La ricetta contro lo spopolamento dei piccoli borghi? La banda larga. Parola di Legambiente.

Un recentissimo dossier di Legambiente lo definisce disagio insediativo riferendosi a quelli che stanno sempre più diventando comuni fantasma: 2.430 secondo le stime dell’associazione ambientalista, piccoli borghi dove un cittadino su 7 è andato via e ci sono due anziani per ogni giovane, una casa su tre vuota.Castello TorrechiaraPer corroborare la propria tesi che, almeno per quanto ci riguarda, è la scoperta dell’acqua calda, Legambiente infarcisce la relazione con dati numerici che, oltre a renderla leggibile con difficoltà (ma a ciò contribuiscono anche l’assoluta mancanza di scorrevolezza del testo e l’utilizzo di una lingua che assomiglia soltanto all’italiano) spesso fuori contesto e che si contraddicono fra loro. Eccone un esempio: «Due anziani per ogni giovane, una casa su tre vuota, 36 abitanti per ogni chilometro quadrato, un ragazzo su sette che è scappato altrove: ecco perché rischiano di sparire, letteralmente, 2.430 Comuni italiani. Piccoli o piccolissimi borghi, spesso incantevoli, che soffrono di forte disagio demografico ed economico. Pur avendo bellezze e caratteristiche uniche che potrebbero renderli attraenti dal punto di vista turistico, infatti, mancano di servizi, e così l’ospitalità ricettiva è cresciuta appena del 21% negli ultimi 25 anni, passando da 1,12 milioni di posti letto a 1,36. Per capirci, mentre le presenze turistiche aumentavano del 15% in questi piccoli centri, in città arrivavano al 35%. Anche la popolazione straniera, pur cresciuta negli ultimi 15 anni, è rimasta inferiore del 22,1% rispetto alla media nazionale. Dato ribadito dal deficit di imprese straniere, pari a -25.6%. È come dire che l’attrattività economica e le opportunità lavorative sono mediamente inferiori.»KL Cesec CV 2014.03.12 Agriturismi 001Afferma Legambiente che mentre le città del triangolo industriale (nostra osservazione: che non esiste più da decenni), del Nord-Est (ancora nostra osservazione: dove i miracoli sono finiti da tempo), della Pianura Padana e di alcune aree marchigiane, toscane e campane crescevano consolidando la propria identità e trascinando anche i paesini dell’hinterland, il 30% dei comuni italiani, concentrati nelle aree interne dell’Appennino e del Sud – in particolare Campania, Puglia e Sicilia – nell’ultimo quarto di secolo restava al palo.
Con redditi bassi, tassi di disoccupazione alti non solo per i ragazzi tra i 20 e i 30 anni, ma anche per i 30-54enni, e una riduzione impressionante dei giovani: gli ultra 65enni in questi paesini sono aumentati dell’83% rispetto ai giovani fino a 14 anni. Se i cittadini italiani crescevano del 7%, nei piccolissimi borghi i residenti diminuivano del 6,3%, con 675 mila abitanti in meno.
Questione di condizioni ambientali? si chiede Legambiente. Non sempre, si risponde, perché se è vero che la montagna soffre, ma non dappertutto, ci sono centinaia di piccoli comuni a disagio in collina e pianura, segno che «più che le condizioni altimetriche sono le condizioni di collegamento e innervatura delle reti a governare lo sviluppo». Eccola qui la chiave di lettura: l’innervatura delle reti. Ci torneremo fra poco.KL Cesec CV 2014.03.16 Agrinido 001Come evitare che questi comuni diventino paesi fantasma? E pronta, l’associazione ambientaiola, fornisce la risposta:
Anzitutto sfruttando le opportunità residenziali, perché «Se solo un quarto delle 500 mila abitazioni non utilizzate lo fossero, potremmo addirittura ospitare fino a 1,5 milioni di nuovi cittadini, e se solo un quarto dei posti letto fossero utilizzati secondo le medie urbane, il turismo creerebbe benessere diffuso: 123 milioni di presenze ogni anno, un fatturato di quasi 10 milioni di euro con oltre 300 mila nuovi posti di lavoro».
Perfetto, e ci siamo costruiti un’identità disneyana di santi, navigatori, ristoratori, barman e camerieri.
E conseguentemente valorizzando l’agricoltura: «Se solo un quarto delle superfici agricole abbandonate negli ultimi 20 anni fosse riutilizzato, potremmo avere oltre 125mila nuove aziende agricole, con una media di 12 ettari ognuna» vale a dire 1.500.000 ettari complessivi, vale a dire 15.000 km2, insomma un po’ più della Calabria (15.221,90) e un po’ meno del Lazio (17.232,29). Non male, considerando che l’intera superficie italiana è pari a 302.072,84 km2.
E tutto questo grazie alle nuove forze di giovani laboriosi e capaci, «che scelgano di andare o tornare a vivere in posti molto più salutari, genuini, belli e semplici, potendo nello stesso tempo svolgere il proprio lavoro da casa, grazie a reti internet veloci e smartworking.» Insomma, parliamoci chiaro, qui non servono bamboccioni.
Ma occhio all’incongruenza, sostanziata da quel: svolgere il lavoro da casa grazie a reti internet veloci e smartworking. Spiegateci, cari ambientazionalisti: ma questi giovani vanno a recuperare le terre abbandonate per svolgervi attività agricola o cosa? E se svolgono attività agricola è ovvio che “lavorano da casa”, come è altrettanto ovvio che una rete internet veloce fa comodo ma non è un imprescindibile strumento per pacciamare, spollonare, mungere capre o voltare fieno. E la campagna è proprio il posto meno adatto per pensare ad uno “smart”working. C’è il working, e basta e avanza.CC 2016.06.09 Smartworking 001Ed ecco che Legambiente tira fuori la soluzione, corroborata da una proposta di legge a cura del piddino Ermete Realacci, attualmente in discussione alle Commissioni riunite Ambiente, Territorio e Lavori Pubblici e Bilancio della Camera. Dichiara il parlamentare: «L’intenzione è di approvare questa proposta di legge per andare presto in Aula; è una legge su cui con Legambiente lavoriamo da tempo anche con la campagna Voler Bene all’Italia.»
Tra le misure principali del provvedimento la diffusione della banda larga e misure di sostegno per l’artigianato digitale (lo vogliamo vedere l’artigianato digitale: i bit fatti a mano uno per uno con materiali ecocompatibili, magari da portatori di disagio sociale? Chissà…).
Naturalmente il disegno di legge parla anche di semplificazione per il recupero dei centri storici in abbandono o a rischio spopolamento, al fine di convertirli “anche” in alberghi diffusi (attenzione: “anche”); di interventi di manutenzione del territorio con priorità alla tutela dell’ambiente; di messa in sicurezza di strade e scuole e interventi di efficientamento energetico del patrimonio edilizio pubblico, nonché di acquisizione e riqualificazione di terreni e edifici in abbandono.
Bene, evviva. E il recupero del territorio, e l’agricoltura rinata grazie ai giovani operosi? Boh…
Il nostro sospetto è che, come suol dirsi, alla fine della fiera i piccoli borghi montani e collinari potranno in primo luogo beneficiare della banda larga a spese pubbliche. E che la riqualificazione ecosostenibile del territorio passi attraverso opere di cantieristica: case, strade, edifici pubblici, alberghi diffusi presumibilmente affidati a carrozzoni cooperativi e che, vedendo ben pochi clienti, dovranno prima o poi essere sostenuti da interventi di finanza pubblica.
Che ve lo diciamo a fare: se Legambiente non esistesse bisognerebbe inventarla.

Alberto C. Steiner

Ecososteniblità dell’anima: servono ingegneri per progettare sogni

Ha scritto Franco Arminio, nel suo Geografia commossa dell’Italia interna: “Abbiamo bisogno di contadini, di poeti, di gente che sa fare il pane, di gente che ama gli alberi e riconosce il vento.
Più che l’anno della crescita, ci vorrebbe l’anno dell’attenzione.
Attenzione a chi cade, attenzione al sole che nasce e che muore, attenzione ai ragazzi che crescono, attenzione anche a un semplice lampione, a un muro scrostato.
Oggi essere rivoluzionari significa togliere più che aggiungere, significa rallentare più che accelerare, significa dare valore al silenzio, al buio, alla luce, alla fragilità, alla dolcezza.”CC 2014.04.30 Rinascere 001Questa frase mi ha indotto a rileggere l’articolo Solo attraverso profondi cambiamenti individuali il nostro Paese potrà rinascere, che pubblicai il 30 aprile 2014 su queste pagine (visionabile qui) poiché riconsiderandolo alla luce di mutamenti che non avvengono, di iniziative delle quali tanto si parla ma che sono costantemente al palo e di quella truffaldina bruttura dell’Expo 2015 mi è parso più che mai di viva attualità.
L’articolo nacque sulla scia di interessanti scritti pubblicati in quel periodo dal sito partner Consulenza Finanziaria argomentando di competitività estera e di malcostume delle aziende nostrane, oltre che di gestione del credito bancario.
Oggi più che mai il mondo, visto dal nostro Paese, appare immenso e pauroso perché i suoi equilibri stanno mutando ad una velocità inaudita, e nello scenario sono entrati di prepotenza nuovi protagonisti ben più grandi di noi, alterando antichi equilibri e stravolgendo gerarchie di potere che si credevano consolidate.
Questioni mai incontrate prima chiedono una soluzione, ma le opportunità di cambiamento vengono percepite come pericoli.
È già accaduto: per provincialismo, miopia e furbizia, quando non malafede, degli attori politici ed imprenditoriali nostrani l’Italia è arrivata impreparata alle grandi svolte, perdendo tempo prezioso. Ed anche oggi, se non saremo pronti ad intuire gli scenari del futuro, se non sapremo valutare la direzione del cambiamento nelle tendenze di lungo periodo, rischieremo di prendere una volta di più le decisioni sbagliate. Pagandole a caro prezzo.
Basti pensare che invasione è il termine più usato dagli attuali predicatori dell’Apocalisse: invasione di immigrati clandestini, di prodotti cinesi, di capitali stranieri che ci colonizzano. E non ci accorgiamo che tutto ciò che temiamo è in realtà già accaduto.
Intendiamoci: di fronte ad ogni cambiamento la paura è legittima perché le grandi novità spaventano, possono nascondere delle incognite ed il riflesso automatico ingenera un meccanismo di difesa. Oppure nega il cambiamento.
Per comprendere qualsiasi accadimento attribuendogli l’esatta misura è indispensabile non solo mutare prospettiva, ma anche osservare con distacco come l’oggetto delle nostre attenzioni risuoni dentro di noi comprendendo quali nodi da sciogliere e persino quali antiche ferite faccia vibrare. Solo così è possibile identificare la natura dei presunti pericoli che ci minacciano, stabilire se il modo per difenderci sia l’attacco – che non sempre è la miglior difesa – oppure il lasciarci morbidamente andare, per vincere la sfida senza accontentarci semplicemente di limitare i danni. Vale a dire per vivere piuttosto che accontentarci di sopravvivere.
Esistono anche da noi imprenditori illuminati: sono quelli che spesso non fanno notizia e che insieme con i più attenti osservatori possono tentare di rispondere con sano pragmatismo alle domande offrendo punti di vista nuovi e proprio per questo rivoluzionari.
Ma le scelte da fare non riguardano solo governi, classi imprenditoriali e dirigenti bensì primariamente la vita quotidiana di tutti noi: nel segno di un’Energia nuova e pulita sono tante le riforme dal basso che ciascuno di noi può avviare da subito, e costituiscono un antidoto alla lagnanza, alla rassegnazione, al senso di impotenza che non è mai nelle cose ma dentro di noi. Sono quell’impotenza, quella rassegnazione che respiriamo oggi in Italia nell’attesa sempre delusa di grandi cambiamenti, svolte, catarsi collettive, rinascite nazionali. Che dovrebbe essere sempre qualcun altro ad attuare.
Siamo invece noi che con maturata consapevolezza, impegno civile, consumi responsabili, dobbiamo incamminarci alla ricerca del nostro destino per costruire il nostro futuro. Detto in altri termini: è solo attraverso una profonda revisione dei nostri modelli produttivi, di consumo, sociali, interiori che possiamo agire per scuotere i sistemi politico e produttivo.
Ma se continuiamo a lamentarci attribuendo a chicchessia la responsabilità dei nostri fallimenti e del nostro non andare avanti, non solo resteremo al palo, ma inevitabilmente ci attende una regressione: economica, sociale, delle coscienze, intellettiva.Cesec-CondiVivere-2014.10.07-Medioevo-prossimo-venturoNon ci sono alternative: o ci risvegliamo dal sonno aprendoci ad un nuovo approccio alla qualità della vita, che presupponga un mondo nel quale il punto di riferimento non sia più il pil bensì la decrescita più o meno felice, o siamo dei morti che vagano in paesi dei balocchi, in realtà cimiteri alla portata di chiunque abbia occhi per vedere e cuore per sentire: autobus e metropolitane, centri commerciali, installazioni pseudoculturali di plastica.
Si dice che un intento individuale e decentrato non possa nulla ma non è affatto vero: dai gesti che ciascuno di noi compie ogni giorno possono nascere gli innumerevoli stimoli destinati a mutare il gradiente energetico in grado di sospingere il nostro Paese, e le nostre anime, verso l’ormai indifferibile cambiamento.Cesec-CondiVivere 2014.10.17 Appennino modenese vista suggestivaAltrimenti ci attende quello che da anni chiamo il medioevo prossimo venturo, che non considero una calamità ma un’opportunità ed al quale mi sto felicemente preparando attraverso la progettazione ecosostenibile di luoghi destinati ad accogliere piccole comunità il più possibile autosufficienti.

Alberto C. Steiner

Expo: la Carta (triplo velo) di Milano

Per chi dovesse domandarsi come mai Coca Cola è l’offical soft drink partner dell’Expo, abbiamo la risposta.
Proviene dal disclaimer che ne motiva la cooptazione: “In virtù del suo impegno sul fronte dell’innovazione e della crescita sostenibile capace di generare ricchezza per la comunità, tutelando le risorse utilizzate e incoraggiando consumi e stili di vita equilibrati…”.
Quindi, vediamo per una volta di non essere maligni, visto che caffeina e bollicine nutrono il pianeta e, tra un ruttazzo e l’altro, contribuiscono a risvegliare le fervide menti che hanno partorino nientepopò… come niente popò? No, non quel popò, lasciateci finire… nientepopodimenoche laCesec CondiVivere 2015.05.17 Carta di Milano 001Il documento elenca gli impegni che dovrebbero costituire l’eredità di Expo 2015 sulla lotta alla fame. Bene, e allora? si chiederanno i lettori… E allora non ci siamo. Non vi si parla di land grabbing e nemmeno di speculazione finanziaria sulle materie agricole. Insomma, l’ennesima dimostrazione che il problema dell’economia globale è la sudditanza del potere politico e delle istituzioni alle lobby finanziarie. Ricordate il nostro articolo Land Grabbing e vergini dai candidi manti pubblicato qui nel non sospetto 29 novembre 2013?Cesec CondiVivere 2015.05.17 Carta di Milano 002Torniamo al testo che, presentato a Milano alla vigilia dell’inizio dell’esposizione universale, contiene tutte affermazioni di buon senso, che chiunque salvo  forse Monsieur de la Palisse che ne rivendicherebbe lo spirito promotore, sottoscriverebbe (cliccare qui per il testo completo).
A leggerla bene, però, c’è un aspetto che in questa Carta di Milano lascia profondamente perplessi: è scomparso ogni riferimento al tema della finanza, che pure c’era nel Protocollo di Milano sull’alimentazione e la nutrizione, quell’iniziativa promossa dal Barilla Center for Food and Nutrition con la collaborazione di tante personalità e sigle della società civile, al quale la Carta di Milano si è ispirata e che cita espressamente fra le sue fonti. Come se l’uso del denaro non avesse nulla a che fare con l’alimentazione…
Più in generale è tutto il tema della crisi globale iniziata ormai nel 2008, e che ha pesato sui prezzi alimentari e quindi sull’accesso al cibo e la fame, a rimanere fuori dal documento, come se non c’entrasse nulla con la sfida Nutrire il pianeta energia per la vita.
Condividiamo l’opinione espressa da Leonardo Becchetti, professore di economia politica a Tor Vergata e promotore della Campagna 005: “È l’ennesima dimostrazione che il problema numero uno dell’economia globale è la sudditanza del potere politico e delle istituzioni a lobby finanziarie più grandi degli stati. Ci vorrà tempo prima di riavere un vero equilibrio dei poteri ma ci dobbiamo riuscire. E il tutto avverrà quanto più i cittadini impareranno a votare con il loro portafoglio per la finanza veramente al sostegno dell’economia reale. Intanto assistiamo allo scandalo di una parte del mondo finanziario arrogante ed autoreferenziale, che non si rende minimamente conto di come meglio potrebbero essere usate le immense risorse a disposizione per salvare vite umane e promuovere sviluppo sostenibile“.Cesec CondiVivere 2015.05.17 Carta di Milano 003Il tema del rapporto tra cibo e finanza è un grande nodo del mondo di oggi: la corsa ad acquistare terreni agricoli nel Sud del mondo e la volatilità dei prezzi nei mercati delle materie prime agricole, sono fattori che generano fame. E hanno a che fare con un certo modo di fare finanza, molto più vicino al nostro portafoglio di quanto crediamo.
È scritto nel Protocollo di Milano, varato il 3 aprile scorso: “Le parti si impegnano a identificare e proporre leggi per disciplinare la speculazione finanziaria internazionale sulle materie prime e la speculazione sulla terra, oltre che a proteggere le comunità vulnerabili dall’accaparramento della terra (land grabbing) da parte di entità pubbliche e private, rafforzando al contempo il diritto all’accesso alla terra delle comunità locali e delle popolazioni autoctone“.
Quell’impegno preciso non compare più tra quanto la Carta di Milano richiede con forza (!) a governi, istituzioni e organizzazioni internazionali, ma si parla solo genericamente di rafforzare le leggi in favore della tutela del suolo agricolo, per regolamentare gli investimenti sulle risorse naturali, tutelando le popolazioni locali. Non è esattamente la medesima cosa…
Anche nella sezione Impegni, esclusa una rapidissima evocazione della questione dell’accesso al credito, non compare nulla che abbia a che fare con la parola finanza. Quasi che questo mondo fosse un’entità a sé stante, le cui scelte non hanno ricadute concrete sull’agricoltura e sul mercato dei prodotti alimentari.
Vedremo che accadrà nel corso dell’appuntamento organizzato per il 22 prossimo a Milano dalla Campagna Sulla Fame Non Si Specula: noi speriamo solo che una manifestazione pacifica non finisca come un certo G8 di tristissima memoria.

Alberto C. Steiner

L’Expo che verrà: ci sarà da mangiare…

Però riguardo alla luce tutto l’anno nulla sappiamo… Inaugurazione dell’Expo di Milano prevista per il primo maggio prossimo: 130 paesi partecipanti e centinaia di aziende si daranno appuntamento per riflettere e pianificare il futuro dell’alimentazione, con l’obiettivo di nutrire il pianeta, focalizzandosi sull’asse principale del diritto ad un’alimentazione sana, sicura e sufficiente per tutti gli abitanti della Terra.Cesec-CondiVivere 2015.03.26 Expo 002Così dicono gli slogan, ma sarà la verità? Sui media leggeremo resoconti, ma difficilmente affidabili visto che molti di questi saranno profumantamente pagati dagli stessi organizzatori di Expo. Il nostro parere, per usare un garbato eufemismo, è che i presagi non sono buoni.
Anzitutto sarà l’Expo delle multinazionali. E non potrebbe essere diversamente. Basta scorrere l’elenco dei partecipanti per capire come dietro allo slogan nutrire il pianeta si celi lo stesso clan che da decenni il pianeta lo affama o lo (mal)nutre di cibo di dubbia qualità e di sicura insostenibilità ambientale. Pensiamo solo al fatto che anche McDonald’s sarà presente a Expo come espositore e come sponsor, ed alle altre grandi firme già in prima fila: Barilla, tramite la propria fondazione Barilla Center for Food & Nutrition, si occuperà addirittura di coordinare i lavori per la stesura del protocollo mondiale sul cibo, insieme di linee guida per la produzione sostenibile di cibo per il pianeta. Come chiedere all’oste se il vino è buono…
Ma Expo ha siglato anche una partnership con Nestlè che, attraverso la controllata San Pellegrino, diffonderà 150 milioni di bottiglie di acqua con la sigla Expo in tutto il mondo; l’impronta ecologica di ogni litro di acqua in bottiglia è da 200 a 300 volte più impattante di quella del rubinetto, non ci pare quindi una grande idea sponsorizzare un’ulteriore crescita dei consumi di plastica.
Nestlè inoltre, per chi non lo sapesse, promuove da qualche anno l’istituzione di una Borsa per l’acqua, strutturata esattamente come quella del petrolio. In pratica, come andiamo da tempo sostenendo, la borsa della sete, suscettibile addirittura di innescare conflitti armati per l’appropriazione di questo bene irrinunciabile. In parte già avviene a Chicago.Cesec-CondiVivere 2015.03.26 Expo 001E veniamo agli sponsor. Poiché Expo significa visibilità numerose multinazionali hanno donato grandi quantità di denaro all’organizzazione. Tra queste Ferrero con 3,8 milioni di euro, Coca-Cola con 6 mlioni e un contributo del 12% per ogni lattina venduta nel suo padiglione, Nestlè-San Pellegrino 5 milioni di euro, Illy 4,7 milioni e persino Martini con 1,2 milioni, in quanto è noto che gli aperitivi costituiscono un ottimo metodo per smorzare i morsi della fame, soprattutto nel terzo mondo. Non poteva mancare l’ineffabile Coop, che ha speso più di tutti: 12,4 milioni di euro per aggiudicarsi la qualifica di Official Food Distribution Premium Partner. Mica pizza e fichi, la qualifica consente di allestire all’interno dell’ambito fieristico uno spazio espositivo denominato Il supermercato del futuro.
Quanto alla comunicazione si sa, giornali e televisioni puttane sono, puttane restano e da puttane si comporteranno. Ce n’è per tutti: 5 milioni di euro per mamma Rai, 2 a Feltrinelli, 850mila euro a Mondadori, mezzo milione a Corriere della Sera e Repubblica, poco meno per Ansa, e poi a scendere Mediaset, Tm News, Il Sole 24 Ore, Il Foglio, Il Giorno. Seguono altri in ordine sparso, e non siamo al Giro d’itaGlia, senza dimenticare che 55 milioni sono già stati asssegnati a vari media nazionali in una operazione che puzza palesemente di investimento mirato a comprare un miglioramento nell’immagine di Expo dopo i tanti scandali. Giusto per dovere di cronaca: non è stata indetta nessuna gara d’appalto.
E con questo il rigore giornalistico nel denunciare eventuali nuovi scandali nell’organizzazione è garantito. Possiamo stare sereni.Cesec-CondiVivere 2015.03.26 Expo 003La grancassa mediatica ha sempre parlato, addirittura, di 100mila posti di lavoro. Si, come il milione di quelli berluscoidali… addirittura 102mila secondo una ricerca dell’Università Bocconi. A quanto pare gli unici ad aver trovato da lavorare durante l’Expo sono coloro che hanno accettato di farlo gratis: un esercito di oltre 16mila volontari, rimborsati con un buono pasto al giorno. E qui, ci dispiace dirlo, ma chi vuol esser schiavo sia…
Gli assunti regolari da parte dell’organizzazione sono solamente 793, con contratti a termine per la durata della fiera e con salari tra i 400 e i 500 euro mensili.
Però qualche vantaggio l’Expo lo ha comunque portato, alle imprese che hanno cementificato selvaggiamente, infierendo l’ennesimo colpo al già devastato territorio lombardo: 1.700.000 metri quadri di superficie per gli stand, 2.100.000 per strutture di servizio e supporto sull’area ex Alfa Romeo di Arese, opere ricettive per un fabbisogno stimato di 124.000 posti letto al giorno, realizzazione della terza pista a Malpensa e collegamento diretto Malpensa-Fiera, parcheggi presso il sito Expo e in corrispondenza di nuovi centri di interscambio, nuove tangenziali per Milano, Pedemontana e BreBeMi per complessivi 11 miliardi di investimenti per progetti già completati o in corso di realizzazione. Un’immane opera di smantellamento del patrimonio agricolo lombardo, destinata a segnare per secoli quella che un tempo era una delle pianure più verdi d’Italia.
Però ci saranno il laghetto circondato da prati e un nuovo naviglio che farà assomigliare tutto alla Venezia di Las Vegas. Non è vero: a tutt’oggi pare che il lago non vedrà mai la luce, mentre per quanto riguarda i nuovi navigli si stanno ancora cercando i soldi.
Se, inoltre, a un soggetto come Vittorio Sgarbi sono stati versati quasi due milioni per imprecisati progetti culturali, alla bolognese Best Union, strettamente collegata a Comunione e Liberazione è stata attribuita la vendita in esclusiva dei biglietti on-line. Ovvio, senza gara… ma che domande fate?
Per quanto riguarda il magistrato Raffaele Cantone, nominato come commissario straordinario anticorruzione quando i buoi erano già scappati, ha certificato anche grazie alla collaborazione della DNA, l’antimafia, come ben 46 aziende collegate alla malavita, 32 delle quali affiliate alla vera padrona di Milano, la ‘ndrangheta, siano riuscite ad aggiudicarsi appalti per oltre 100 milioni di euro.Cesec-CondiVivere 2015.03.26 Expo 004E se è vero che i posti di lavoro direttamente creati dall’Expo saranno solo una manciata e mal retribuiti pare però che migliaia ne arriveranno dall’indotto, tra bar, hotel, cooperative di costruzione, eccetera e sino alle immancabili slot. Sarà… fatto sta che per ora l’unico settore che incrementerà i propri guadagni sarà quello della prostituzione. Secondo un’inchiesta del Corsera saranno addirittura 15mila le professioniste del sesso a pagamento che sbarcheranno a Milano per allietare le pause dei milioni di turisti previsti per l’evento. E anche in questo caso, ovviam,ente, ci sarà lo zampino della malavita.
Bene, questo è quanto. Sono alcuni anni che ne parliamo, per la precisione da quando Milano presentò la propria candidatura. Siamo stati trattati da cinici e retrogradi profeti di sventura, esattamente come il mondo della politica e degli affari ha trattato i vari comitati territoriali che si sono opposti all’Expo.
E parliamoci chiaro: associazioni, comitati di quartiere, centri sociali, intellettuali (quelli non mancano mai) non servono più a niente. Dovevano svegliarsi prima, rischiando e battendosi come hanno fatto i Valsusini contro la TAV, non secondo la protesta alla milanese: a chiacchiere e spritz da Radetzky o al Rosmarino.

Alberto C. Steiner

NemicoPubblico. Pecorelle, lupi e sciacalli.

Non sempre le ciambelle riescono col buco. In questo caso nella montagna, per realizzare un’opera inutile, costosissima e suscettibile di creare notevoli danni ambientali e alla salute pubblica.
Ma sbattere il mostro in prima pagina funzionava all’epoca della carta stampata e funziona ancora meglio grazie a televisione, internet, social. Funziona grazie all’incapacità di discernimento, con sempre maggiore successo indotta da chi le notizie non le riferisce ma le monta per creare flussi di opinioni e, spesso, distogliere l’attenzione dalle questioni reali generando falsi obiettivi, clima di paura, nemici inventati di sana pianta.

La copertina del libro NemicoPubblico. Pecorelle, lupi e sciacalli

               La copertina del libro NemicoPubblico. Pecorelle, lupi e sciacalli

E’ il caso del bel libro NemicoPubblico. Pecorelle, lupi e sciacalli pubblicato da Spinta dal Bass, il movimento NoTav che da anni lotta in Valle Susa per contrastare la realizzazione della linea ferroviaria ad alta velocità Torino – Lione.
In 107 pagine scritte a più mani l’analisi di un attacco mediatico in piena regola che è riuscito a creare ad arte il “mostro” per distogliere l’attenzione dalla lotta alla TAV che, nel 2012, stava riscuotendo simpatie e solidarietà in tutta Italia. Una manovra subdola e perfettamente riuscita che seppe smuovere gli istinti più bassi e beceri degli itaGliani, annebbiando le loro già scarse e residue capacità di analisi e critica sui movimenti sociali e sui meccanismi di manipolazione dell’opinione pubblica.
Una spirale di “informazione” che sacrificò intenzionalmente l’obiettività alla soggettività, mostrando la parte decontestualizzata anziché il tutto. Un vortice gelatinoso che fagocitò tutti tanto da riuscire ad imporre senza coercizione quello che alla fine si configurò come un pericoloso pensiero unico. Nel vortice caddero tristemente anche la maggioranza degli operatori dell’informazione, compresi quelli della cosiddetta sinistra progressista, che con differente livello di intenzionalità e consapevolezza scelsero di amplificare l’eco di una non-notizia, a scapito della verità.
NemicoPubblico, il libro notav che ha fatto infuriare politici e magistrati, è liberamente scaricabile in formato Pdf dal sito spintadalbass, gratuitamente ma con un’avvertenza: “Tenete presente che pur essendo scaricabile e da far girare liberamente “una mano sul cuore e una sul portafoglio” per le spese legali sono ben accette“.

Alberto C. Steiner

Montagna: giovani imprenditori, attenti ai nuovi camminanti!

Ancora oggi la montagna sa essere ostile come e forse più del mare: il suo territorio è un contesto complesso e pericoloso, non agevole quanto a comunicazioni specialmente durante l’inverno, duro da lavorare anche per l’impossibilità di utilizzare mezzi meccanici. In cambio di molta fatica la resa può essere scarsa. Il senso di isolamento, infine, ha fatto sì che nei decenni scorsi le montagne si spopolassero o, in alcune località, si trasformassero in isole per sport invernali che non solo nulla avevano a che fare con la cura del territorio, ma che contribuivano anzi a violentarlo: innumerevoli sono gli esempi di scempio condito da folclore, slavine, inquinamento, traffico, agenzie immobiliari, impianti di risalita e cannoni sparaneve devastanti.Cesec-CondiVivere 2015.03.13 Montagna 004Pur sapendo che il loro cammino sarà faticoso e che troveranno ostacoli di ogni tipo, molti giovani imprenditori stanno però tornando alla montagna, colpiti da quell’unicità che vi hanno saputo cogliere e dalla possibilità di dare vita ad un sogno.
Disillusi da una crisi economica che fa guardare di nuovo alla terra non tornano però semplicemente  all’agricoltura o all’allevamento ma inventano forme miste in cui turismo, valorizzazione e benessere costituendo alternative interessanti all’essere dei semplici coltivatori o allevatori. Giovani iperconnessi, consapevoli di quanto la comunicazione e la valorizzazione di prodotti e servizi siano dimensioni concrete quanto la natura che li circonda, avendo ben presente che il territorio montano costituisce il 43% della superficie nazionale.Cesec-CondiVivere 2015.03.13 Montagna 001Questi ragazzi sono spesso laureati in agraria, veterinaria, biotecnologie, economia, ingegneria, nessuno in filosofia o scienze politiche. Riconsiderano la montagna per dare avvio ad attività nel settore agro-ambientale sapendo che non sceglieranno un esilio nel quale gli unici clienti saranno i pochi sopravvissuti all’esodo urbano ma, consapevoli di strumenti e tecnologie che aiutano a costruire una storia intorno al prodotto, ne valorizzano l’origine per farlo conoscere oltre i confini del singolo paesino.
Oggi racconto le storie di alcuni di questi startupper pionieri che hanno saputo trasformare in valore ciò che è percepito come marginale .Cesec-CondiVivere 2015.03.13 Montagna 002Parto da quella che mi piace di più: Stefania Savardi, titolare, in una piccola fattoria nei pressi del lago di Iseo a Solto Collina, dell’azienda agricola L’Asino del Lago, specializzata nella produzione di cosmetici ipoallergenici a base di latte d’asina e erbe officinali. Interessante in questo caso il concetto di multifunzionalità dell’azienda, costruita intorno all’asineria e attiva non solo per la produzione alimentare e cosmetica ma anche come fattoria didattica e centro di pet-therapy. È importante sottolineare come in questo caso sia fondamentale acquisire competenze specifiche sia nell’ambito dell’allevamento che della coltivazione in territori collinari-montani, luoghi che spesso vedono una frammentazione dei pascoli e terreni. Quest’ultimo aspetto risulta di fatto vantaggioso perché la verticalità del contesto aiuta a sfruttare climi diversi per coltivazioni ed esigenze di pascolo diverse.
A seguire Valentino Bonomi: ritorna alla montagna, dove era nato e cresciuto vicino a Edolo, dopo aver studiato economia a Milano. Diventa uno dei primi laureati dell’Università della Montagna e prende in mano l’azienda agricola di famiglia, concentrandosi soprattutto sull’allevamento di capre che permettono una produzione di formaggi e derivati di qualità nel caseificio annesso. All’attività dell’agriturismo, si affianca anche quella di fattoria didattica e vendita diretta di formaggi, salumi e marmellate prodotte in loco.
E poi Marco Tacconi, fondatore di Terraxchange, iniziativa di riqualificazione di terreni incolti che, tramite una piattaforma di annunci online, mette in contatto proprietari e appassionati orticoltori con la voglia di far tornare queste friches (come le chiamerebbe l’architetto paesaggista Gilles Clement) di nuovo produttive. Si tratta di una riqualificazione funzionale ed estetica, destinata a ridare vita e forma a piccoli appezzamenti che prima producevano solo erbacce. Nella maggior parte di casi, il pagamento per la gestione del terreno avviene attraverso la concessione al proprietario di una parte dei prodotti coltivati.
Ed infine Andrea Campi, cuoco e imprenditore dell’Osteria al Dosso di Aprica, che ha messo in piedi la Snood Kitchen per unire le sue due passioni: snow, la neve, e food, il cibo. Ha trasformato un gatto delle nevi in una vera e propria cucina professionale mobile capace di funzionare in condizioni estreme, con il quale intercettare una fetta di mercato costituita da un target giovane, attento alla qualità ma anche al prezzo, che in orario di pranzo si trova sulle piste da sci e non certo al ristorante. Snood Kitchen li raggiunge sulle piste, proponendosi anche come punto di ritrovo e intrattenimento: oltre al cibo, mette a diposizione consolle per dj, hotspot wifi e punto di ricarica per i cellulari. E, considerando la scomodità di pagare in contanti in abbigliamento da sci, Andrea ha studiato un pratico pagamento tramite rfid-tag che permette di caricare del credito nel proprio chip, oltre a promozioni per i clienti più affezionati.
Punto di contatto tra queste 4 storie, i loro protagonisti. Tutti laureati dell’Università della Montagna, l’ateneo che offre corsi di laurea triennale in Valorizzazione e Tutela dell’Ambiente e del Territorio, unici in Italia per la specificità di strumenti e conoscenze che offre.Cesec-CondiVivere 2015.03.13 Montagna 005Ed ora il rovescio della medaglia, nell’ottica di quel medioevo prossimo venturo del quale non mi stancherò mai di parlare. Sono già centinaia, ed anch’essi fuggono dalla pazza folla per riconquistare una dimensione bucolica. In campagna però, forse perché in montagna fa troppo freddo. Sono quelli dei centri sociali. Mentre i montanari lavorano, hanno raccolto le loro avventure in un libro, che già dal titolo fa incazzare: Genuino e clandestino, edito dall’ineffabile ecochic Aam Terra Nuova, dove tengono a precisare che vi si narra della fuga in campagna di dieci famiglie in stile hippy per attuare la sfida dei nuovi contadini anarchici. Clandestino? Anarchici? Non hanno ancora capito che la terra non vuole politicanti, la terra, anzi Madre Terra, ti spacca la schiena.
Battaglia in difesa della terra e nascita di una rete che si batte per coltivare e distribuire prodotti sani al giusto prezzo, affermano. Duri e puri finché dura insieme impastano il pane, zappano, arano coltivi, seminano, curano viti e frutteti, governano animali lottando contro le leggi insensate che stravolgono la cultura della terra, contro la burocrazia. Conducendo battaglie importanti come quella per il prezzo sorgente perché il prodotto non possa essere rivenduto sul mercato a 20-30 volte quel che è stato pagato al contadino. I clandestini si sostengono tra loro con una rete di 21 siti di coordinamento locale e gruppi d’acquisto da Torino a Matera, da Vicenza a Napoli, passando per l’Emilia, le Marche, la campagna romana e l’Aspromonte calabro, fino alle pendici etnee. Iniziativa encomiabile, almeno nelle premesse, ma la prima domanda che sorge è: a che titolo occupano le terre che desiderano far rinascere? Le okkupano? Se le fanno assegnare da qualche carrozzone socialpolitico in qualche modo legato alla tetta del terzo settore?
No, chiariamo il concetto: chi non paga il costo del terreno, chi non sta pagando un mutuo, si mette in una posizione di vantaggio sleale nei confronti degli altri. Inutile poi farsi belli, equi e solidali!
Lo so, sarò limitato e politicamente scorretto ma, a mio avviso, i migliori difensori della terra e della montagna, anche sotto il profilo legislativo, rimangono quelli che la vivono attraverso la consapevolezza della tradizione e del lavoro, non i fighetti ecochic dell’orto urbano e della cascina cuccagna, o che per una volta hanno spollonato l’uliveta in un centro di meditazione.
Fra gli obiettivi di questa nuova comunità c’è quello di “costruire un movimento che metta assieme i lavoratori precari della città con i lavoratori precari della campagna”. A posto siamo.
Date le radici ben piantate nella cultura dei centri sociali non prescindono dall’impegno ambientalista e politico: “La storia e le realtà del movimento sono storie di resistenza contadina in nome della terra come bene comune” affermano, sforzandosi per creare mercati di vendita diretta, momenti di “scambio di saperi, sapori e informazione” conditi da sfide per “rivendicare il diritto alla sovranità alimentare, alla difesa della terra e dei territori”. Sfide? A proposito di sfide, vi siete portati la vanga o solo i libri che parlano della Boje?
Nessun portavoce, niente strutture gerarchiche, solo un manifesto di principi condivisi che punta a saldare un’alleanza tra i neo contadini anarchici e i consumatori, per evitare le trappole dell’agrobusiness e di una green economy, verde solo nella facciata. Una rete sociale e ambientale, dunque, che produce il cibo e l’etica del cibo di domani. Perché mangiare bene, sano e al prezzo giusto è la nuova battaglia da vincere. In difesa della terra.
Naturalmente la RIVE, Rete Ideologica Villaggi Ecomagici, ci ha messo lo zampino e il patrocinio.
Qualcuno ce la farà, ma temo fortemente che i numerosi falliti costituiranno l’embrione dei nuovi camminanti, ma ben più pericolosi dei loro antenati: una nuova società di predoni che non si limiterà a vagabondare di villaggio in villaggio vivendo di lavoretti, piccoli furti e carità.
Che nei centri sociali e nei vari collettivi universitari vi fossero centinaia di braccia rubate all’agricoltura era un fatto noto: vedo con piacere che l’agricoltura se ne sta riprendendo qualcuna… Mi auguro solo che vivano del proprio lavoro, felici e contenti. E senza pesare su Pantalone quando si renderanno conto che con natura e stagioni non puoi sovvertire le regole. La natura non è anarchica, per farla produrre ci vuole fatica attenendosi scrupolosamente alla realtà, e se non sapranno gestirla non potranno dar colpa alla polizia e ai suoi manganelli. Staremo a vedere fino a quanto durano e cosa produrranno, possibilmente senza incentivi gratuiti.Cesec-CondiVivere 2015.03.13 Montagna 003E che non si sognino, almeno dalle mie parti, di venire a predare. Sappiamo già come accoglierli.

Alberto Cazzoli Steiner

Reventino: la gente dice no all’eolico

Ben pochi sono gli italiani consapevoli di quanto siano elevati siano i danni causati dagli impianti eolici a paesaggio, ambiente naturale, all’avifauna rispetto al loro marginale contributo energetico, e in nome di non meglio definite magnifiche sorti e progressive nessuna eco giunge al pubblico della tragedia che si sta abbattendo sulle nostre bellezze naturali.Cesec-CondiVivere 2015.01.08 Eolico Reventino 001Il massiccio montuoso calabrese del Reventino rappresenta il prolungamento occidentale della Sila Piccola ed è oggetto di uno degli innumerevoli progetti eolici che interessano il Sud. Ma la comunità locale non ci sta e a Platania, comune in provincia di Catanzaro, ha costituito il comitato contro l’istallazione degli impianti eolici sulla dorsale del Reventino.Cesec-CondiVivere 2015.01.08 Eolico Reventino 002L’assemblea ha manifestato la volontà di opporsi al progetto che devasterà irreversibilmente il territorio arricchendo peraltro le solite imprese che, come con i rifiuti e l’acqua, hanno ben compreso che mettere le mani sulle cosiddette fonti alternative e rinnovabili vuol dire accaparrarsi una fetta consistente di mercato a discapito della salvaguardia del territorio e della salute umana.
I numeri, oltretutto, giocano a favore del buon senso: nel 2013 la Calabria ha prodotto un esubero di energia elettrica del 66% (dati Terna) e la gente si chiede pertanto che senso abbia realizzare impianti eolici che non porteranno giovamenti alle comunità locali, costrette anzi a pagare sulla bolletta Enel denaro che servirà solo a garantire l’esistenza di questi ecomostri.Cesec-CondiVivere 2015.01.08 Eolico Reventino 003Oltre ai rischi ambientali sussistono inoltre minacce alla salute, essendo da anni conclamata nella Pietra Verde del Reventino la presenza in percentuali significative di tremolite-actinolite, vale a dire di asbesto. La realizzazione di decine di pale eoliche comporterebbe sbancamenti e scavi di fondazioni interessanti proprio le aree dove è presente la pietra, esponendo lavoratori ed abitanti al rischio di contrarre tumori.
Il comitato si è espresso a favore di uno sviluppo del territorio che salvaguardi ambiente e paesaggio, valorizzando forme di autoproduzione delle comunità locali ed economie alternative per contrastare il saccheggio di risorse.
Il comitato porterà le proprie ragioni in assemblee itineranti che attraverseranno tutti i territori e le comunità interessate, per sviluppare forme di coinvolgimento attivo attraverso la partecipazione cosciente dal basso.

ACS