Gestire un’area agro-forestale: un’opportunità di lavoro in Natura

Tramite l’Università della Montagna di Edolo apprendiamo di un’interessante iniziativa promossa da ERSAF Lombardia: l’Ente intende procedere mediante asta pubblica alla concessione dell’area agro-forestale demaniale Montanarium, con annesso Centro Visite della Riserva del Giovetto di Paline, situata nel comune di Borno, in Valcamonica.KL Cesec CV 2014.04.18 Montanarium 001L’area consta di 2,6 ettari di terreno boschivo e comprende le pertinenze del Centro Visite per complessivi 140 mq e la durata della concessione è stabilita in cinque anni con scadenza il 10 novembre 2018.KL Cesec CV 2014.04.18 Montanarium 002Con tale atto ERSAF intende perseguire le finalità della messa a coltura delle aree agro-forestali del Montanarium anche per finalità ecomuseali, la valorizzazione delle produzioni tipiche locali anche attraverso collaborazioni con le aziende agricole del territorio, nonché la promozione di una cultura agroambientale, oltre che aprire al pubblico il Montanarium gestendo il centro visite della Riserva attraverso iniziative promozionali specifiche: laboratori, mostre, feste in collaborazione con il territorio.KL Cesec Cv 2014.04.18 Montanarium 003E’ interessante il fatto che siano ammessi a partecipare alla gara giovani in età compresa fra 18 e 40 anni che:

  • Abbiano esercitato, per almeno 2 anni, attività agricola in un’impresa agricola come coadiuvante familiare o lavoratore agricolo;
    Abbiano conseguito un diploma di scuola media superiore, di istituto professionale o di centro di formazione professionale nel campo agrario o una laurea nel campo agrario, veterinario, delle scienze naturali, biologiche, ambientali;
    Possiedano una formazione professionale specifica di almeno 3 anni.

Ai partecipanti è richiesta la presentazione di un piano di gestione pluriennale e la base economica di riferimento a base d’asta è di soli 300 Euro. La scadenza del bando è fissata per le ore 12 del 16 maggio prossimo. Per informazioni e per scaricare il bando e le altre comunicazioni relative visitare il sito dell’Ersaf Lombardia.

Malleus

Mistificazioni ad Alta Velocità

Ah, se esistesse ancora il glorioso quotidiano La Notte! Potrebbe capitare di trovarvi un titolo come quello elaborato nell’immagine sottostante…Cesec CV 2014.04.08 Alta Velocità 001Abbiamo iniziato scherzando ma l’argomento è estremamente serio: l’alta velocità ferroviaria viene spacciata come l’alternativa sostenibile al traffico aereo. Non è vero. Nonostante la sua presunta efficacia, i treni ad alta velocità non rendono affatto più sostenibili gli spostamenti: pensiamo solo al fatto che i passeggeri che passano dai treni a bassa velocità a quelli ad alta velocità aumentano l’uso di energia e le emissioni di carbonio, per tacere dell’impatto ambientale e del taglio delle vene idriche dovuti ai lavori d’impianto.
Secondo l’UIC, Union Internationale des Chemins de Fer, i treni AV: “Giocano un ruolo chiave per lo sviluppo sostenibile e di lotta al cambiamento climatico”. Come viaggiatore ferroviario professionista, che sin dall’infanzia ha coperto regolarmente sulla rete nazionale ed europea lunghe distanze utilizzando indifferentemente ogni tipo di treno da quelli superlusso a quelli più fetenti, mi viene da dire che è vero il contrario, ma che anzi i treni ad alta velocità stanno distruggendo la più valida alternativa all’aereo: quella rete ferroviaria a bassa velocità onorevolmente in servizio da decenni.
Sappiamo come l’introduzione di relazioni ferroviarie ad alta velocità abbisogni di costosissime infrastrutture dedicate, essendo impensabile la commistione eterotachica con treni più lenti ancorché su binari dedicati, per le necessità progettuali altiplanimetriche e per la tensione di alimentazione, in Italia 3kVcc  per la trazione ordinaria e 25kVca50Hz per l’alta velocità. L’apertura all’esercizio di linee AV così concepite comporta invariabilmente l’eliminazione di quelle più lente, più abbordabili dal punto di vista economico, spingendo i passeggeri ad utilizzare le nuove soluzioni più costose o ad abbandonare il treno, relegandolo a collegamenti locali poiché le nuove linee escludono località intermedie. Il risultato è che chi viaggia per lavoro può anche passare dall’aereo al treno mentre, nel contempo, la maggior parte dei viaggiatori viene spinta ad utilizzare le linee aeree sempre più low-cost, le autolinee o addirittura l’auto privata.
Questo concetto non si applica alla Germania, unico paese europeo con un modello misto, dove i servizi tradizionali e ad alta velocità possono utilizzare ogni tipo di infrastruttura. I treni ad alta velocità possono utilizzare tratte ammodernate, mentre i servizi di trasporto merci utilizzano la capacità delle linee ad alta velocità inutilizzata durante la notte. La Germania ha relativamente poche tratte specifiche per l’alta velocità e i treni sono relativamente lenti.KL Cesec CV 2014.04.08 AV 004Studiando la storia ferroviaria europea appare evidente come la scelta che spinge a realizzare linee AV non è affatto obbligata: partendo dall’ottocentesca Valigia delle Indie Londra-Bombay che attraversava la nostra penisola da Modane a Brindisi per proseguire via mare, e passando dall’Orient Express Parigi-Costantinopoli nelle sue molteplici configurazioni, una sola delle quali, la Simplon via Losanna-Milano-Trieste, toccava l’Italia, arriviamo al 1956, quando venne istituita la rete dei TEE, Trans Europa Express, costituita da convogli dedicati di sola I classe ma non di lusso per i quali venne costruito materiale apposito in una stimolante gara alla comodità ed alla ricerca di soluzioni raffinate e tecnologicamente avanzate, che ha consentito di realizzare convogli estremamente accoglienti e, per l’epoca, dotati di innovative soluzioni tecnologiche.
Gli sforzi tesi ad organizzare veloci servizi ferroviari internazionali europei, sono sempre stati accompagnati da condizioni economiche vantaggiose e da servizi di bordo sempre più accurati.
Se osserviamo le tracce orarie di quei treni, oppure dei rapidi in servizio interno, ci rendiamo conto di come non pochi dei servizi resi in passato fossero addirittura, fatte le debite proporzioni, più veloci delle attuali Frecce.
Nel 1937 la coppia di rapidi R90/R95 Torino-Milano-Venezia, affidata a possenti locomotive a vapore l’ultima delle quali conservata al Museoscienza Leonardo da Vinci di Milano, percorreva i 267 km della tratta da Milano a Venezia senza fermate intermedie in tre ore secche. Oggi un Frecciabianca impiega 2h40′.
Sulla medesima relazione, inoltre, le ferrovie hanno impostato gli orari in modo da scoraggiare gli utenti dall’utilizzare i treni regionali o regionali veloci. Anzitutto tagliando la tratta a Verona, in modo che chi voglia andare da Milano a Venezia senza utilizzare i Frecciabianca sia costretto ad effettuare un cambio. Ma attenzione! l’orario cadenzato prevede che i treni da Milano partano alle :25 di ogni ora e giungano a Verona alle :20 dell’ora successiva, con una percorrenza di 1’55” contro 1’22” dei Frecciabianca ad un prezzo di €  11.65 in seconda classe (Frecciabianca minimo 21.50). I treni da Verona per Venezia partono alle :21, vale a dire esattamente un minuto dopo l’arrivo del treno da Milano: il modo migliore per scoraggiare gli utenti.KL Cesec CV 2014.04.08 AV 003Gli esempi potrebbero continuare: Milano-Como, per citarne solo uno, dove l’alternativa agli Eurocity svizzeri da 9 Euro per 33 minuti di percorrenza (esattamente quanto i vecchi Espressi che impiegavano 40′ con sosta a Seregno o Monza) sono regionali prevalentemente in condizioni da latrina che impiegano mediamente 59′ al costo di 4 Euro.
E per consultare gli orari sul sito di Trenitalia bisogna essere sgamati: chi vuole andare, per dire, da Milano a Bologna o a La Spezia senza ricorrere a frecce di qualsiasi colore, deve inserire località intermedie e ricollegare il percorso al contrario. Vale a dire: Piacenza o Fidenza per Bologna e Borgo Val di Taro, Pontremoli o Santo Stefano per La Spezia. Altrimenti solo Frecciabianca o niente treni e, nel caso di La Spezia, assoluta prevalenza della via Genova.
Naturalmente le ferrovie, per tale atteggiamento, sono state censurate, stigmatizzate, puntate con il ditino. Ed altrettanto naturalmente se ne fregano.
Un ultimo esempio d’epoca, e poi passiamo oltre: la relazione Milano-San Remo affidata al TEE Ligure Milano-Avignone impiegava 3h50′ con fermate a Voghera, Genova Savona e Imperia (oggi una Freccia impiega 3h38′) ed il suo costo nel 1970 era pari a Lire 4.740 (53 Euro attuali considerato il trend inflattivo) oltre al supplemento di Lire 1.340 (15 Euro) contro un attuale costo di Euro 39,50 in I classe e di 29,50 in seconda. Giusto per avere un riferimento, nel 1970 la paga oraria media di un lavoratore assommava a 597,30 lire.KL Cesec CV 2014.04.08 AV 002E’ del resto noto che, se le ferrovie italiane non se la sono mai passata granché bene, il loro peggioramento ha coinciso con la cacciata, negli anni Ottanta, di Mario Schimberni, che ebbe la pretesa di rivedere le spese folli, compresi cavalcavia pedonali realizzati per attraversare le stazioncine di soli due binari dove transitavano sei treni al giorno, per esempio su relazioni indubbiamente fondamentali come la Rocchetta Sant’Antonio – Lacedonia. Ed oggi assistiamo allegramente allo sperpero di centinaia di miliardi di Euro per realizzare attraversamenti sotterranei in città come Bologna e Firenze, che consentono di risparmiare al massimo dieci o quindici minuti di percorrenza.
L’Europa ha la rete ferroviaria più incredibile del mondo, in grado di condurre ovunque in qualsiasi momento, e un viaggio in treno finisce per essere più divertente e interessante di un viaggio in aereo. Per quanto non sia questa la sede per cantare le bellezze dei lunghi viaggi in treno, ogni anno diventa sempre più difficile viaggiare in Europa utilizzando i treni ordinari, e la colpa è dell’alta velocità che avanza senza sosta. Poiché sempre più sono le linee ferroviarie soppresse a favore di quelle ad alta velocità, i viaggi internazionali in treno raggiungono costi proibitivi. La cosa strana però è che molti di questi percorsi cancellati erano quasi più veloci, e qualche volta decisamente più veloci, delle più recenti e costose linee ad alta velocità.
Storicamente, le tariffe ferroviarie sono sempre state inferiori a quelle aeree. Ma la comparsa dei treni Av e delle compagnie aeree low-cost nel 1990 ha invertito questo stato di cose. Ricchi e poveri hanno semplicemente scambiato le modalità di viaggiare: le masse viaggiano ora in aereo, mentre le élite prendono il treno. Poiché ci sono sempre meno ricchi in Europa, ciò non comporterà ovviamente alcun risparmio né monetario né energetico, tantomento riduzioni delle emissioni di carbonio.
I treni Av condividono un problema fondamentale con quasi tutte le altre soluzioni high-tech che di questi tempi vengono millantate come sostenibili: sono troppo costosi per diventare la soluzione ideale. Questo spiega perché a fronte dell’installazione di 10.000 chilometri di linee ferroviarie AV, la crescita di passeggeri del traffico aereo in Europa non si è fermata. Dal 1993 al 2013 il traffico aereo in Europa è cresciuto in media del 5,2% annuo. E si stima che cresca di un altro 45% tra il 2014 e il 2030, nonostante l’attuale crisi economica e i nonostante i 20.000 km di linee AV che si vogliono ancora realizzare.
La differenza di prezzi tra biglietti di compagnie aeree low-cost e treni ad alta velocità è così grande che è impossibile pensare a un significativo trasferimento di passeggeri dal trasporto aereo a quello ferroviario. Nonostante questo, sia l’Unione Europea sia l’UIC persistono nel pubblicare report che mostrano come le persone stiano abbandonando gli aerei per passare ai treni, risparmiando emissioni di energia e di carbonio. Come può essere? Semplice, come affermava mio padre: la carta riceve di tutto. E giocando con i numeri si può fare quel che si vuole.

ACS

Rieccoli: dopo Sanremo ritorna il Treno Verde

Se è giunto alla sessantaquattresima edizione il Festival di Sanremo, non vediamo ragione perché non debba accadere anche per il Treno Verde, quest’anno alla sua ventiseiesima passerella su e giù per le vie (ferrate) dello Stivale.KL Cesec CV 2014.03.11 Treno Verde 002La campagna di Legambiente e Gruppo Ferrovie dello Stato Italiane dedicata al rilevamento dell’inquinamento atmosferico e acustico, pensata per informare, sensibilizzare e promuovere tra i cittadini le buone pratiche per una mobilità sostenibile ed affidata ad un treno di quattro vetture (età media 30 anni) è partita il 13 febbraio da Palermo e, dopo aver toccato Cosenza, Potenza, Caserta, Roma, Pescara e, domani e dopodomani Ancona, giungerà a Verona dove il convoglio non verrà attestato a Porta Nuova, bensì nella ben più intima Porta Vescovo. Il 20 marzo stazionerà infine a Milano Porta Garibaldi per concludere il tour, passando prima da Varese, a Torino dove potrà essere visitato dal 25 al 27 marzo.KL Cesec CV 2014.03.11 Treno Verde 001Durante le tappe il Treno Verde, grazie alla mostra interattiva ospitata a bordo dei suoi rotabili, incontrerà studenti, cittadini e amministrazioni per promuovere la qualità dei territori, l’innovazione nei centri urbani e l’attenzione negli stili di vita.
Il ministero dell’Ambiente, che si è recentemente aggiunto la specifica …e della Tutela del Territorio e del Mare (manca l’Aria ma ne comprendiamo la ragione; volete mettere, non sia mai qualcuno si metta a declamare cose turpi tipo: Ministeri di Terra, del Mare e dell’Aria!…) sostiene Treno Verde perché, come afferma il suo attuale titolare pro-tempore: “Riteniamo che sia un’iniziativa che diffonde un’idea di sostenibilità, dal punto di vista della mobilità, della produzione di energia e del modo in cui si vive il territorio, che corrisponde all’impostazione che abbiamo cercato di dare nel corso di questi mesi e che guarda all’Italia come a un Paese che ce la può fare se rivede profondamente il suo modello di sviluppo e se affronta la grande questione ambientale come un’occasione di modernizzazione” e, blablando chiosa circa l’importanza dell’accordo di programma sottoscritto per il bacino padano: “Accordo di grande importanza sul fronte delle emissioni, dell’attività agricola e dei trasporti, di cui abbiamo già siglato la prima tranche con le regioni interessate. Ora, è molto importante passare alla seconda fase dell’accordo di programma sull’inquinamento da Pm10 perché lì credo si debba affrontare il nodo della mobilità sostenibile e di come guardare al nuovo ciclo dei finanziamenti Ue, che partono quest’anno, come a un’occasione per sostenere il passaggio verso la mobilità sostenibile in particolare dalla gomma al ferro“.KL Cesec CV 2014.03.11 Treno Verde 003Come opporre obiezioni a cotanta ecobanalità?
L’amministratore delegato di Ferrovie Italiane, per non essere da meno dichiara: ‘‘Il nostro sostegno alla campagna del Treno Verde diventa ogni anno sempre più convinto perché tutti i dati e i riscontri oggettivi confermano che la ferrovia è sempre più il fulcro irrinunciabile di una mobilità pubblica moderna e sostenibile. Guardiamo, ad esempio, al sistema delle Frecce, alla crescita esponenziale di viaggiatori registrata in pochi anni“.
Eh certo, grazie al sistema delle frecce… non fa niente se, per pagare gli spropositati costi delle infrastrutture ad alta velocità si sta lasciando andare in malora la ferrovia dei comuni mortali e la sua manutenzione, e non fa niente se la frequentazione delle frecce, in ragione delle tariffe e ad onta delle promozioni, è ormai sotto il 44%, e si sta sempre più sviluppando la concorrenza aerea.
Però, sempre secondo l’ineffabile Moretti all’uopo intervistato da La Repubblica: “Stiamo dimostrando che, laddove ci è data possibilità di esprimere in pieno le nostre capacità e potenzialità, i benefici per l’ambiente, per l’economia e per il turismo, sono incomparabili. Nel 2013 i 42 milioni di passeggeri che hanno preferito le Frecce all’auto privata o all’aereo hanno consentito di abbattere di oltre un milione di tonnellate le emissioni di Co2 nell’ambiente. E l’effetto positivo si dilata nelle città, grazie alle sinergie che stiamo incentivando con mezzi di trasporto privato, condiviso e pubblico a basso impatto ambientale“.
Come no, la città di Reggio Emilia, per esempio, ha visto grazie alla nuova stazione un’impennata tale di visitatori che non sa più dove metterli… NTV dal canto suo, si proprio quella di Italo, ha scoperto invece di avere un buco di 76 milioni e sta per chiedere ammortizzatori sociali per evitare licenziamenti. Della serie, i profitti me li pappo, i problemi li scrollo addosso alla collettività nella miglior tradizione dell’imprenditoria nazionale. Anche questo è inquinamento…KL Cesec CV 2014.03.11 Treno Verde 004Ma vediamo com’è fatto il Treno Verde. Premesso che l’ingresso è gratuito e ci mancherebbe, la prima vettura è dedicata al tema della mobilità sostenibile, dal trasporto su ferro alla mobilità elettrica, dall’urbanistica all’intermodalità, passando per le zone a traffico limitato, le piste ciclabili e le zone 30.
Alla città è invece dedicata la seconda carrozza, all’interno della quale l’allestimento è stato pensato per raccontare un’urbanistica che risponde alle esigenze dei cittadini e dell’ambiente.
Tema centrale della terza carrozza sono gli stili di vita: in questo vagone saranno forniti tanti piccoli accorgimenti per essere cittadini attenti e più smart. Ad esempio verrà spiegato come isolare l’abitazione per renderla efficiente, come fare una spesa sostenibile, come tenere sotto controllo i consumi domestici e, soprattutto, come differenziare e riciclare i rifiuti.
La quarta vettura, infine, è un vero e proprio parco urbano perché la città, secondo Legambiente, è più verde se con spazi pubblici attrezzati che consentono di passare il tempo libero, e non solo quello, respirando aria pulita o coltivando orti, riappropriandosi di tutti quegli spazi verdi spesso lasciati all’incuria e all’abbandono.KL Cesec CV 2014.03.11 Treno Verde 005Se ci gira, e se non abbiamo cose più importanti da fare, il 20 facciamo un salto a Porta Garibaldi…

Malleus

Un campus residenziale per fare impresa in Appennino

Sono partiti tutti
Hanno spento la luce, chiuso la porta
E tutti, tutti
Se ne sono andati uno dopo l’altro

Soli sono rimasti gli alberi e il ponte, l’acqua che canta ancora.KL Cesec CV 2014.03.07 Lago NeroReStartApp è un’iniziativa del Progetto Appennino promosso dalla Fondazione Edoardo Garrone di Genova, con l’obiettivo di riqualificare pienamente un’area che può tuttora costituire una concreta opportunità per il futuro del nostro Paese.
Per 15 giovani con meno di 35 anni, in possesso di idee imprenditoriali e convinti che l’Appennino sia il luogo per realizzarle, è l’occasione per partecipare al primo campus residenziale, che si terrà da giugno a settembre a Grondona in provincia di Alessandria per lo sviluppo di idee di impresa e startup impegnate nelle filiere tipiche dell’Appennino negli ambiti:

  • agricolo, agroalimentare e dell’allevamento
  • turistico e culturale
  • dell’ambiente e cura del territorio
  • del trattamento del legname e delle risorse boschive
  • venatorio, della pesca e dei prodotti derivati
  • dell’artigianato e del design

Il sogno della Fondazione è che la montagna torni a vivere, che il bosco sia accudito e la legna raccolta e utilizzata per fornire calore ed energia, che i frutti e le erbe spontanee siano lavorati per prodotti che abbiano ancora il gusto ricco della nostra storia.KL Cesec CV 2014.03.07 Appennino piacentinoI partecipanti al campus avranno la possibilità di apprendere, affiancati da un team di docenti, esperti  eprofessionisti, teorie e tecniche di avvio e gestione di un’impresa rurale montana e di business planning, tecniche di gestione dei processi produttivi rurali e di montagna, tendenze macro e micro economiche, teorie e strumenti di marketing tradizionale e digitale, tecniche e strumenti per l’ottenimento di finanziamenti, contributi e agevolazioni finanziarie all’avvio per la gestione dell’impresa e di conoscere esperienze virtuose e di successo in ambito imprenditoriale e di valorizzazione del territorio attraverso la vita, il lavoro rurale e di montagna.
La residenzialità costituirà un’importante esperienza di socialità e di confronto con il territorio e la comunità locale, in un’autentica dimensione di scambio e reciproco arricchimento ed apprendimento. Attraverso laboratori, business coaching e coworking, mentorship e, passando attraverso l’affiancamento a realtà produttive locali i partecipanti giungeranno a viaggi studio relativi a case history di successo.KL Cesec CV 2014.03.07 Idee che muovono montagne34719La partecipazione è gratuita per i candidati selezionati e la Fondazione mette a disposizione premi per un ammontare di 60mila euro da destinare all’avvio dei migliori progetti di impresa sviluppati nell’ambito di ReStartApp.
L’Università della Montagna di Edolo, alla quale gli interessati possono rivolgersi per informazioni e adesioni, è partner in questo progetto, molto lungimirante e in linea con gli obiettivi di sviluppo e salvaguardia dei territori montani.

Malleus

Il progetto ecocompatibile della Via Mala

Non occorreva attendere l’inverno, bastava il mese di settembre per godere delle stalattiti che ornavano le rocce debordanti, anzi inglobanti, la tortuosa sede viaria sulla quale durante la notte si formavano tranelli di ghiaccio quasi invisibili nella luce radente dell’alba. Prima di diventare consapevole ed ecosostenibile una delle mie palestre dell’ardimento consisteva proprio nel percorrere un istante prima dell’alba con la mia 037, inseguito o superato sulla strettissima carreggiata dalla Montecarlo di mio cugino Matteo, il tragitto Clusone – Lovere via Castione-Dezzo in 44′ netti, miglior tempo stabilito in assoluto da non so più quale matto, lungo la Via Mala in controsterzo e derapata dimenticando di possere i freni e lavorando solo di cambio e inerzia sulle curve ghiacciate, a rischio di finire contro le rocce o, peggio, di sotto. Adrenalina. E caffè sulla piazza di Lovere. Del resto, meglio trasgredire a vent’anni che a cinquanta…KL Cesec CV 2014.03.05 Mala 001Ma cos’è, anzi cos’era, la Via Mala per chi non la conosce? Semplice: un canyon lungo 13 chilometri percorso da una stretta via a mezza costa tutta curve e controcurve, pendenze e contropendenze in discesa verso il lago d’Iseo, sovrastata da rocce debordanti ed a strapiombo sull’abisso: la Via Mala.
La Via Mala è una tra le arterie montane più panoramiche e spettacolari d’Europa,è l’ex Strada Statale 294 che a cavallo delle province di Brescia e Bergamo attraversa i comuni di Angolo Terme, Azzone, Colere, Vilminore di Scalve e Schilpario. La strada, aperta al traffico nel 1864, era caratterizzata da due elementi d’eccezione: l’ubicazione e la modalità costruttiva: si snodava infatti a mezza costa lungo la forra della valle lungo un percorso esistente già nell’alto Medioevo, di origine glaciale molto profonda e stretta, incisa dallo scorrere costante delle acque del fiume Dezzo.
Il tracciato stradale, in alcuni punti coraggiosamente scavato nella roccia, rappresentava l’alternativa al sentiero largo appena 80 cm utilizzato fino al 1860 con le slitte per il trasporto a valle dei minerali ferrosi cavati dalle miniere della valle di Scalve.KL Cesec CV 2014.03.05 Mala 002I vertiginosi precipizi che terrorizzavano i viaggiatori del passato lasciano tuttora senza fiato, e anche se le auto utilizzano una nuova strada quasi interamente in galleria, che ha preso il posto della vecchia chiusa sul finire degli anni ’80, il vecchio itinerario può essere ancora ripercorso, per esempio affrontando dal basso lungo il sentiero sul fondo della gola una scalinata di 275 gradini, dove i precipizi si trasformano in pareti alte fino a 500 metri. E lo spettacolo è talmente suggestivo che un gruppo di giovani architetti locali: Alessandro Beber, Giancarlo Beltracchi, Fabio Bonetti e Carlo Piccinelli ha pensato qualche anno fa di mettere a punto un progetto per valorizzarlo. Con un ponte osservatorio sulla stessa gola che ne è diventato il simbolo. Ma il programma non riguardava solo i tratti panoramici del tracciato. L’obiettivo consisteva nel  promuovere l’intero Sistema Via Mala con tutti i suoi itinerari per farne un museo all’aperto.
Proprio perché i tratti più difficili e spettacolari, intagliati nella roccia a picco, furono abbandonati nacque il progetto per conservarne valorizzarne la memoria ed il patrimonio storico e ambientale. L’accesso all’itinerario recuperato è situato in località Casa Cantoniera, vale a dire, provenendo dalla Val di Scalve, subito dopo la terza galleria a sinistra.
Oggi la Via Mala è il portale che apre al Parco delle Orobie Bergamasche per chi proviene dalla Valle Camonica.KL Cesec CV 2014.03.05 Mala 003La forra del torrente Dezzo, con le sue pareti a strapiombo e da tempo teatro di pratiche sportive quali canottaggio, arrampicata e pesca, grazie al recupero ha potuto potenziare l’offerta di attività ricreative rivolgendosi ad un pubblico ancora più vasto e diversificato, in un contesto ambientale ricco e di altissimo pregio. Per chi proviene dalla Valle Camonica la Via Mala costituisce l’accesso al Parco delle Orobie Bergamasche e, varcando questa soglia virtuale, si entra in un contesto naturalistico di notevole interesse: la profonda forra, le particolari stratificazioni rocciose, le marmitte, le antiche miniere, i graffiti rupestri, i roccoli, i sentieri ed altri affascinanti risvolti dovuti all’importante azione dell’acqua nelle varie stagioni, nonché numerose emergenze geologiche, alcune delle quali sono state evidenziate lungo il percorso museale attraverso il posizionamento di appositi visori di tipo ludico-didattico.
Sotto il profilo ambientale le elevate proprietà naturalistiche sono dovute anche alla presenza di tre tra le più vaste aree riconosciute a livello europeo come Siti di Importanza Comunitaria: l’area dell’Alta Val di Scalve, la Presolana e la riserva naturale Boschi del Giovetto ad Azzone.
Nel territorio della Val di Scalve sono inoltre presenti altre ZPS, Zone di Protezione Speciale ed il biotopo chiamato in più modi: cascata di travertino, cascata di ghiaccio, cascata pietrificata oppure, ed è la denominazione più poetica, Il luogo degli Arcobaleni, visibile sulla parete frontale del Vallone emesso in evidenza dal progetto di recupero e restauro.
La rarità di molte specie vegetali ed animali presenti in Valle di Scalve corona infine un panorama merleggiato da catene montuose scabrose e niente affatto morbide relativamente al loro profilo.
E’ in questo contesto che nacque l’idea di inserire il progetto di recupero della Via Mala impostandone la filosofia nel massimo rispetto dei valori contestuali.  Nel risolvere le problematiche di recupero ambientale, di messa in sicurezza e di risposta alle esigenze funzionali, è stato utilizzato un approccio ecocompatibile, facendo uso ove possibile di tecniche e materiali naturali.
Una delle parti più sensibili di tutto il progetto ha riguardato il canale del Vallone, prima dei lavori interamente impegnato dai materiali di risulta provenienti dagli scavi delle gallerie e del quale, grazie ad alcune gradonature realizzate con strutture in terre rinforzate è stato rimodellato l’impluvio e, con lo stesso materiale di risulta, sono stati realizzati l’area del parcheggio ed il percorso che scende per la visita al greto del fiume. L’uso di terre rinforzate – dette anche terre armate – e quello di biostuoie ha consentito di mantenere completamente verde l’intera vallata, mantenendo il massimo grado di permeabilità e gestendo al meglio l’assetto idrogeologico.
Al piede vi è un muro di scogliera antierosivo realizzato in massi sormontato da gradonature costituite da palificate lignee doppie e sentieri, anche questi incordonati da palificate lignee.
La sensibilità nei confronti della bioarchitettura non si è fermata all’utilizzo dei materiali, entrando a fondo nei concetti e nei presupposti progettuali. Significativo in questo senso l’ampio riuso dei materiali presenti in loco valorizzandoli all’interno del progetto, che ha creato un sensibile risparmio economico ed ambientale dato dalla riduzione dei rifiuti, esaltando nel contempo le caratteristiche degli elementi antropici tipici, che hanno consentito di non tradire l’aspetto storico e culturale della strada.
Per gli elementi architettonici aggiunti: pensiline, balcone, parapetti si è utilizzato l’acciaio cor-ten, che non richiede né manutenzione né trattamenti con vernici ed è un materiale totalmente riciclabile. Nel caso delle barriere paramassi l’acciaio è stato abbinato a tronchi di legno in luogo delle troppo usuali reti tirantate ad anelli e, tra le soluzioni di ingegneria naturalistica, vi è anche un vallo in terre rinforzate gabbionato con pietra reperita in loco.
L’attenzione alla percezione spaziale ha fatto sì che i nuovi manufatti fossero dotati di una propria trasparenza, consentendo la continuità visiva e migliorando conseguentemente la fruizione della natura circostante mediante la creazione di effetti vedo-non-vedo. Gli interventi sono stati effettuati tendendo ad intaccare il meno possibile gli elementi naturali, privilegiando anzi le soluzioni che permettevano di attaccarsi a manufatti esistenti quali strada e muri.
TibetLe pensiline parasassi inoltre, la cui copertura è in lamiera microforata, affondano le loro radici nella base stradale rocciosa, sfiorando senza mai toccarle le rocce circostanti. Alcuni interventi di mitigazione ambientale hanno infine permesso di mascherare elementi tecnologici e stradali utilizzando elementi vegetali, inglobati nel contesto.
Questo articolo è stato ispirato dall’immagine qui riprodotta, casualmente vista girovagando in internet, che ritrare un camion impegnato in un difficile passaggio lungo una strada di montagna tibetana.

Malleus

Progettare edifici in modo responsabile

Il titolo originario di questo articolo avrebbe dovuto essere: Dritte semiserie per una progettazione responsabile.KL Cesec CV 2014.03.05 Progettare 001Un mio maestro, un anziano geometra titolare di una piccola impresa di costruzioni nell’Oltrepo’ pavese con il quale ebbi occasione di collaborare, mi insegnò tantissimo anche se a volte aveva dei convincimenti stravaganti. Per esempio questo: “Quando vendi sbagli sempre, perché se avessi venduto prima avresti potuto risparmiare sui costi finanziari, e perché se avessi venduto dopo avresti potuto spuntare un prezzo maggiore.” Ma forse era solo una delle sue infinite battute…
Però una cosa mi disse, in tempi non ancora segnati dalla consapevolezza ecosostenibile, e che porto sempre dentro di me: “Quando ristrutturi una cascina, rispetta il suo stile originario senza abbatterla completamente per ricostruirla come fanno oggi i barbari dell’ edilizia. Prima di ristrutturarla filmala e fotografala per avere una testimonianza di come era, e non variarne cubatura, dimensioni, materiali. Recupera fin dove puoi i materiali originali” e aggiunse: “Quando costruisci una nuova casa fallo rispettando lo stile delle cascine e dei rustici lombardi. Un paesaggio nel quale si costruisce rispettando lo stile tradizionale appare più in armonia con le altre case e con la natura circostante. Lo stile tradizionale è più bello e caratteristico. Dà la possibilità di vivere meglio, in un ambiente più sano e più familiare. Si evitano quegli obbrobriosi scatoloni di cemento, perché la casa non è solo un posto dentro al quale mangiare e dormire, ma è anche una scultura che trasmette valori al mondo esterno.
Nonostante la crisi che attanaglia ogni settore, e che ha dato un colpo di freno anche all’edilizia, mi sono spesso domandato se i lombardi, e non solo loro, non si stiano autodistruggendo attraverso la visione di un contesto che non conduce al senso del bello, bensì al suo opposto.KL Cesec CV 2014.03.05 Progettare 002Credo che sia molto importante, prima di costruire o recuperare un edificio pensare di farlo con centratura, consapevolezza ed attenzione perchè il pensiero e l’intento possano tradursi in una casa fatta bene che contribuirà ad acuire il senso del bello, della solidità e del risparmio.
E’ anche per questa ragione che cerco di essere sempre aggiornato sull’architettura bioclimatica, sulla bioarchitettura e la bioedilizia, sulle nuove modalità per smaltire i reflui e per risparmiare energia leggendo libri in biblioteca e navigando in internet. Prima ancora di progettare cerco di comprendere consistenza e direzione delle correnti fresche e calde, ed in base a questo stabilisco, per esempio, dove realizzare la cucina affinché vi batta corrente calda e le camere perché vi batta corrente fresca.
Cerco di ottenere dalla Natura il meglio relativamente a luce, fresco, caldo, umidità. Nei progetti inserisco sempre alberi a foglia caduca e sempreverdi in modo da posizionarli per avere ombra d’inverno che rinfreschi alcune zone della casa, e che fungano da barriera porotettiva contro le correnti fredde invernali, oltre che da quinta per occultare viste poco gradevoli.
Tanto il costo del progetto non varia, i metri cubi sono i medesimi, ma una disposizione adatta all’ambiente farà risparmiare riscaldamento durante l’inverno ed evitare un climatizzatore in estate. E, prima ancora di pensare a come produrre energia elettrica e riscaldamento, penso a come risparmiarli tramite l’utilizzo di materiali appropriati a garantire l’isolamento termico, che posso ottenere con cappotto esterno tramite pannelli a incastro, soprattutto quando l’edificio esiste già, oppure inserendo tra due muri di argilla o sassi dei materiali a  basso λ, Lambda, che avrò avuto cura di conservare durante la demolizione: così l’isolante spesso è praticamente gratis.
Se sono in montagna posso costruire una casa in legno e poi, contro il rischio di incendi, rivestirla con sassi reperiti in loco ed utilizzando isolanti traspiranti e naturali: costano un po’ più degli altri, ma chi vivrà in quella casa non respirerà schifezze sotto forma di nanoparticelle di essenze aromatiche cancerogene.
Soprattutto penso ad isolare gli infissi, attraverso i quali entrano spifferi, correnti d’aria, caldo e freddo posando finestre a doppia e tripla vetrocamera con gas a basso λ, dotandole di ante in legno che non lasciano passare spifferi e, chiudendosi, includono una superficie superiore a quella dell’infisso stesso.KL Cesec CV 2014.03.05 Progettare 003Quanto all’allestimento interno è possibile realizzare armadi a muro in legno a ridosso delle pareti a contatto con il freddo esterno, perché così facendo si contribuisce ad  isolare la parete, magari posando un materiale isolante tra muro e armadio.
L’ isolamento comporta un doppio vantaggio:

  • Fa risparmiare gas ed energia, e questo è ovvio
  • Fa spendere la metà per acquistare le quote di partecipazione di fonti idriche, centrali e mulini ad acqua ed eletrici, e questa è una battuta che ha però un senso quando, come fa Kryptos Life&Water, si parla di acquistare l’acqua per salvare l’acqua
  • Fa acquistare metà dei pannelli fotovoltaici perché servirà metà energia rispetto ad una casa non isolata
  • Fa spendere meglio il denaro destinato ad acquistare un climatizzatore
  • Parlando di risparmio energetico posso aggiungere la parzializzazione programmabile dell’impianto in modo da avere caldo solo dove e quando serve.

Lampadine a basso consumo, elettrodomestici in classe A, riscaldamento mirato sono tutti accorgimenti che prendo in considerazione per evitare di acquistare ed installare impianti energetici e termici inutilmente sovradimensionati. Sinceramente, propendo per la totale assenza dell’impianto di riscaldamento, ma non sempre i committenti sono così avanti… e se temono il freddo io non posso fare la suffragetta per convicerli che può essere un timore infondato.
Qualche volta mi sono ritrovato a recuperare vecchi mulini ad acqua, e mi sono divertito ad applicarvi, quando le norme me lo consentivano, dinamo ed inverter per produrre energia elettrica e, in un caso, disponendo del terreno, del corso d’acqua, dello spazio e del salto adeguati, addirittura una piccola turbina a caduta libera acquistata per quattro soldi da una piccola centrale dismessa dall’Enel in Toscana.
I miei nonni dicevano sempre: mangiare al caldo e dormire al freddo, e non dimentico mai questa semplice norma di saggezza. E di tenere a portata di mano qualche maglione.
A proposito di riscaldamento: applicare un motore Stirling alla caldaia costa relativamente poco e serve per produrre energia.
E poi penso che ogni abitazione debba avere almeno un metro quadrato di verde per ogni metro cubo di edificato, per poter disporre di giardini il più possibile ampi, salutari per il corpo e per la mente.
Dice: “E bravo, tu recuperi case di campagna, applausi! dove lo metto io il giardino nel mio bilocale nel condominio di quattordici piani?” La risposta è semplice: “Da nessuna parte, a meno che non vi mettiate d’accordo per trasformare il più a verde possibile gli spazi comuni, i tetti dei box, creando platee, rilievi, angoli, che ne so. E’ il concetto del condominio di quattordici piani ad esser sbagliato, e io non posso farci niente, Ciccio“.
Bene, verde… verde verde verde… ah, ecco: orto! Non ci vuole molto, e poi è utile per lo spirito, oltre che per la tavola e per contribuire ad eliminare dalle strade ingombranti camion che trasportano frutta e verdura.
Eh già, arriva lui adesso! io con tre pomodori e quattro patate contribuisco ad eliminare i camion dalle strade. Ma dove vivi?
Uffa, mai sentito parlare del proverbio che dice che le gocce riempiono il bicchiere? Ciascuno fa il suo, quello che può, senza aspettarsi che sia qualcun altro a farlo, e senza aspettarsi cha sia qualcun altro a cominciare.
A proposito di orto, e di giardino: perché non annaffiare con l’acqua piovana immagazzinata in apposite cisterne esterne? Meglio ancora se, prima di usarla, viene fatta confluire in cisterne non isolate sotto terra, e in estate fatta transitare attraverso dei tubi a contatto con i muri per rinfrescare la casa. I tubi poi escono e vanno a finire nella cisterna esterna che serve per annaffiare il giardino. Se ne trovano di economicissime nel mercato dell’usato, e si possono coprire con piante che contribuiscono a loro volta a mantenere un adeguato gradiente igrometrico. Si tratta solo di progettare adeguatamente.
Eh già, e con tutta quell’acqua in giro d’estate zanzare a gogò!
Che palle! dai un alloggio a qualche pipistrello e vedrai che di zanzare non ne vedi più.
Per finire, non sono particolarmente a favore del geotermico, non mi piace l’idea di perforare il terreno per cento metri e inserire tubi che scambiano calore che, a quella profondità, è di circa 16° Celsius. Non mi piace l’idea del buco, del vuoto nel sottosuolo, della roccia non perforata adeguatamente e della potenziale fuoriuscita di gas velenosi. Ma, lo riconosco, ho le mie fisse.
Oh, a proposito di riscaldamento voglio parlare per un attimo delle stufe a pellets. A parte che ormai c’è in giro tanto di quel veleno che la metà basta e non puoi mai sapere in anticipo cosa ti metti in casa al di là delle attestazioni verbali, ed anche scritte, dei produttori, ho letto di una macchinetta che mi ha fatto tanto ridere: realizza pellets dalla segatura secca o dalla spremitura dei nocciolini dell’ uva, che in aggiunta crea olio alimentare. Mi immagino l’intera famiglia che a tavola sputazza semi d’uva in un’apposita ciotola…
E poi ne ho letta un’altra. La riassumo: “Non dividete le famiglie con il divorzio, perché dove una famiglia inquinava per una casa, adesso inquina per due.” Ma, secondo voi, cosa si fuma la gente? Ah giusto, il pellet, forse…

Malleus

Carletto guarda: le Apuane! Dove papà? Non le vedo

Carletto guarda: le Apuane!
Dove papà? Non le vedo
Uffa, non serve che guardi fuori dal finestrino… qui, sul tablet, in queste vecchie foto.
KL Cesec CV 2014.03.04 Cave di marmo
In questo scritto parto dallo scempio delle Apuane per terminare il mio viaggio in Lombardia, nella un tempo operosa Brianza, all’insegna di consumo del suolo tra agricoltura che scompare ed attività mercantili e mercatali cinesi.
Prendo le mosse da una petizione lanciata per fermare la distruzione delle Alpi Apuane, che pienamente condivido ed il cui link riporto in calce a questo scritto ma, come è mio costume, cerco di affrontare la questione da una prospettiva differente rispetto a quella canonica infarcita dai dogmatismi dell’ecosostenibilità.KL Cesec CV 2014.03.04 Petizione ApuaneArrivo subito al punto: quel composto di carbonato di calcio comunemente detto marmo è un prodotto assolutamente inutile per l’esistenza umana.
Senza nulla togliere alle antiche ville Romane, alle Pietà, al Mosè ed a tutte le statue ed i monumenti destinati a celebrare imperitura la gloria umana, facendo le debite proporzioni se ipoteticamente il marmo sin qui estratto occupasse volumetricamente un container da 60 piedi, tutti gli ingegneri ed architetti dell’antica Roma messi insieme, nonché Michelangelo e soci ne avrebbero prelevato l’equivalente di due, o forse tre, cucchiaini da caffè.
Il marmo non possiede nessuna delle caratteristiche che ne fanno una pietra da costruzione: fragile, delicato, non sopporta tensioni né sollecitazioni torsionali e, in più, tende a sfaldarsi. Viene infatti utilizzato come pietra per pavimentazioni e rivestimenti, dopo essere stato adeguatamente trattato antigelivo, antimacchia, antitutto. In fase di posatura bisogna maneggiarlo come fosse nitroglicerina. E se nell’uso quotidiano vi casca sul pavimento o sul piano della cucina una goccia di vino o aceto o limone, per non dire di trementina, siete fregati.
Però, e mi riferisco a quello bianco di Carrara, è bello, bianco, splendente, luminescente. Detto in altri termini, è perfetto per supportare pulsioni egoiche dalla nascita alla morte ed oltre, visto che è usatissimo anche per monumenti funebri.
Personalmente preferisco ed utilizzo, quando non posso farne a meno e dietro espressa richiesta di un committente che non sono riuscito a convincere, il botticino, il rosso veronese o quello portoghese, anche se per me l’apoteosi è rappresentata dall’azul brasiliano, composto da sodalite ed indiscutibilmente più versatile di quello nostrano. In realtà il marmo non mi piace, gli preferisco di gran lunga il serizzo e la beola ma, lo riconosco, queste sono mie ubbie progettuali.
Soprattutto non mi piace tutto quello che gravita oggi attorno al marmo: dalle ville alla Scarface a tutto il sottobosco di maneggioni, intermediari, traffichini ed evasori fiscali, al fatto che il marmo (sto parlando di quello di Carrara) si dice non venga più lavorato in loco ma spedito via mare in India ed altri paesi asiatici dove la manodopera costa infinitamente meno e dove gli imprenditori possono serenamente evitare l’installazione di costosi sistemi di sicurezza antinfortunistica.
E così a Carrara, dove anche le botteghe artigiane degli scultori si sono ridotte al lumicino, restano le briciole, nel vero senso degli sfridi di lavorazione. Vale a dire le scoasse che, idealmente raccolte con la paletta, finiscono all’industria cosmetica, cartotecnica e delle vernici.
E che dire infine del prezzo fissato non si sa bene in base a quali criteri in 450 €/t quando in realtà si sa benissimo che il valore di transazione è almeno dieci volte superiore? E che la differenza viene tradizionalmente regolata in nero? Però è stato istituito un osservatorio… io amo gli osservatori: per non stare lì in piedi sotto il sole piantano un ombrellone, aprono un tavolo, e osservano.
Specialisti in tal senso sono quelli dell’ONU, che troppe volte ho incrociato quando esercitavo il mestiere delle armi: come osservavano loro non osservava nessuno. Ma, pensandoci bene, anche quando da ragazzo andavo in camporella al Parco Lambro o al Forlanini era pieno di osservatori…
Paradosso: è perfettamente inutile fermare la distruzione delle Alpi Apuane. Semplicemente perché le Apuane non esistono più. Esiste un passo sull’antica Via del Sale, la cui strada scorre ormai all’interno di una cava; esistono le malattie a carico dell’apparato respiratorio degli abitanti di Carrara, Pietrasanta e degli altri comuni facenti parte del comprensorio; esistono contributi per diritti di scavo – eufemisticamente detti di coltivazione – che affluiscono nelle casse comunali nella misura di qualche milione all’anno, ma esistono debiti pluriennali di portata ben superiore ai contributi introitati che i comuni hanno contratto per realizzare tangenziali e vie di scorrimento che tengano i camion del marmo, il cui carico ad onta di leggi e regolamenti nessuno si guarda bene dal coprire, lontani dagli abitati. Esistono costi sanitari dovuti al pulviscolo infinitesimale che si respira ed alla contaminazione delle vene idriche, e queste sono certezze. Ma esisterebbe una cultura della colonizzazione dove i colonizzati sarebbero gli Apuani; questo è invece un luogo comune, perché l’effettiva consistenza economica e sociale del marmo non ha affatto limitate ricadute per la comunità, visto che il settore lapideo continua a rappresentare l’ossatura portante dell’economia locale, occupando più di 12.517 persone, circa 1.000 delle quali impegnate direttamente nell’attività estrattiva (dati Cciaa) e la filiera non si è affatto svuotata, ma lavora 600.000 tonnellate di materiale locale, vale a dire il 40% di quanto viene esportato dall’intero Paese, nonostante il drastico ridimensionamento della lavorazione innescato dall’ingresso sulle arene commerciali globali dei Paesi emergenti.
Per avere un’idea della rilevanza sociale del fenomeno riporto il numero di abitanti dei comuni appartenenti al distretto marmifero apuano: Carrara 64.127, Fivizzano 8.815, Massa 68.941, Minucciano 2.521, Montignoso 10.439, Piazza al Serchio 2.501, Pietrasanta 24.931, Seravezza 13.440, Stazzema 3.367, Vagli di Sotto 995 per complessivi 200.077 residenti. La filiera marmifera interessa quindi il 6,25% della popolazione locale.
Disconoscere le reali dimensioni del settore è perciò irresponsabile, disinformato o strumentale: intorno al marmo non campa un ristretto numero di attività e di individui come si vuol far credere, e le imprese che operano direttamente e nell’indotto del marmo fanno girare oltre un terzo dell’intera economia provinciale.
Perciò, stante quello che ho affermato più sopra, e di cui posso fornire dati e fonti, questa è casomai la vera peste del marmo: l’assenza di una seria regolamentazione, di una volontà locale di crearla. Niente di nuovo sotto il sole: massimizzare i profitti privati, fregare tutto e tutti per non parlare di quella cosa inutile e dannosa che è il fisco, e buttare sulla collettività gli oneri sociali che tutto questo comporta. Devi realizzare una strada esterna all’abitato perché altrimenti i miei camion inquinano e tritano le vecchiette? Che me ne frega, fattela.
E non crediamo alle favole della consapevolezza dei cittadini: è già stato tentato, in passato e più volte, di sensibilizzarli al problema, e il risultato è stata un’alzata di scudi al grido: ci vogliono togliere il lavoro.
Sotto questo aspetto ho sempre ammirato gli Svizzeri: a casa loro guai se tocchi un filo d’erba, ma loro fanno ciò che gli pare in casa degli altri che glie lo permettono. E non a caso ho citato gli svizzeri, che nel panorama lapideo apuano non sono esattamente degli sconosciuti.
Con tutto il rispetto per la biosfera e per l’eventuale morte di una marmotta la questione è quindi ben altra: non siamo diversi dall’India o dall’Amazzonia colonizzate, solo che a noi italiani, themostfurboftheworld, come sempre non ci frega nessuno: siamo bravissimi a colonizzarci da soli.
Scusate il francesismo: siamo e resteremo un popolo di merda, servi adusi a lamentarci ed a fotterci tra servi. Scusate, ho scritto popolo. No, noi non siamo un popolo, e meno ancora una nazione, siamo solo un’accozzaglia di gente che condivide il medesimo spazio.KL Cesec CV 2014.03.04 Consumo del suoloDovremmo invece parlare di consumo del suolo, che è forse il vero problema nazionale. Consumo del suolo è un’espressione efficace anche se impropria perché, in realtà, il suolo non si consuma ma cambia uso attraverso i processi di trasformazione da usi agricoli o naturali ad usi urbani. Pensiamo solo alla Lombardia, quella che possiede le terre più fertili in assoluto e che contribuisce per il 16% al prodotto agroalimentare nazionale, dove dal 1999 al 2007 si sono persi oltre 43.000 ettari, e altri 27mila dal 2007 al 2012.
Urbanizzazione e impermeabilizzazione dei suoli comportano pesanti compromissioni del patrimonio ambientale e paesaggistico, risultando strettamente correlati ai dissesti idrogeologici che purtroppo costituiscono in Italia una emergenza costante. Ma che continuiamo a fronteggiare come se si trattasse di sciagure ineluttabili e non di improvvida gestione del territorio.
Probabilmente grazie alla crisi che ha reso più debole la pressione edificatoria, la limitazione del consumo di suolo sembra finalmente entrata nell’agenda politica regionale, dove parebbe finalmente concreta la possibilità di portare a conclusione l’iter legislativo del progetto di legge: Disposizioni per la riduzione del consumo di suolo e per il riuso del suolo edificato, da tempo immemore fermo a prender polvere da qualche parte.KL Cesec CV 2014.03.04 Ambiente maneggiare con curaE’ sperabile che la legge enunci con chiarezza l’importante principio fondamentale: il suolo libero è una risorsa non riproducibile da preservare e tutelare nelle funzioni produttive e paesaggistico ambientali, e prima di trasformarlo si deve accertare se siano praticabili soluzioni alternative.
E’ necessario che in tal senso la legge esprima procedure univoche di computo e monitoraggio, evitando che opere di grande impatto, fossero di interesse generale come le infrastrutture, siano sottratte a bilanci e valutazioni di sostenibilità come è purtroppo troppe volte accaduto, o che deroghe permissive riducano la portata di un provvedimento quanto mai urgente. E’ anche importante che la legge sia in grado di responsabilizzare tutti gli attori delle trasformazioni territoriali, definendo la necessità di verificare nessi oggettivi tra bisogni e previsioni di sviluppo, e introduca misure disincentivanti e di compensazione ecologica per gli interventi di trasformazione, e al contrario di incentivo al riuso, al fine di rendere sempre meno conveniente l’edificazione su suoli liberi.
Finora non abbiamo avuto segnali in tal senso e va tenuto ben presente che consumare il suolo non significa solo edificare. La viabilità stradale comporta un consumo relativamente modesto ma gli oneri indotti, sociali e sanitari, sono oggi ormai inconcepibili. E non mi riferisco solo alle varie gronde, tangenziali, tangenzialine e bretelle in corso di realizzazione, ma anche alla viabilità ordinaria che dev’essere adeguata allorché viene realizzato un complesso suscettibile di creare anomali afflussi veicolari.KL Cesec CV 2014.03.04 Megastore cineseKL Cesec CV 2014.03.04 CineseUn esempio, giusto per chiarire: lungo la strada che collega Argate con Carugate, c’è l’area dismessa dall’industria chimica Uquifa, che ha delocalizzato licenziando 80 lavoratori. In quest’area, quindi senza apparente consumo di suolo, sono in corso i lavori per realizzare entro il 2015 il megastore cinese all’ingrosso più grande d’Europa, esteso su 45.000 metri quadri oltre a parcheggi e piazzali di manovra, che raggrupperà 220 attività commerciali Made in China, negozi, ristoranti, bar, parrucchieri e, naturalmente, troiai camuffati da centri massaggi (sfido chiunque a dirmi che non sono troiai).
L’ostruzionismo, in verità non particolarmente barricadiero, espresso dalla comunità locale è stato rintuzzato dall’amministrazione comunale, alla quale andranno 12 milioni di euro di oneri di urbanizzazione, che verranno investiti in lavori pubblici, a partire dall’edificazione di una nuova scuola materna e alla riqualificazione di varie zone della città. Tutto ha un prezzo, per chi è in vendita.

ACS

https://secure.avaaz.org/it/petition/Ferma_la_distruzione_delle_Alpi_Apuane/?pv=47

Quando l’acqua non muore: la scelta di Rochefort

Nelle piccole Comunità le idee nascono per essere applicate. E noi pensiamo che il futuro risieda nelle piccole Comunità autonome ed autosufficienti, pur se fra loro interconnesse.
L’acqua, ormai definita oroblu, costituirà sempre più un bene primario e dovrà essere messa al riparo dalle mani adunche della speculazione internazionale, in special modo se camuffata con il vestitino etico. Non con bombe, barricate o manifestazioni di piazza destinate ad essere strumentalizzate, bensì con l’unica arma veramente rivoluzionaria: il notaio.
Si, proprio quel professionista che serve a stilare gli atti necessari a costituire associazioni, consorzi, società. Per entrare legalmente nel sistema attuando interventi di finanza etica attraverso società, niente affatto marginali, di proprietà dei diretti utilizzatori dell’acqua. Vale a dire i cittadini di comuni, comprensori, aree territoriali più o meno estese.Cesec-CondiVivere 2013.10.20 Rochefort 002E che l’acqua non rappresenti solo un costo ma un utile potenziale persino nei suoi utilizzi apparentemente marginali, lo dimostra un’iniziativa partita sperimentalmente due anni fa nella città francese di Rochefort e che oggi conferma la validità della scelta di trasformare il costo di un depuratore delle acque reflue in risorsa per la collettività.
Ricordate quando i nostri nonni ci insegnavano che buttare è sbagliato? Bene, nella città francese affacciata sull’Atlantico hanno pensato bene di non buttare nemmeno… la cacca, Evitando di fingere che la recessione non esista ed aguzzando l’ingegno poiché i soldi erano pochi, quell’amministrazione comunale ha pensato a come mutare le difficoltà in opportunità trasformando i costi di un depuratore in introiti per la collettività. Va detto che il costo di depurazione delle acque reflue, generalmente piuttosto alto, è quantificabile in circa 60 euro annui pro-capite.Cesec-CondiVivere 2013.10.20 Rochefort 003A Rochefort, presso il fiume Charente, hanno quindi realizzato un impianto che depura le acque con la tecnica detta del lagunaggio: prima di raggiungere il fiume i liquami passano attraverso un sistema di bacini dove vengono ripuliti utilizzando luce solare e degradazione batterica; infine vengono fatti fermentare per produrre gas. Da ultimo acque e fanghi vengono separati.
Questo sistema ha ridotto dell’85% i consumi energetici rispetto ai depuratori tradizionali; i silos per la fermentazione dei fanghi posti a valle del sistema producono gas per autotrazione, venduto tramite distributori allestiti presso l’impianto medesimo generando in tal modo introiti per la collettività.Cesec-CondiVivere 2013.10.20 Rochefort 001Esaurita la notizia veniamo ora alla nostra realtà e, per un attimo, immaginiamo che esista una legge che consente l’utilizzo di detersivi, saponi e shampoo solo se biodegradabili al 100%. In questo modo anche i residui solidi potrebbero essere utilizzati senza nessun problema.
Non è impossibile, perché già oggi sono disponibili prodotti per l’igiene biodegradabili completamente e il loro costo, leggermente più elevato in ragione della relativamente modesta diffusione, diminuirebbe sensibilmente in ragione di un utilizzo massiccio, e verrebbe inoltre compensato ampiamente dai vantaggi economici derivanti dal binomio risparmio energetico + introito di un sistema come quello in uso nella cittadina francese.
Aggiungiamo che a Rochefort l’acqua è un bene comune e tale è rimasto, in barba ai furbetti, alle società multiutility colluse con le multinazionali speculative ed ai trasformisti capaci di dire contemporaneamente no ma anche sì.
E’ la dimostrazione che ha senso privatizzare il servizio idrico, facendo però in modo che tale privatizzazione sia pubblica, vale a dire che i soci della società proprietaria dell’acqua a livello di distribuzione locale siano i diretti fruitori. Non è affatto una contraddizione se tale atto, compiuto secondo le regole e le possibilità offerte dalla legge, costituisce una forma di autodetrrminazione ben più rivoluzionaria ed efficace di rivolte o blocchi stradali: rompe il sistema usando le regole stesse del sistema.
Acquistare l’acqua per salvare l’acqua non diventa più solo uno slogan, ma la dimostrazione che è possibile. I nostri Comuni devono solo modificare il proprio statuto inserendo una volta per tutte l’acqua come bene primario della comunità, appoggiando e sostenendo le iniziative tese a preservarla da speculazioni. Contribuendo così a cancellare quel capitolo dolente che, nel nostro Paese, viene mal-inteso come sviluppo, parola usata ed abusata spesso in abbinamento a pil.

ACS

Scommettiamo che… e se fosse l’Acqua il prossimo eldorado della finanza creativa?

Risale all’anno 1983 Trading places, in italiano Una poltrona per due, girato da John Landis ed interpretato da Dan Aykroyd, Eddie Murphy e Jamie Lee Curtis; il film, estremamente istruttivo sotto il profilo sociologico, propone nella non casuale scenografia della Borsa di Chicago, dove vennero inventati, uno spaccato del mercato dei futures e delle commodities, nel caso specifico relativi al mercato del succo d’arancia.

cesec,unapoltronaperdue,acquapubblica,speculazione,futures,commodities,ecosostenibilità,finanzaetica

Dal film alla realtà: negli ultimi tempi le vicende legate al Monte dei Paschi di Siena hanno posto per l’ennesima volta sotto i riflettori quella nuova frontiera o, meglio, terra di nessuno costituita dalla finanza creativa dei derivati e dell’utilizzo spregiudicato e pericolosissimo che se ne fa. Ma ciò che i mezzi di informazione riferiscono è nulla rispetto a quanto già sta accadendo nei chiaroscuri dell’alta finanza: un modo assurdo di fare soldi a palate scommettendo sulle nostre paure più ancestrali. Considerato che non c’è nulla di più catastrofico che scommettere sulle riserve mondiali di cibo, che sia il caso di cominciare a domandarsi quale risorsa globale costituirà il prossimo derivato finanziario? Se fosse arrivata la volta dell’acqua?
In realtà l’Acqua è da tempo nel mirino della speculazione: banche d’affari, fondi di investimento, multinazionali ed altri attori economici mondiali, compresi FMI e Banca Mondiale, sono già pronti a mettere la mani su questa fonte primaria per la vita umana. La mafia lo fa già da tempo…
Friedrick Kaufman, professore presso la City University di New York, in un articolo apparso sulla testata britannica Nature e ripreso il 21 diembre 2012 da Internazionale sostiene che la prossima grande risorsa mondiale non sarà costituita da oro, grano o petrolio bensì da acqua. L’acqua potabile, poiché entro un ventennio almeno tre miliardi di persone avranno problemi a reperire quella necessaria per vivere.

Questo scenario, scandito dall’ossessione per la penuria idrica mentre estati interminabili e caldissime si ripetono con cadenza allarmante rappresenta il massimo che uno speculatore possa desiderare. Gli investitori adorano le situazioni apocalittiche: violenza e caos nascondono sempre possibilità di guadagno e creare denaro speculando sulla mancanza d’acqua in un’area geografica o in un settore, non è una previsione fantascientifica bensì una realtà molto vicina.
E per la finanza creativa – che produce molto di più del Pil mondiale ed è passata dai 500 miliardi di dollari del 1980 agli oltre 60 trilioni di dollari di oggi, cifra che molti hanno sentito pronunciare solo da Zio Paperone – la paura è sempre un ottimo affare. Oggi i grandi profitti, generati da strumenti finanziari totalmente separati dalla realtà, non nascono più dalla compravendita di oggetti e di beni: case, grano, auto ma dalla manipolazione di concetti eterei come rischio e collateralizzazione del debito. Ed a quanto pare investire in un indice del mercato dell’acqua sta diventando un’idea sempre più appetibile.

ACS

Campo, un progetto che non decolla

 Con Deliberazione Regionale n.2802 del 23 novembre 2010 avente come oggetto: Comune di Brenzone – Recupero e valorizzazione storico-culturale, paesaggistica, turistica e ambientale di Brenzone – località Campo; Approvazione della Convenzione relativa alle modalità di attuazione dell’intervento ai sensi della L.R. 13/1999 venne stanziato un importo di 760.000 €.
cesec,condivivere,campodibrenzone,borgo,cohousing,lagodigardaNell’agosto 2011, fu approvata dal Consiglio Europeo, e conseguentemente ritenuta finanziabile, la proposta di massima finalizzata al salvataggio di Campo per farne un’accademia del restauro ed un centro di eccellenza per la tutela delle tradizioni artigianali locali, eventualmente non disgiunto da un’attività di albergo diffuso sulla scorta di quanto realizzato in altri borghi abbandonati italiani e previo parere favorevole della Soprintendenza dei Beni Ambientali di Verona. All’uopo venne costituita appositamente la
Fondazione Campo – Campo Stiftung ed alcuni studi di massima furono redatti dall’Accademia del Restauro di Raesfeld, in Germania, e da Edilscuola di Verona con il parziale sostegno economico della Fondazione Cariverona.
Numerose le ipotesi progettuali legate al riuso del sito, previo un recupero che nei fatti non è ancora iniziato, non solo per mancanza di fondi.
Se un eventuale plesso museale può avere buone possibilità teoriche di essere realizzato in ragione dell’esiguità degli spazi e degli investimenti occorrenti, così non sembra essere per un centro che salvaguardi l’eccellenza artigiana: “
la gente vuole arrivare in auto, diversamente potremo contare solo su un’utenza occasionale” affermava in un’intervista rilasciata tempo fa all’Arena, il quotidiano veronese, un esponente della Confartigianato locale, aggiungendo: “e questo a fronte di investimenti finanziari non indifferenti che, in un momento economico difficile come l’attuale, sarebbe molto arduo recuperare. Certo, sarebbe bello poter educare la gente a non usare l’auto, alle passeggiate nella natura ed ai silenzi, ma il turismo mordi e fuggi non è tarato su questa lunghezza d’onda. E oggi più che mai dobbiamo prendere quello che c’è”. Pessimismo o sano pragmatismo? Sta di fatto che, oltre a qualche convegno e ad alcune pubblicazioni non si è andati.
Un’altra ipotesi sulla quale punta il recupero di Campo è la costituzione di un albergo diffuso, una soluzione che, rispettando e valorizzando il territorio ed i suoi caratteri naturalistici ed antropologici, offre un’ospitalità, generalmente di ottimo livello qualitativo.
Esempi in Italia non ne mancano. Come scrive Giancarlo Dall’Ara nel suo sito www.albergodiffuso.com un albergo diffuso è sostanzialmente due cose:
·
 un modello di ospitalità originale
·
 un modello di sviluppo turistico del territorio.
In estrema sintesi si tratta di una proposta concepita per offrire agli ospiti l’esperienza di vita di un centro storico di una città o di un paese, potendo contare su tutti i servizi alberghieri, cioè su accoglienza, assistenza, ristorazione, spazi e servizi comuni per gli ospiti, alloggiando in case e camere che distano non oltre 200 metri dal “cuore” dell’albergo diffuso: lo stabile nel quale sono situati la reception, gli ambienti comuni, l’area ristoro.
cesec,condivivere,cohousing,campodibrenzone,lagodigarda,borgo,recuperoMa l’AD è anche un modello di sviluppo del territorio che non crea impatto ambientale. Per dare vita ad un Albergo Diffuso infatti non è necessario costruire niente, dato che ci si limita a recuperare/ristrutturare e a mettere in rete quello che esiste già. Inoltre un AD funge da “presidio sociale” e anima i centri storici stimolando iniziative e coinvolgendo i produttori locali considerati come componente chiave dell’offerta. Un AD infatti, grazie all’autenticità della proposta, alla vicinanza delle strutture che lo compongono, e alla presenza di una comunità di residenti riesce a proporre più che un soggiorno, uno stile di vita. Proprio per questo un AD non può nascere in borghi abbandonati.
E poiché offrire uno stile di vita è spesso indipendente dal clima, l’AD è fortemente destagionalizzato, può generare indotto economico e può offrire un contributo per evitare lo spopolamento dei borghi.
La prima idea italiana di Albergo Diffuso nacque dal terremoto che sconvolse il Friuli nel 1976 utilizzando a fini ricettivi turistici le case ristrutturate con i fondi destinati alla ricostruzione. Il progetto-pilota, a firma dell’architetto Carlo Toson, risalente al 1982 e relativo al Borgo Maranzanis di Comeglians nacque da un’idea del poeta e scrittore Leonardo Zanier. All’epoca, in una logica di
marketing l’approccio iniziale poteva essere definito product oriented: si tenevano cioè in considerazione le prospettive di sviluppo del territorio e le aspettative dei proprietari delle case, ma si trascuravano le esigenze degli ospiti. Oggi il modelo dell’Albergo Diffuso, normato da 13 regioni italiane come modello orizzontale sostenibile, attrattore per i centri storici ed i borghi, non offre solo posti letto bensì il concetto di albergo che non si costruisce, respirando lo stile di vita del borgo grazie alla possibilità di alloggiare in case che si trovano in mezzo a quelle dei residenti, vale a dire nell’ambito di una comunità viva. Diversamente si tratterebbe di un villaggio per turisti.
Esistono attualmente diversi alberghi diffusi, attivi con successo; ai primi costituitisi in Friuli a Sauris, in Sardegna a Bosa, in Puglia ad Alberobello se ne sono aggiunti nelle Marche, in Abruzzo, nel Lazio, in Molise, in Toscana, in Trentino Alto Adige ed in Basilicata dove una particolare menzione merita l’albergo diffuso
Grotte della Civita di Matera, realizzato ricavando residenze dagli storici Sassi, mentre di quello denominato Sextantio, in Abruzzo, riferiamo a parte in ragione delle sue caratteristiche di unicità.

Alberto C. Steiner