune.
Sappiamo però che Lecco ha puntato a temi come la mobilità dolce, il risparmio energetico e, con particolare focalizzazione, la tutela della risorse idriche.
Relativamente alla mobilità dolce, oltre all’istituzione del bike-sharing, è stato allargato alla fascia pomeridiana il servizio del Piedibus, grazie al quale i 650 alunni che andavano a scuola evitando che i loro genitori emettessero tonnellate di CO2 sono diventati oltre mille. Non male.
Quanto al risparmio di energia, il comune ha speso un sacco di soldi investendo nell’incentivazione di costruzioni a elevata efficienza energetica e nell’introduzione dell’illuminazione pubblica a led. Anche qui non male.
Ma il vero punto che ha focalizzato la nostra attenzione non poteva che essere rappresentato da Sora Acqua: non solo educazione a consumi più consapevoli tramite la sensibilizzazione dei cittadini e l’installazione di erogatori di acqua alla spina, ma anche la lotta all’inquinamento, con l’ammodernamento e l’ampliamento del depuratore cittadino, la cui inadeguatezza era stata più volte sottolineata. E tutela dei corsi d’acqua, attraverso la rinaturalizzazione di tre torrenti che sfociano a lago, ed un convegno tenutosi lo scorso ottobre sui mutamenti climatici. Non da ultimo la riconsiderazione del contratto per la distribuzione cittadina dell’acqua potabile.
Certo, i lavori non sono conclusi, i soldi come sempre sono pochi – anzi sono sempre di meno – e si cerca di spenderli oculatamente.

Malleus

Monza: il cohousing si farà. Ma anche no.

Stanno per essere diffusi nella città di Monza i risultati di un’indagine esplorativa svoltasi a partire dal novembre scorso ed il cui bando si è chiuso l’8 gennaio, finalizzata all’acquisizione di manifestazioni di interesse per la realizzazione di un edificio polifunzionale. Destinato a coresidenza per giovani studenti e lavoratori, giovani coppie, centro di quartiere con servizi per l’aggregazione e la socializzazione oltre che per formazione e lavoro, verrebbe realizzato in un’area situata tra le vie Andrea Lissoni e sant’Andrea, prospiciente il Parco, edificando su campi di calcio dismessi. L’oggetto riguardava una palazzina della superficie di 3.930 mq nella quale ricavare 30 miniappartamenti, sita sulla medesima area dove sorgeranno quattro palazzi privati, acquisita dal Comune in conto oneri per una licenza edilizia concessa alla società di web-hosting Aruba in un altro quartiere cittadino.KL Cesec CV 2014.01.30 Monza Cohousing Aerea 001Nell’avviso diffuso a novembre erano previsti appartamenti in vendita, in locazione a canone agevolato ed eventualmente forme di affitto/riscatto.
L’idea è nata dal fatto che anche nel capoluogo della Brianza l’emergenza casa si fa sentire, e l’Amministrazione comunale aveva pensato di sviluppare una residenza in cohousing sociale, poiché andare a vivere da soli è la grande scommessa che gran parte dei giovani stanno cercando di vincere: affitti alti, mutui impossibili da ottenere, sempre meno soldi in tasca sono ostacoli noti ai ragazzi che tentano di affrancarsi da mamma e papà.
L’idea è partita dallo staff dell’attuale sindaco Roberto Scanagatti, che ha avviato con serietà e determinazione un’opera di ricostruzione, prima di tutto etica basata sulla fiducia, sulla trasparenza e sulla partecipazione. Da sempre intollerante verso gli sprechi, una delle azioni più incisive sin qui condotte dall’attuale giunta è chiara nello slogan Consumo del territorio uguale a zero. Naturalmente non significa impedire lo sviluppo della città, ma scegliere di usare le aree dismesse, notevolmente estese e spesso  da bonificare da svariati materiali inquinanti, salvando le aree verdi e quelle agricole e favorendo  l’edilizia bioclimatica per migliorare la qualità ambientale.
Per chiarire il concetto, in città non si è ancora spenta l’eco di una querelle ventennale che aveva per oggetto un grande appezzamento di terreno agricolo sottoposto a tutela ambientale acquisito dall’esponente di un noto gruppo imprenditoriale che intendeva ricavarne una lussuoso complesso residenziale.KL Cesec CV 2014.01.30 Monza piazza del MunicipioEd ora, prima di riportare gli esiti dell’indagine, mi sia consentita una divagazione, niente affatto peregrina ma utile ad inquadrare il contesto di una città dove la previsione di espansione edilizia prevista nella variante al PGT era abnorme, di una città dove il dettagliatissimo PRG messo online nella primavera 2002 è scomparso dai server (e chi lo possiede si comporta, giustamente, come se custodisse i Rotoli del Mar Morto) per lasciare il posto al vecchio ed illeggibile PRG risalente al 1971.  Di una città dove da oltre un decennio la popolazione è stabile e il fenomeno degli alloggi sfitti non diminuisce: significa che i proprietari, in non rari casi di notevoli patrimoni immobiliari, preferiscono tenere gli appartamenti chiusi piuttosto che affittarli ad un canone non di loro gradimento.
Di una città, infine, dove nel 2002 a chi scrive venne conferito dall’allora sindaco l’incarico riservato di monitorare aree dismesse ed immobili inutilizzati per individuare – nell’ottica della provincia di Monza e Brianza allora in fase di cosituzione – spazi di ricettività turistica che andasse oltre i pochi alberghi cittadini, oltre che residenziale da considerare per edificazioni convenzionate per accogliere nuovi residenti.
L’incarico era talmente riservato che dopo un quarto d’ora lo sapeva tutta la città… ma non siamo a Los Angeles.
Nel pomeriggio del giorno successivo al conferimento dell’incarico chi scrive incontrò (casualmente?) in una delle (tre) centralissime vie della città la facoltosa proprietaria di uno sterminato patrimonio immobiliare che, salutandolo, così lo apostrofò: “Ma ingeggnuere, cosa ciui sta combinando! case popolari in ciuentro? Ma per i poveri ci sono Bresso, Cinisello, Muggiò!… E poi anche lei abita qui, è un po’ come sentirsi traditi da uno di noi…” Aria finto contrita (la mia) e poi via con il carico da undici circa il messaggio mafioso affidato alla garrula troia. Per la cronaca lo scrivente completò l’incarico ma, sempre per la cronaca, non se ne fece nulla e dopo un po’ cambiarono sindaco e giunta.
Ed eccoci dunque all’esito dell’indagine esplorativa. Interesse da parte dei potenziali acquirenti od inquilini: tantissimo. Interesse da parte dei potenziali costruttori, cooperative comprese: zero.

Malleus

In Brianza non crescono più gli ulivi

Ovvero della crisi che fa bene all’anima…
Sono approdato in forma stanziale, benché casualmente, nel capoluogo dell’Operosa Brianza quattordici anni fa ed ho potuto assistere ad una profonda deriva, per esempio dall’esibizione di una ricchezza sfacciata ad uno stile di vita più sobrio, dovuto sostanzialmente al fatto che chi non ha soldi non ne ha, mentre chi li ha ha imparato a tenere un profilo basso perché non si sa mai…
Debbo aggiungere, non perché credo che interessi chi legge ma giusto per scrivermi un po’ addosso, che pur discendendo da una nonna materna (mai conosciuta) appartenente ad un’antica famiglia concorezzese dal cognome che più doc in senso brianteo non si può, già attiva sin dalla fine del XIX Secolo proprio a Monza  nel fabbricare nastri e cappelli, non mi sono mai sentito parte di quel mondo preferendo storie di nebbie e lagune e, proprio quando sentivo il bisogno di parenti e terraferma, frequentando certi cugini pastori e muratori arroccati su un monte bergamasco.
Accampatomi dunque a due passi dal duomo in quello che, risalente al XVII Secolo, fu dapprima convento e poi casa ultrapopolare allorché i monasteri vennero sbaraccati dal Bonaparte e successivamente stalla, caserma della polizia, cinema ed infine, prima dell’attuale recupero, magazzino di legname con qualche tugurio abitato,  una delle prime cose che appresi dagli indigeni fu che a Milano si va a studiare, lavorare, pagar le tasse, e ‘far le brutte cose’ basta che non si sappia in giro. La seconda fu che i mobilifici commissionano (commissionavano) e vendono (vendevano) quadri, croste tanto immonde quanto imponenti per nobilitare le dimore di chi colpito da improvviso benessere ma non disponendo dell’adeguata cultura del denaro, quella che non si può improvvisare e a nulla valgono le Line Sotis di turno con i loro libercoli sul bonton, abbisognava di opulenza per l’autocertificazione in vita.
Proprio ieri, vagando naso all’aria come spesso faccio in cerca di ispirazione quando devo concludere una perizia o una relazione di particolare importanza, mi accorgo che qualcosa è cambiato: sempre più botteghe serrate mentre quelle aperte sono passate dal lusso alla paccottiglia, un negozio di accessori per la casa trasformato in libreria (toh una nuova libreria, a Monza?) la birreria bio dei frati del Carrobiolo con invito a riportare le bottiglie vuote, la stanza del sale di cui parlerò un’altra volta e l’antro del mio amico non-sannyasin Max che ha visto un’impennata di clientela locale alla ricerca di incensi, pietre, cristalli, consigli, reiki, shiatsu, musica da meditazione  e condivisione dell’anima. Altra novità l’anima a Monza, che non sia quella della messa di mezzogiorno alla domenica, in duomo. Oddio, una tizia è arrivata chiedendo al Max se aveva il prana… e lui prontamente ha risposto che nonostante le insistenze, essendo una capha tosta, tiene solo la pitta… lo giuro, ho rischiato di pisciarmi addosso… con quell’altro deficiente del Fabio che, essendo di origine calabrese, ha cominciato a blaterare a fiato aspirato stile Padrino che è bbonu pittari a pitta n’tu muru de casa, ca sanifica e ne protegge da a negatività.
Vabbè, torniamo anzi andiamo, a bomba. Ecco cosa manca: non ci sono più gli ulivi.KL Cesec CV 2014.01.22 Ulivo bonsaiCito a memoria, stralciando dal vecchio sito di uno fra gli allora innumerevoli commercianti di ulivi da decorazione con tronfia esposizione lungo l’ingorgata superstrada Valassina tra mobili più o meno in stile, che grosso modo recitava così: Un albero secolare è opera d’arte, scultura perfetta e armonica forgiata dalla natura e, come tutte le opere d’arte, invecchiando assume valore aggiunto quale testimone del tempo. Si impone a questo punto un doveroso quanto poderoso Ciumbia! equivalente padano del romano Mecojoni!
Ma il sito aggiungeva, puntiglioso: Tutti gli esemplari della collezione presenti nel punto vendita sono scelti con cura fra le piante autorizzate all’espianto. Solo gli esemplari migliori vengono lavorati ed esposti presso il centro giardinaggio.
Ricordo che mi colpì l’art. XY, ulivo nazionale con età presumibile di 800 anni lavorato nel 2002; esemplare unico con tronco ripartito in due grandi branche, rarità alta circa 6,5 m fuori terra, pianta ben radicata in contenitore con forte potere vegetativo, peso approssimativo 8.000 kg, circonferenza del tronco 450  cm, diametro della piantana circa 2,5 m.KL Cesec CV 2014.01.22 Pronti per la venditaMi recai, in bici, al vivaio per informarmi e conoscere il costo: solo 7.500 euro comprensivi di trasporto e posa nel raggio di 100 km. Ah beh, se sono comprensivi di trasporto e posa…
Per abbellire i giardini briantei costituendone un valore aggiunto gli alberi provenivano in massima parte dalla Puglia, dove chi li espiantava riceveva addirittura un contributo, un po’ come accadeva con i vigneti dell’Oltrepo’, e qualcuno esagerava. Ma progressivamente il mercato si esaurì, anche perché gli ulivi morivano come le mosche, sfiniti dal clima, da cure inappropriate e dal mitragliamento almeno bigiornaliero degli annaffiatori automatici. Parrocchie e grigliate invase da rami d’ulivo e tronchi… beh, a quanto sembra i tronchi hanno salvato un investimento altrimenti improduttivo, visto che nell’ultimo quinquennio è quanto mai agevole acquistare localmente costosissimi mobili in legno d’ulivo, soprattutto letti: che qualche mobiliere abbia sentito parlare dell’Odissea?
Attualmente gli ulivi sarebbero molto richiesti in Germania, però i tedeschi preferirebbero quelli spagnoli.KL Cesec CV 2014.01.22 Uliveto puglieseMa dal 2007 le cose si sono fatte teoricamente più difficili per gli estirpatori seriali: Chiunque espianti alberi di ulivo senza la necessaria autorizzazione o non ottemperi agli obblighi di reimpianto viene punito con una sanzione amministrativa pari al decuplo del valore commerciale degli alberi. Tale sanzione, per gli esemplari plurisecolari, viene stabilita da euro 30.000 sino a 500.000 per ogni pianta in relazione alla gravità della violazione, così recita l’articolo 5 della Legge Regionale 14/2007 che ha posto un freno all’espianto selvaggio.Ed a complicare le cose ci si è messa anche l’Europa, emanando un provvedimento tendente a non far procedere all’estirpazione degli esemplari, compresi quelli intaccati da un batterio, in verità oggetto di acerrime discussioni, chiamato xynella: “Non nascondo la grande soddisfazione nell’apprendere la notizia dello scongiurato espianto dei nostri alberi di ulivo” ha dichiarato alla stampa il 20 dicembre scorso l’assessore all’agricoltura della Provincia di Lecce, Francesco Pacella, aggiungendo “E per questo voglio ringraziare i tecnici ed il gruppo di coordinamento dell’Osservatorio fitosanitario“. L’assessore ha tuttavia sottolineato come permangano le preoccupazioni permangano, in ragione del fatto che gli agricoltori proprietari degli uliveti seriamente compromessi subiscono un drammatico calo del reddito a causa del fatto che gli ulivi diventano improvvisamente improduttivi. E lo stesso dicasi per i vivaisti, per i quali permane, seppur in maniera minore, una situazione di grande restrizione.
Bene, io intanto riprendo la mia passeggiata unter den Linden che, come dice il Puffo Quattrocchi, è meglio…

Malleus