Mangia di stagione: interessante iniziativa della Provincia di Roma

Vi siete mai chiesti perché la frutta estiva è ricca d’acqua e quella invernale è più asciutta? Semplice: perché se quella estiva fosse asciutta si surriscalderebbe, mentre se quella invernale fosse ricca d’acqua gelerebbe.Cesec-CondiVivere 2014.10.14 Agriasilo 004Non manca inoltre un’importante ragione nutrizionale, come vedremo al termine di questa premessa, necessaria per inquadrare la questione: come gran parte degli Italiani della mia generazione provengo da una famiglia di antiche origini contadine. Gli ultimi furono i miei nonni paterni: tra il Polesine e il Delta del Po si occupavano di agricoltura ed allevamento di bovini e anguille sino alla devastante alluvione del 1951, quando vendettero le terre e si ritirarono. Ma le tradizioni rimasero ed io, pur essendo nato in epoca successiva, ricordo che in concomitanza delle festività natalizie una delle prelibatezze era “l’uva di Natale”, bianca e decisamente dolce a causa dell’appassimento. Da quel momento e fino a settembre di uva non se ne parlava più. In primavera arrivavano a rotazione fragole, nespole, albicocche, ciliegie, fino all’apoteosi di pesche, meloni, angurie, lamponi, more e mirtilli, questi ultimi invero presenti tutto l’anno poiché opportunamente conservati venivano usati anche in cucina. Si chiudeva con pere, fichi, noci e uva, per passare a castagne, mele, arance e cachi.
Onnipresenti datteri, banane, ananas e frutta secca ma avocado, mango, tamarindo e via tropicando chi li ha mai visti sino ai primi anni Settanta?
Di pomodori e melanzane in inverno nemmeno a parlarne; cetrioli si, ma conservati in aceto e spezie all’uso tedesco. Crauti quanti ne volevamo: freschi in stagione, bianchi e rossi, in salamoia durante il resto dell’anno insieme con conserve di verdure miste sottaceto e barattoli di salsa di pomodoro. Le insalate, infine, marcavano le stagioni con i loro colori: il tarassaco – da noi detto pissacan – nelle sue progressionii di verde da marzo a ottobre, consumabile crudo e successivamente cotto; le lattughe, la riccia, la rucola sino al rosso del radicchio di Chioggia o di Treviso, o al bianco di quello mantovano.
Menzione speciale infine per la rucola, erba povera e spontanea sdoganata come si dice ora nelle preparazioni della cucina pseudopopolare riscoperta dall’intellighenzia ecochic degli anni Settanta. Quando mia nonna leggeva di certe ricette immancabilmente commentava con un “I g’ha scoverto l’acqua in canal” che sapeva di vetriolo…CC 2015.09.13 Mangia di stagione 001Oggi andiamo al supermercato ed in ogni momento dell’anno troviamo qualunque cosa, peraltro dalle provenienze più disparate.
Paleontologi ed archeologi fissano in 10mila anni fa la fine del Paleolitico con l’introduzione di agricoltura e allevamento presso alcune società euroasiatiche.
Ma ancora oggi tali pratiche non sono universalmente condivise: Pigmei, Boscimani, Indios amazzonici, Semang malesi vivono tuttora di quanto la natura offre loro spontaneamente. Per essere più precisi resistono all’apparentemente inesorabile avanzata delle società agricole e industrializzate. Il fatto che, ancora oggi, riescano a sopravvivere di sola caccia e raccolta significa che in determinate circostanze ambientali ciò rappresenta uno stile di vita efficiente: se la natura offre spontaneamente del cibo, perché compiere sforzi per procacciarsene altro?
Alle nostre latitudini, dove la natura è stata piegata dall’Uomo per sottostare alle sue esigenze, possiamo ancora trovare numerose specie vegetali selvatiche adatte all’alimentazione. Il loro numero è però in rapida diminuzione in ragione della costante perdita di biodiversità, dovuta principalmente alle logiche di mercato dell’agricoltura intensiva e al sacrificio di interi ecosistemi a favore di aree antropizzate.
La questione sembra apparentemente slegata dalla nostra quotidianità, e invece la nostra stessa esistenza è strettamente dipendente dalla biodiversità.
E così ho anch’io pronunciato il mantra catastrofista tanto caro a chi dovrebbe avere a cuore le sorti del pianeta, nonché i mezzi per potersene occupare salvo non andare oltre il blabla dei proclami e dei convegni…KL Cesec CV 2014.03.04 Ambiente maneggiare con curaIn ogni caso e come sempre le chiacchiere stanno a zero ma i numeri parlano chiaro: dall’anno 1900 ad oggi il 75% delle varietà vegetali è andato perduto, i tre quarti delle risorse alimentari mondiali dipendono da sole 12 specie vegetali e 5 animali e delle 75.000 specie conosciute solo 7.000 vengono usate in cucina. Delle 8.000 varietà censite in Italia nel 1899 ne sono rimaste 2.000.
Dalla fine della II Guerra Mondiale ad oggi delle 400 specie di grano esistenti il 90% sono scomparse. E che dire delle mele? Oltre un migliaio di antiche varietà ha ceduto il passo nell’80% dei casi a 4 varietà: due americane, una australiana e una neozelandese. Lo stesso vale per i pomodori: delle 300 cultivar commercializzate solo 20 sono autoctone. Stessa solfa per le altre solanacee, le cucurbitacee, i legumi e via elencando.
Il nostro Paese, con 57.000 specie animali, pari a un terzo di quelle europee, e 5.600 specie floristiche (il 50% di quelle europee) il 13,5% delle quali endemiche ha un patrimonio biodiverso fra i più importanti. Bene: 138 specie, il 92% delle quali animali, sono a rischio di estinzione a causa del consumo del suolo che erode gli habitat naturali, ed in ragione dell’intensificazione dei sistemi di produzione agricola. L’Italia, capeggiata dalla Lombardia, con il 43,8% di superficie coltivata è il Paese europeo con la maggior estensione di aree agricole. Ma l’abbandono dei sistemi tradizionali e naturali in favore di quelli industriali, l’impiego di sostanze chimiche dannose per il territorio, la logica della crescita infinita stanno abbattendo drasticamente il numero delle specie esistenti e, di quelle rimanenti, le qualità nutrizionali.
La delocalizzazione produttiva, nella quale noi italiani non siamo secondi a nessuno avendo da gran tempo acquisito direttamente o attraverso holding multinazionali immense estensioni di aree nel Sud del mondo, contribuisce inoltre a dare il colpo di grazia alla biodiversità.KL-Cesec - Supermercato - OrtofruttaLe nostre abitudini alimentari, rapportate a quelle dei nostri genitori e dei nostri nonni, sono state rivoluzionate nell’ultimo quarantennio attraverso il mutamento dello stile di vita, le aumentate disponibilità di cibo ed i trattamenti di raffinazione industriale: siamo le prime generazioni della storia ad avere il problema dell’obesità e del diabete sin dalla più tenera età.Cesec-CondiVivere 2014.12.03 Zingari 003Lo sviluppo delle produzioni intensive, delle monocolture e l’evoluzione delle capacità di trasporto hanno comportato che le disponibilità agroalimentari ci consentano di avere in ogni periodo dell’anno qualsiasi prodotto o perché coltivato in serra o perché proveniente da Paesi a stagioni rovesciate rispetto alle nostre.
I prodotti vengono però raccolti con largo anticipo rispetto alla loro disponibilità al banco, e la loro maturazione e conservazione avvengono spesso durante lo stoccaggio ed il trasferimento, non di rado grazie all’impiego di prodotti potenzialmente tossici.
Tutto questo si tramuta in un maggior costo:

  • economico, in quanto il prodotto deve ripagare dei maggiori investimenti compiuti per realizzarlo fuori stagione, per conservarlo o per farlo giungere da lontano fino al nostro Paese;
  • ambientale, in quanto si ha un dispendio di energia e un maggiore sfruttamento di risorse naturali (ad esempio il gasolio usato per riscaldare le serre);
  • nutrizionale, perché ogni tipo di frutta o verdura nasce, indipendentemente dalla volontà umana, per rinfrescare d’estate e riscaldare d’inverno. Pomodori e cetrioli, per esempio, sono tipicamente estivi per tale ragione, mentre carciofi e verze sono tipicamente invernali per la ragione opposta.

Per rieducare ad un consumo alimentare responsabile, salutare ed ecosostenibile l’Assessorato alle Politiche dell’Agricoltura della Provincia di Roma ha promosso una lodevole iniziativa diffondendo un simpatico volumetto di 34 pagine, dal titolo La stagionalità dei prodotti agricoli nella provincia di Roma.CC 2015.09.13 Mangia di stagione 002Di agevole consultazione e gradevolmente illustrato descrive mese per mese i prodotti stagionali, concludendosi con un interessante capitolo sulle conserve e con uno di utili indicazioni che aiutano a consumare prodotti quanto più possibile sani e ricchi dei loro nutrienti naturali. Il volume è scaricabile in formato pdf a questo indirizzo.
Pur esulando dall’argomento della stagionalità, accenno in chiusura alla questione della filiera corta: le sue caratteristiche consentono rispetto della stagionalità, migliore qualità e freschezza del prodotto; l’assenza di intermediari permette inoltre un più adeguato compenso degli addetti, spesso schiacciati dalle politiche della grande distribuzione.

Alberto C. Steiner

Un uomo solo nel bosco

Una delle esperienze sicuramente più significative per Luigi Ugolini, avvocato e cacciatore, scrittore e pittore, fu il carcere al quale venne condannato nel 1940 in quanto antifascista, per alcuni suoi articoli contrari all’alleanza con Hitler e all’entrata in guerra con i tedeschi, e dove trascorse due anni temendo spesso di venire fucilato.Cesec-CondiVivere 2014.03.25 Un uomo solo nel bosco 001Nato a Firenze nel 1891 da un’antica e nobile famiglia aretina, la sua versalità di scrittore lo portò a dedicarsi completamente alle lettere e al giornalismo, collaborando con Il Messaggero, La Gazzetta del Popolo, La Nazione, Il Lavoro, la Lettura, Diana, Il Cacciatore Italiano e La Nuova Antologia, la più prestigiosa delle riviste culturali del Novecento. Appassionato cacciatore scrisse romanzi e manuali venatori, novelle di caccia, eleganti libri di ricette di selvaggina, ma anche saggi sulla vita di personaggi celebri: Dante, Michelangelo, Leonardo, Raffaello, Petrarca, nonché opere teatrali e di didattica per ragazzi. La sua produzione è stimata in oltre centocinquanta opere.
Tre sue opere legate alla caccia meritano una menzione particolare: Il Nido di falasco del 1932 e Musoduro del 1934, dalle quali vennero tratti dei film, e Un uomo solo nel bosco, romanzo di un boscaiolo cacciatore del 1941.
Desidero parlare di quest’ultimo, ormai introvabile, perché la sua trama suggerisce a quello che l’Autore chiama l’Uomo Naturale, ovvero quell’uomo creato per comprendere i codici intangibili della Natura, di stabilire un legame inviolabile con l’ambiente della sua vita. Nel caso specifico gli alberi, che diventano il sentire di un’anima semplice, fatta corteccia e corpo attraverso la figura di Natale, un essere solitario al confine fra l’elfo e la creatura arboricola: egli si muove tra le foglie annotando con lo sguardo del contemplatore solitario i mormorii degli arbusti, le voci delle fronde e quelle degli uccelli in una foresta sempre misteriosa, metafora dell’inconscio, del vagare onirico. Il bosco è visto come via di fuga e rifugio, in bilico tra la prigione e la liberazione. Non mancano scene di caccia, motivata dalla necessità di sopravvivere e vissuta ed osservata in silenzio con rispetto e gratitudine.
Un libro difficile da leggere, perché gli occhi tendono a chiudersi per lasciare spazio ad immagini dell’anima, a visioni di profonda comunione con la Natura.
Un libro magico che ricorda la foresta casentinese e che per certi versi richiama la Regola Camaldolese e la nota affermazione di Bernardo di Clarvaux: troverai più nei boschi che nei libri. Un libro per ragazzi dagli 8 agli 80 anni, come recita l’Autore, che fa meditare su quanto di prezioso la Natura ci offre.
E del rispetto che ci chiede in cambio.

ACS

Tiere, Menschen und 7.000 Jahre Kulturlandschaft

Una recensione? Si, e in questo caso aggiungo decisamente. Questo libro di 336 pagine, scritto da Günter Jaritz ed uscito nello scorso settembre per i tipi della casa editrice austriaca Anton Pustet con il titolo Seltene Nutztiere der Alpen, 7.000 Jahre geprägte Kulturlandschaft la merita a pieno titolo.thumb_nutziere_cover_neu_650_Il suo tema conduttore, come riporta la prefazione, sono Tiere, Menschen und 7.000 Jahre Kulturlandschaft: animali, uomini e settemila anni di paesaggio culturale.
Le Alpi non sono solo spazio economico e culturale per oltre 13 milioni di persone, ma anche l’habitat di 110 razze antiche di animali a rischio di estinzione. E con loro una cultura contadina antica di 7mila anni.
In questo lavoro di ricerca, che costituisce un eccezionale punto di riferimento e un vero e proprio compendio di razze censite a partire dalla Slovenia e, seguendo un percorso da oriente a occidente  lungo tutte le valli alpine, sino alla Provenza ed alla Costa Azzurra, incontriamo idealisti, esperti e pensatori creativi che si dedicano amorevolmente ai loro animali minacciati di estinzione.
L’autore di questo lavoro riccamente illustrato ha viaggiato per tre anni nelle diverse regioni alpine raccogliendo un’ampia messe di notizie dalla ricca esperienza di allevatori, contadini e pastori. In questo libro lo seguiamo incantati e sorpresi tra gli ultimi cani da pastore e i piccoli suini neri di montagna, gli asini di Provenza o le rare capre blu del Tirolo.
Per chi volesse approfondire sono stati inseriti link e, dove possibile, indirizzi per contatti.

ACS