Vieni a vivere con me?

Sembra che presto, unitamente al defibrillatore, tra la strumentazione salvavita delle unità mobili di rianimazione troverà posto una pulsantiera da ascensore.
Nelle intenzioni del legislatore dovrebbe essere di ausilio negli stati di choc conseguenti ad attacchi di panico: avete presente quegli orribili minuti che si dilatano nell’immensità verticale tra il pianterreno ed il settimo di un qualsiasi condominio in forzata compagnia del vicino che, ne siete certi, ha votato contro la rastrelliera per le biciclette a favore dell’impianto di videosorveglianza? Oppure quel greve silenzio riempito solo da un borbottato buongiorno mentre l’occhio, anziché sorridere alla vicina, è inchiodato sulle modanature satinate che rinserrano lo specchio o, per l’appunto, sulla pulsantiera?
A me non accade, in primo luogo perché dove abito l’ascensore non c’è ed inoltre perché attacco bottone con chiunque, nelle situazioni più impensate. Ma posso comprendere.
La sindrome dell’ascensore, quindi. Che la pulsione alla sperimentazione di nuove forme abitative nasca proprio da lì?
Come per i sacchetti di plastica, nulla si crea e nulla si distrugge… in questa era postmoderna l’idea di vivere in comune torna ad occupare il panorama sociale. Tutto però si trasforma: dimenticati gli echi rivoluzionari e venute a noia le seduzioni dell’amore libero, la nostra anima è oggi tutta per emozioni suscitate da termini quali solidarietà, ecosostenibilità, integrazione assistita, decrescita felice.
La neo tendenza (c’è sempre un neo, da qualche parte…) a coabitare ha da qualche anno accelerato la propria curva di crescita: perché più che a una casa aspiriamo ad un ecosistema, perché siamo cuori verdi bio, perché siamo cuori grandi e la famiglia non ci basta, perché siamo cuori allegri e stare da soli… uff che noia.
Evviva le neocomuni quindi ma, come faceva dire il Manzoni al cancelliere Ferrer, si puedes y con juicio e facendo ricorso all’iniziativa privata, senza aspettarsi che la manna cada dal cielo, senza associarsi, consociarsi o avvilupparsi a qualche carrozzone politico che promette, illude per tornaconto, non fa crescere ed alla fine si rivela come il carro di Mangiafuoco: luccicante di lumi ma pronto a trasformare tutti in ciuchi.
I fatti lo dimostrano: le 26 iniziative censite a fine 2012 risultano essere oltre 200 alla fine dello scorso mese di settembre, ma molte di queste non sono associate alla RIVE, non compaiono sui social, non si aspettano che nessuno assegni loro alcunché. Individuano una cascina o un gruppo di case in un borgo abbandonato, studiano la fattibilità dell’intervento, mettono mano al portafogli, contraggono un mutuo e partono con la cantieristica affidandosi all’autocostruzione integrata dall’aiuto di professionalità specifiche, in particolare per quanto riguarda la statica, l’ambito energetico e gli aspetti tecnico-finanziari.Cesec-CondiVivere 2014.10.20 Ecovillaggio 005Ed anche il fattore tempo è dalla parte dell’iniziativa privata: tre anni costituiscono la durata media del periodo che va dall’idea alla consegna degli immobili, mentre nell’ambito dell’ortodossia ecosocialsostenibile non è raro trovare gente che dopo un decennio non ha ancora deciso che nome darsi.
Non è la prima volta che lo scrivo: molti hanno iniziato a comprendere che la consapevolezza passa anche dal mollare quelle sovrastrutture denominate ideologie e nel guardare alla concretezza. Per crescere insieme dopo che ciascuno ha iniziato a crescere da solo, lasciando perdere utopie, sogni, fantasie fuori contesto o di dubbia realizzazione e rivendicando ciascuno, pur in un ambito solidale, le proprie autonomie ed i propri spazi.
Soprattutto rifuggendo da quella modalità che vorrebbe annientare l’individualismo mettendo tutto in comune, soprattutto il denaro riconoscendo di fatto solamente la paghetta mensile anche a chi opera esternamente all’ecovillaggio e porta alla casa comune lo stipendio. Obbligato a sottostare ad una decisione collettiva che suona come un processo pubblico anche qualora trattasi di acquistare un minipimer per casa propria.
Questa vera e propria logica della setta (sicuramente più vantaggiosa rispetto a quella dell’Opus Dei: qui si parla di mancette variabili da 50 a 200 Euro mensili, ai nipotini di Josemaría Escrivá ne spetterebbero solo 30) permea molte vicende, ed è quella propugnata da certi aggregati portati ad esempio da quella specie di bibbia dell’ecovillaggista che è Ecovillaggi e cohousing, dove sono, come farne parte. Fortunatamente ha fatto il suo tempo, riscuotendo ormai credito solo presso alcune fasce di militante marginalità attanagliata dal male di vivere.
Questo scritto costituisce l’ideale seguito di Ecovillaggi, la rivoluzione silenziosa pubblicato in questo stesso Blog il 13 ottobre scorso.Cesec-CondiVivere 2014.10.20 Ecovillaggio 002Tra le motivazioni che portano a voler vivere in cohousing, e più ancora in ecovillaggio, non vi è solo il desiderio di una vita più ecosostenibile orientata verso un paradigma differente, una maggiore coerenza con una visione realmente ecologica ed olistica dell’esistenza. Autoproduzione, economia condivisa nello scambio ed attraverso il mutuo sostegno, consumo consapevole ed attenzione all’alimentazione nel rispetto delle diversità per chi vuol essere onnivoro, vegetariano, vegano, uno stile di vita naturale ed essenziale sono tutte nobili motivazioni, ma nascono da ben altre e più profonde, vale a dire da un vero e proprio processo di cambiamento interiore.
Detto in altri termini: nascono quando si diventa Consapevoli, Risvegliati, Guerrieri.
Decidere di vivere in un cohousing o o in un ecovillaggio non significa semplicemente metter su casa nel verde, ma ricercare primariamente un’armonia interiore attraverso un percorso di risveglio che coinvolge i piani psicologico, energetico, emotivo, relazionale, pratico ed economico legati ai concetti di sostentamento e sopravvivenza.
Tanto è vero che non ci si arriva improvvisamente, bensì attraverso un graduale percorso di crescita i cui primi segnali sono costituiti dal senso di smarrimento, frustrazione, sofferenza per come l’essere umano sia capace di condizionare se stesso distruggendo e danneggiando gravemente la Natura. Condizionamenti, menzogne, assuefazione alla violenza, egocentrismo che vengono sentiti come obsoleti e distruttivi.
Rabbia e frustrazione portano a cercare informazioni valicando quei canali ufficiali che mantengono le persone nel senso di inferiorità, di asservimento a bisogni indotti, di impotenza e paura.Cesec-CondiVivere 2014.10.20 Ecovillaggio 003Ad alcuni prende l’illusione di denunciare e controinformare, salvo scoprire che anche nell’attivismo socio-politico apparentemente più genuino si nascondono truffe e truffatori. Ad altri non par vero di aderire a gruppi, movimenti, associazioni che accogliendo amorevolmente propugnano l’ecosostenibilità, salvo scoprire che sono delle sette, e che esistono funzionalmente a una casa editrice, un marchio, una catena di ditribuzione o tutte queste cose insieme, oltre che per aprire tavoli ed organizzare convegni fruendo di fondi pubblici drenati da quel sistema che tanto denigrano.
Chi sfugge a tali ennesime sovrastrutture, illusorie bandiere di un conformismo dell’anticonformismo, inizia a pensare non già a come fare per cambiare il vecchio, bensì a come dare alimento al nuovo. Il vecchio, non più nutrito,  morirà per inedia…
Inizia quindi a ricercare soluzioni reali per sè e per la propria famiglia, più o meno allargata ad amici e conoscenti sintonici con quel modo di sentire e pensare.Cesec-CondiVivere 2014.10.20 Ecovillaggio 001Da soli o in gruppo si va a vedere questo o quel villaggio abbandonato, ed intanto tempo e situazioni contribuiscono a scremare chi vive l’esperienza come socializzante gita in campagna od occasione per l’ennesimo imbonitorio blabla. E si passa ad una fase di profonda introspezione mettendo in discussione se stessi e le proprie scelte, non guardando più all’esterno accusando e giudicando. E parafrasando la storica frase pronunciata da John Kennedy il 20 gennaio 1961: Non chiedete che cosa il vostro paese può fare per voi, ma cosa voi potete fare per il vostro paese, si inizia a domandarsi cosa realmente sia possibile fare per se stessi.
Partendo quindi dal sé, per sè e per i propri cari e non più per un evanescente collettivo, si cessa di sentirsi una marionetta, una vittima lamentosa, iniziando ad ascoltarsi per seguire concretamente ciò che si desidera, ad essere per primi quel cambiamento che si desidera per il mondo.
Abitudine, comodità, resistenza al cambiamento, paura del giudizio, timore di non farcela o di ripercussioni da parte del sistema, depressione, fissazione su pensieri di fallimento, ansia dell’incertezza sul futuro scompaiono insieme con la desuetudine ad affidarsi al proprio intuito, alla scarsa stima di sé, ai condizionamenti religiosi, culturali e familiari passivamente subiti per secoli.Cesec-CondiVivere 2014.10.20 Ecovillaggio 004Ci si rende conto di essere Cocreatori della realtà e non si ha più voglia di perder tempo attendendo che la maggioranza si decida. E nemmeno di interagire con essa, nella finalmente maturata consapevolezza che c’è chi è nato per essere libero e chi per essere schiavo e che tutto dipende dal singolo, un singolo che si è fatto la propria rivoluzione armonizzando le parti in conflitto per agire verso un radicale cambiamento della realtà esterna generando armonia intorno a sé, senza più proiettare all’esterno tensioni interiori o timori.
E si arriva così alla creazione del nuovo, scoprendo che anche nel quotidiano ancora urbano si tende a frequentare persone che vedono l’essere umano come Anima incarnata connessa con il Tutto, attratte dall’idea di coltivare orti e frutteti, di affondare le mani nella Terra con la consapevolezza che può contribuire a fornire il sostentamento necessario nella connessione profonda con gli elementi naturali, ma soprattutto con il proprio Centro. E si arriva così all’autoproduzione, magari iniziando dal terrazzo o dal giardino di casa, al mutuo sostegno, alla creazione di reti di scambio di prodotti, tecnologie, lavoro, competenze e risorse. Scoprendo infine che è possibile vivere, e vivere bene, risparmiando drasticamente sui costi della vita e, diventando sempre più indifferenti ai prodotti delle multinazionali, costituire una società parlallela ecosostenibile e alternativa. Ma soprattutto creattiva.

Alberto C. Steiner

Ecovillaggi, la rivoluzione silenziosa

Cresce in Italia la voglia di cohousing e di ecovillaggio.
E molti sono sommersi, nel senso che non si pubblicizzano sui social, non aderiscono alla Rete Italiana Villaggi Ecortodossi. I loro promotori non ne hanno bisogno, specialmente da quando hanno provato a partecipare a corsi che avrebbero dovuto spiegare cose concrete e si sono ritrovati tra scambi reiki e danze sacre di Gurdjieff, fra gente che non aveva la più pallida cognizione del lavoro se non inteso come sfruttamento, e che a furia di cerchi di condivisione passava più tempo seduta in terra a cianciare che sui ponteggi. Tra filosofi piuttosto che fra ingegneri e carpentieri.Cesec-CondiVivere 2014.10.13 Ecovillaggio 002I nuovi cohousing ed ecovillaggi nascono da gruppi di amici che decidono di fare insieme una scelta senza cappellini ideologici in testa o sponsor dall’ecopedegree. Senza tante chiacchiere né aspettarsi che qualcuno assegni o conceda loro alcunché si guardano attorno, scelgono un appezzamento o un villaggio abbandonato, mettono mano al portafogli e comprano, sputandosi sulle mani ed impugnando la vanga o la mazzetta, e lavorando, ristrutturando.Cesec-CondiVivere 2014.10.13 Ecovillaggi 001Nel frattempo continuando a fare chi l’idraulico, chi l’avvocato, chi la cassiera, chi la mamma e via enumerando.
Tempo medio tre anni, mentre nell’ambito dell’ortodossia ecosocialsostenibile non è raro trovare gente che dopo un decennio non ha ancora deciso che nome darsi.
Finalmente molti hanno iniziato a comprendere che la consapevolezza passa anche di qui: nel mollare quelle sovrastrutture denominate ideologie e nel guardare alla concretezza. Uomini e Donne del Fare, per crescere insieme, ma solo dopo che ciascuno ha iniziato a crescere da solo.Cesec-CondiVivere 2014.10.13 Ecovillaggi 003E’ così che nascono e si sviluppano le motivazioni che conducono al desiderio di una vita più ecosostenibile, naturale ed essenziale, alla voglia di una scelta di vita orientata verso un paradigma differente, una visione realmente ecologica ed olistica dell’esistenza. Autoproduzione, economia condivisa nello scambio e mutuo sostegno, consumo consapevole ed attenzione all’alimentazione nel rispetto delle diversità: chi vuol essere onnivoro, chi vegetariano, chi vegano.
E che questa nuova visione sia vincente la dimostrano i numeri: alla fine del 2012 i progetti di ecovillaggio avviati e visibili erano 26, a settembre di quest’anno sono oltre 200.

ACS

Agriturismo, anche no.

In ragione della mia attività professionale mi occupo di immobili ed appezzamenti di terreno suscettibili di essere interpretati nell’ambito di una visione agroalimentare, ricettiva, didattica o del cohousing rurale. Se fino a ieri non avevo alcuna ritrosia ad inventare soluzioni o progettare attività nel comparto agrituristico, oggi tendo a dissuadere clienti ed investitori che sento non particolarmente forti nell’intento dall’imbarcarsi in tale avventura, in particolare se neofiti e soprattutto se intendono acquistare un immobile ed un appezzamento di terreno appositamente per svolgerla.Cesec-CondiVivere 2014.10.08 Agriturismi anche no 002Non sono un benefattore e non vivo di prana, sia chiaro: semplicemente ritengo corretto non sottacere i rischi che inventarsi oggi tale lavoro comporta, soprattutto quello di essere costantemente presi a tirare la cinghia, non poter effettuare investimenti per restare al passo e quindi perdere terreno rischiando il fallimento. Preferisco consigliare altre opportunità, più remunerative del capitale investito e che consentano una maggiore serenità.
Non è più il tempo dello spontaneismo, bensì è piuttosto arrivato il momento delle attività polifunzionali riunite sotto lo stesso tetto da soggetti diversi, ciascuno con la propria specificità, sinergiche in un contesto pensato e progettato sulla base di una concreta analisi dei bisogni del territorio sul quale insisterà il nuovo insediamento. Ciò significa altresì che, se si vuole campare rivolgendosi al mercato, termine in un certo contesto assai vituperato ma unico giudice in grado di sentenziare se è possibile svolgere l’attività da tanto tempo sognata in modo da poterla sviluppare e consolidare, è più che mai necessario sceglierne con estrema attenzione l’ubicazione tenendo conto di numerosi fattori, in particolare di quelli logistici.Cesec-CondiVivere 2014.10.08 Agriturismi anche no 003Scrivevo il 28 febbraio scorso, in un articolo intitolato Come gestire una fattoria didattica, che secondo i dati Confcommercio-Confagri nel corso del 2013 sugli oltre 20mila agriturismi censiti ha cessato l’attività il 22% mentre il 16% risulta inoperante. Analizzando le aziende agricole in vendita giudiziaria ed i dati diffusi dalle numerose associazioni di categoria per superficie di terreno disponibile, tipo di coltivazioni o allevamenti, capacità ricettiva ed offerta di attività aggregate emergeva una constatazione: gli agriturismi che hanno chiuso erano prevalentemente alberghi di campagna con l’orticello, non aziende agricole che all’attività principale abbinavano la capacità ricettiva.
Poiché dal 2007 al 2012 la crescita degli agriturismi sembrava inarrestabile, ho voluto in quell’occasione riprendere un’indagine svolta da Agriturismo.it nel settembre 2012 su un campione di 310.000 persone e che aveva raccolto 2.778 risposte, rapportandola con una analoga svolta dall’Istat l’anno successivo, per sintetizzare un aspetto che si sta sempre più delineando nel mercato della ricettività agrituristica.
Per non appesantire il testo riporto esclusivamente i valori riferiti all’anno 2013, rimandando per nozioni più appprofondite ai siti agriturismo.it e istat.it .
Dal 53% degli intervistati l’agriturismo veniva percepito come un luogo dove trascorrere una o più notti piuttosto che come un ristorante con prodotti tipici, ed il 44% dei turisti rurali ricercava proprio l’ambiente familiare e l’ospitalità offerti dalle aziende agrituristiche. Nel 30% dei casi si ritenevano migliorate la percezione generale nei confronti dell’agriturismo e l’idea che potesse evolversi mantenendo lo spirito iniziale, pur se un preoccupante 34% lamentava menu banali e non legati al territorio ed il 24%, vale a dire quasi un quarto dei clienti, la poca chiarezza sui prezzi.
Tra le mete più gettonate calavano Toscana ed Umbria, rispettivamente dal 64% al 58% e dal 44% al 35% delle preferenze, mentre le altre restavano sostanzialmente invariate.
La crisi ha inciso sul 70% degli intervistati: nel 2007 il 69% andava in agriturismo almeno quattro volte l’anno, ma già nel 2009 solo il 54% dichiarava di soggiornarvi più di una volta, ed all’epoca dell’indagine lo faceva solo il 41 per cento, vale a dire che si è perso il 41% dei fruitori.
Nel frattempo si è elevata nel quinquennio l’età media degli agrituristi, registrando un forte aumento degli over 50 ed un sensibile calo degli under 35, che passavano dal 20 al 10% mentre i primi crescevano dal 30 al 39 per cento. Questo dato non sta a significare che l’agriturismo è una meta per vecchietti, piuttosto che tra gli under 35 risiede massimamente la fascia di coloro che hanno poco lavoro ed ancor meno denaro. Significativo infatti come gli over 50 siano caratterizzati nel 31% dalla minore attenzione al budget rispetto ai più giovani.
Che l’utenza invecchi lo dimostra anche il tipo di compagnia scelta per la vacanza: se nel 2007 il 67% privilegiava un partner anche occasionale, nel 2009 il 57% sceglieva decisamente il partner fisso ed oggi nel 65% preferisce soggiornare in agriturismo con tutta la famiglia, bambini compresi, che nel 55% dei casi hanno meno di 10 anni.
Ciò comporta che il 67% degli intervistati senza figli dichiari che preferisce evitare l’agriturismo, o quanto meno certi agriturismi, proprio per non ritrovarsi in un Kinderheim. Il dato sembra veritiero se gli stessi intervistati, rispondendo ad una domanda di verifica, dichiarano che preferiscono evitare, nel 56% dei casi, di trascorrere vacanze con amici che hanno figli, ma ciò non costituisce una novità: coloro che hanno figli tendono a frequentarsi tra loro per uniformità di tempi, argomenti ed esigenze.
Il cliente alberghiero e della ristorazione senza figli è tradizionalmente quello maggiormente disposto a spendere; l’abbandono di chi non ha figli, anche se non motivato da ragioni economiche, ma magari semplicemente perché portando il bambino a cavalcare nella fattoria sotto casa vi si trova bene trascorrendovi la giornata, costituisce pertanto un dato da osservare nella dinamica del fatturato degli agriturismi. Soprattutto considerando che numerosi pacchetti prevedono il soggiorno gratuito o semigratuito per i bambini, e che numerosi agriturismi hanno investito molto per attrarre famiglie con figli piccoli.Cesec-CondiVivere 2014.10.08 Agriturismo anche no 001Ma passiamo alle motivazioni: gli italiani scelgono l’agriturismo all’insegna del mangiar sano nell’84% dei casi e del risparmio nel 91%, mentre la possibilità di immergersi nella natura stimola il 38% degli ospiti anche se solo il 16% tende a provare un po’ tutte le possibilità offerte da questo tipo di vacanza: natura, enogastronomia, relax, attività olistiche per il benessere fisico e spirituale. Corsi ed altre iniziative proposte dentro e fuori l’agriturismo seguono a distanza, segno che chi le frequenta non le vive come una componente del pacchetto vacanza bensì come la ragione per recarsi nel luogo dove vengono tenute, indipendentemente dal fatto che si tratti o meno di un agriturismo.
Gli stranieri cercano invece nella vacanza in agriturismo la tranquillità (84%) e l’attenzione all’ambiente (79%) oltre che la possibilità di visitare attrazioni naturalistiche o storiche nei dintorni (36%) e svolgere attività nell’azienda (24%) comprese quelle legate all’agricoltura ed all’allevamento.
Italiane o straniere, le famiglie sono nel 48% dei casi  attente agli agriturismi che offrono un ambiente familiare e nel 38% spazi e attività dedicati ai bambini. Fra le attività possibili l’equitazione è quella preferita dal 34% degli intervistati mentre le altre seguono in ordine sparso.
I profili sin qui descritti non sono quelli dei trentenni con figli piccoli, bensì quelli dei 40-50enni: va tenuto presente che oggi i figli si hanno massimamente non prima dei trentacinque anni di età.Cesec-CondiVivere 2014.10.08 Agriturismi anche no 004Oggi l’agriturismo è scelto anche per festeggiare matrimoni, cresime e comunioni, purché situato in un contesto d’atmosfera e non lontano dalla città.
Nell’estate del 2013 sono stati 3 milioni gli italiani che hanno scelto di trascorrere almeno quattro giorni di vacanza in uno dei ventimila agriturismi, con una flessione del 17 per cento rispetto alle aspettative dei gestori.
I prezzi andavano dai 14 ai 27 euro per un pasto e dai 22 ai 49 per un pernottamento, con punte di 90 che riguardavano però resort assolutamente particolari. Un’analisi a campione da me svolta nello scorso mese di settembre su 109 insediamenti distribuiti fra Lombardia, Toscana e Umbria, Emilia, Veneto e Trentino Alto Adige mi ha fatto comprendere come i prezzi abbiano subito un incremento medio del 19 per cento con punte del 27 nelle province di Arezzo, Belluno, Bolzano, Brescia, Perugia e Verona.
Tornando all’indagine precedente, il 74% degli intervistati dichiarava di considerare eque tariffe giornaliere non superiori ai 36 euro comprensive di pernottamento e trattamento di mezza pensione.
Non va dimenticato che un importante indotto per l’agriturismo è rappresentato dalla vendita dei prodotti tipici: ortaggi ma soprattutto vini, formaggi, salumi e prodotti dell’artigianato locale. Ma anche in questo caso il calo delle vendite nel 2013 è stato del 39%, un abisso.
E quando finisce l’estate ci si prepara all’autunno, ancora clemente, e poi al freddo, mai amico.Cesec-CondiVivere 2014.10.08 Agriturismi anche no 005Se, secondo l’Istat, nel 2013 gli italiani hanno effettuato 63.154.000 viaggi e pernottamenti nazionali (-19,8% rispetto al 2012) e se gli agriturismi subiscono per forza di cose una sosta forzata almeno trimestrale, è chiaro come i dati delle frequentazioni e delle aspettative, parametrati ai costi, lascino intendere come l’attività di agriturismo non sia più da considerare remunerativa.
E i dati disponibili a fine settembre di quest’anno non incoraggiano: complice il tempo inclemente le aspettative estive dei gestori si sono concretizzate solo nella misura del 53 per cento. Un disastro. Di pari passo i contenziosi bancari per mutui o finanziamenti non pagati si sono incrementati del 29% in un solo quadrimestre; e l’ipotesi, per nulla irreale, che entro un anno un ulteriore quota di aziende possa chiudere e le proprietà finire nei canali delle vendite giudiziarie, dove peraltro le vendite del settore languono da anni per mancanza di acquirenti, è tutt’altro che remota.
L’unica possibilità di fare agriturismo rimane pertanto, a ben vedere, quella di abbinarla ad una reale attività agricola, agroalimentare o di allevamento costituente la fonte primaria di reddito. E ancora meglio se edifici e terreni sono di famiglia da generazioni, soprattutto se si è sorretti dall’ormai imprescindibile capacità di reinventarsi ogni giorno.
Come dire che siamo tornati all’ottocentesco detto toscano senza lilleri un si lallera? Temo sia così, in una visione non catastrofista ma soltanto improntata a maggiore consapevolezza: è meglio tenerli stretti, i lilleri, perché il tempo degli sprechi è finito. E’ arrivato il tempo di badare all’essenziale.
E questo vale a maggior ragione per chi intende aprire attività in territori impervi o di montagna non facilmente raggiungibili dai clienti.

ACS

Signora Hobbit: pittoresca la sua casa, ma lo sterco di cavallo non è il nostro materiale da costruzione preferito

Senza né luce né acqua corrente…
cesec,emmaorbach,hobbit,ecosostenibilità,cohousing…sulle pendici del Mount Carningli, nella contea di Pembrokeshire, a ovest del Galles, Emma Orbach, sessantenne, laureata a Oxford e madre di tre figli, ha mandato l’orologio indietro a un’esistenza quasi medievale e da 15 anni vive come un hobbit, in una capanna di fango a 15 minuti a piedi dalla strada più vicina. Figlia di un ricco musicista, la signora hobbit – così l’hanno ribattezzata i giornali – frequentò fin da piccola le scuole più costose e prestigiose del Paese, addirittura insieme con le figlie di Presidenti stranieri, per poi trasferirsi a Oxford e completare i suoi studi con una laurea in cinese. Qui incontrò il marito, storico dell’architettura. Per cinque anni vissero in una casetta a Bradford, ma presto si trasferirono in un casolare abbandonato vicino a Bath, dove sono nati e cresciuti i loro figli. Da lì entrarono in una comunità hippie, con altri genitori che piuttosto di fare la spesa nei supermercati lavoravano la terra.
Ma negli anni ’90

…arriva l’illuminazione e i due comprano 175 ettari di terreno per 150.000 sterline. “La mia vocazione era quella di immergermi totalmente nella natura e allontanarmi da tutte le interferenze moderne”, racconta Mr.s Hobbit, che però non fu seguita da tutta la famiglia: “Mio marito non è mai venuto a vivere con me e ci siamo separati. Mi sono resa conto che questa era la mia vocazione e non potevo chiedere al resto della mia famiglia di fare lo stesso. È stato normale aspettarsi che degli adolescenti non volessero vivere improvvisamente senza energia elettrica”. Perché una donna brillante e laureata arriva a scegliere una strada che può sembrare quantomeno drastica? “Da bambini, non siamo mai stati incoraggiati a concentrarci sulle cose materiali” continua Emma, “Ero solita giocare nei campi“.
Ha sempre amato i fiori e la natura

…”Io e mio fratello a volte mangiavamo i nostri pasti sugli alberi. È stato idilliaco. Ho avuto la vera libertà. Sono molto grata di non aver mai dovuto vivere la sensazione di aver fatto qualcosa solo perché tutti gli altri l’hanno fatta. Ho portato avanti questo principio. Oggi, tutto ciò che riguarda la mia vita mi rende felice. Svegliarsi in un bosco e guardare i bellissimi alberi, vedere le stelle e la luna, ho un rapporto molto stretto con il mondo naturale”. Per questo Emma ha deciso di vivere prendendo l’acqua da un ruscello, tagliando la legna, coltivando le sue verdure, curando i suoi animali (sette galline, tre capre, due cavalli e due gatti) e costruendo una capanna in stile hobbit fatta di paglia, fango e sterco di cavallo. E trascorre la propria esistenza in un luogo straordinario che lei chiama casa, dove ogni tecnologia moderna è bandita e la vita è a impatto zero, con i minor danni possibili sul pianeta. E’ possibile.
Fin qui la notizia, della quale riporto la fonte:
http://www.ilfattaccio.org/2013/01/25/la-signora-hobbit-la-donna-che-vive-in-maniera-quasi-medioevale-a-impatto-zero/.
Bello, diremmo, persino idilliaco, ma a mio sommesso avviso la signora Orbach qualora dovesse essere portata ad esempio, potrebbe esserlo di ciò che, oggi, appare fuori dal tempo e fuori dal mondo. Contenta lei contenti tutti, naturalmente.

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Tanto per chiarirci, chi scrive non si ritiene un ecosostenibile da salotto: non possiede televisore, radio, lettore cd, kindle e neppure – da tempo immemore – un’auto. Vive per la maggior parte dell’anno in una contrada di montagna ad oltre un’ora di marcia dalla strada asfaltata e dalla ferrovia, ritiene che non esistano erbe infestanti e per cucinare (utilizzando per quanto possibile vegetali locali coltivati o raccolti personalmente, nonché carne e uova del posto, poiché non ha voglia, in salita, di caricarsi le spalle come un mulo) sfrutta le proprie conoscenze termotecniche divertendosi a giocare con il calore residuo. Ma mai si sognerebbe di edificare una casa con la merda di cavallo. Piuttosto con paglia e terra cruda seondo una metodologia antichissima, tra l’altro antisismica in modo naturale, e dipingendo a calce e pigmenti naturali ricavati da erbe e bacche. Forse perché, quand’anche fosse nato in una famiglia ricca, non si sentirebbe di certo addosso il fardello di chissà quali sensi di colpa da scontare. Viva la Vita.

ACS

In Lombardia non si bonificherà più il territorio. Ope legis.

Solamente il quotidiano La Repubblica ha dato risalto, in un articolo pubblicato ieri, alla nuova legge regionale lombarda che, nell’ambito del governo del territorio consentirebbe disboscamenti selvaggi senza più obbligo di compensazione. Per il resto, dal Corriere della Serva al Geniale tutto tace, anche se il condizionale s’impone poiché non abbiamo ancora avuto modo di leggere il provvedimento sul B.U.R.L. e sappiamo quanto i giornali siano pressapochisti pur di fare notizia.
Il quotidiano riporta l’affermazione del prsidente regionale di Legambiente, che definisce il provedimento un regalo ai costruttori, e quella del consigliere regionale Carlo Malvezzi, NCD, che afferma: “E’ stato tolto un inutile balzello che frenava la crescita delle imprese” al quale fa da spalla Francesco Dotti, FDI, rimarcando come la nuova disposizione sia: “Un provvedimento importante per far ripartire l’economia“.Bosco lombardo, da: ilsostenibile.itNon entriamo nel merito di cultura, consapevolezza e lucidità mentale di chi avrebbere pronunciato siffatte affermazioni, ma ci sia permessa una breve chiosa prima di affrontare l’argomento che ci preme: operando nel settore, sul regalo ai costruttori abbiamo qualche riserva. Il tessuto imprenditoriale lombardo, nel comparto, è massimamente rappresentato da piccole imprese, spesso artigiane, che non sono quelle in grado di costruire mostri firmati da architetti di grido, finanziati dalle banche e che saranno rivenduti ad altre banche, e che rimarranno pressoché inabitati. I costruttori minori sono quelli che oggi hanno il respiro corto, con le banche che non li finanziano più, con i prezzi delle case scesi del 40 per cento. Sono quelli che ormai si propongono su Bakeca, e persino con bigliettini a strappo affissi alle fermate del tram, per rifare il bagno, pavimentare e persino imbiancare. Non è certamente a loro che è stato fatto il regalo.Oscenità urbane, da: milanofotografo.itPer quanto devastante sia la possibilità di abbattere alberi trentannali in montagna, e quindicennali in pianura, senza obbligo di compensazione, e per quanto folle sia l’apertura a gare di motocross ed escursioni in fuoristrada, a noi preme verificare ben altro aspetto. Già oggetto di un provvedimento legislativo, pare si annidi anche nelle pieghe di quello in argomento: una vera e propria agevolazione per quanto attiene alla bonifica dei suoli contaminati, d’ora in avanti lasciata alla facoltà di chi ne ha interesse, con mezzi a propria discrezione e presentazione finale di apposito certificato all’Arpa che si riserverà di verificare.
Una norma del genere, in sostituzione di quelle esistenti, per quanto lacunose, lascerebbe spazio al riuso di terreni contaminati, senza nessun controllo, con le immaginabili conseguenze.
Se così fosse non di agevolazione si tratterebbe, ma di licenza di uccidere. Questo è quanto ci preme verificare e, se del caso, contrastare.

Alberto C. Steiner

Rieccoli: dopo Sanremo ritorna il Treno Verde

Se è giunto alla sessantaquattresima edizione il Festival di Sanremo, non vediamo ragione perché non debba accadere anche per il Treno Verde, quest’anno alla sua ventiseiesima passerella su e giù per le vie (ferrate) dello Stivale.KL Cesec CV 2014.03.11 Treno Verde 002La campagna di Legambiente e Gruppo Ferrovie dello Stato Italiane dedicata al rilevamento dell’inquinamento atmosferico e acustico, pensata per informare, sensibilizzare e promuovere tra i cittadini le buone pratiche per una mobilità sostenibile ed affidata ad un treno di quattro vetture (età media 30 anni) è partita il 13 febbraio da Palermo e, dopo aver toccato Cosenza, Potenza, Caserta, Roma, Pescara e, domani e dopodomani Ancona, giungerà a Verona dove il convoglio non verrà attestato a Porta Nuova, bensì nella ben più intima Porta Vescovo. Il 20 marzo stazionerà infine a Milano Porta Garibaldi per concludere il tour, passando prima da Varese, a Torino dove potrà essere visitato dal 25 al 27 marzo.KL Cesec CV 2014.03.11 Treno Verde 001Durante le tappe il Treno Verde, grazie alla mostra interattiva ospitata a bordo dei suoi rotabili, incontrerà studenti, cittadini e amministrazioni per promuovere la qualità dei territori, l’innovazione nei centri urbani e l’attenzione negli stili di vita.
Il ministero dell’Ambiente, che si è recentemente aggiunto la specifica …e della Tutela del Territorio e del Mare (manca l’Aria ma ne comprendiamo la ragione; volete mettere, non sia mai qualcuno si metta a declamare cose turpi tipo: Ministeri di Terra, del Mare e dell’Aria!…) sostiene Treno Verde perché, come afferma il suo attuale titolare pro-tempore: “Riteniamo che sia un’iniziativa che diffonde un’idea di sostenibilità, dal punto di vista della mobilità, della produzione di energia e del modo in cui si vive il territorio, che corrisponde all’impostazione che abbiamo cercato di dare nel corso di questi mesi e che guarda all’Italia come a un Paese che ce la può fare se rivede profondamente il suo modello di sviluppo e se affronta la grande questione ambientale come un’occasione di modernizzazione” e, blablando chiosa circa l’importanza dell’accordo di programma sottoscritto per il bacino padano: “Accordo di grande importanza sul fronte delle emissioni, dell’attività agricola e dei trasporti, di cui abbiamo già siglato la prima tranche con le regioni interessate. Ora, è molto importante passare alla seconda fase dell’accordo di programma sull’inquinamento da Pm10 perché lì credo si debba affrontare il nodo della mobilità sostenibile e di come guardare al nuovo ciclo dei finanziamenti Ue, che partono quest’anno, come a un’occasione per sostenere il passaggio verso la mobilità sostenibile in particolare dalla gomma al ferro“.KL Cesec CV 2014.03.11 Treno Verde 003Come opporre obiezioni a cotanta ecobanalità?
L’amministratore delegato di Ferrovie Italiane, per non essere da meno dichiara: ‘‘Il nostro sostegno alla campagna del Treno Verde diventa ogni anno sempre più convinto perché tutti i dati e i riscontri oggettivi confermano che la ferrovia è sempre più il fulcro irrinunciabile di una mobilità pubblica moderna e sostenibile. Guardiamo, ad esempio, al sistema delle Frecce, alla crescita esponenziale di viaggiatori registrata in pochi anni“.
Eh certo, grazie al sistema delle frecce… non fa niente se, per pagare gli spropositati costi delle infrastrutture ad alta velocità si sta lasciando andare in malora la ferrovia dei comuni mortali e la sua manutenzione, e non fa niente se la frequentazione delle frecce, in ragione delle tariffe e ad onta delle promozioni, è ormai sotto il 44%, e si sta sempre più sviluppando la concorrenza aerea.
Però, sempre secondo l’ineffabile Moretti all’uopo intervistato da La Repubblica: “Stiamo dimostrando che, laddove ci è data possibilità di esprimere in pieno le nostre capacità e potenzialità, i benefici per l’ambiente, per l’economia e per il turismo, sono incomparabili. Nel 2013 i 42 milioni di passeggeri che hanno preferito le Frecce all’auto privata o all’aereo hanno consentito di abbattere di oltre un milione di tonnellate le emissioni di Co2 nell’ambiente. E l’effetto positivo si dilata nelle città, grazie alle sinergie che stiamo incentivando con mezzi di trasporto privato, condiviso e pubblico a basso impatto ambientale“.
Come no, la città di Reggio Emilia, per esempio, ha visto grazie alla nuova stazione un’impennata tale di visitatori che non sa più dove metterli… NTV dal canto suo, si proprio quella di Italo, ha scoperto invece di avere un buco di 76 milioni e sta per chiedere ammortizzatori sociali per evitare licenziamenti. Della serie, i profitti me li pappo, i problemi li scrollo addosso alla collettività nella miglior tradizione dell’imprenditoria nazionale. Anche questo è inquinamento…KL Cesec CV 2014.03.11 Treno Verde 004Ma vediamo com’è fatto il Treno Verde. Premesso che l’ingresso è gratuito e ci mancherebbe, la prima vettura è dedicata al tema della mobilità sostenibile, dal trasporto su ferro alla mobilità elettrica, dall’urbanistica all’intermodalità, passando per le zone a traffico limitato, le piste ciclabili e le zone 30.
Alla città è invece dedicata la seconda carrozza, all’interno della quale l’allestimento è stato pensato per raccontare un’urbanistica che risponde alle esigenze dei cittadini e dell’ambiente.
Tema centrale della terza carrozza sono gli stili di vita: in questo vagone saranno forniti tanti piccoli accorgimenti per essere cittadini attenti e più smart. Ad esempio verrà spiegato come isolare l’abitazione per renderla efficiente, come fare una spesa sostenibile, come tenere sotto controllo i consumi domestici e, soprattutto, come differenziare e riciclare i rifiuti.
La quarta vettura, infine, è un vero e proprio parco urbano perché la città, secondo Legambiente, è più verde se con spazi pubblici attrezzati che consentono di passare il tempo libero, e non solo quello, respirando aria pulita o coltivando orti, riappropriandosi di tutti quegli spazi verdi spesso lasciati all’incuria e all’abbandono.KL Cesec CV 2014.03.11 Treno Verde 005Se ci gira, e se non abbiamo cose più importanti da fare, il 20 facciamo un salto a Porta Garibaldi…

Malleus

Fattorie didattiche: da dove si comincia?

Premessa, noiosa ma necessaria:
“Carletto, cosa farai da grande?”
“L’ecovillaggista, papà”
“Allora molla quegli strafatti che frequenti a vai in montagna per tre anni. All’università”.
Rispondiamo, per puro divertimento, a due email che ci sono pervenute a seguito dell’articolo intitolato Percorsi per ecovillaggisti. Formativi? pubblicato oggi su questo blog e che ci accusano di essere settari e di volerci appropriare dell’ecosostenibilità per traghettarla verso freddi lidi imprenditoriali e finanziari.
A parte il fatto che ci vengono attribuiti poteri ben lontani dalle nostre modeste facoltà – roba che nemmeno con i riti Woodoo – probabilmente a differenza di chi ci scrive sappiamo invece bene, quanto “l’interesse dell’imprenditore non sempre coincide con quello pubblico, e pertanto bisogna guardarsi dal seguirlo ciecamente; le proposte di legge che vi si ispirano vengono da una categoria di persone che sono istintivamente portate a ingannare e opprimere i lavoratori, e che di fatto molto spesso li ingannano e li opprimono”. No, non l’ha scritta Marx questa frase, ma un tranquillo scozzese che si chiamava Adam Smith nel suo libro Natura e cause della ricchezza delle Nazioni, pubblicato nel 1776.
Quindi, ribadiamo con forza il nostro pensiero che condanna il dilettantismo camuffato da alternativo perché oggi, ed ancor più in un futuro niente affatto lontano, ci saranno due sole alternative: mangiare o morire di fame. Il resto sono chiacchiere, fumo o, come abbiamo scritto nell’articolo richiamato, fuffa.
Bene, ciò premesso per doverosa risposta, a nostro avviso gli ecovillaggi si studiano all’università, e non tra danze,cerchi più o meno sacri e scambi di massaggi reiki. Poi ciascuno è libero di illudersi come preferisce, ma non venga a dare lezioni quando avrebbe invece bisogno di apprenderne.KL Cesec CV 2014.02.21 Edolo neveE passiamo alle cose serie. Fattorie didattiche:da dove si comincia?
Pochi sanno che presso la Facoltà di Agraria dell’Università degli Studi di Milano è stato istituito il corso di laurea triennale in Valorizzazione e tutela dell’ambiente e del territorio montano, caratterizzato da una notevole particolarità sancita dal motto: la montagna si studia in montagna. InfattI l’ateneo ha sede a Edolo, in Valle Camonica.KL Cesec CV 2014.02.21 Università MontagnaPer il nostro Paese la montagna rappresenta una parte ampiamente significativa del territorio, che in passato contribuiva molto più che ai giorni nostri all’economia ed al sostentamento della popolazione.
Sappiamo bene come scelte economiche e politiche abbiano gradualmente trascurato queste aree comportando gravi conseguenze sociali e di degrado ambientale.
Oggi il territorio montano si presta ben più che in passato alle attività  agro-forestali, alla zootecnia di qualità, alle produzioni artigianali, alla protezione dell’ambiente ed al turismo in un contesto in grado di garantire una migliore qualità di vita per chi sceglie di operare nel settore.
Il mare e la montagna non tradiscono ma sono, semplicemente, severe maestre: le cronache traboccano di leggerezze pagate con la vita. Ed anche un notevole impegno economico e di lavoro non può essere improvvisato, soprattutto in un territorio difficile come quello montano. Ma occorrono dedizione, esperienza e prima ancora una seria formazione. Per questa ragione è stato istituito il corso di laurea in valorizzazione e tutela dell’ambiente e del territorio montano.
Martedì 25 febbraio con inizio alle ore 15:30 presso l’Aula Magna dell’università si terrà un incontro sul tema: Le fattorie didattiche: da dove si comincia?
Relatore sarà Valentino Bonomi dell’ Azienda Agricola S. Faustino, che spiegherà le opportunità legate all’apertura di una fattoria didattica. Per partecipare è necessario accreditarsi sul sito della Facoltà www.valmont.unimi.it.

Malleus

Percorsi per ecovillaggisti. Formativi?

Leggiamo su un noto mensile dedicato all’ecosostenibilità la notizia dell’istituzione di un percorso formativo a moduli, di durata annuale, istituito per conoscere gli ecovillaggi, capire come funzionano, avere consigli per crearne uno. Presentato come “percorso di conoscenza ed esperienza delle numerose pratiche di vita che caratterizzano la vita degli ecovillaggi”, ci sembra un’ottima iniziativa; incuriositi andiamo a guardarci dentro.
Il percorso di formazione è suddiviso in 5 moduli: visione del mondo, crescita personale, ecologia e ambiente, economia e questioni giuridico-amministrative, sociale e, come leggiamo nella presentazione dei singoli moduli, più precisamente:

  • Crescita personale dal 28 febbraio al 2 marzo
  • Ambiente-agricoltura dal 28 al 30 marzo
  • Ambiente-agricoltura dall’11 al 13 aprile
  • Ambiente-agricoltura dal 4 al 6 luglio
  • Ambiente-abitare dall’11 al 13 luglio

Ci risulta che da fine febbraio a metà luglio siano cinque mesi, non ci è quindi chiaro il senso di quell’annuale. Ma fiduciosi proseguiamo. Ogni modulo si tiene nei fine settimana, ogni volta in un ecovillaggio differente e, citiamo: “Viene sviluppato riportando esperienze concrete degli ecovillaggi italiani e approfondito negli aspetti caratteristici dell’ecovillaggio stesso, così i partecipanti possono conoscere la filosofia e i metodi che orientano l’ecovillaggio ospitante. I membri dell’ecovillaggio che organizzano  il modulo, possono far intervenire esperti e ospiti esterni, se dai residenti o altri ecovillaggi non giungono  contributi“.
In che senso, se non giungono contributi? boh, proseguiamo nella disamina del programma.KL Cesec CV 2014.02.21 Fattoria didatticaUna comunità nella comunità… essendo la vita comunitaria la matrice fondante di ogni ecovillaggio, durante il periodo di formazione i partecipanti vivranno il proprio gruppo come una vera e propria comunità nella comunità: essi si impegneranno per collaborare, comunicare, esprimere le proprie attitudini, organizzare le attività della giornata all’interno dell’ecovillaggio, confrontarsi e condividere pratiche del vivere comune“.
Detto in altri termini si sgobba, e non solo in aula. Bene, visto che val più la pratica della grammatica. Ma, chissà perché, cominciamo a sentire fetore di worker, di cleaning meditation e di cazzeggio… andiamo avanti.
I costi vanno da un minimo di 50 euro ad un massimo di 150 euro a modulo, a seconda dell’ecovillaggio ospitante“. Non poco. Rileviamo 150 indicati come apparentemente omnicomprensivi in una struttura, mentre una seconda prevede la sottoscrizione di una tessera associativa del costo di 10 euro oltre a contributo libero a partire da 50 euro.
Il terzo specifica: alloggio 110 € in tenda, 120 € a persona in camerata; vitto € 5,00 a pasto; corso € 70,00, quindi nell’ipotesi più economica 70+5×6+110=210.  Le restanti location non danno indicazioni, quasi tutte le sedi chiedono ai partecipanti di portare materassino o sacco a pelo.
Ed ora passiamo a vedere a chi è rivolto il percorso formativo: “Il percorso formativo è sopratutto una opportunità per chi sta avvicinandosi al mondo degli ecovillaggi, con un progetto o semplicemente un’idea, di conoscere e sperimentare le numerose attività che essi svolgono, ricevere informazioni utili, costruirsi delle competenze sulla base delle esperienze di ecovillaggi più solidi. Le finalità del progetto sono diffondere strumenti di natura pratica e relazionale, far conoscere la cultura degli ecovillaggi, promuovere modelli di ecoreversibilità (favorevoli all’ambiente) e proporre un’esperienza di vita all’interno di un ecovillaggio“.KL Cesec CV 2014.02.21 PecoreNel primo modulo, Crescita personale, si contempla:
Arrivo venerdì alle ore 15:00 e varie attività introduttive sino alle ore 20:00 quando si terrà Scambio trattamenti Reiki. Fondamentale. Segue pizza nel forno a legna.
Sabato e domenica impegnati in ascolto reciproco, comunicazione e counseling per giungere, dalle ore 16:00 alle 18:00, a Giochi per conoscere se stessi e costruire comunità. Imprescindibile. A seguire, Cerchio conclusivo di condivisione
Nel secondo modulo Ambiente-agricoltura, relativo ad agricoltura ed autosufficienza alimentare, si contempla:
Arrivo in concomitanza del pranzo di venerdì, presentazione e socializzazione e lezione itinerante di presentazione della comune per arrivare dalle 17:00 alle 19:00 a lezione su Agricoltura biologica ed altre tipologie agricolturali.
Si riprende il sabato con vigna, uliveta, bosco: coltivazione ed equilibrio ambientale (09:00-10:15) e attività pratiche: vigna, olivi, bosco (10:30-12:15). Dopo pranzo attività pratiche nell’orto e nella cucina, panificazione e, dalle 17:00 alle 19:00, cucina ed autosufficienza: alimentazione sostenibile.
La domenica attività pratiche in pollaio, conigliaia, porcile, stalla dalle 07:30 alle 09:00 e, dalle 09:30 alle 11:00, lezione su norme e pratica dell’allevamento oppure, in alternativa, orticoltura biologica e, dalle 11:30 alle 12:30 lezione su sottobosco, erbe selvatiche, api.
Si specifica che “Il programma potrà essere adattato anche in relazione degli interessi espressi dai partecipanti“. Segue dibattito?
E passiamo al terzo modulo Ambiente-agricoltura, che contempla tecniche di agricoltura naturale: agricoltura biologica e biodinamica, cenni di permacultura realizzazione di swales, organizziamo una piccola food forest, metodi di progettazione. Vediamo:
Arrivo per il pranzo del venerdì e presentazione dell’ecovillaggio ospitante e del programma formativo.
Dalle 16:30 alle 19:30 agricoltura biodinamica, storia dell’orto del giardino, come realizzare swales, realizzare aiuole perpendicolari alle curve di livello e realizzare palline di argilla per reinverdire in modo funzionale. In sole tre ore? Niente male…
Dopo la colazione del sabato sopralluoghi sui diversi tipi di orti, acquisizione di conoscenze sul campo, esperienza pratica, avvio di sentieri sensoriali con elementi naturali e, dopo pranzo, applicazione delle conoscenze acquisite mediante servizio in ecovillaggio legato all’agricoltura.
Domenica mattina dalle 09:00 alle 10:30 teoria all’aperto: come seminare e come trapiantare, come piantumare, come raccogliere, per proseguire dalle 10:30 alle 11:30 con sperimentazione conoscenze acquisite e concludere dalle 11:30 alle 12:30 con cerchio conclusivo di condivisione e consegna attestati.
Dopo pranzo e prima dei saluti, dalle 15:00 alle 17:00 servizio volontario nell’ecovillaggio.
Per inciso, questa è la location che prevede il contributo libero a partire da 50 euro.
E veniamo al quarto modulo di Ambiente-agricoltura, in una location che dispone di 1,3 ha di terreno con ulivi ed alberi da frutto, poco meno di mezzo ettaro adibito a frutteto ed orto sinergico e tradizionale, 10 galline ovaiole ed un fienile adibito ad attività olistiche e creative.
Il programma, non definito quanto ad orari ma che prevede il rilascio di dispense, prevede Introduzione all’orto sinergico: agricoltura naturale, sinergica, biodinamica e permacultura; Osservazione del sito: note sul clima italiano, geobotanica e indicatori botanici, i venti dominanti, giacitura e pendenze, esposizione del sito, qualità del terreno, autofertilità del suolo; Costruzione dell’orto: squadro del terreno, costruzione di una spirale, costruzione dei bancali; Note generali: compost, semenzaio, sinergia e consociazioni delle piante, lotta ai parassiti, elenco voci delle opere e forniture per la realizzazione di un orto sinergico, percorso floristico di riconoscimento specie forestali ed erbe selvatiche commestibili e medicinali.
Tutto questo in 15h30′ intervallati da canti e balli intorno al fuoco, preparazione cena vegetariana, cerchi di condivisione, al costo di 210 euro.
E concludiamo con il quinto ed ultimo modulo, Ambiente-abitare, che si tiene nella location del modulo precedente, si suppone quindi debba costare nuovamente 210 euro.
Bioedilizia: inserimento dell’ecovillaggio nel paesaggio, feng shui e geomanzia occidentale, presentazione tecniche alternative di costruzione in legno, paglia/legno, terra cruda, geocase, bioarchitettura, iter di concessione abitativa e percorso di autocostruzione;
Tecniche di analisi paesaggistica: evoluzione della vegetazione ed evoluzione dei paesaggi agro/forestali, metodi di valutazione del paesaggio, esempio di analisi paesaggistica;
Studio di ecovillaggio a scala territoriale: uso del suolo per agricoltura, forestazione e zootecnia, proprietà delle aree, collegamenti e trasporti, demografia e servizi, economia e turismo, opportunità culturali, peculiarietà e potenzialità;
Studio del paesaggio a vasta scala: clima, suolo, acqua, topografia, morfologia del terreno, esposizione e pendenze, vegetazione naturale e antropica, agricoltura, forestazione e zootecnia, fauna, valori e difetti;
Quali abitazioni per quali paesaggi?: ecovillaggi, cohousing, moduli abitativi e insediamenti umani sostenibili;
Teoria e pratica sulle tecniche alternative di costruzione: case in legno, paglia, terra, geocase;
Bioarchitettura: masse termiche, recupero acque, risparmio energia, materiali biocompatibili:
Normative: opportunità di accesso alla terra, percorso amministrativo per autorizzazioni edilizie:
Avviamento e coordinamento per l’autocostruzione abitativa.
il tutto in 15 ore intervallate come sopra da canti e balli intorno al fuoco, preparazione cena vegetariana, cerchi di condivisione.
Consegna attestati, saluti, baci e inevitabili abbracci di condivisione.
KL Cesec CV 2014.02.21 MonnezzaSignori, questa è fuffa. Allo stato puro e a caro prezzo.
In questi moduli, dove intanto si dà una mano nell’orto e nella stalla (povere le bestie che verranno munte da mani inesperte!) si sfornano illusi convinti, poiché per espressa dichiarazione di presentazione riportata in apertura vengono forniti strumenti, di sapere come si impianta un ecovillaggio, veleggiando amabilmente nello spazio di qualche ora condita di pressapochismo su argomenti che normalmente occorre qualche anno per sviluppare negli istituti per geometri e periti agrari o nelle facoltà di biotecnologia, architettura, ingegneria, agraria, medicina veterinaria. E in ulteriori anni di pratica, studio, sperimentazione.
Un esempio? Solo per costruire case in terra cruda è in atto da cinque anni un percorso formativo che si avvale di vecchi artigiani sardi e francesi, i soli che oggi da noi siano i depositari di quel sapere.
Se i moduli fossero stati proposti come: cinque week-end in campagna per dare un’occhiata divertendosi niente da dire. No, invece si dichiara espressamente: ricevere informazioni utili, costruirsi delle competenze. Competenze?
La questione è che, finché l’ecosostenibilità sarà appannaggio di questa gente alternativa che di alternativo ha solo notevole pochezza condita da altrettanto sussiego, la numerosa gente normale ma attenta alle questioni ecologiche si guarderà bene dall’accostarsi a siffatte istituzioni, temendo di finire in una comune fricchettona e lasciandole così preda di chi vive una realtà che, stando così le cose, sarà sempre e solo marginale e fuorviante.

Alberto C. Steiner

Treni dimenticati

Il 2 marzo verrà celebrata la giornata delle ferrovie dimenticate, vale a dire tutte quelle linee da tempo chiuse all’esercizio e spesso ormai disarmate, cioè private degli impianti fissi: rotaie, traverse, massicciata, palificazione. Molte costituivano ineguagliabili opere di ingegneria che, a differenza di quanto accade oggi con le varie TAV, si inserivano armoniosamente nel paesaggio. Una per tutte: la Spoleto-Norcia. Ma l’elenco è sterminato: Bribano-Agordo, Voghera-Varzi, Menaggio-Porlezza, Paola-Cosenza, parte della rete abruzzese Adriatico-Sangritana, Mantova-Peschiera, Rimini-San Marino, Mori-Arco-Riva del Garda, Ora-Predazzo per citarne alcune.KL Cesec CV 2014.02.11 Ferrovie dimenticate 002L’elenco potrebbe riguardare anche linee tramviarie: la Terni-Ferentillo, che sfiorava la cascata delle Marmore, le tramvie vicentine, il tram bianco che a Venezia percorreva il Lido. E ci fermiamo qui, con una menzione particolare per la funicolare ad acqua che univa Catanzaro Lido a Catanzaro Città, chiusa nel 1954 e riattivata nel 1998 adottando soluzioni tecnologiche d’avanguardia.
Spesso rappresentavano l’unico mezzo di trasporto in grado di garantire collegamenti in condizioni orografiche ed atmosferiche proibitive, come mostra l’immagine della Ferrovia delle Dolomiti a corredo, ed oggi se ne riparla funzionalmente alla loro trasformazione in percorsi ciclabili. Ma qualcuno, e non solo inguaribili nostalgici, insiste nel proporre il loro ripristino, non solo a fini turistici ma anche per sottrarre il trasporto locale alla morsa del traffico stradale con indubbi benefici in termini di tempi di percorrenza e di emissioni nocive.
L’immagine alla quale siamo abituati, quando pensiamo a queste ferrovie, è quella di un trenino traballante, gelido d’inverno e rovente d’estate, con orari impossibili e tempi di percorrenza assurdi. Oggi, in caso di ripristino dove possibile, non sarebbe più così: linee in sede propria, protette ed assistite da segnaletica asservita, sistemi di trazione che consentono un sensibile risparmio energetico quando non addirittura il recupero di energia.KL Cesec CV 2014.02.11 Ferrovie dimenticate 001A nostro avviso la trasformazione in piste ciclopedonali – sovente soltanto un domenicale giocattolo radical-chic – significherebbe solo la loro morte definitiva, senza dimenticare i rischi che corrono numerose ferrovie attualmente in esercizio, per esempio quella che percorre la Valle d’Aosta, della quale pubblichiamo un’immagine di stagione, che riveste invece un ruolo fondamentale in ambito non solo turistico.

Malleus

Da comune hippie a Fondazione: in Svizzera può accadere

Mentre da noi ci si gingilla con fondazioni che servono prevalentemente ad arraffare quattrini, si istituiscono osservatori e si tengono convegni in una sarabanda di tavoli aperti e chiusi mentre certi borghi, veri e propri gioielli, vanno in malora, nella vicina Svizzera accadono cose molto concrete.KL Cesec CV 2014.01.31 EcovillaggioCes 002Monte Chiesso, Canton Ticino, Svizzera: luogo di ecologismi un po’ radicali ripartito tra un antico villaggio costituito da venticinque case in pietra ed un’azienda agricola è una enclave un tempo decisamente fricchettona. Gente radicale ma simpatica, proveniente da mezza Europa e dove spicca una parlata che suona pressappoco così: A-zont andàa a cattàa i verz, hoo dovùu fal cont i man… nue ca l’è ca te l’è mettüù ol zapètt? Ah damm a traa, ta la fètt tii la bügada ztasira? Traduzione, anzi traduzzzione: Sono andato a cogliere le verze, ho dovuto farlo con le mani… dove hai messo la zappetta? a proposito, lo fai tu il bucato questa sera?KL Cesec CV 2014.01.31 Ecovillaggio Ces 003Il villaggio montano, situato non lontano da Locarno ad un’altitudine di 1.450 metri, è praticamente disabitato d’inverno ma variamente vissuto d’estate, quando risuona dello sciabordio, anzi del mantra, di un’impetuosa cascata. Abitato a partire dal sedicesimo secolo, durante la II Guerra Mondiale accolse partigiani, rifugiati e famiglie ebree in fuga.
Ma negli anni Cinquanta gli allettanti agi cittadini sradicarono anche i più tenaci, lasciando il posto ai camosci finché, all’alba dei moti sessantottardi, decise di avventurarvisi in una temeraria azione di recupero (alcuni anche perché ricercati dalla polizia in quegli anni formidabili) un gruppo di giovani locarnesi ai quali si aggiunsero zurighesi, qualche olandese nonché alcuni milanesi che, oggi ormai nonni quelli che non sono nel frattempo morti di Aids o di epatite, ed ormai usciti di galera quelli condannati per tangenti, pedalano tuttora eco-chic per le vie ambrosiane pur avendo la Morgan in garage.KL Cesec CV 2014.01.31 Ecovillaggio Ces 001Volutamente dis-organizzati in una comunità di ricerca politica, ecologica, sociale e spirituale, a partire dal 1972  trasformarono Ces, così si chiama la località, in luogo alternativo e aperto, dove la cristallina selvaticità dell’ambiente potesse coniugarsi alla ricerca di una purezza interiore: organizzarono campi estivi, corsi, gruppi di autocoscienza che riuscirono a coinvolgere tantissimi giovani. Ogni tanto arrivava la polizia, sequestrava un po’ di maria e se ne andava, preferendo con calvinista pragmaticità non intraprendere ulteriori iniziative perché, in fondo, quella banda di ragazzi non faceva male a nessuno e almeno lì era fuori dalle palle.
Successivamente nacque la tuttora esistente Fondazione per la rinascita di Ces che ha tuttora, con i suoi quasi quaranta membri, la responsabilità del borgo montano. Oggi le case, ristrutturate e fornite di pannelli fotovoltaici, hanno mantenuto gli originali tetti in pietra mentre gli interni sono stati rivestiti in legno.
Arrivare a Ces richiede impegno: bisogna camminare per circa due ore su di un sentiero che può scoraggiare i meno convinti, osservati severamente da castagni pluricentenari e, non di rado, sotto una pioggia torrenziale. A Ces si vive volentieri a lume di candela, ci si scambiano massaggi, si consumano prevalentemente prodotti biologici locali, alcuni coltivati negli orti del villaggio, altri recapitati da una teleferica. Ma non si rinuncia ad olio, pasta e vino che arrivano dalla realtà comunitaria de Il Casale, vicino Pienza in provincia di Siena. Una particolarità: i gabinetti sono comuni, posti ad un’estremità del villaggio poiché strutturati per il compostaggio a secco.
Apparente stranezza nella piazzetta principale del borgo, la piccola chiesa dedicata ai santi Pietro e Paolo ottimamente restaurata. Niente affatto strano, invece, veder pascolare liberamente lungo i sentieri polli e vacche, alcune sacre in quanto appartenenti ad una donna hindu. Sotto una tettoia una serie di vasche comunicanti, continuamente irrorate dal gettito continuo di acqua sorgiva, garantiscono refrigerio a bidoni di latte, burro e lievito di birra mentre ortaggi e frutta vengono conservati in una cantina seminterrata.
Durante la stagione estiva alcune case vengono affittate o tenute a disposizione dei volontari del Servizio Civile Internazionale, impegnati in lavori di recupero.
E, chi vuole salire ancora, può giungere a quota 1.537 dov’è situato l’ancor più minuscolo villaggio di Doro, abitato da alcune coppie che allevano capre ed hanno dato vita all’azienda Monte Sponda, specializzata nella produzione casearia. Figura mitica, da qualcuno definita ginsberghiana-shivaita, è il Giovanni che vive vestito di pelli di capra insieme con due donne in un tepee – sia pure munito di pannello fotovoltaico per alimentare l’irrinunciabile radio –  e che, pur avendo contribuito a parte dei lavori nel borgo, ritiene che i membri della fondazione: “Discutono troppo, si sono imborghesiti e nella realtà dei fatti un solido progetto comunitario è ancora di là da venire“.
Il Giovanni, tra l’altro, costituisce anche la risposta all’eventuale domanda: quando e perché i ragazzi milanesi se ne andarono, tenendo altresì presente che qualcuno di loro raggiunse il fondovalle vagamente saccagnato… e poi divenne avvocato o commercialista, non escludendo di conseguire rosee, o per meglio dire rosè, mire politiche. Chi volesse saperne di più può trovare i sopravvissuti al Radetzky in largo la Foppa all’ora dell’aperitivo, ormai inconsolabilmente orfani della libreria Utopia che ha chiuso i battenti poco tempo fa, ma accompagnati dagli inseparabili pointer o levrieri afgani, a pontificare di migranti e cultura altra. Qualcuno si è riciclato nel terzo settore, c’è chi addirittura ha aperto una banca. Neanche a dirlo: etica e solidale.
Fin qui la storia di quello che, pur non essendo l’antesignano degli ecovillaggi svizzeri, è sicuramente il più coreografico.KL Cesec CV 2014.01.31 Ecovillaggio Ces 004Qualche tempo fa la Fondazione, ormai attiva sul web, in attività redazionali ed editoriali ed in alcune trasmissioni radiofoniche piuttosto seguite in Italia, lanciò un questionario. Il tema, che riprendiamo poiché suona come un chiarissimo manifesto, era:
Il cohousing, semplificando, non è altro che il condividere degli spazi abitativi con altri nuclei familiari. E’ una interessantissima soluzione, che risolve sia l’ottimizzazione degli spazi sia il concetto di integrazione e comunità di persone appartenenti a gruppi omogenei. E’ indubbio che nel venirsi a creare un progetto di cohousing, uno degli aspetti più importanti sia quello di redigere un’idea adatta al territorio e ai potenziali residenti.
In questo modo possiamo ottenere dei complessi abitativi ecosostenibili, con costi accettabili e studiati per integrare ed aggregare le persone. Se ci pensiamo potrebbe essere non solo la soluzione per condividere ad esempio la centrale termica, la lavanderia, la sala attrezzi, un tagliaerba per tutte le famiglie, ma anche la possibilità di avere un orto suddiviso, magari con serre  per verdure buone a costo quasi zero, un mini nido gestito dai residenti ma anche la possibilità di avere un locale comune per gli ospiti, una sorta di foresteria che potrebbe anche essere affittata come B&B e portare piccole entrate per le spese correnti. Secondo voi, quali zone possono essere condivise e quali no?
Tra le numerosissime risposte pervenute ce ne sono state segnalate alcune tra quelle giunte dall’Italia.
Gianfranco
La mia risposta è in realtà una domanda: perchè noi dobbiamo dividerci cose o zone, poi con le tasse che paghiamo dobbiamo arrivare a livelli così… quando i nostri politici sperperano soldi pubblici e cioè nostri, abbiamo bellezze architettoniche o costruzioni lasciate lì a marcire per mancanza di fondi e causa sprechi o lentezze burocratiche non possono essere destinate ad altri usi?
Lorena
All’inizio mi piaceva. Poi mi sono ricreduta. E’ una cavolata megagalattica. Lavanderia: separata dal corpo delle abitazioni, se hai la jella di abitare lontano devi farti tutto il cortile coi panni da lavare e viceversa, e d’inverno e quando piove? I bambini meglio madarli all’asilo, tutti vogliono parcheggiare i pargoli poi alla fine nessuno vuole prendersi la responsabilità di curare quelli degli altri. L’orto? Come l’asilo, tutti vogliono raccogliere ma quelli che zappano e seminano alla fine sono sempre gli stessi. Tosaerba: cos’è? Il locale in comune per le feste poi è una tragedia: ogni volta che ne hai bisogno tu è già accupato. No parliamo della pulizia… Insomma: meglio la casa di ringhiera!
Marco
Noi Italiani non siamo culturalmente preparati a esperienze simili, la casa è sempre e sempre sarà un focolare molto intimo, dove difficilmente si condividono interessi di gruppo. Io personalmente avrei forti dubbi nel condividere parti comuni con una persona sconosciuta, sono convinto che ci sarebbero problematiche irrisolvibili per chi deve o non deve fare. L’intimità deve prevalere, almeno nell’ambito abitativo è impensabile che acquistata una casa con sacrifici e rinunce debba trovarmi nella situazione di condividere parti comuni con persone che, culturalmente sono lontane anni luce dalle mie idee. L’ipocrisia non è nel mio dna e devo ammettere che condividere parti comuni con un mussulmano o altro, non sarebbe una cosa fattibile. Datemi pure del razzista, non mi preoccupo per questo, l’importante che la casa rimanga un luogo dove condividere gioie e dolori, solo con le persone che amo.
Marcello
Non sono d’accordo che vivere in un appartamento sia una forma di cohousing, una persona non condivide nulla con gli altri inquilini, spazzatura a parte. Quando chiudo la porta d’entrata, automaticamente mi creo una situazione di assoluto isolamento. E’ vero che posso sentire quello che dice il mio vicino di casa, ma tra lui e la mia famiglia c’è in ogni modo, una parete che divide e protegge.
Trovarsi in situazioni come ad esempio, dividere le spese sopportate da persone che accettano di vivere in una comunità, non è facile come dirlo. Sappiamo tutti che, mettere d’accordo un numero imprecisato di persone è veramente una fatica enorme e la vita in comune è assai complicata: tra marito e moglie, spesso si intraprendono discussioni per futili motivi, figuriamoci cosa succederebbe in caso di persone che si conoscono da poco tempo, sarebbe veramente complicato.
In questo particolare momento che stiamo vivendo, le persone hanno sempre meno voglia di ascoltare e i rapporti che si creavano fino a qualche anno fà, erano diversi. Oggi si parla solo ed esclusivamente con il computer o con il telefonino e la gente è sempre meno propensa a fare amicizia e su questo bisognerebbe aprire un dibattito. Persone sempre più arrabbiate e pronte alla lite, sostanzialmente vogliose di rimanere sole e senza troppi problemi.
Troppi galli in un pollaio, non possono convivere, la gente non è pronta e non lo sarà mai, a meno che, non cambi radicalmente la vita.
Luciano
Per quindici anni ho vissuto a Lugano in una palazzina di 22 famiglie con relativi spazi comuni tipo lavanderia e relativa asciugatrice,locale ludico con flipper,calcio balilla,piccola biblioteca,computer collegato a internet(nel 1993 era una cosa all’ avanguardia),campo di calcio e campo di hochey a rotelle,un campo da tennis su terra rossa.Nel locale ludico si sono tenuti corsi di vela, corsi di subacquea,diversi corsi sulla sicurezza in ambiente domestico,presentazione di birre artigianali,ecc.ecc.ecc.
Mai un problema per 15 anni.Il cohousing non è fattibile per noi italiani ,ma è un nostro limite su cui meditare e riflettere.Con questo non dico che vivere in Svizzera sia tutto rosa e fiori.
Serena
Premetto che sono abituata a vivere in case singole, sicuramente il cohousing non è per tutti, specialmente se consideriamo come siamo noi italiani, ma quali sono alla fin fine le differenze dal vivere in condominio? Gli spazi comuni sicuramente andranno studiati in base alla nostra cultura ed alla nostra mentalità, nella peggiore delle ipotesi si litigherà come accade sempre tra condomini, ma se si valutano i risparmi ed i vantaggi che da esso possono scaturire credo che la maggior parte di noi dovrà ricredersi ed ammettere l’interesse.
Facciamo l’esempio della città di Modena, ha fatto un bando per presentare progetti di cohousing da parte della popolazione e la cosa ha avuto scarso riscontro, mentre a pochi chilometri di distanza in un paese della provincia hanno già fatto realizzazioni. Credo che, fatto nei dovuti modi, potrebbe essere simile alle realizzazioni nelle zone Peep, dove si costituiscono le cooperative per l’assegnazione del terreno o della casa.
Non siamo così diversi, per esigenze, dalla maggior parte della popolazione, siamo solo più ottusi ed in un momento di regressione non farebbe male a prendere in considerazione questa formula inventata da paesi di certo più evoluti di noi.KL Cesec CV 2014.01.31 Ecovillaggio Ces 005I membri della Fondazione ci hanno infine fornito una risposta, che è il condensato di quelle fornite singolarmente:
Che la classe dirigente debba cambiare modus operandi e che la tassazione italiana debba essere rivalutata è fuori dubbio: non fatevi più fregare votando sempre gli stessi! ma non siamo qui per parlare di politica.
Il cohousing, indipendentemente dalla situazione economica dovuta a questa crisi, potrebbe essere di aiuto per esempio alle giovani coppie che in ogni caso avrebbero problemi ad acquistare la casa. E non solo a loro.
Certamente, il patrimonio immobliare esistente deve essere il più possibile recuperato e ristrutturato con  intelligenza. Esistono già dei progetti realizzati proprio su questa direzione.
I dubbi di Lorena sono legittimi e condivisibili da chiunque. Bisogna però considerare che il cohousing deve prevedere già a livello progettuale le necessità dei futuri residenti e la pianificazione urbanistica del progetto stesso: ovvio che la lavanderia non deve essere lontana, e che l’orto andrebbe suddiviso, ognuno si coltiva il proprio, molti attrezzi e l’impianto di irrigazione potrebbero essere in comune. Poi, se qualche volontario appassionato vuole aiutare gli altri, tanto meglio. Noi, nonostante la nostra partenza, abbiamo saputo adattarci ad un mondo che è cambiato e, pur non rinnegando la nostra matrice, non siamo più favorevoli alla visione del cohousing tipo hippie, ma riteniamo che ogni nucleo familiare debba avere la propria indipendenza, ma nel contempo dividere certi costi e certe spese. Questo può solo aiutare.
Un nuovo progetto di cohousing, prevede delle linee guida proposte dai promotori e da implementare e discutere con i futuri residenti. In tal modo si litiga prima e non dopo.
Vivere in condominio è già una forma di cohousing, ma ad ogni riunione ci sono liti. In questo modo verrebbero eliminate alla base. Lo ripetiamo, dipende molto dal progetto.
Un esempio molto banale: alcuni di noi hanno vissuto in Germania per un paio d’anni, ed in tutti i condomini c’era la lavanderia, inclusa nei costi condominiali. Ogni condomino aveva a disposizione un monte ore in base al nucleo familiare, bastava scendere e prenotare gli orari su un’apposita lavagna. Si tratta di una questione culturale.
Indubbiamente il cohousing non è per tutti e per esempio non vediamo la condivisione della cucina. Ma se studiato bene diventa un bell’esercizio di vita. Nella piccola contrada di montagna dove viviamo vige la regola non scritta che tutti si aiutano. Ci diamo il cambio per portare i bimbi a scuola, quando qualcuno scende in paese chiede agli altri se hanno bisogno di qualcosa al supermercato, ci si ritrova per preparare gli orti di ognuno, eccetera. Ci creda, non solo non costa nessuna fatica ma si viene anzi di coseguenza aiutati e si risparmiano dei bei soldini. Ed è un piacevolissimo momento di coesione, che termina sempre a tarrallucci e vino: un ottimo antistress. Crediamo infine che varcare il confine e vedere cosa c’è di buono, tornare a casa e studiacchiare per come renderlo adatto al nostro paese per migliorare la qualità di vita debba essere un ottimo esercizio che qualcuno dovrebbe avere la volontà di fare. Così diventerebbe, forse, anche meno ottuso e razzista da ignorante che ha visto solo il confine delle proprie montagne e crede che il mondo sia tutto lì.
Infine, il cohousing non è una forma di condivisione all’insegna del volemose bene, ma un progetto studiato a priori, dove ci si sceglie tra simili anche sotto il profilo delle capacità finanziarie, delle aspettative e delle aspirazioni, al fine di avere ciascuno la propria casetta ed il proprio giardinetto privato, condividendo invece con gli altri spazi che non recano disagio ma che aiutano a ridurre le spese. Oltretutto questa forma associativa porta notevoli vantaggi in termini, come si dice, di economia di scala per l’acquisto comune del lotto di terreno o del borgo da recuperare, delle strutture e dell’impiantistica.

Malleus