Progettare cohousing con uno sguardo all’eremo di Camaldoli

Far rivivere il territorio realizzando nuclei abitativi in cohousing ottenuti recuperando alcuni dei tanti borghi disabitati che abbondano nel nostro Paese. Intento ambizioso ma non utopistico, specialmente se attuato secondo i canoni della bioedilizia, con progettazione condivisa, utilizzo di fonti energetiche a basso impatto e terreno circostante coltivato con metodi non invasivi per garantire nella maggior misura possibile l’autosostentamento della comunità che vi si insedierà.
Ed è importante che uno spazio sia dedicato al recupero di saperi e sapori per onorare la memoria del luogo: trasformazione agroalimentare sostanziata dalla produzione di miele, vino, erbe aromatiche ed officinali, conserve, attività artigianali e via enumerando. In sostanza, quello che fa parte della cultura e della storia locale.
Naturalmente faccio in modo che in questi borghi riportati a nuova vita trovino collocazione attività legate al benessere fisico e spirituale in sintonia con gli studi e le esperienze che mi caratterizzano.Cesec-CondiVivere 2014.10.24 Eremo Camaldoli 006Oggi dedico un breve profilo all’Eremo di Camaldoli, che più di ogni altro luogo consimile ispira proprio per la sua comunione con la Natura. Lungi da me l’idea di tediare con pistolotti storiografici o mistici: per quelli ci si può avvalere della notevole messe di notizie reperibili in rete.
Intendo qui solamente celebrare quel fazzoletto di terra nascosto sui più alti versanti  dell’Appennino  Casentinese, nel cuore dell’Appennino Tosco-Romagnolo, dove aleggiano misteri e leggende incentrate sulla figura di san Romualdo, fondatore dell’ordine dei Camaldolesi, il cui nome pare derivi da un nobile aretino, Maldolo, che nel 1012 donò le terre sulle quali venne fondato l’Eremo.
Il primo nucleo, posto ad oltre 1.000 metri di altitudine, fu costituito da un oratorio con cinque celle, affiancato successivamente da una piccola costruzione in località Fonte Buono, in posizione meno solitaria e più facilmente raggiungibile, finalizzata ad accogliere ospiti  e pellegrini.  Il monastero che conosciamo nella sua forma attuale venne invece realizzato nel XVI secolo.Cesec-CondiVivere 2014.10.24 Eremo Camaldoli 005L’aspetto che ritengo preminente riguarda la sorte della foresta circostante, legata in maniera indissolubile a quella dell’Eremo: più questo si ingrandiva più aumentavano le donazioni di terre poiché i monaci si prodigavano alacremente per  la  cura  e  il   governo  del bosco, sostituendo alle essenze miste di faggio e abete piantagioni pure di Abete  bianco. Le rigidissime regole silvicolturali alle quali i monaci dovevano attenersi prescrivevano abbattimenti estremamente limitati e continuo rimboschimento con abete bianco.
Nacque così il nucleo forestale, quasi mille anni dopo diventato la Riserva Biogenetica di Camaldoli, nell’ambito del Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi, estesa dall’Eremo sino alla Foresta della Lama in territorio romagnolo e gestita dal Corpo Forestale dello Stato; la Riserva è importante anche sotto il profilo faunistico, ospitando cervi, daini, caprioli, cinghiali, lupi, scoiattoli e ghiri oltre a numerosi volatili: picchio maggiore, cincia, allocco, poiana, falco, mentre nelle aree umide si sono insediati anfibi quali il tritone e la salamandra.Cesec-CondiVivere 2014.10.24 Eremo Camaldoli 003Colpiscono, giungendo a Camaldoli da Arezzo o da Bagno di Romagna seguendo la statale del Passo dei Mandrioli, un monumentale cedro del Libano alto 24 metri e del diametro superiore al metro e mezzo, ed il castagno Miraglia dalla circonferenza di oltre dieci metri. Da Camaldoli una piccola strada asfaltata attraversa la foresta e giunge fino all’Eremo.Cesec-CondiVivere 2014.10.24 Eremo Camaldoli 001La realtà monastica costituisce ancor oggi un ponte fra l’antica tradizione dell’Oriente cristiano e la mistica occidentale che si riconosce nella Regola di San Benedetto, coniugando altresì la dimensione comunitaria e quella solitaria della vita del monaco, espresse rispettivamente nel Monastero e nell’Eremo, costituenti un’unica comunità. L’Eremo è oggi luogo privilegiato di incontro nel dialogo ecumenico e interreligioso, aperto a uomini e donne,dedicato alla ricerca interiore, alla spiritualità nonché all’elaborazione culturale ed all’impegno civile attraverso uno stile di vita improntato alla sobrietà.
L’antica cella del fondatore Romualdo, l’unica visitabile ed oggi inglobata nella biblioteca, evidenzia internamente la struttura tipica della cella eremitica: un corridoio che si snoda su tre lati, custodendo al suo interno gli spazi di vita del monaco, la stanza da letto, lo studio, la cappella. Questa struttura a chiocciola, oltre ad offrire riparo dalle rigide temperature invernali, simboleggia il percorso interiore del monaco che tende a recuperare il proprio Sé interiore.Cesec-CondiVivere 2014,10.24 Eremo Camaldoli 004Non è necessario tendere alle grandi opere: per cominciare è sufficiente piantare un albero. Contribuisce alla salvezza del pianeta ed arricchisce e migliora l’ambiente in cui viviamo infondendogli bellezza, non trascurando il fatto che la superficie fogliare di una latifoglia corrisponde a 6/8 volte la proiezione a terra, mentre per le conifere è 15/20, e genera ossigeno, assorbe pulviscolo e particelle inquinanti, fissa carbonio.
Un albero produce inoltre circa 30 kg annui di ossigeno, dodici alberi coprono il fabbisogno annuo di ossigeno di un essere umano adulto, esattamente pari alla quantità di ossigeno consumata da un’auto per percorrere 100 km. Un albero è fatto di legno, e un metro cubo di legno fissa sino a 300 kg di carbonio. Un ettaro di bosco, 10.000 metri quadri, fissa pertanto sino a 10 quintali di polveri annue ed immagazzina sino a 4 tonnellate di carbonio.

ACS

Dall’abbandono alla rinascita: è possibile.

L’argomento è complesso, proverò a dipanarlo scrivendone. In sostanza si tratta di affermare, se non di dimostrare, che la Terra, nostra Madre, matrice e, anche se molti tendono a dimenticarlo, fonte di Vita, può essere salvata dal degrado e dall’abbandono.
Riqualificata e riportata a nuova vita può nutrirci, costituire fonte di lavoro e di reddito, rasserenarci attraverso quel senso del bello che solo un orto, un campo, un giardino, un bosco possono darci e proteggerci in cambio dell’attenzione che le dedichiamo.
In che senso proteggerci? Semplice: pensiamo solo all’attenzione che dedichiamo alla cura del bosco, a riportare in quota sassi rotolati, a riformare muretti a secco, a ripulire sentieri, alvei di fossi e torrenti. Ecco, quell’attenzione si chiama cura del territorio. In cambio la Terra non si sentirà più violata, offesa, trascurata. E non esprimerà, nel limite del possibile, quell’urlo di dolore che assume la forma della frana, della slavina, dell’esondazione.
Esistono, nel nostro Paese, innumerevoli appezzamenti un tempo coltivati ed ora lasciati nel più completo abbandono, anche in aree strategiche; esattamente come nelle campagne abbondano edifici che con pazienza e amore possono essere riportati a nuova vita.Cesec-CondiVivere 2014.10.22 Abbandono e rinascita 003Non sto parlando di quel vado a vivere in campagna tanto caro a manager, creativi, modaioli, portaborse, contesse e saltimbanchi degli anni Ottanta e Novanta del secolo scorso: quelli furono due decenni che fecero lievitare oltre misura i prezzi degli immobili rurali, enucleandoli ulteriormente da un territorio già depauperato di suo sotto i profili sociale e culturale, trasformando la casa di campagna in un oggetto patinato, con l’obbrobrio del cotto antichizzato e dell’immancabile catino sul trespolo ritrovato al mercato dell’antiquariato. Quello fu il periodo del buen retiro. Oggi, muti testimoni di quell’epoca luccicante, molti di quegli edifici languono abbandonati, talvolta perché posti sotto sequestro dall’autorità giudiziaria.
No, mi riferisco a gruppi di persone che ricercano l’opportunità di acquistare appezzamenti di terreno per viverci la vita di ogni giorno, secondo un concetto di solidarietà, decrescita e prossimità alla natura. Persone che vogliono sporcarsi le mani con la terra impiantando filari, spollonando, coltivando, sarchiando, allevando, recuperando specie, concetti e saperi. Magari, ma non necessariamente, secondo un intento di proprietà comune.
Addentrandomi nell’argomento citerò un esempio, minimo ma significativo, di come il territorio possa essere recuperato, ed in questo momento storico a costi vantaggiosi attraverso la negoziazione di beni assoggettati alle vendite giudiziarie.
Ma prima desidero riportare un passo in grado di colpire e far riflettere per la sua forza evocativa, proveniente da Le stanze del Tempo e riguardante una zona del territorio piemontese. E’ legato ad un filmato tanto breve quanto intenso, visionabile qui, e si intitola Crote e Crotin:Cesec-CondiVivere 2014.10.22 Abbandono e rinascita 005Queste grotte sono state scavate nella terra sabbiosa a partire dal XIII secolo. Le Crote, così chiamate dagli abitanti del posto, svolgevano la funzione di vere e proprie case abitate dai contadini. Fino all’inizio del Novecento hanno offerto ricovero a persone della zona e con il passare del tempo sono state trasformate in depositi attrezzi ed abbandonate. Ai nostri giorni, molte, sono state recuperate per ricordare il mondo contadino ed un’epoca oramai completamente perduta. Sono opere anche complesse estese all’interno della collina.Cesec-CondiVivere 2014.10.22 Abbandono e rinascita 007Si dice che in queste crote e crotin vi siano dei fantasmi. E’ interessante il fatto che le storie di fantasmi non sono frequenti in questa zona ed è molto significativa la loro presenza. Non so se si tratta di spiriti malvagi e la loro presenza ha un grande valore per la tradizione locale. La popolazione ha imparato ad accettarli come presenze necessarie…. insoliti guardiani di posti che per molto tempo sono stati vissuti da sofferenza e fatica ma oggi quasi in abbandono.
Secondo Freud: i rimproveri ossessivi dei vivi diventano patologicamente l’ira del fantasma, che da corpo alle pulsioni del nevrotico… In questo luogo non c’è nulla di tutto questo ed è un gran mistero.Cesec-CondiVivere 2014.10.22 Abbandono e rinascita 006E veniamo al dunque.
Alla fine dello scorso mese di settembre presso il Tribunale di Genova avrebbe dovuto tenersi il terzo esperimento di vendita relativo ad un lotto costituito da 41 appezzamenti di terreno contigui situati nel comune montano di Valbrevenna, estesi complessivamente per poco più di quattro ettari destinati a prato, bosco ceduo, castagneto da frutto, seminativo e pascolo e comprendenti alcuni fabbricati rurali bisognosi di ristrutturazione.
Il prezzo a base d’asta, fissato in € 13.738,50 – come vedremo destinato ad un notevole ribasso per effetto di una negoziazione extra-asta a saldo e stralcio – venne definito nella misura di € 18.318,00 nelle sessioni d’asta tenutesi il 25 settembre ed il 2 ottobre 2012, che  andarono inesitate. La relazione peritale originaria,risalente all’ottobre 2009, fissava un valore di € 21.550,03.
Sin qui la notizia: un’asta inesitata come tante nonostante un controvalore che, oggetto di significativi ribassi ed oggettivamente non più capiente rispetto al debito che avrebbe dovuto ripagare, avrebbe potuto significare un vero affare per l’acquirente.
Il significato della notizia è invece ben altro, e riguarda il progressivo abbandono delle aree boschive e montane che, dopo un arresto durato pochi anni, ha ripreso a falcidiare il nostro Paese con le inevitabili conseguenze economiche, sociali ed ambientali legate alla conservazione ed alla tutela del territorio.Cesec-CondiVivere 2014.10.22 Abbandono e rinascita 001Il caso specifico merita una breve analisi: non è un luogo sperduto, inaccessibile, gravato da condizioni climatiche proibitive e privo di servizi perché Valbrevenna, in provincia di Genova dalla quale dista circa 40 km, è un comune montano agevolmente raggiungibile con l’autostrada A7 e con la ferrovia, anzi con due ferrovie.
Il suo territorio coincide pressoché interamente con il bacino dell’omonimo torrente, che origina alle pendici del monte Antola a quota 1.597 ed è affluente del torrente Scrivia sulla sua destra idrografica.
Conta poco più di 800 abitanti distribuiti in otto frazioni ad un altitudine compresa fra 533 e 1.597 metri sul livello del mare, la sua superficie assomma a 35,2 km² e la sua economia locale è prevalentemente agricola.
Fa parte del Parco naturale regionale dell’Antola e confina con Crocefieschi, Montoggio, Propata, Savignone, Torriglia (il cui territorio si estende anche nella valle del Trebbia), Vobbia e con Carrega Ligure in provincia di Alessandria. Una menzione particolare merita l’adiacente abitato di Casella, dove si attesta la ferrovia a scartamento ridotto proveniente da Genova, attualmente in corso di riqualificazione.
La maggor parte delle frazioni conta pochi residenti stabili e i ripidi versanti della valle in cui si sviluppa sono prevalentemente ricoperti di boschi di castagno, rovere, carpino e frassino. Alle quote più alte si trovano prati e pascoli mentre le esigue aree coltivate, organizzate a terrazzamenti con muri a secco, sono per gran parte abbandonate.
I nuclei abitati sono disposti a mezza costa lungo i percorsi delle antiche mulattiere che percorrendo la valle conducevano verso Piemonte e Lombardia.
I nuclei storici dei paesi sono caratterizzati da case in marna, pietra di estrazione locale, arroccate sui pendii con strette vie pavimentate in sasso e la chiesa generalmente staccata dalle case e in posizione dominante sulla valle.
Degno di nota è l’antico mulino ad acqua situato in una frazione, alimentato da tre piccoli bacini formati sbarrando un ruscello con muretti in pietra e recentemente restaurato: rimane l’unica testimonianza dei tanti che un tempo caratterizzavano la valle.
Le vie di comunicazione stradali sono rappresentate principalmente dalla S.P. 11 di Valbrevenna che collega il capoluogo Molino Vecchio con Avosso, frazione del vicino comune di Casella, da cui si diparte la S.S. 226 della Valle Scrivia che in una direzione conduce a Busalla ed alla bassa valle Scrivia, e nella direzione opposta collega Montoggio e Torriglia con il bivio della S.S. 45 della Val Trebbia. La S.P. 12 di Nenno, infine, collega il comune con Savignone e Crocefieschi attraverso un suggestivo percorso panoramico.
Una menzione particolare meritano le comunicazioni ferroviarie. Da Valbrevenna è agevole raggiungere la stazione di Busalla, situata sulla storica linea Torino-Genova realizzata tra il 1844 ed il 1853 e dal profilo planoaltimetrico decisamente tormentato.
Interessante inoltre la prossimità con il confinante comune di Casella, dal 1929 collegato con il capoluogo da una linea ferroviaria a scartamento ridotto, che si sviluppa per 24,318 km su un tracciato che offre imperdibili scorci paesaggistici ed è considerata una delle più belle ferrovie turistiche europee. Attualmente l’esercizio è sospeso in attesa di importanti lavori di riqualificazione agli impianti ed al materiale rotabile.Cesec-CondiVivere 2014.10.22 Abbandono e rinascita 004Il fondo citato in apertura si trova tra le frazioni di Chiappa e Senarega. Chiappa è un tipico borgo montano situato ad un’altitudine di 890 metri mentre Senarega, in posizione panoramica  ad un’altitudine di 715 metri, è un esempio di agglomerato medioevale caratterizzato da abitazioni rurali in marna con i tetti ricoperti dalle tipiche lastre di pietra: sul suo territorio, oltre al castello medioevale Senarega-Fieschi, insiste la cappelletta di Nostra Signora delle Grazie, presso l’antico ponte in pietra all’ingresso del paese.Cesec-CondiVivere 2014.10.22 Abbandono e rinascita 002La strada che da Senarega termina a 1.035 metri di altitudine in corrispondenza di Piancassino è estremamente disagevole: stretta, ripida e tortuosa costituisce il punto di partenza di uno degli itinerari più frequentati per il monte Antola, da qui raggiungibile in circa due ore di cammino. Lungo i sentieri si incontrano resti di abitati da tempo spopolati.
Sul territorio comunale vige ul regime di salvaguardia che ha fissato norme di tutela paesistica per le aree agricole boschive in mantenimento, nelle quali sono privilegiati gli interventi manutentivi rispetto alle nuove edificazioni.
La procedura esecutiva relativa al terreno esaminato origina nell’anno 2009. Secondo un’indagine che ho effettuato considerando il periodo intercorrente tra il gennaio 2009 ed il luglio 2014, il breve spazio di un quinquennio ha visto una drastica diminuzione delle superfici coltivate, ridottesi ben oltre il 60% rispetto ai valori iniziali. Molti terreni sono stati abbandonati sia dall’agricoltura sia dall’allevamento. Molti edifici non sono più abitati, dando luogo al fenomeno sempre più esteso di borghi e frazioni completamente abbandonate.
Ciò pregiudica la stabilità del territorio e comporta un grave rischio di dissesto idrogeologico, in un’area particolarmente esposta a fenomeni di smottamento ed erosione.
E’ cronaca recente il deragliamento di un treno Frecciabianca vicino Genova, per una serie di concause tra le quali l’apertura del cantiere TAV Terzo Valico e le abbondanti piogge che hanno interessato l’area genovese.
Nel generale abbandono, che ha interessato anche alcune attività agrituristiche locali, spiccano alcune meritorie iniziative promosse da agricoltori – tengo a precisare di provenienza non locale – che hanno scelto di dedicare risorse alla coltivazione biologica e biodinamica di specie rare ed a rischio di scomparsa ovvero di erbe aromatiche ed officinali e frutti di bosco, oltre che all’allevamento.
Nel complesso la situazione territoriale presenta un grave stato di abbandono con scarse possibilità di recupero, esattamente come in altre aree italiane dove i borghi disabitati e lasciati al degrado sono in pochi anni raddoppiati, raggiungendo l’incredibile numero di seimila. Questo è quanto e, come disse Jalaluddin Rumi: Quelli che non sentono questo amore trascinarli come un fiume, quelli che non bevono l’alba come una tazza di acqua sorgiva o non fanno provvista per il tramonto, quelli che non vogliono cambiare lasciateli dormire.
Ma, dopo aver letto questa specie di bollettino di guerra, a qualcuno potrebbe essere rimasta sospesa la domanda: Si, ma com’è andata a finire con quel terreno? La risposta è: Poiché l’asta sarebbe probabilmente andata deserta, è stata fatta un’offerta alla banca creditrice: 8.500 Euro, con i quali un gruppo di giovani coltivatori ha acquistato l’appezzamento aggregandolo ad altri che già possiede in zona.
Ottomilacinquecento contro quasi ventiduemila iniziali, non so se mi spiego…
Cambiare è quindi possibile. Servono solo la volontà delle persone e le competenze di quelli che oggi potremmo chiamare facilitatori: in grado di individuare le aree, negoziarne il controvalore nei termini più vantaggiosi, fissare i canoni di un progetto insieme tecnico e finanziario, ottenere fondi, mutui e finanziamenti ove necessario e portare a compimento l’intervento.
Perché non provarci, magari riuniti in piccoli Gruppi di Acquisto Terreni?

Alberto C. Steiner

Ringrazio Melissa Ghezzo de Le Stanze del Tempo per l’autorizzazione a riprodurre Crote e Crotin.

Ospitalità rurale? si, ma di charme

Esaminando i dati pervenutimi dagli IVG, Istituti per le Vendite Giudiziarie, relativi alle iscrizioni di aziende agrituristiche ed agricole nei ruoli delle vendite giudiziarie del bimestre 20 agosto – 20 ottobre riferite ai tribunali di Bologna, Cesena, Parma, Piacenza, Ravenna in Emilia Romagna; Udine nel Friuli Venezia Giulia; Brescia, Monza, Sondrio, Voghera in Lombardia; Arezzo, Lucca, Pistoia, Siena in Toscana; Belluno, Padova, Verona,Treviso in Veneto emerge che i contenziosi finanziari senza possibilità di ricomposizione hanno subito un incremento del 9% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, del 12,5% se parametrati alla media dell’ultimo quinquennio.Cesec-CondiVivere 2014.10.22 Ospitalità di charme 001Scrivevo l’8 corrente, nell’articolo intitolato Agriturismo, anche no, che secondo i dati Confcommercio-Confagri nel corso del 2013 sugli oltre 20mila agriturismi censiti il 22% aveva cessato l’attività mentre il 16% risultava inoperante.
E i dati disponibili a fine settembre di quest’anno erano tutt’altro che incoraggianti: complice il tempo inclemente le aspettative estive dei gestori si sono concretizzate solo nella misura del 53 per cento. Un disastro. Di pari passo i contenziosi bancari per mutui o finanziamenti non pagati hanno visto un incremento del 29% in un solo quadrimestre.
Paventavo quindi che entro un anno un ulteriore quota di aziende potesse chiudere e le proprietà finire nei canali delle vendite giudiziarie, dove peraltro le vendite del settore languono da anni per mancanza di acquirenti. Non sono per nulla felice che l’incremento del 9 per cento citato in apertura stia confermando le mie previsioni.
Concludevo l’articolo con un suggerimento dettato dall’esperienza: l’unica possibilità di fare agriturismo rimane quella di abbinarlo ad una reale attività agricola, agroalimentare o di allevamento costituente la fonte primaria di reddito. E ancora meglio se edifici e terreni sono di famiglia, in una visione non da Cassandra ma esclusivamente improntata a maggiore consapevolezza: il tempo degli sprechi è finito, è arrivato il momento di badare all’essenziale. E questo vale a maggior ragione per chi intende aprire attività in territori impervi o di montagna non facilmente raggiungibili dai clienti.
Dopo avere riferito della batosta estiva e ben sapendo che in prossimità dell’inverno si preannunciano tempi segnati dall’estrema difficoltà a far quadrare i conti ripropongo quanto scrissi oltre due anni fa, esattamente il 23 agosto 2012, in una relazione accompagnatoria al progetto di recupero del borgo medioevale di Vallerano, situato in provincia di Siena.Cesec-CondiVivere 2014.10.22 Copertina 23.08.2012Perché mai un Agriturismo dovrebbe essere di charme? Non si scontra forse, tale definizione, con l’immagine di una campagna rustica, essenziale, ecologica, in altre parole vera? Non significa che, fra le righe dei buoni proponimenti, si sta surrettiziamente realizzando l’ennesima Disneyland del Chiantishire?
Niente affatto. Finiti, e fortunatamente, sono i tempi in cui per essere responsabili ed ecosostenibili era d’obbligo offrire sistemazioni a dir poco spartane, in una logica di conformismo dell’anticonformismo: se non ti presentavi con i capelli raccolti nel codino, non ti rollavi le … sigarette, non indossavi braghe di cotone indiano a righe eri irrimediabilmente out.
Si può essere ecosostenibili anche vestendo Armani, l’importante è non essere eco-compatibili, nel senso di non suscitare compatimento…
Usiamo il cellulare, l’i-pod e pure l’i-pad e il Tablet, non abbiamo voglia – e forse non l’abbiamo mai avuta – di dormire nel sacco a pelo, l’attenzione alle emissioni di metano non ci impedisce di azzannare, letteralmente, una costata di Chianina, purché bio e possibilmente a chilometro zero.
Pur rispettando le opinioni di tutti assaporiamo il miele poiché non riteniamo che le api siano “sfruttate” e ci piace ridestarci fra lenzuola di lino profumate di lavanda osservando le antiche travature dei soffitti e le ancor più antiche pietre delle pareti che ci circondano, nella consapevolezza che le abbiamo amorevolmente recuperate con tecniche ecocompatibili: calce e pozzolana, per esempio. Sapendo che ci aspetta lo yoghurt di capra.Cesec-CondiVivere 2014.10.22 Ospitalità di charme 002Tutto questo a significare che, oggi, per famiglie, coppie, singoli l’ospitalità in campagna non può e non deve limitarsi ad offrire panorami, silenzi, cucina genuina ma deve poter accostare percorsi turistici, itinerari di benessere fisico e spirituale, corsi e seminari legati a diverse tematiche: ecologia, tutela del territorio, recupero di antichi sapori e mestieri, degustazione, esperienze spirituali non già tanto coreografiche quanto profonde, pet-terapy, o semplicemente il non far nulla, staccando la spina in un ambiente elegante ma non artefatto che consenta di rilassarsi profondamente appagando il senso del bello.
Il nostro obiettivo, pertanto, è quello di creare un vero e proprio punto di riferimento che, oltre ad essere un’azienda che dia stabilmente lavoro a non meno di ottanta persone, costituisca una garanzia di relax e benessere di ottimo livello.
Va tenuto presente che quanto scritto sopra riguarda un intervento su di un territorio che comprende 48 edifici e 127 ettari di terreno ad uliveto e bosco, comprendente una piccola centrale idroelettrica dismessa da ripristinare. Trattasi quindi di un caso assolutamente particolare. Relativamente alle situazioni maggiormente diffuse, di più modesta estensione territoriale e suscettibili di assicurare reddito ad uno o più nuclei familiari, la mia spassionata opinione, in questo momento, è quella di puntare sull’azienda agricola in grado di offrire prodotti particolari, corroborando eventualmente l’attività con offerte accessorie. Ma puntare primariamente all’agriturismo, oggi equivale al suicidio finanziario, soprattutto per chi è neofita. E questo, purtroppo, è quanto.

Alberto C. Steiner

Vieni a vivere con me?

Sembra che presto, unitamente al defibrillatore, tra la strumentazione salvavita delle unità mobili di rianimazione troverà posto una pulsantiera da ascensore.
Nelle intenzioni del legislatore dovrebbe essere di ausilio negli stati di choc conseguenti ad attacchi di panico: avete presente quegli orribili minuti che si dilatano nell’immensità verticale tra il pianterreno ed il settimo di un qualsiasi condominio in forzata compagnia del vicino che, ne siete certi, ha votato contro la rastrelliera per le biciclette a favore dell’impianto di videosorveglianza? Oppure quel greve silenzio riempito solo da un borbottato buongiorno mentre l’occhio, anziché sorridere alla vicina, è inchiodato sulle modanature satinate che rinserrano lo specchio o, per l’appunto, sulla pulsantiera?
A me non accade, in primo luogo perché dove abito l’ascensore non c’è ed inoltre perché attacco bottone con chiunque, nelle situazioni più impensate. Ma posso comprendere.
La sindrome dell’ascensore, quindi. Che la pulsione alla sperimentazione di nuove forme abitative nasca proprio da lì?
Come per i sacchetti di plastica, nulla si crea e nulla si distrugge… in questa era postmoderna l’idea di vivere in comune torna ad occupare il panorama sociale. Tutto però si trasforma: dimenticati gli echi rivoluzionari e venute a noia le seduzioni dell’amore libero, la nostra anima è oggi tutta per emozioni suscitate da termini quali solidarietà, ecosostenibilità, integrazione assistita, decrescita felice.
La neo tendenza (c’è sempre un neo, da qualche parte…) a coabitare ha da qualche anno accelerato la propria curva di crescita: perché più che a una casa aspiriamo ad un ecosistema, perché siamo cuori verdi bio, perché siamo cuori grandi e la famiglia non ci basta, perché siamo cuori allegri e stare da soli… uff che noia.
Evviva le neocomuni quindi ma, come faceva dire il Manzoni al cancelliere Ferrer, si puedes y con juicio e facendo ricorso all’iniziativa privata, senza aspettarsi che la manna cada dal cielo, senza associarsi, consociarsi o avvilupparsi a qualche carrozzone politico che promette, illude per tornaconto, non fa crescere ed alla fine si rivela come il carro di Mangiafuoco: luccicante di lumi ma pronto a trasformare tutti in ciuchi.
I fatti lo dimostrano: le 26 iniziative censite a fine 2012 risultano essere oltre 200 alla fine dello scorso mese di settembre, ma molte di queste non sono associate alla RIVE, non compaiono sui social, non si aspettano che nessuno assegni loro alcunché. Individuano una cascina o un gruppo di case in un borgo abbandonato, studiano la fattibilità dell’intervento, mettono mano al portafogli, contraggono un mutuo e partono con la cantieristica affidandosi all’autocostruzione integrata dall’aiuto di professionalità specifiche, in particolare per quanto riguarda la statica, l’ambito energetico e gli aspetti tecnico-finanziari.Cesec-CondiVivere 2014.10.20 Ecovillaggio 005Ed anche il fattore tempo è dalla parte dell’iniziativa privata: tre anni costituiscono la durata media del periodo che va dall’idea alla consegna degli immobili, mentre nell’ambito dell’ortodossia ecosocialsostenibile non è raro trovare gente che dopo un decennio non ha ancora deciso che nome darsi.
Non è la prima volta che lo scrivo: molti hanno iniziato a comprendere che la consapevolezza passa anche dal mollare quelle sovrastrutture denominate ideologie e nel guardare alla concretezza. Per crescere insieme dopo che ciascuno ha iniziato a crescere da solo, lasciando perdere utopie, sogni, fantasie fuori contesto o di dubbia realizzazione e rivendicando ciascuno, pur in un ambito solidale, le proprie autonomie ed i propri spazi.
Soprattutto rifuggendo da quella modalità che vorrebbe annientare l’individualismo mettendo tutto in comune, soprattutto il denaro riconoscendo di fatto solamente la paghetta mensile anche a chi opera esternamente all’ecovillaggio e porta alla casa comune lo stipendio. Obbligato a sottostare ad una decisione collettiva che suona come un processo pubblico anche qualora trattasi di acquistare un minipimer per casa propria.
Questa vera e propria logica della setta (sicuramente più vantaggiosa rispetto a quella dell’Opus Dei: qui si parla di mancette variabili da 50 a 200 Euro mensili, ai nipotini di Josemaría Escrivá ne spetterebbero solo 30) permea molte vicende, ed è quella propugnata da certi aggregati portati ad esempio da quella specie di bibbia dell’ecovillaggista che è Ecovillaggi e cohousing, dove sono, come farne parte. Fortunatamente ha fatto il suo tempo, riscuotendo ormai credito solo presso alcune fasce di militante marginalità attanagliata dal male di vivere.
Questo scritto costituisce l’ideale seguito di Ecovillaggi, la rivoluzione silenziosa pubblicato in questo stesso Blog il 13 ottobre scorso.Cesec-CondiVivere 2014.10.20 Ecovillaggio 002Tra le motivazioni che portano a voler vivere in cohousing, e più ancora in ecovillaggio, non vi è solo il desiderio di una vita più ecosostenibile orientata verso un paradigma differente, una maggiore coerenza con una visione realmente ecologica ed olistica dell’esistenza. Autoproduzione, economia condivisa nello scambio ed attraverso il mutuo sostegno, consumo consapevole ed attenzione all’alimentazione nel rispetto delle diversità per chi vuol essere onnivoro, vegetariano, vegano, uno stile di vita naturale ed essenziale sono tutte nobili motivazioni, ma nascono da ben altre e più profonde, vale a dire da un vero e proprio processo di cambiamento interiore.
Detto in altri termini: nascono quando si diventa Consapevoli, Risvegliati, Guerrieri.
Decidere di vivere in un cohousing o o in un ecovillaggio non significa semplicemente metter su casa nel verde, ma ricercare primariamente un’armonia interiore attraverso un percorso di risveglio che coinvolge i piani psicologico, energetico, emotivo, relazionale, pratico ed economico legati ai concetti di sostentamento e sopravvivenza.
Tanto è vero che non ci si arriva improvvisamente, bensì attraverso un graduale percorso di crescita i cui primi segnali sono costituiti dal senso di smarrimento, frustrazione, sofferenza per come l’essere umano sia capace di condizionare se stesso distruggendo e danneggiando gravemente la Natura. Condizionamenti, menzogne, assuefazione alla violenza, egocentrismo che vengono sentiti come obsoleti e distruttivi.
Rabbia e frustrazione portano a cercare informazioni valicando quei canali ufficiali che mantengono le persone nel senso di inferiorità, di asservimento a bisogni indotti, di impotenza e paura.Cesec-CondiVivere 2014.10.20 Ecovillaggio 003Ad alcuni prende l’illusione di denunciare e controinformare, salvo scoprire che anche nell’attivismo socio-politico apparentemente più genuino si nascondono truffe e truffatori. Ad altri non par vero di aderire a gruppi, movimenti, associazioni che accogliendo amorevolmente propugnano l’ecosostenibilità, salvo scoprire che sono delle sette, e che esistono funzionalmente a una casa editrice, un marchio, una catena di ditribuzione o tutte queste cose insieme, oltre che per aprire tavoli ed organizzare convegni fruendo di fondi pubblici drenati da quel sistema che tanto denigrano.
Chi sfugge a tali ennesime sovrastrutture, illusorie bandiere di un conformismo dell’anticonformismo, inizia a pensare non già a come fare per cambiare il vecchio, bensì a come dare alimento al nuovo. Il vecchio, non più nutrito,  morirà per inedia…
Inizia quindi a ricercare soluzioni reali per sè e per la propria famiglia, più o meno allargata ad amici e conoscenti sintonici con quel modo di sentire e pensare.Cesec-CondiVivere 2014.10.20 Ecovillaggio 001Da soli o in gruppo si va a vedere questo o quel villaggio abbandonato, ed intanto tempo e situazioni contribuiscono a scremare chi vive l’esperienza come socializzante gita in campagna od occasione per l’ennesimo imbonitorio blabla. E si passa ad una fase di profonda introspezione mettendo in discussione se stessi e le proprie scelte, non guardando più all’esterno accusando e giudicando. E parafrasando la storica frase pronunciata da John Kennedy il 20 gennaio 1961: Non chiedete che cosa il vostro paese può fare per voi, ma cosa voi potete fare per il vostro paese, si inizia a domandarsi cosa realmente sia possibile fare per se stessi.
Partendo quindi dal sé, per sè e per i propri cari e non più per un evanescente collettivo, si cessa di sentirsi una marionetta, una vittima lamentosa, iniziando ad ascoltarsi per seguire concretamente ciò che si desidera, ad essere per primi quel cambiamento che si desidera per il mondo.
Abitudine, comodità, resistenza al cambiamento, paura del giudizio, timore di non farcela o di ripercussioni da parte del sistema, depressione, fissazione su pensieri di fallimento, ansia dell’incertezza sul futuro scompaiono insieme con la desuetudine ad affidarsi al proprio intuito, alla scarsa stima di sé, ai condizionamenti religiosi, culturali e familiari passivamente subiti per secoli.Cesec-CondiVivere 2014.10.20 Ecovillaggio 004Ci si rende conto di essere Cocreatori della realtà e non si ha più voglia di perder tempo attendendo che la maggioranza si decida. E nemmeno di interagire con essa, nella finalmente maturata consapevolezza che c’è chi è nato per essere libero e chi per essere schiavo e che tutto dipende dal singolo, un singolo che si è fatto la propria rivoluzione armonizzando le parti in conflitto per agire verso un radicale cambiamento della realtà esterna generando armonia intorno a sé, senza più proiettare all’esterno tensioni interiori o timori.
E si arriva così alla creazione del nuovo, scoprendo che anche nel quotidiano ancora urbano si tende a frequentare persone che vedono l’essere umano come Anima incarnata connessa con il Tutto, attratte dall’idea di coltivare orti e frutteti, di affondare le mani nella Terra con la consapevolezza che può contribuire a fornire il sostentamento necessario nella connessione profonda con gli elementi naturali, ma soprattutto con il proprio Centro. E si arriva così all’autoproduzione, magari iniziando dal terrazzo o dal giardino di casa, al mutuo sostegno, alla creazione di reti di scambio di prodotti, tecnologie, lavoro, competenze e risorse. Scoprendo infine che è possibile vivere, e vivere bene, risparmiando drasticamente sui costi della vita e, diventando sempre più indifferenti ai prodotti delle multinazionali, costituire una società parlallela ecosostenibile e alternativa. Ma soprattutto creattiva.

Alberto C. Steiner

Agriasilo: i bambini? Mandiamoli a zappare!

Non stiamo apologizzando la riesumazione della pratica che nella miserrima Italia dei bei tempi andati, vale a dire negli anni successivi all’unità, imponeva che i minori, spesso anche di soli 6 o 7 anni, venissero utilizzati nei campi e nelle miniere, nei cantieri edili e nelle filature o nelle fabbriche finché quelli di sesso maschile sopravvissuti a incidenti, malaria, colera, scrofola, pellagra ed altre malattie crescessero il necessario per essere mandati a morire ammazzati nelle trincee della I Guerra Mondiale.Cesec-CondiVivere 2014.10.14 Agriasilo 003No, stiamo pensando ai bambini odierni, a quelli che vivono nelle nostre città. Esclusi pochi fortunati che frequentano scuole sperimentali – il Trotter a Milano, per esempio – a parte sortite nei parchi, in qualche bosco o fattoria didattica, i bambini vivono rinchiusi dal mattino al pomeriggio in cubi di cemento dotati di un patetico giardino attrezzato con qualche gioco di plastica.Cesec-CondiVivere 2014.10.14 Agriasilo 001Credono che i polli nascano tutto petto o tutta coscia, e che i mirtilli spuntino in un guscio di plastica nera cellofanata in una serra che si chiama supermercato, insieme con gli alberi degli ombrelli. E respirano quello che respirano.
Fortunatamente, oltre alla meritoria iniziativa chiamata Piedibus e della quale seguiamo attentamente gli sviluppi, esistono scuole materne ed elementari inserite in un contesto verde.
Ma anche gli asili si stanno attrezzando: stanno nascendo gli agriasili, asili a tutti gli effetti ma situati all’interno di un agriturismo. La differenza rispetto a un asilo tradizionale sta nel tempo che si passa all’aria aperta svolgendo tante attività come coltivare le piante, socializzare con gli animali e imparare a conoscere i ritmi dei contadini.
Neanche a dirlo: sono nati nel Nord Europa, in particolare in Danimarca, ed hanno conosciuto un’ampia diffusione in Svizzera. In italia, dopo una partenza in Trentino, Veneto e Piemonte, si stanno timidamente diffondendo e sono già un centinaio le strutture private censite.Cesec-CondiVivere 2014.10.14 Agriasilo 005Possono essere considerati un’evoluzione della fattoria didattica e costituiscono ambienti educativi informali dove anche i più piccoli possono stare quotidianamente a contatto con la natura assimilando una cultura dell’attenzione alla qualità della vita e alla sostenibilità ambientale.
Persino i giocattoli, in un agrinido, si costruiscono con quello che si recupera dagli scarti: legno, cartone, stoffa e via di colla, forbici e fantasia!Cesec-CondiVivere 2014.10.14 Agriasilo 006Si mangiano i prodotti locali, che (tenerezza!) gli stessi piccolini hanno contribuito a coltivare e, nel limite delle loro pasticciose possibilità, a preparare. Si vive vicino agli animali imparando a conoscerli e a rispettarli. In un agrinido i bambini si avvicinano progressivamente all’ambiente agricolo, interagendo quotidianamente con la natura e facendo esperienza nella coltivazione delle piante e nell’allevamento. Inventano storie che recitano al Teatro nella Natura e giocano nell’agriludoteca, un posto magico dove essi stessi realizzano giochi fantastici utilizzando esclusivamente prodotti naturali reperibili in loco.
L’agrinido è sempre più esplicitamente inserito nelle attività agricole previste dai piani di sviluppo rurale regionali e sta crescendo il riconoscimento delle finalità sociali delle fattorie, sostenute nelle loro iniziative per l’educazione anche con interventi economici per adeguare gli edifici ai rigidi standard stabiliti dalle normative nazionali per i servizi destinati alla prima infanzia.Cesec-CondiVivere 2014.10.14 Agriasilo 002Questo significa che presso l’azienda agricola possono trovare allocazione micronidi, ma anche servizi integrativi e sperimentali per la prima infanzia e servizi di ludoteche oltre ai nidi in famiglia. Non è affatto trascurabile, inoltre, il fatto che i progetti di questo tipo aiutino aziende agricole e cascine a riciclarsi per affrontare la crisi economica in modo innovativo.
A questo punto il dado (bio) è tratto: se in campagna è facile, in città non è impossibile. E non solo nelle aree verdi periferiche come Vettabbia, Parco Sud, Forlanini, Lambro, Nord, Groane, Bosco in Città per citare alcune realtà milanesi. Anche in quartieri più centrali è tecnicamente possibile, dove esistono adeguate aree dismesse che non abbisognano di particolari bonifiche dei suoli poiché le precedenti attività non vi rilasciavano sostanze pericolose o nocive.
Un’ipotesi progettuale da non trascurare, suscettibile di dare verde, serenità, socialità e conoscenza ai più piccoli e creare opportunità di lavoro. Senza dimenticare che in un contesto di cohousing, sia esso urbano oppure di campagna o montano, un agrinido ci sta benissimo.Cesec-CondiVivere 2014.10.14 Agriasilo 004Noi abbiamo deciso di pensarci seriamente. Questo scritto è solo la proposta di un’idea che possiamo sviluppare in modo diffuso: abbiamo l’opportunità di individuare strutture acquistabili a costi sensibilmente inferiori ai valori di mercato e possediamo le necessarie capacità progettuali, organizzative e di sostegno finanziario attraverso business angels, investitori, individuazione di sostegni pubblici agevolati.
Chi ha voglia di seguirci perché anche nella propria località di residenza nascano asili nell’orto o nel bosco?

Alberto C. Steiner

Agriturismo, anche no.

In ragione della mia attività professionale mi occupo di immobili ed appezzamenti di terreno suscettibili di essere interpretati nell’ambito di una visione agroalimentare, ricettiva, didattica o del cohousing rurale. Se fino a ieri non avevo alcuna ritrosia ad inventare soluzioni o progettare attività nel comparto agrituristico, oggi tendo a dissuadere clienti ed investitori che sento non particolarmente forti nell’intento dall’imbarcarsi in tale avventura, in particolare se neofiti e soprattutto se intendono acquistare un immobile ed un appezzamento di terreno appositamente per svolgerla.Cesec-CondiVivere 2014.10.08 Agriturismi anche no 002Non sono un benefattore e non vivo di prana, sia chiaro: semplicemente ritengo corretto non sottacere i rischi che inventarsi oggi tale lavoro comporta, soprattutto quello di essere costantemente presi a tirare la cinghia, non poter effettuare investimenti per restare al passo e quindi perdere terreno rischiando il fallimento. Preferisco consigliare altre opportunità, più remunerative del capitale investito e che consentano una maggiore serenità.
Non è più il tempo dello spontaneismo, bensì è piuttosto arrivato il momento delle attività polifunzionali riunite sotto lo stesso tetto da soggetti diversi, ciascuno con la propria specificità, sinergiche in un contesto pensato e progettato sulla base di una concreta analisi dei bisogni del territorio sul quale insisterà il nuovo insediamento. Ciò significa altresì che, se si vuole campare rivolgendosi al mercato, termine in un certo contesto assai vituperato ma unico giudice in grado di sentenziare se è possibile svolgere l’attività da tanto tempo sognata in modo da poterla sviluppare e consolidare, è più che mai necessario sceglierne con estrema attenzione l’ubicazione tenendo conto di numerosi fattori, in particolare di quelli logistici.Cesec-CondiVivere 2014.10.08 Agriturismi anche no 003Scrivevo il 28 febbraio scorso, in un articolo intitolato Come gestire una fattoria didattica, che secondo i dati Confcommercio-Confagri nel corso del 2013 sugli oltre 20mila agriturismi censiti ha cessato l’attività il 22% mentre il 16% risulta inoperante. Analizzando le aziende agricole in vendita giudiziaria ed i dati diffusi dalle numerose associazioni di categoria per superficie di terreno disponibile, tipo di coltivazioni o allevamenti, capacità ricettiva ed offerta di attività aggregate emergeva una constatazione: gli agriturismi che hanno chiuso erano prevalentemente alberghi di campagna con l’orticello, non aziende agricole che all’attività principale abbinavano la capacità ricettiva.
Poiché dal 2007 al 2012 la crescita degli agriturismi sembrava inarrestabile, ho voluto in quell’occasione riprendere un’indagine svolta da Agriturismo.it nel settembre 2012 su un campione di 310.000 persone e che aveva raccolto 2.778 risposte, rapportandola con una analoga svolta dall’Istat l’anno successivo, per sintetizzare un aspetto che si sta sempre più delineando nel mercato della ricettività agrituristica.
Per non appesantire il testo riporto esclusivamente i valori riferiti all’anno 2013, rimandando per nozioni più appprofondite ai siti agriturismo.it e istat.it .
Dal 53% degli intervistati l’agriturismo veniva percepito come un luogo dove trascorrere una o più notti piuttosto che come un ristorante con prodotti tipici, ed il 44% dei turisti rurali ricercava proprio l’ambiente familiare e l’ospitalità offerti dalle aziende agrituristiche. Nel 30% dei casi si ritenevano migliorate la percezione generale nei confronti dell’agriturismo e l’idea che potesse evolversi mantenendo lo spirito iniziale, pur se un preoccupante 34% lamentava menu banali e non legati al territorio ed il 24%, vale a dire quasi un quarto dei clienti, la poca chiarezza sui prezzi.
Tra le mete più gettonate calavano Toscana ed Umbria, rispettivamente dal 64% al 58% e dal 44% al 35% delle preferenze, mentre le altre restavano sostanzialmente invariate.
La crisi ha inciso sul 70% degli intervistati: nel 2007 il 69% andava in agriturismo almeno quattro volte l’anno, ma già nel 2009 solo il 54% dichiarava di soggiornarvi più di una volta, ed all’epoca dell’indagine lo faceva solo il 41 per cento, vale a dire che si è perso il 41% dei fruitori.
Nel frattempo si è elevata nel quinquennio l’età media degli agrituristi, registrando un forte aumento degli over 50 ed un sensibile calo degli under 35, che passavano dal 20 al 10% mentre i primi crescevano dal 30 al 39 per cento. Questo dato non sta a significare che l’agriturismo è una meta per vecchietti, piuttosto che tra gli under 35 risiede massimamente la fascia di coloro che hanno poco lavoro ed ancor meno denaro. Significativo infatti come gli over 50 siano caratterizzati nel 31% dalla minore attenzione al budget rispetto ai più giovani.
Che l’utenza invecchi lo dimostra anche il tipo di compagnia scelta per la vacanza: se nel 2007 il 67% privilegiava un partner anche occasionale, nel 2009 il 57% sceglieva decisamente il partner fisso ed oggi nel 65% preferisce soggiornare in agriturismo con tutta la famiglia, bambini compresi, che nel 55% dei casi hanno meno di 10 anni.
Ciò comporta che il 67% degli intervistati senza figli dichiari che preferisce evitare l’agriturismo, o quanto meno certi agriturismi, proprio per non ritrovarsi in un Kinderheim. Il dato sembra veritiero se gli stessi intervistati, rispondendo ad una domanda di verifica, dichiarano che preferiscono evitare, nel 56% dei casi, di trascorrere vacanze con amici che hanno figli, ma ciò non costituisce una novità: coloro che hanno figli tendono a frequentarsi tra loro per uniformità di tempi, argomenti ed esigenze.
Il cliente alberghiero e della ristorazione senza figli è tradizionalmente quello maggiormente disposto a spendere; l’abbandono di chi non ha figli, anche se non motivato da ragioni economiche, ma magari semplicemente perché portando il bambino a cavalcare nella fattoria sotto casa vi si trova bene trascorrendovi la giornata, costituisce pertanto un dato da osservare nella dinamica del fatturato degli agriturismi. Soprattutto considerando che numerosi pacchetti prevedono il soggiorno gratuito o semigratuito per i bambini, e che numerosi agriturismi hanno investito molto per attrarre famiglie con figli piccoli.Cesec-CondiVivere 2014.10.08 Agriturismo anche no 001Ma passiamo alle motivazioni: gli italiani scelgono l’agriturismo all’insegna del mangiar sano nell’84% dei casi e del risparmio nel 91%, mentre la possibilità di immergersi nella natura stimola il 38% degli ospiti anche se solo il 16% tende a provare un po’ tutte le possibilità offerte da questo tipo di vacanza: natura, enogastronomia, relax, attività olistiche per il benessere fisico e spirituale. Corsi ed altre iniziative proposte dentro e fuori l’agriturismo seguono a distanza, segno che chi le frequenta non le vive come una componente del pacchetto vacanza bensì come la ragione per recarsi nel luogo dove vengono tenute, indipendentemente dal fatto che si tratti o meno di un agriturismo.
Gli stranieri cercano invece nella vacanza in agriturismo la tranquillità (84%) e l’attenzione all’ambiente (79%) oltre che la possibilità di visitare attrazioni naturalistiche o storiche nei dintorni (36%) e svolgere attività nell’azienda (24%) comprese quelle legate all’agricoltura ed all’allevamento.
Italiane o straniere, le famiglie sono nel 48% dei casi  attente agli agriturismi che offrono un ambiente familiare e nel 38% spazi e attività dedicati ai bambini. Fra le attività possibili l’equitazione è quella preferita dal 34% degli intervistati mentre le altre seguono in ordine sparso.
I profili sin qui descritti non sono quelli dei trentenni con figli piccoli, bensì quelli dei 40-50enni: va tenuto presente che oggi i figli si hanno massimamente non prima dei trentacinque anni di età.Cesec-CondiVivere 2014.10.08 Agriturismi anche no 004Oggi l’agriturismo è scelto anche per festeggiare matrimoni, cresime e comunioni, purché situato in un contesto d’atmosfera e non lontano dalla città.
Nell’estate del 2013 sono stati 3 milioni gli italiani che hanno scelto di trascorrere almeno quattro giorni di vacanza in uno dei ventimila agriturismi, con una flessione del 17 per cento rispetto alle aspettative dei gestori.
I prezzi andavano dai 14 ai 27 euro per un pasto e dai 22 ai 49 per un pernottamento, con punte di 90 che riguardavano però resort assolutamente particolari. Un’analisi a campione da me svolta nello scorso mese di settembre su 109 insediamenti distribuiti fra Lombardia, Toscana e Umbria, Emilia, Veneto e Trentino Alto Adige mi ha fatto comprendere come i prezzi abbiano subito un incremento medio del 19 per cento con punte del 27 nelle province di Arezzo, Belluno, Bolzano, Brescia, Perugia e Verona.
Tornando all’indagine precedente, il 74% degli intervistati dichiarava di considerare eque tariffe giornaliere non superiori ai 36 euro comprensive di pernottamento e trattamento di mezza pensione.
Non va dimenticato che un importante indotto per l’agriturismo è rappresentato dalla vendita dei prodotti tipici: ortaggi ma soprattutto vini, formaggi, salumi e prodotti dell’artigianato locale. Ma anche in questo caso il calo delle vendite nel 2013 è stato del 39%, un abisso.
E quando finisce l’estate ci si prepara all’autunno, ancora clemente, e poi al freddo, mai amico.Cesec-CondiVivere 2014.10.08 Agriturismi anche no 005Se, secondo l’Istat, nel 2013 gli italiani hanno effettuato 63.154.000 viaggi e pernottamenti nazionali (-19,8% rispetto al 2012) e se gli agriturismi subiscono per forza di cose una sosta forzata almeno trimestrale, è chiaro come i dati delle frequentazioni e delle aspettative, parametrati ai costi, lascino intendere come l’attività di agriturismo non sia più da considerare remunerativa.
E i dati disponibili a fine settembre di quest’anno non incoraggiano: complice il tempo inclemente le aspettative estive dei gestori si sono concretizzate solo nella misura del 53 per cento. Un disastro. Di pari passo i contenziosi bancari per mutui o finanziamenti non pagati si sono incrementati del 29% in un solo quadrimestre; e l’ipotesi, per nulla irreale, che entro un anno un ulteriore quota di aziende possa chiudere e le proprietà finire nei canali delle vendite giudiziarie, dove peraltro le vendite del settore languono da anni per mancanza di acquirenti, è tutt’altro che remota.
L’unica possibilità di fare agriturismo rimane pertanto, a ben vedere, quella di abbinarla ad una reale attività agricola, agroalimentare o di allevamento costituente la fonte primaria di reddito. E ancora meglio se edifici e terreni sono di famiglia da generazioni, soprattutto se si è sorretti dall’ormai imprescindibile capacità di reinventarsi ogni giorno.
Come dire che siamo tornati all’ottocentesco detto toscano senza lilleri un si lallera? Temo sia così, in una visione non catastrofista ma soltanto improntata a maggiore consapevolezza: è meglio tenerli stretti, i lilleri, perché il tempo degli sprechi è finito. E’ arrivato il tempo di badare all’essenziale.
E questo vale a maggior ragione per chi intende aprire attività in territori impervi o di montagna non facilmente raggiungibili dai clienti.

ACS

Campo di Brenzone: una perla abbandonata sul Garda

In posizione incantevole a mezza costa sulla sponda veronese del lago di Garda, all’ombra del monte Baldo e circondato da campi di ulivi secolari, un pugno di case pressoché disabitate aspetta di essere riportato a nuova vita: è Campo, un antico borgo dal quale si gode la vista di tutto il Garda.CC 2014.10.03 Campo Brenzone 001Lontano dalla strada e non accessibile in auto, ma in quindici minuti di camminata si giunge in riva al lago. Numerosi sentieri indicati da segnavia portano in vetta al monte Baldo, per chi non vuole faticare scalabile in cabinovia dalla vicina Malcesine.
Campo, situato a 45°42′ N 10°46′ E ed il cui toponimo deriva dai campi coltivati ad ulivi, è una frazione di Brenzone, con i suoi 50 km2 di estensione territoriale il comune più vasto del Veneto, e la sua esistenza è riscontrabile sin dall’anno 1023; oggi consta di un abitante censito, in realtà i residenti sono ben… nove facenti capo a due nuclei familiari.CC 2014.10.03 Campo Brenzone 003La via che conduce a Campo sale dal lago stretta fra le antiche case, selciata e molto ripida. Appena termina l’abitato appaiono i primi ulivi, che accompagnano il rimanente percorso in una campagna curata, caratterizzata da terrazzamenti con muretti a secco e da un panorama mozzafiato: in basso si vede la chiesa di San Giovanni di Magugnano, sullo sfondo della sponda bresciana con le alte scogliere che cadono a picco sul lago ed il santuario di Montecastello.
Presto si giunge alla valle detta della Madonna dell’Aiuto, percorsa da un torrente quasi sempre in secca, e superato un ponticello in muratura, la visione che si schiude raggiungendo l’antico borgo medievale ripaga di ogni fatica.
Oltre che dalle pittoresche case in pietra arroccate, disabitate e raccolte su se stesse attorno ai resti del castello ormai ricoperto dalla vegetazione, attorno al quale si è sviluppata la frazione, Campo è caratterizzato da vasti uliveti, da un fitto bosco di lecci e faggi e dalla chiesetta romanica dedicata a San Pietro in Vincoli eretta tra il XII ed il XIV Secolo, un piccolo scrigno che conserva pregevoli affreschi d’influenza bizantina databili al 1358 e… qualche misteriosa particolarità.DCF 1.0Il borgo è raggiungibile esclusivamente a piedi poiché la stradina carrabile, recentemente realizzata grazie ai fondi regionali funzionalmente al progetto di recupero, non è percorribile dai non residenti ed è anzi provvidenzialmente sbarrata ben prima di giungere all’agglomerato. Ma ciò non impedisce a numerosi turisti di visitare Campo, noto per essere uno dei punti più spettacolari della costa lacustre veneta; trattasi fortunatamente di un turismo di nicchia attento alle sfumature della natura e felice di sapere che l’unico punto di ristoro è costituito dall’antica fontana in pietra.
Durante il periodo medioevale, Campo e tutta l’area gardesana passarono sotto varie dominazioni: scaligera, viscontea, carrarese fino ad arrivare alla Repubblica di Venezia e, a partire dal 1797, seguirono le vicende napoleoniche ed asburgiche sino al termine della I Guerra Mondiale.CC 2014.10.03 Campo Brenzone snRimarcabile il fatto che nel territorio di Brenzone non esistesse una via comoda per raggiungere Verona o Trento, poiché la stessa morfologia della catena montuosa ricca di strapiombi sui due versanti e chiusa dal lago sul versante occidentale, e dalla Val d’Adige su quello orientale, la rendeva un’immensa fortezza naturale, accessibile soltanto da nord o da sud; ciò permise a borghi come Campo di rimanere in gran parte immuni dalla penetrazione del potere cittadino.
Ancora oggi le strade che corrono a mezza costa, per lo più mulattiere selciate e delimitate per lunghi tratti da muretti a secco, ricalcano sentieri e piste antiche costituendo una fitta rete di tratturi colleganti le diverse contrade e la zona abitata con le rive del lago da una parte e, dall’altra, con la zona olivetata, i boschi e i pascoli, come ad esempio il sentiero che da Magugnano-Marniga porta, attraverso Campo, ai pascoli di Prada e a San Zeno di Montagna. Va annotato che il comune di Brenzone aveva giurisdizione sui pascoli sino a Cima Telegrafo e a Cima Coal Santo.
Questi sentieri, arterie vitali del versante occidentale del Baldo, cominciano ad essere fitti proprio a nord di Punta San Vigilio; da Garda partiva invece la strada in costa detta Cavalara, che riuniva i piccoli centri rivieraschi e quelli sopracosta.
Campo si trova al punto di confluenza di diverse mulattiere; in particolare, fino agli inizi del XX Secolo, erano importanti quella che da Castelletto, attraverso Biasa, giunge al borgo, detta strada vicinale di Campo e quella che da Magugnano-Marniga saliva verso Prada, detta strada comunale della Cà Romana o strada comunale di Campo.
Queste due arterie s’incrociavano proprio a Campo e proseguivano nella strada comunale di Caprino che attraverso Torri, Monte Motta e Pesina costituiva l’unica via di collegamento fra le contrade dell’alto lago e quelle del basso lago e dell’entroterra gardesano, in particolare Caprino, nodo delle vie di comunicazione dell’entroterra veronese e importante centro di mercati del bestiame.
Per queste mulattiere, che a tratti passano anche sotto i portici delle case, si saliva a piedi, o con animali da tiro e le tipiche slitte di fabbricazione locale, le sbarusole, sbarossole o carièle. Ancora oggi sulle pietre del selciato molto levigate si possono notare i solchi lasciati dal frequente passaggio delle slitte.CC 2014.10.03 Campo Brenzone 004I muretti di contenimento, detti marogne, costituiscono il limite perimetrale dei sentieri nelle zone a terrazzamenti o a pascolo e sono un elemento tipico del paesaggio collinare e montano non solo lacustre, ma di tutto il territorio veronese; sono realizzati in blocchi sbozzati di pietra, faccia a vista e a secco, ricavati dallo spietramento dei campi messi a coltura o a pascolo ed in alcuni punti aperti da piccoli barbacani per favorire lo scolo delle acque dai campi nei periodi di abbondanti precipitazioni.
Del resto, la ristrettezza e le asperità del territorio, confinato tra il lago e le impervie e scoscese pendici del Monte Baldo, spesso solcate da valli profonde e torrenti, hanno comportato notevoli difficoltà nel realizzare vie di comunicazione terrestre, rendendo per secoli le comunicazioni via terra praticamente impossibili e non favorendo lo sviluppo di centri abitati che non fossero, fino alla prima metà dell’Ottocento, modesti nuclei sparsi collegati da mulattiere e sentieri stretti tra muri a secco.
Proprio per tale ragione intense ed importanti furono invece le comunicazioni per via d’acqua che produssero vivaci rapporti, anche familiari, tra le opposte sponde lacustri.
La via lacustre, tra tutte le vie di transito era sicuramente quella più veloce, comoda, frequentata e, in alcuni periodi, anche meno pericolosa e quindi meno costosa, rimase fondamentale nelle diverse epoche e sotto i vari domini fino agli inizi del Novecento.
Tra l’altro la Via dell’Ambra, che aveva origine nella penisola dello Jutland e, percorrendo i corsi dell’Elba e dell’Inn, valicate le Alpi attraversava il Garda e la Val d’Adige per sfociare sulle coste del Mediterraneo e delle regioni dell’Oriente.
Sino ai primi decenni del Novecento l’economia locale, oltre che dalla pesca e dalla navigazione, dipendeva prevalentemente dalle attività legate alla terra: allevamento di bachi da seta, produzione casearia come attestano le numerose malghe tuttora esistenti, coltivazione di ulivi. Da ricordare anche la produzione di legna e di due importanti derivati: lignite e calce. Per la produzione di quest’ultima, destinata principalmente all’esportazione, venivano utilizzate particolari costruzioni in pietra di forma circolare, le calchére, alcune delle quali visibili ancora oggi.

Breve e triste historia del nostro tentativo di recupero
Tra settembre e novembre dello scorso anno 2013 abbiamo stabilito contatti finalizzati ad una proposta di recupero del borgo: costituzione di un ecovillaggio con unità abitative in cohousing, recupero dei terreni già coltivati a oliveto ed impianto di specie compatibili con il territorio e la sua storia, impianto di laboratori artigianali per il recupero di mestieri della tradizione locale erano le linee giuda del progetto, i cui oneri sarebbero stati sostenuti da investitori privati e da una banca attiva nel settore della finanza etica.
Siamo stati ricevuti con estrema cortesia e profondo interesse dall’allora Sindaco, che ci ha messo a disposizione l’Ufficio Tecnico Comunale. Abbiamo successivamente preso contatti con la Sovrintendenza di Verona poiché l’area è vincolata.
Abbiamo infine preso contatto con la Fondazione che detiene il borgo e che teoricamente ne dovrebbe curare il recupero. E qui, al di là di una richiesta economica stratosferica rispetto all’effettivo valore di edifici e terreni, abbiamo iniziato a non capire: a parte i fondi erogati da una fondazione bancaria locale e spesi per la necessaria messa in sicurezza di alcuni manufatti pericolanti, non ci risultava chiara l’attribuzione di contributi comunitari ma soprattutto non ci risultava chiaro se ed in quale misura fossero pervenuti, né come ne fosse stato pianificato l’esborso. Non da ultimo, il borgo venne acquisito dalla Fondazione rilevandolo dal Comune, il cui sindaco all’epoca dell’operazione era colui che incontrammo nella veste di Presidente della Fondazione, in cambio di un terreno edificabile. Salvo scoprire che, rispettando le distanze di legge, non vi si sarebbe potuto edificare molto e pertanto era in corso un’azione legale tra Comune e Fondazione.
Insomma, ci siamo scontrati con il più classico dei muri di gomma: cose non dette e che forse non si possono dire, nonché molta resistenza. Aggiungendo a tutto questo il disinteresse, quando non la supponenza e la nemmeno tanto larvata derisione di chi a parole si dichiarava fautore del recupero del borgo, anche attraverso la costituzione di gruppi, associazioni e movimenti, ma nella realtà dei fatti sembrava vivere nell’ignavia al fine di potersi lamentare delle occasioni perdute, abbiamo deciso di lasciar perdere, nella consapevolezza che i borghi italiani attualmente abbandonati, e che aspettano soltanto di poter favorire chi intenda darsi da fare per la loro rinascita, sono oltre tremila.
Peccato: una posizione imperdibile, una storia del territorio non qualsiasi, concrete possibilità di sviluppo in un’ottica di vita sostenibile esuscettibile di creare posti di lavoro buttata alle ortiche. Anzi, a lago.

Alberto C. Steiner

Campo, un progetto che non decolla

 Con Deliberazione Regionale n.2802 del 23 novembre 2010 avente come oggetto: Comune di Brenzone – Recupero e valorizzazione storico-culturale, paesaggistica, turistica e ambientale di Brenzone – località Campo; Approvazione della Convenzione relativa alle modalità di attuazione dell’intervento ai sensi della L.R. 13/1999 venne stanziato un importo di 760.000 €.
cesec,condivivere,campodibrenzone,borgo,cohousing,lagodigardaNell’agosto 2011, fu approvata dal Consiglio Europeo, e conseguentemente ritenuta finanziabile, la proposta di massima finalizzata al salvataggio di Campo per farne un’accademia del restauro ed un centro di eccellenza per la tutela delle tradizioni artigianali locali, eventualmente non disgiunto da un’attività di albergo diffuso sulla scorta di quanto realizzato in altri borghi abbandonati italiani e previo parere favorevole della Soprintendenza dei Beni Ambientali di Verona. All’uopo venne costituita appositamente la
Fondazione Campo – Campo Stiftung ed alcuni studi di massima furono redatti dall’Accademia del Restauro di Raesfeld, in Germania, e da Edilscuola di Verona con il parziale sostegno economico della Fondazione Cariverona.
Numerose le ipotesi progettuali legate al riuso del sito, previo un recupero che nei fatti non è ancora iniziato, non solo per mancanza di fondi.
Se un eventuale plesso museale può avere buone possibilità teoriche di essere realizzato in ragione dell’esiguità degli spazi e degli investimenti occorrenti, così non sembra essere per un centro che salvaguardi l’eccellenza artigiana: “
la gente vuole arrivare in auto, diversamente potremo contare solo su un’utenza occasionale” affermava in un’intervista rilasciata tempo fa all’Arena, il quotidiano veronese, un esponente della Confartigianato locale, aggiungendo: “e questo a fronte di investimenti finanziari non indifferenti che, in un momento economico difficile come l’attuale, sarebbe molto arduo recuperare. Certo, sarebbe bello poter educare la gente a non usare l’auto, alle passeggiate nella natura ed ai silenzi, ma il turismo mordi e fuggi non è tarato su questa lunghezza d’onda. E oggi più che mai dobbiamo prendere quello che c’è”. Pessimismo o sano pragmatismo? Sta di fatto che, oltre a qualche convegno e ad alcune pubblicazioni non si è andati.
Un’altra ipotesi sulla quale punta il recupero di Campo è la costituzione di un albergo diffuso, una soluzione che, rispettando e valorizzando il territorio ed i suoi caratteri naturalistici ed antropologici, offre un’ospitalità, generalmente di ottimo livello qualitativo.
Esempi in Italia non ne mancano. Come scrive Giancarlo Dall’Ara nel suo sito www.albergodiffuso.com un albergo diffuso è sostanzialmente due cose:
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 un modello di ospitalità originale
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 un modello di sviluppo turistico del territorio.
In estrema sintesi si tratta di una proposta concepita per offrire agli ospiti l’esperienza di vita di un centro storico di una città o di un paese, potendo contare su tutti i servizi alberghieri, cioè su accoglienza, assistenza, ristorazione, spazi e servizi comuni per gli ospiti, alloggiando in case e camere che distano non oltre 200 metri dal “cuore” dell’albergo diffuso: lo stabile nel quale sono situati la reception, gli ambienti comuni, l’area ristoro.
cesec,condivivere,cohousing,campodibrenzone,lagodigarda,borgo,recuperoMa l’AD è anche un modello di sviluppo del territorio che non crea impatto ambientale. Per dare vita ad un Albergo Diffuso infatti non è necessario costruire niente, dato che ci si limita a recuperare/ristrutturare e a mettere in rete quello che esiste già. Inoltre un AD funge da “presidio sociale” e anima i centri storici stimolando iniziative e coinvolgendo i produttori locali considerati come componente chiave dell’offerta. Un AD infatti, grazie all’autenticità della proposta, alla vicinanza delle strutture che lo compongono, e alla presenza di una comunità di residenti riesce a proporre più che un soggiorno, uno stile di vita. Proprio per questo un AD non può nascere in borghi abbandonati.
E poiché offrire uno stile di vita è spesso indipendente dal clima, l’AD è fortemente destagionalizzato, può generare indotto economico e può offrire un contributo per evitare lo spopolamento dei borghi.
La prima idea italiana di Albergo Diffuso nacque dal terremoto che sconvolse il Friuli nel 1976 utilizzando a fini ricettivi turistici le case ristrutturate con i fondi destinati alla ricostruzione. Il progetto-pilota, a firma dell’architetto Carlo Toson, risalente al 1982 e relativo al Borgo Maranzanis di Comeglians nacque da un’idea del poeta e scrittore Leonardo Zanier. All’epoca, in una logica di
marketing l’approccio iniziale poteva essere definito product oriented: si tenevano cioè in considerazione le prospettive di sviluppo del territorio e le aspettative dei proprietari delle case, ma si trascuravano le esigenze degli ospiti. Oggi il modelo dell’Albergo Diffuso, normato da 13 regioni italiane come modello orizzontale sostenibile, attrattore per i centri storici ed i borghi, non offre solo posti letto bensì il concetto di albergo che non si costruisce, respirando lo stile di vita del borgo grazie alla possibilità di alloggiare in case che si trovano in mezzo a quelle dei residenti, vale a dire nell’ambito di una comunità viva. Diversamente si tratterebbe di un villaggio per turisti.
Esistono attualmente diversi alberghi diffusi, attivi con successo; ai primi costituitisi in Friuli a Sauris, in Sardegna a Bosa, in Puglia ad Alberobello se ne sono aggiunti nelle Marche, in Abruzzo, nel Lazio, in Molise, in Toscana, in Trentino Alto Adige ed in Basilicata dove una particolare menzione merita l’albergo diffuso
Grotte della Civita di Matera, realizzato ricavando residenze dagli storici Sassi, mentre di quello denominato Sextantio, in Abruzzo, riferiamo a parte in ragione delle sue caratteristiche di unicità.

Alberto C. Steiner