Quanto costerà guardare l’arcobaleno?

“Toglieranno l’acqua da sotto la pancia delle anatre? Metteranno il cartellino con il prezzo a ogni goccia di pioggia? E quanto costerà la rugiada?”Cesec-CondiVivere 2014.09.30 Marta e l'acqua scomparsa 002Queste ed altre domande se le pone Marta, la bimba protagonista di Marta e l’acqua scomparsa, la favola bella, intelligente ed ecologica scritta da Emanuela Bussolati ed edita da Terre di Mezzo per riflettere sull’importanza delle risorse naturali, in particolare di quel bene vitale, di tutti e irrinunciabile che è l’acqua. Che improvvisamente scompare poiché c’è chi pensa di poterla vendere e comprare.Cesec-CondiVivere 2014.9.30 Marta e l'acqua scomparsa 001E’ quello che scopre Marta quando, un giorno, va a trovare la nonna e trova la fontana del giardino secca come la gola di un uomo nel deserto. Che è successo? L’acquedotto, spiega la nonna, è diventato di proprietà della Compagnia delle acque libere e, d’ora in poi, chi vorrà l’acqua dovrà comprarla.
“Una compagnia padrona dell’acqua? Ma non è giusto! Cosa accadrà” si chiede la bimba “durante i temporali?”
Del libro colpisce un’immagine: l’espressione della bambina all’interno dell’auto, mentre con la punta della lingua cerca di leccare le goccioline d’acqua che si rincorrono sulla parte esterna del vetro. Nemmeno l’umidità che appanna un po’ il vetro riesce ad offuscare la fiducia di quello sguardo incorniciato in un caschetto di capelli neri. E’ uno sguardo con tutti i suoi limiti: le gocce sono fuori, Marta non puo intercettarle ma proprio grazie a ciò lo sguardo resta aperto al mondo esterno. E pazienza se poi il mondo riserva brutte sorprese, come quella di chiudere la fontana nel cortile della nonna perché bisogna collegarla all’acquedotto: tra breve la sorgente non sarà più di tutti ma di una sola Compagnia e chi vorrà l’acqua dovrà pagarla.
Nel libro, un disegno molto evocativo ritrae la mamma di Marta di spalle sull’uscio di casa mentre la nonna sale le scale. La porta è aperta: sarà anche solo suggestione, ma il bianco candido dell’interno contrasta così tanto con l’incombente oscurità dell’esterno da risultarne persino minacciato. E in calce al disegno si legge: Non è giusto! – esclama Marta – L’acqua è di tutti!
Alla bambina questa cosa proprio non va. I grandi stanno zitti come la fontana che non canta più e nemmeno il sonno tranquillizza la bambina, che invece, tra un incubo e l’altro, si chiede se le nuvole diventeranno come banche gonfie di pioggia, se l’arcobaleno diventerà un bene di lusso, se la Compagnia metterà il cartellino del prezzo ad ogni goccia che cade. E poi c’è un problema… come faranno a far pagare i passeri che bevono l’acqua sull’incavo dei rami, sulle foglie e nelle gronde?Cesec-CondiVivere 2014.09.30 Marta e l'acqua scomparsa 003Insomma, un racconto ecologico e appassionato sull’acqua come bene di tutti.
Di chi è l’acqua? chiede sempre l’autrice ai bambini, prima di leggere loro Marta e l’acqua scomparsa. Ma quasi nessuno risponde: E’ di tutti. Abituati al fatto che le cose siano di qualcuno, non pensiamo che la Terra e le sue risorse fondamentali, tra cui l’acqua, siano un bene comune.
Spesso i libri per l’infanzia propongono modelli positivi di comportamento: non sprecare, non sporcare. Ma poi si cresce e ci si dimentica quello che si è imparato.
Perché allora non lasciar spazio all’immaginazione, potente qualità che può trasformarsi in azione? Che cosa succederebbe se l’acqua fosse in vendita? Qualcuno vorrebbe accaparrarsela, e si metterebbe in vendita perfino la visione dell’arcobaleno. Le nuvole sarebbero legate, perché non se ne vadano da altri affaristi, e via di seguito.
Ho proposto questa favola come necessario complemento alle iniziative di cohousing che pronuovo e come personale protesta con le purtroppo sempre più attuali minacce di privatizzare l’acqua. E so bene di non essere una Cassandra…

ACS

Signora Hobbit: pittoresca la sua casa, ma lo sterco di cavallo non è il nostro materiale da costruzione preferito

Senza né luce né acqua corrente…
cesec,emmaorbach,hobbit,ecosostenibilità,cohousing…sulle pendici del Mount Carningli, nella contea di Pembrokeshire, a ovest del Galles, Emma Orbach, sessantenne, laureata a Oxford e madre di tre figli, ha mandato l’orologio indietro a un’esistenza quasi medievale e da 15 anni vive come un hobbit, in una capanna di fango a 15 minuti a piedi dalla strada più vicina. Figlia di un ricco musicista, la signora hobbit – così l’hanno ribattezzata i giornali – frequentò fin da piccola le scuole più costose e prestigiose del Paese, addirittura insieme con le figlie di Presidenti stranieri, per poi trasferirsi a Oxford e completare i suoi studi con una laurea in cinese. Qui incontrò il marito, storico dell’architettura. Per cinque anni vissero in una casetta a Bradford, ma presto si trasferirono in un casolare abbandonato vicino a Bath, dove sono nati e cresciuti i loro figli. Da lì entrarono in una comunità hippie, con altri genitori che piuttosto di fare la spesa nei supermercati lavoravano la terra.
Ma negli anni ’90

…arriva l’illuminazione e i due comprano 175 ettari di terreno per 150.000 sterline. “La mia vocazione era quella di immergermi totalmente nella natura e allontanarmi da tutte le interferenze moderne”, racconta Mr.s Hobbit, che però non fu seguita da tutta la famiglia: “Mio marito non è mai venuto a vivere con me e ci siamo separati. Mi sono resa conto che questa era la mia vocazione e non potevo chiedere al resto della mia famiglia di fare lo stesso. È stato normale aspettarsi che degli adolescenti non volessero vivere improvvisamente senza energia elettrica”. Perché una donna brillante e laureata arriva a scegliere una strada che può sembrare quantomeno drastica? “Da bambini, non siamo mai stati incoraggiati a concentrarci sulle cose materiali” continua Emma, “Ero solita giocare nei campi“.
Ha sempre amato i fiori e la natura

…”Io e mio fratello a volte mangiavamo i nostri pasti sugli alberi. È stato idilliaco. Ho avuto la vera libertà. Sono molto grata di non aver mai dovuto vivere la sensazione di aver fatto qualcosa solo perché tutti gli altri l’hanno fatta. Ho portato avanti questo principio. Oggi, tutto ciò che riguarda la mia vita mi rende felice. Svegliarsi in un bosco e guardare i bellissimi alberi, vedere le stelle e la luna, ho un rapporto molto stretto con il mondo naturale”. Per questo Emma ha deciso di vivere prendendo l’acqua da un ruscello, tagliando la legna, coltivando le sue verdure, curando i suoi animali (sette galline, tre capre, due cavalli e due gatti) e costruendo una capanna in stile hobbit fatta di paglia, fango e sterco di cavallo. E trascorre la propria esistenza in un luogo straordinario che lei chiama casa, dove ogni tecnologia moderna è bandita e la vita è a impatto zero, con i minor danni possibili sul pianeta. E’ possibile.
Fin qui la notizia, della quale riporto la fonte:
http://www.ilfattaccio.org/2013/01/25/la-signora-hobbit-la-donna-che-vive-in-maniera-quasi-medioevale-a-impatto-zero/.
Bello, diremmo, persino idilliaco, ma a mio sommesso avviso la signora Orbach qualora dovesse essere portata ad esempio, potrebbe esserlo di ciò che, oggi, appare fuori dal tempo e fuori dal mondo. Contenta lei contenti tutti, naturalmente.

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Tanto per chiarirci, chi scrive non si ritiene un ecosostenibile da salotto: non possiede televisore, radio, lettore cd, kindle e neppure – da tempo immemore – un’auto. Vive per la maggior parte dell’anno in una contrada di montagna ad oltre un’ora di marcia dalla strada asfaltata e dalla ferrovia, ritiene che non esistano erbe infestanti e per cucinare (utilizzando per quanto possibile vegetali locali coltivati o raccolti personalmente, nonché carne e uova del posto, poiché non ha voglia, in salita, di caricarsi le spalle come un mulo) sfrutta le proprie conoscenze termotecniche divertendosi a giocare con il calore residuo. Ma mai si sognerebbe di edificare una casa con la merda di cavallo. Piuttosto con paglia e terra cruda seondo una metodologia antichissima, tra l’altro antisismica in modo naturale, e dipingendo a calce e pigmenti naturali ricavati da erbe e bacche. Forse perché, quand’anche fosse nato in una famiglia ricca, non si sentirebbe di certo addosso il fardello di chissà quali sensi di colpa da scontare. Viva la Vita.

ACS

Le barriere sono nella mente. Tranne quelle architettoniche.

Cesec CV 2014.04.05 Disabilità 001Considerazioni di un disabile pro-tempore per CondiVivere un aspetto legato alla qualità della vita.
Oggi mi hanno tolto i punti al quadricipite sinistro: lo sbrego di venti centimetri creato dai chirurghi sopra il ginocchio per andare a recuperare e ricucire il tendine affinché continui a svolgere la propria funzione risalta, riluce, si mostra in tutto il suo splendore lasciando immaginare cruenti esiti di arrembaggi daga alla mano.
Ma il volo fantastico del pirata dei Caraibi dura giusto il tempo per assistere alla spennellatura con liquido antisettico d’ordinanza, alla protezione con ampio morbidoso cerotto ed alla ricopertura con calza antitrombo, che ad onta del nome non è un accessorio pensato da torturatori medioevali del Sant’Uffizio al fine di evitare intemperanze sessuali.
Riposizionato infine il tutore che mi fa sentire molto Robocop non restava altro da fare. Allora ho deciso per una passeggiata, sotto la mia responsabilità è ovvio: la vita per me è sempre stata senza rete, che sarà mai un giretto da pensionato?
Non ho naturalmente scelto levigati vialetti circondati da prati curatissimi in puro stile centro di riabilitazione, troppo comodo. Ho scelto la strada, si proprio quella dove transitano pedoni, autobus, camion e motorini. Insomma, quella dove scorre la Vita.
Ed ho scelto di percorrerla con il mio girello in leggerissimo tubolare, non ammortizzato e dotato di ruotine che sono cugine di quelle dei carrelli dei supermercati: vanno ovunque fuorché dove voglio io.
Tuta nera da Ninja, scarponcini da trekking che mi fanno sentire più sicuro – e che mi sono allacciato da solo, sembra una stupidaggine ma in queste circostanze rappresenta una conquista – gambottone bionico, giacca a vento rigorosamente rossa, complice la splendida giornata appoggiata con nonchalance sulla traversa del girello, e via. Durante la passeggiata mi sono pure fermato ad ammirare il panorama rollandomi una sigaretta en plen air.
KL Cesec CV 2014.04.05 Disabilità 003Ma, direte voi, se sei stato così fortunato da poterti muovere autonomamente a pochi giorni da un intervento chirurgico, qual’è il problema? Semplice: il girello. O meglio la percezione che se ne ha secondo arcinote costruzioni mentali. Chi ha bisogno di un girello per deambulare? Un disabile, è ovvio. Ma anche un anziano affetto dal Parkinson ed afflitto dall’immancabile badante.
Non ho la benché minima intenzione di trascorrere la convalescenza murato vivo come la Monaca di Monza e, se voglio andare in giro sia pure nel limite delle mie possibilità assaporando fioriture di glicini e azalee, profumo di pane appena sfornato e tutto ciò che fa sentire vivi e non malati, visto che non sono un Rettiliano che strissia come una bissia, devo per ora farlo utilizzando il girello.
E se questo è per me causa di turbamenti interiori poiché mi fa apparire, ai miei occhi beninteso, come un vecchietto disabile, vale la risposta data da Jack Nicholson al suo vice nel film Codice d’Onore.
Il girello mi crea problemi, o meglio barriere mentali? Benissimo, e allora mi ci ficco dentro fino in fondo e vado a spasso con il girello. Punto.
E’ stata una piacevole passeggiata di un’oretta e sono contento della sfida che mi sono autoimposto, con messaggio finale su Whatsapp alla mia compagna, che risponde: “Anch’io sono contenta e sono contenta che l’hai fatto con il girello abbattendo barriere mentali.
E sin qui le considerazioni legate alla percezione di sè, alla consapevolezza, all’intento, al risveglio ed a tutte quelle robettine lì.
Emergono però ben altre considerazioni, tra attraversamenti pedonali, salitine, discesine, marciapiedi, gaudiose pavimentazioni da arredo urbano e quant’altro: se da sano, e da progettista, ho sempre prestato attenzione alle problematiche legate alla disabilità motoria, da disabile pro-tempore ho avuto la conferma di tante fonti di disagio, minime ma al tempo stesso grandi: dalla reale portata delle barriere architettoniche, anche una ruga per terra diventa una barriera se ti muovi con il girello, alla percezione che di te ha la gente.
Il secondo aspetto è molto più positivo del primo: le persone si fermano per cederti il passo, si scansano, ti superano badando a non urtarti, ti sorridono (devo dirlo: specialmente le signore, anche se non mi davano l’idea dell’istinto materno…), si offrono di tenerti aperta una porta. Giusto per ricordarti di non dimenticare che le barriere sono dentro di noi e siamo noi a proiettarle sugli altri.SAMSUNG DIGITAL CAMERALe buche, il pavè sconnesso e le pezze sull’asfalto invece non sono dentro di noi, sicuramente son dentro i bilanci comunali; i pali della luce messi apposta per allenare allo slalom e le corsie per disabili più strette della carreggiata di una carrozzina, per di più inserite in una ciclabile, sono nel cad di un architetto deficiente. Una proposta, per gli specialisti dell’urban design: cari colleghi, perché un giorno ogni tre mesi non vi steccate una gamba in modo da tenerla rigida e andate in giro per i marciapiedi della vostra città con un girello, addirittura in carrozzina? No cari, quella con il joystick è vietata.

ACS