Progettare cohousing con uno sguardo all’eremo di Camaldoli

Far rivivere il territorio realizzando nuclei abitativi in cohousing ottenuti recuperando alcuni dei tanti borghi disabitati che abbondano nel nostro Paese. Intento ambizioso ma non utopistico, specialmente se attuato secondo i canoni della bioedilizia, con progettazione condivisa, utilizzo di fonti energetiche a basso impatto e terreno circostante coltivato con metodi non invasivi per garantire nella maggior misura possibile l’autosostentamento della comunità che vi si insedierà.
Ed è importante che uno spazio sia dedicato al recupero di saperi e sapori per onorare la memoria del luogo: trasformazione agroalimentare sostanziata dalla produzione di miele, vino, erbe aromatiche ed officinali, conserve, attività artigianali e via enumerando. In sostanza, quello che fa parte della cultura e della storia locale.
Naturalmente faccio in modo che in questi borghi riportati a nuova vita trovino collocazione attività legate al benessere fisico e spirituale in sintonia con gli studi e le esperienze che mi caratterizzano.Cesec-CondiVivere 2014.10.24 Eremo Camaldoli 006Oggi dedico un breve profilo all’Eremo di Camaldoli, che più di ogni altro luogo consimile ispira proprio per la sua comunione con la Natura. Lungi da me l’idea di tediare con pistolotti storiografici o mistici: per quelli ci si può avvalere della notevole messe di notizie reperibili in rete.
Intendo qui solamente celebrare quel fazzoletto di terra nascosto sui più alti versanti  dell’Appennino  Casentinese, nel cuore dell’Appennino Tosco-Romagnolo, dove aleggiano misteri e leggende incentrate sulla figura di san Romualdo, fondatore dell’ordine dei Camaldolesi, il cui nome pare derivi da un nobile aretino, Maldolo, che nel 1012 donò le terre sulle quali venne fondato l’Eremo.
Il primo nucleo, posto ad oltre 1.000 metri di altitudine, fu costituito da un oratorio con cinque celle, affiancato successivamente da una piccola costruzione in località Fonte Buono, in posizione meno solitaria e più facilmente raggiungibile, finalizzata ad accogliere ospiti  e pellegrini.  Il monastero che conosciamo nella sua forma attuale venne invece realizzato nel XVI secolo.Cesec-CondiVivere 2014.10.24 Eremo Camaldoli 005L’aspetto che ritengo preminente riguarda la sorte della foresta circostante, legata in maniera indissolubile a quella dell’Eremo: più questo si ingrandiva più aumentavano le donazioni di terre poiché i monaci si prodigavano alacremente per  la  cura  e  il   governo  del bosco, sostituendo alle essenze miste di faggio e abete piantagioni pure di Abete  bianco. Le rigidissime regole silvicolturali alle quali i monaci dovevano attenersi prescrivevano abbattimenti estremamente limitati e continuo rimboschimento con abete bianco.
Nacque così il nucleo forestale, quasi mille anni dopo diventato la Riserva Biogenetica di Camaldoli, nell’ambito del Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi, estesa dall’Eremo sino alla Foresta della Lama in territorio romagnolo e gestita dal Corpo Forestale dello Stato; la Riserva è importante anche sotto il profilo faunistico, ospitando cervi, daini, caprioli, cinghiali, lupi, scoiattoli e ghiri oltre a numerosi volatili: picchio maggiore, cincia, allocco, poiana, falco, mentre nelle aree umide si sono insediati anfibi quali il tritone e la salamandra.Cesec-CondiVivere 2014.10.24 Eremo Camaldoli 003Colpiscono, giungendo a Camaldoli da Arezzo o da Bagno di Romagna seguendo la statale del Passo dei Mandrioli, un monumentale cedro del Libano alto 24 metri e del diametro superiore al metro e mezzo, ed il castagno Miraglia dalla circonferenza di oltre dieci metri. Da Camaldoli una piccola strada asfaltata attraversa la foresta e giunge fino all’Eremo.Cesec-CondiVivere 2014.10.24 Eremo Camaldoli 001La realtà monastica costituisce ancor oggi un ponte fra l’antica tradizione dell’Oriente cristiano e la mistica occidentale che si riconosce nella Regola di San Benedetto, coniugando altresì la dimensione comunitaria e quella solitaria della vita del monaco, espresse rispettivamente nel Monastero e nell’Eremo, costituenti un’unica comunità. L’Eremo è oggi luogo privilegiato di incontro nel dialogo ecumenico e interreligioso, aperto a uomini e donne,dedicato alla ricerca interiore, alla spiritualità nonché all’elaborazione culturale ed all’impegno civile attraverso uno stile di vita improntato alla sobrietà.
L’antica cella del fondatore Romualdo, l’unica visitabile ed oggi inglobata nella biblioteca, evidenzia internamente la struttura tipica della cella eremitica: un corridoio che si snoda su tre lati, custodendo al suo interno gli spazi di vita del monaco, la stanza da letto, lo studio, la cappella. Questa struttura a chiocciola, oltre ad offrire riparo dalle rigide temperature invernali, simboleggia il percorso interiore del monaco che tende a recuperare il proprio Sé interiore.Cesec-CondiVivere 2014,10.24 Eremo Camaldoli 004Non è necessario tendere alle grandi opere: per cominciare è sufficiente piantare un albero. Contribuisce alla salvezza del pianeta ed arricchisce e migliora l’ambiente in cui viviamo infondendogli bellezza, non trascurando il fatto che la superficie fogliare di una latifoglia corrisponde a 6/8 volte la proiezione a terra, mentre per le conifere è 15/20, e genera ossigeno, assorbe pulviscolo e particelle inquinanti, fissa carbonio.
Un albero produce inoltre circa 30 kg annui di ossigeno, dodici alberi coprono il fabbisogno annuo di ossigeno di un essere umano adulto, esattamente pari alla quantità di ossigeno consumata da un’auto per percorrere 100 km. Un albero è fatto di legno, e un metro cubo di legno fissa sino a 300 kg di carbonio. Un ettaro di bosco, 10.000 metri quadri, fissa pertanto sino a 10 quintali di polveri annue ed immagazzina sino a 4 tonnellate di carbonio.

ACS

Campo di Brenzone: una perla abbandonata sul Garda

In posizione incantevole a mezza costa sulla sponda veronese del lago di Garda, all’ombra del monte Baldo e circondato da campi di ulivi secolari, un pugno di case pressoché disabitate aspetta di essere riportato a nuova vita: è Campo, un antico borgo dal quale si gode la vista di tutto il Garda.CC 2014.10.03 Campo Brenzone 001Lontano dalla strada e non accessibile in auto, ma in quindici minuti di camminata si giunge in riva al lago. Numerosi sentieri indicati da segnavia portano in vetta al monte Baldo, per chi non vuole faticare scalabile in cabinovia dalla vicina Malcesine.
Campo, situato a 45°42′ N 10°46′ E ed il cui toponimo deriva dai campi coltivati ad ulivi, è una frazione di Brenzone, con i suoi 50 km2 di estensione territoriale il comune più vasto del Veneto, e la sua esistenza è riscontrabile sin dall’anno 1023; oggi consta di un abitante censito, in realtà i residenti sono ben… nove facenti capo a due nuclei familiari.CC 2014.10.03 Campo Brenzone 003La via che conduce a Campo sale dal lago stretta fra le antiche case, selciata e molto ripida. Appena termina l’abitato appaiono i primi ulivi, che accompagnano il rimanente percorso in una campagna curata, caratterizzata da terrazzamenti con muretti a secco e da un panorama mozzafiato: in basso si vede la chiesa di San Giovanni di Magugnano, sullo sfondo della sponda bresciana con le alte scogliere che cadono a picco sul lago ed il santuario di Montecastello.
Presto si giunge alla valle detta della Madonna dell’Aiuto, percorsa da un torrente quasi sempre in secca, e superato un ponticello in muratura, la visione che si schiude raggiungendo l’antico borgo medievale ripaga di ogni fatica.
Oltre che dalle pittoresche case in pietra arroccate, disabitate e raccolte su se stesse attorno ai resti del castello ormai ricoperto dalla vegetazione, attorno al quale si è sviluppata la frazione, Campo è caratterizzato da vasti uliveti, da un fitto bosco di lecci e faggi e dalla chiesetta romanica dedicata a San Pietro in Vincoli eretta tra il XII ed il XIV Secolo, un piccolo scrigno che conserva pregevoli affreschi d’influenza bizantina databili al 1358 e… qualche misteriosa particolarità.DCF 1.0Il borgo è raggiungibile esclusivamente a piedi poiché la stradina carrabile, recentemente realizzata grazie ai fondi regionali funzionalmente al progetto di recupero, non è percorribile dai non residenti ed è anzi provvidenzialmente sbarrata ben prima di giungere all’agglomerato. Ma ciò non impedisce a numerosi turisti di visitare Campo, noto per essere uno dei punti più spettacolari della costa lacustre veneta; trattasi fortunatamente di un turismo di nicchia attento alle sfumature della natura e felice di sapere che l’unico punto di ristoro è costituito dall’antica fontana in pietra.
Durante il periodo medioevale, Campo e tutta l’area gardesana passarono sotto varie dominazioni: scaligera, viscontea, carrarese fino ad arrivare alla Repubblica di Venezia e, a partire dal 1797, seguirono le vicende napoleoniche ed asburgiche sino al termine della I Guerra Mondiale.CC 2014.10.03 Campo Brenzone snRimarcabile il fatto che nel territorio di Brenzone non esistesse una via comoda per raggiungere Verona o Trento, poiché la stessa morfologia della catena montuosa ricca di strapiombi sui due versanti e chiusa dal lago sul versante occidentale, e dalla Val d’Adige su quello orientale, la rendeva un’immensa fortezza naturale, accessibile soltanto da nord o da sud; ciò permise a borghi come Campo di rimanere in gran parte immuni dalla penetrazione del potere cittadino.
Ancora oggi le strade che corrono a mezza costa, per lo più mulattiere selciate e delimitate per lunghi tratti da muretti a secco, ricalcano sentieri e piste antiche costituendo una fitta rete di tratturi colleganti le diverse contrade e la zona abitata con le rive del lago da una parte e, dall’altra, con la zona olivetata, i boschi e i pascoli, come ad esempio il sentiero che da Magugnano-Marniga porta, attraverso Campo, ai pascoli di Prada e a San Zeno di Montagna. Va annotato che il comune di Brenzone aveva giurisdizione sui pascoli sino a Cima Telegrafo e a Cima Coal Santo.
Questi sentieri, arterie vitali del versante occidentale del Baldo, cominciano ad essere fitti proprio a nord di Punta San Vigilio; da Garda partiva invece la strada in costa detta Cavalara, che riuniva i piccoli centri rivieraschi e quelli sopracosta.
Campo si trova al punto di confluenza di diverse mulattiere; in particolare, fino agli inizi del XX Secolo, erano importanti quella che da Castelletto, attraverso Biasa, giunge al borgo, detta strada vicinale di Campo e quella che da Magugnano-Marniga saliva verso Prada, detta strada comunale della Cà Romana o strada comunale di Campo.
Queste due arterie s’incrociavano proprio a Campo e proseguivano nella strada comunale di Caprino che attraverso Torri, Monte Motta e Pesina costituiva l’unica via di collegamento fra le contrade dell’alto lago e quelle del basso lago e dell’entroterra gardesano, in particolare Caprino, nodo delle vie di comunicazione dell’entroterra veronese e importante centro di mercati del bestiame.
Per queste mulattiere, che a tratti passano anche sotto i portici delle case, si saliva a piedi, o con animali da tiro e le tipiche slitte di fabbricazione locale, le sbarusole, sbarossole o carièle. Ancora oggi sulle pietre del selciato molto levigate si possono notare i solchi lasciati dal frequente passaggio delle slitte.CC 2014.10.03 Campo Brenzone 004I muretti di contenimento, detti marogne, costituiscono il limite perimetrale dei sentieri nelle zone a terrazzamenti o a pascolo e sono un elemento tipico del paesaggio collinare e montano non solo lacustre, ma di tutto il territorio veronese; sono realizzati in blocchi sbozzati di pietra, faccia a vista e a secco, ricavati dallo spietramento dei campi messi a coltura o a pascolo ed in alcuni punti aperti da piccoli barbacani per favorire lo scolo delle acque dai campi nei periodi di abbondanti precipitazioni.
Del resto, la ristrettezza e le asperità del territorio, confinato tra il lago e le impervie e scoscese pendici del Monte Baldo, spesso solcate da valli profonde e torrenti, hanno comportato notevoli difficoltà nel realizzare vie di comunicazione terrestre, rendendo per secoli le comunicazioni via terra praticamente impossibili e non favorendo lo sviluppo di centri abitati che non fossero, fino alla prima metà dell’Ottocento, modesti nuclei sparsi collegati da mulattiere e sentieri stretti tra muri a secco.
Proprio per tale ragione intense ed importanti furono invece le comunicazioni per via d’acqua che produssero vivaci rapporti, anche familiari, tra le opposte sponde lacustri.
La via lacustre, tra tutte le vie di transito era sicuramente quella più veloce, comoda, frequentata e, in alcuni periodi, anche meno pericolosa e quindi meno costosa, rimase fondamentale nelle diverse epoche e sotto i vari domini fino agli inizi del Novecento.
Tra l’altro la Via dell’Ambra, che aveva origine nella penisola dello Jutland e, percorrendo i corsi dell’Elba e dell’Inn, valicate le Alpi attraversava il Garda e la Val d’Adige per sfociare sulle coste del Mediterraneo e delle regioni dell’Oriente.
Sino ai primi decenni del Novecento l’economia locale, oltre che dalla pesca e dalla navigazione, dipendeva prevalentemente dalle attività legate alla terra: allevamento di bachi da seta, produzione casearia come attestano le numerose malghe tuttora esistenti, coltivazione di ulivi. Da ricordare anche la produzione di legna e di due importanti derivati: lignite e calce. Per la produzione di quest’ultima, destinata principalmente all’esportazione, venivano utilizzate particolari costruzioni in pietra di forma circolare, le calchére, alcune delle quali visibili ancora oggi.

Breve e triste historia del nostro tentativo di recupero
Tra settembre e novembre dello scorso anno 2013 abbiamo stabilito contatti finalizzati ad una proposta di recupero del borgo: costituzione di un ecovillaggio con unità abitative in cohousing, recupero dei terreni già coltivati a oliveto ed impianto di specie compatibili con il territorio e la sua storia, impianto di laboratori artigianali per il recupero di mestieri della tradizione locale erano le linee giuda del progetto, i cui oneri sarebbero stati sostenuti da investitori privati e da una banca attiva nel settore della finanza etica.
Siamo stati ricevuti con estrema cortesia e profondo interesse dall’allora Sindaco, che ci ha messo a disposizione l’Ufficio Tecnico Comunale. Abbiamo successivamente preso contatti con la Sovrintendenza di Verona poiché l’area è vincolata.
Abbiamo infine preso contatto con la Fondazione che detiene il borgo e che teoricamente ne dovrebbe curare il recupero. E qui, al di là di una richiesta economica stratosferica rispetto all’effettivo valore di edifici e terreni, abbiamo iniziato a non capire: a parte i fondi erogati da una fondazione bancaria locale e spesi per la necessaria messa in sicurezza di alcuni manufatti pericolanti, non ci risultava chiara l’attribuzione di contributi comunitari ma soprattutto non ci risultava chiaro se ed in quale misura fossero pervenuti, né come ne fosse stato pianificato l’esborso. Non da ultimo, il borgo venne acquisito dalla Fondazione rilevandolo dal Comune, il cui sindaco all’epoca dell’operazione era colui che incontrammo nella veste di Presidente della Fondazione, in cambio di un terreno edificabile. Salvo scoprire che, rispettando le distanze di legge, non vi si sarebbe potuto edificare molto e pertanto era in corso un’azione legale tra Comune e Fondazione.
Insomma, ci siamo scontrati con il più classico dei muri di gomma: cose non dette e che forse non si possono dire, nonché molta resistenza. Aggiungendo a tutto questo il disinteresse, quando non la supponenza e la nemmeno tanto larvata derisione di chi a parole si dichiarava fautore del recupero del borgo, anche attraverso la costituzione di gruppi, associazioni e movimenti, ma nella realtà dei fatti sembrava vivere nell’ignavia al fine di potersi lamentare delle occasioni perdute, abbiamo deciso di lasciar perdere, nella consapevolezza che i borghi italiani attualmente abbandonati, e che aspettano soltanto di poter favorire chi intenda darsi da fare per la loro rinascita, sono oltre tremila.
Peccato: una posizione imperdibile, una storia del territorio non qualsiasi, concrete possibilità di sviluppo in un’ottica di vita sostenibile esuscettibile di creare posti di lavoro buttata alle ortiche. Anzi, a lago.

Alberto C. Steiner

Mistificazioni ad Alta Velocità

Ah, se esistesse ancora il glorioso quotidiano La Notte! Potrebbe capitare di trovarvi un titolo come quello elaborato nell’immagine sottostante…Cesec CV 2014.04.08 Alta Velocità 001Abbiamo iniziato scherzando ma l’argomento è estremamente serio: l’alta velocità ferroviaria viene spacciata come l’alternativa sostenibile al traffico aereo. Non è vero. Nonostante la sua presunta efficacia, i treni ad alta velocità non rendono affatto più sostenibili gli spostamenti: pensiamo solo al fatto che i passeggeri che passano dai treni a bassa velocità a quelli ad alta velocità aumentano l’uso di energia e le emissioni di carbonio, per tacere dell’impatto ambientale e del taglio delle vene idriche dovuti ai lavori d’impianto.
Secondo l’UIC, Union Internationale des Chemins de Fer, i treni AV: “Giocano un ruolo chiave per lo sviluppo sostenibile e di lotta al cambiamento climatico”. Come viaggiatore ferroviario professionista, che sin dall’infanzia ha coperto regolarmente sulla rete nazionale ed europea lunghe distanze utilizzando indifferentemente ogni tipo di treno da quelli superlusso a quelli più fetenti, mi viene da dire che è vero il contrario, ma che anzi i treni ad alta velocità stanno distruggendo la più valida alternativa all’aereo: quella rete ferroviaria a bassa velocità onorevolmente in servizio da decenni.
Sappiamo come l’introduzione di relazioni ferroviarie ad alta velocità abbisogni di costosissime infrastrutture dedicate, essendo impensabile la commistione eterotachica con treni più lenti ancorché su binari dedicati, per le necessità progettuali altiplanimetriche e per la tensione di alimentazione, in Italia 3kVcc  per la trazione ordinaria e 25kVca50Hz per l’alta velocità. L’apertura all’esercizio di linee AV così concepite comporta invariabilmente l’eliminazione di quelle più lente, più abbordabili dal punto di vista economico, spingendo i passeggeri ad utilizzare le nuove soluzioni più costose o ad abbandonare il treno, relegandolo a collegamenti locali poiché le nuove linee escludono località intermedie. Il risultato è che chi viaggia per lavoro può anche passare dall’aereo al treno mentre, nel contempo, la maggior parte dei viaggiatori viene spinta ad utilizzare le linee aeree sempre più low-cost, le autolinee o addirittura l’auto privata.
Questo concetto non si applica alla Germania, unico paese europeo con un modello misto, dove i servizi tradizionali e ad alta velocità possono utilizzare ogni tipo di infrastruttura. I treni ad alta velocità possono utilizzare tratte ammodernate, mentre i servizi di trasporto merci utilizzano la capacità delle linee ad alta velocità inutilizzata durante la notte. La Germania ha relativamente poche tratte specifiche per l’alta velocità e i treni sono relativamente lenti.KL Cesec CV 2014.04.08 AV 004Studiando la storia ferroviaria europea appare evidente come la scelta che spinge a realizzare linee AV non è affatto obbligata: partendo dall’ottocentesca Valigia delle Indie Londra-Bombay che attraversava la nostra penisola da Modane a Brindisi per proseguire via mare, e passando dall’Orient Express Parigi-Costantinopoli nelle sue molteplici configurazioni, una sola delle quali, la Simplon via Losanna-Milano-Trieste, toccava l’Italia, arriviamo al 1956, quando venne istituita la rete dei TEE, Trans Europa Express, costituita da convogli dedicati di sola I classe ma non di lusso per i quali venne costruito materiale apposito in una stimolante gara alla comodità ed alla ricerca di soluzioni raffinate e tecnologicamente avanzate, che ha consentito di realizzare convogli estremamente accoglienti e, per l’epoca, dotati di innovative soluzioni tecnologiche.
Gli sforzi tesi ad organizzare veloci servizi ferroviari internazionali europei, sono sempre stati accompagnati da condizioni economiche vantaggiose e da servizi di bordo sempre più accurati.
Se osserviamo le tracce orarie di quei treni, oppure dei rapidi in servizio interno, ci rendiamo conto di come non pochi dei servizi resi in passato fossero addirittura, fatte le debite proporzioni, più veloci delle attuali Frecce.
Nel 1937 la coppia di rapidi R90/R95 Torino-Milano-Venezia, affidata a possenti locomotive a vapore l’ultima delle quali conservata al Museoscienza Leonardo da Vinci di Milano, percorreva i 267 km della tratta da Milano a Venezia senza fermate intermedie in tre ore secche. Oggi un Frecciabianca impiega 2h40′.
Sulla medesima relazione, inoltre, le ferrovie hanno impostato gli orari in modo da scoraggiare gli utenti dall’utilizzare i treni regionali o regionali veloci. Anzitutto tagliando la tratta a Verona, in modo che chi voglia andare da Milano a Venezia senza utilizzare i Frecciabianca sia costretto ad effettuare un cambio. Ma attenzione! l’orario cadenzato prevede che i treni da Milano partano alle :25 di ogni ora e giungano a Verona alle :20 dell’ora successiva, con una percorrenza di 1’55” contro 1’22” dei Frecciabianca ad un prezzo di €  11.65 in seconda classe (Frecciabianca minimo 21.50). I treni da Verona per Venezia partono alle :21, vale a dire esattamente un minuto dopo l’arrivo del treno da Milano: il modo migliore per scoraggiare gli utenti.KL Cesec CV 2014.04.08 AV 003Gli esempi potrebbero continuare: Milano-Como, per citarne solo uno, dove l’alternativa agli Eurocity svizzeri da 9 Euro per 33 minuti di percorrenza (esattamente quanto i vecchi Espressi che impiegavano 40′ con sosta a Seregno o Monza) sono regionali prevalentemente in condizioni da latrina che impiegano mediamente 59′ al costo di 4 Euro.
E per consultare gli orari sul sito di Trenitalia bisogna essere sgamati: chi vuole andare, per dire, da Milano a Bologna o a La Spezia senza ricorrere a frecce di qualsiasi colore, deve inserire località intermedie e ricollegare il percorso al contrario. Vale a dire: Piacenza o Fidenza per Bologna e Borgo Val di Taro, Pontremoli o Santo Stefano per La Spezia. Altrimenti solo Frecciabianca o niente treni e, nel caso di La Spezia, assoluta prevalenza della via Genova.
Naturalmente le ferrovie, per tale atteggiamento, sono state censurate, stigmatizzate, puntate con il ditino. Ed altrettanto naturalmente se ne fregano.
Un ultimo esempio d’epoca, e poi passiamo oltre: la relazione Milano-San Remo affidata al TEE Ligure Milano-Avignone impiegava 3h50′ con fermate a Voghera, Genova Savona e Imperia (oggi una Freccia impiega 3h38′) ed il suo costo nel 1970 era pari a Lire 4.740 (53 Euro attuali considerato il trend inflattivo) oltre al supplemento di Lire 1.340 (15 Euro) contro un attuale costo di Euro 39,50 in I classe e di 29,50 in seconda. Giusto per avere un riferimento, nel 1970 la paga oraria media di un lavoratore assommava a 597,30 lire.KL Cesec CV 2014.04.08 AV 002E’ del resto noto che, se le ferrovie italiane non se la sono mai passata granché bene, il loro peggioramento ha coinciso con la cacciata, negli anni Ottanta, di Mario Schimberni, che ebbe la pretesa di rivedere le spese folli, compresi cavalcavia pedonali realizzati per attraversare le stazioncine di soli due binari dove transitavano sei treni al giorno, per esempio su relazioni indubbiamente fondamentali come la Rocchetta Sant’Antonio – Lacedonia. Ed oggi assistiamo allegramente allo sperpero di centinaia di miliardi di Euro per realizzare attraversamenti sotterranei in città come Bologna e Firenze, che consentono di risparmiare al massimo dieci o quindici minuti di percorrenza.
L’Europa ha la rete ferroviaria più incredibile del mondo, in grado di condurre ovunque in qualsiasi momento, e un viaggio in treno finisce per essere più divertente e interessante di un viaggio in aereo. Per quanto non sia questa la sede per cantare le bellezze dei lunghi viaggi in treno, ogni anno diventa sempre più difficile viaggiare in Europa utilizzando i treni ordinari, e la colpa è dell’alta velocità che avanza senza sosta. Poiché sempre più sono le linee ferroviarie soppresse a favore di quelle ad alta velocità, i viaggi internazionali in treno raggiungono costi proibitivi. La cosa strana però è che molti di questi percorsi cancellati erano quasi più veloci, e qualche volta decisamente più veloci, delle più recenti e costose linee ad alta velocità.
Storicamente, le tariffe ferroviarie sono sempre state inferiori a quelle aeree. Ma la comparsa dei treni Av e delle compagnie aeree low-cost nel 1990 ha invertito questo stato di cose. Ricchi e poveri hanno semplicemente scambiato le modalità di viaggiare: le masse viaggiano ora in aereo, mentre le élite prendono il treno. Poiché ci sono sempre meno ricchi in Europa, ciò non comporterà ovviamente alcun risparmio né monetario né energetico, tantomento riduzioni delle emissioni di carbonio.
I treni Av condividono un problema fondamentale con quasi tutte le altre soluzioni high-tech che di questi tempi vengono millantate come sostenibili: sono troppo costosi per diventare la soluzione ideale. Questo spiega perché a fronte dell’installazione di 10.000 chilometri di linee ferroviarie AV, la crescita di passeggeri del traffico aereo in Europa non si è fermata. Dal 1993 al 2013 il traffico aereo in Europa è cresciuto in media del 5,2% annuo. E si stima che cresca di un altro 45% tra il 2014 e il 2030, nonostante l’attuale crisi economica e i nonostante i 20.000 km di linee AV che si vogliono ancora realizzare.
La differenza di prezzi tra biglietti di compagnie aeree low-cost e treni ad alta velocità è così grande che è impossibile pensare a un significativo trasferimento di passeggeri dal trasporto aereo a quello ferroviario. Nonostante questo, sia l’Unione Europea sia l’UIC persistono nel pubblicare report che mostrano come le persone stiano abbandonando gli aerei per passare ai treni, risparmiando emissioni di energia e di carbonio. Come può essere? Semplice, come affermava mio padre: la carta riceve di tutto. E giocando con i numeri si può fare quel che si vuole.

ACS

Le barriere sono nella mente. Tranne quelle architettoniche.

Cesec CV 2014.04.05 Disabilità 001Considerazioni di un disabile pro-tempore per CondiVivere un aspetto legato alla qualità della vita.
Oggi mi hanno tolto i punti al quadricipite sinistro: lo sbrego di venti centimetri creato dai chirurghi sopra il ginocchio per andare a recuperare e ricucire il tendine affinché continui a svolgere la propria funzione risalta, riluce, si mostra in tutto il suo splendore lasciando immaginare cruenti esiti di arrembaggi daga alla mano.
Ma il volo fantastico del pirata dei Caraibi dura giusto il tempo per assistere alla spennellatura con liquido antisettico d’ordinanza, alla protezione con ampio morbidoso cerotto ed alla ricopertura con calza antitrombo, che ad onta del nome non è un accessorio pensato da torturatori medioevali del Sant’Uffizio al fine di evitare intemperanze sessuali.
Riposizionato infine il tutore che mi fa sentire molto Robocop non restava altro da fare. Allora ho deciso per una passeggiata, sotto la mia responsabilità è ovvio: la vita per me è sempre stata senza rete, che sarà mai un giretto da pensionato?
Non ho naturalmente scelto levigati vialetti circondati da prati curatissimi in puro stile centro di riabilitazione, troppo comodo. Ho scelto la strada, si proprio quella dove transitano pedoni, autobus, camion e motorini. Insomma, quella dove scorre la Vita.
Ed ho scelto di percorrerla con il mio girello in leggerissimo tubolare, non ammortizzato e dotato di ruotine che sono cugine di quelle dei carrelli dei supermercati: vanno ovunque fuorché dove voglio io.
Tuta nera da Ninja, scarponcini da trekking che mi fanno sentire più sicuro – e che mi sono allacciato da solo, sembra una stupidaggine ma in queste circostanze rappresenta una conquista – gambottone bionico, giacca a vento rigorosamente rossa, complice la splendida giornata appoggiata con nonchalance sulla traversa del girello, e via. Durante la passeggiata mi sono pure fermato ad ammirare il panorama rollandomi una sigaretta en plen air.
KL Cesec CV 2014.04.05 Disabilità 003Ma, direte voi, se sei stato così fortunato da poterti muovere autonomamente a pochi giorni da un intervento chirurgico, qual’è il problema? Semplice: il girello. O meglio la percezione che se ne ha secondo arcinote costruzioni mentali. Chi ha bisogno di un girello per deambulare? Un disabile, è ovvio. Ma anche un anziano affetto dal Parkinson ed afflitto dall’immancabile badante.
Non ho la benché minima intenzione di trascorrere la convalescenza murato vivo come la Monaca di Monza e, se voglio andare in giro sia pure nel limite delle mie possibilità assaporando fioriture di glicini e azalee, profumo di pane appena sfornato e tutto ciò che fa sentire vivi e non malati, visto che non sono un Rettiliano che strissia come una bissia, devo per ora farlo utilizzando il girello.
E se questo è per me causa di turbamenti interiori poiché mi fa apparire, ai miei occhi beninteso, come un vecchietto disabile, vale la risposta data da Jack Nicholson al suo vice nel film Codice d’Onore.
Il girello mi crea problemi, o meglio barriere mentali? Benissimo, e allora mi ci ficco dentro fino in fondo e vado a spasso con il girello. Punto.
E’ stata una piacevole passeggiata di un’oretta e sono contento della sfida che mi sono autoimposto, con messaggio finale su Whatsapp alla mia compagna, che risponde: “Anch’io sono contenta e sono contenta che l’hai fatto con il girello abbattendo barriere mentali.
E sin qui le considerazioni legate alla percezione di sè, alla consapevolezza, all’intento, al risveglio ed a tutte quelle robettine lì.
Emergono però ben altre considerazioni, tra attraversamenti pedonali, salitine, discesine, marciapiedi, gaudiose pavimentazioni da arredo urbano e quant’altro: se da sano, e da progettista, ho sempre prestato attenzione alle problematiche legate alla disabilità motoria, da disabile pro-tempore ho avuto la conferma di tante fonti di disagio, minime ma al tempo stesso grandi: dalla reale portata delle barriere architettoniche, anche una ruga per terra diventa una barriera se ti muovi con il girello, alla percezione che di te ha la gente.
Il secondo aspetto è molto più positivo del primo: le persone si fermano per cederti il passo, si scansano, ti superano badando a non urtarti, ti sorridono (devo dirlo: specialmente le signore, anche se non mi davano l’idea dell’istinto materno…), si offrono di tenerti aperta una porta. Giusto per ricordarti di non dimenticare che le barriere sono dentro di noi e siamo noi a proiettarle sugli altri.SAMSUNG DIGITAL CAMERALe buche, il pavè sconnesso e le pezze sull’asfalto invece non sono dentro di noi, sicuramente son dentro i bilanci comunali; i pali della luce messi apposta per allenare allo slalom e le corsie per disabili più strette della carreggiata di una carrozzina, per di più inserite in una ciclabile, sono nel cad di un architetto deficiente. Una proposta, per gli specialisti dell’urban design: cari colleghi, perché un giorno ogni tre mesi non vi steccate una gamba in modo da tenerla rigida e andate in giro per i marciapiedi della vostra città con un girello, addirittura in carrozzina? No cari, quella con il joystick è vietata.

ACS