Il Parco agricolo Sud Milano, area estesa per 46.300 ettari che interessa il territorio di 61 comuni, comprende le tre antiche abbazie cistercensi di Chiaravalle, Mirasole e Viboldone, alcuni castelli, storici complessi agricoli fortificati e ben 1.400 aziende agricole.Il Parco Sud ha visto molte idee, tanti progetti, convegni a non finire ed i suoi prati sono stati idealmente calpestati da innumerevoli passerelle elettorali. Ma ancora oggi stenta a decollare una seria attività di coordinamento che muova da un’univocità di intenti, tanto è vero che ogni tanto qualcuno si pone delle domande. Per esempio il Comune di Cesano Boscone, che il 29 gennaio scorso ha organizzato la serata di informazione “Il Parco Agricolo Sud Milano ha un futuro?”, momento di confronto pubblico pensato per conciliare l’ambito agricolo e quello cittadino, ricercando provvedimenti strutturali per diminuire le emissioni e per far conoscere le ricchezze di un territorio che può consentire l’avvio di nuove economie, basate sulla valorizzazione del made in Italy e del capitale umano. Insieme con agricoltori (pochi) ed istituzioni (scarse) vi hanno preso parte Giovanni Gottardi del WWF, Renato Aquilani dell’Associazione per il Parco Sud Milano, Domenico Finiguerra di Salviamo il paesaggio e Michela Palestra, Presidente del Parco.
Insomma: Nihil sub sole Novi Ligure, direbbero in provincia di Alessandria…
Fortunatamente il territorio del Parco comprende anche realtà dove non si convegna e non si chiacchiera ma si lavora concretamente e senza bisogno dei riflettori. Per esempio la Comunità Nocetum: questo luogo di spiritualità, accoglienza e condivisione situato nella Cascina Corte S. Giacomo, all’estrema propaggine meridionale di un quartiere da sempre considerato difficile, il Corvetto, promuove la connessione tra città e ambito rurale accogliendo al proprio interno un alloggio per donne in situazione di disagio e fragilità sociale e per i loro bambini ed organizzando percorsi didattici per scuole e gruppi, attività di volontariato ed iniziative per favorire l’integrazione, la coesione sociale e la valorizzazione del territorio.Ma anche altri nel Parco, per esempio mentre a Milano si inaugurava la monumentale esposizione sul cibo di plastica, continuavano a lavorare silenziosi, su piccola scala, attenti alla qualità e alle relazioni umane: agricoltori, gruppi, associazioni e reti che credono in un modo diverso di produrre, distribuire e consumare cibo. Sarà l’energia dell’ora et labora che ancora, a distanza di secoli, emana da quella terra? Chissà, può essere…
Alcuni progetti interessanti potrebbero riguardare la possibilità di far incontrare anziani e giovani per dialogo e scambio di conoscenze ed insegnamenti in un’ottica di aiuto reciproco, anche economico. Oggi sono considerati mondi lontani l’uno dall’altro, per via dell’età e degli spazi e dei momenti passati insieme, ma una volta accadeva spontaneamente: dove andava a vivere il giovane universitario fuori sede? A casa della vecchia zia che stava proprio nella stessa città sede della Facoltà. Oggi che l’assottigliamento delle vecchie zie ha assunto connotati preoccupanti, si potrebbe riscoprire ex-lege quello che il buon senso intergenerazionale aveva sempre dato per scontato. Ed ecco, per esempio, un centro di alloggio per anziani dove gli studenti potrebbero soggiornare gratis in cambio di un monte ore da dedicare a compagnia e supporto degli ospiti. E i ragazzi risparmierebbero almeno 500 Euro al mese di affitto insegnando, che ne so, l’uso di internet ed e-mail od organizzando il tempo ai nonni putativi i quali (non si sono assottigliate solo le zie, ma anche i nipoti, complice il drastico crollo delle nascite) sarebbero felici di chiacchierare con i ragazzi.
E se in questo mélange generazionale – lasciando stare l’ipotesi di trovare una zia ricca e sola, senza eredi e che veda nel giovane virgulto un perfetto erede da adottare – ci si inventasse una home farm e la casa di riposo diventasse una fattoria urbana? Dov’è scritto che la terza età debba essere considerata una specie di parcheggio in attesa della morte?Trasformare una casa di riposo in fattoria urbana non sarebbe difficile: gli anziani avrebbero un ruolo attivo coltivando frutta e verdura per autoconsumo e per la vendita. A costo quasi zero sarebbe terapeutico anche sotto il profilo della forma fisica, visto che è noto come essere attivi, avere dei progetti e vederne i risultati mantenga giovani, giovi all’umore e al fisico. Sembra un’ovvietà? Certo, lo è. Proprio per questo basta poco per trasformarla in realtà, oltretutto contribuendo alla tutela del territorio ed al recupero di edifici altrimenti destinati ad un progressivo degrado.
Alberto C. Steiner