La ricetta contro lo spopolamento dei piccoli borghi? La banda larga. Parola di Legambiente.

Un recentissimo dossier di Legambiente lo definisce disagio insediativo riferendosi a quelli che stanno sempre più diventando comuni fantasma: 2.430 secondo le stime dell’associazione ambientalista, piccoli borghi dove un cittadino su 7 è andato via e ci sono due anziani per ogni giovane, una casa su tre vuota.Castello TorrechiaraPer corroborare la propria tesi che, almeno per quanto ci riguarda, è la scoperta dell’acqua calda, Legambiente infarcisce la relazione con dati numerici che, oltre a renderla leggibile con difficoltà (ma a ciò contribuiscono anche l’assoluta mancanza di scorrevolezza del testo e l’utilizzo di una lingua che assomiglia soltanto all’italiano) spesso fuori contesto e che si contraddicono fra loro. Eccone un esempio: «Due anziani per ogni giovane, una casa su tre vuota, 36 abitanti per ogni chilometro quadrato, un ragazzo su sette che è scappato altrove: ecco perché rischiano di sparire, letteralmente, 2.430 Comuni italiani. Piccoli o piccolissimi borghi, spesso incantevoli, che soffrono di forte disagio demografico ed economico. Pur avendo bellezze e caratteristiche uniche che potrebbero renderli attraenti dal punto di vista turistico, infatti, mancano di servizi, e così l’ospitalità ricettiva è cresciuta appena del 21% negli ultimi 25 anni, passando da 1,12 milioni di posti letto a 1,36. Per capirci, mentre le presenze turistiche aumentavano del 15% in questi piccoli centri, in città arrivavano al 35%. Anche la popolazione straniera, pur cresciuta negli ultimi 15 anni, è rimasta inferiore del 22,1% rispetto alla media nazionale. Dato ribadito dal deficit di imprese straniere, pari a -25.6%. È come dire che l’attrattività economica e le opportunità lavorative sono mediamente inferiori.»KL Cesec CV 2014.03.12 Agriturismi 001Afferma Legambiente che mentre le città del triangolo industriale (nostra osservazione: che non esiste più da decenni), del Nord-Est (ancora nostra osservazione: dove i miracoli sono finiti da tempo), della Pianura Padana e di alcune aree marchigiane, toscane e campane crescevano consolidando la propria identità e trascinando anche i paesini dell’hinterland, il 30% dei comuni italiani, concentrati nelle aree interne dell’Appennino e del Sud – in particolare Campania, Puglia e Sicilia – nell’ultimo quarto di secolo restava al palo.
Con redditi bassi, tassi di disoccupazione alti non solo per i ragazzi tra i 20 e i 30 anni, ma anche per i 30-54enni, e una riduzione impressionante dei giovani: gli ultra 65enni in questi paesini sono aumentati dell’83% rispetto ai giovani fino a 14 anni. Se i cittadini italiani crescevano del 7%, nei piccolissimi borghi i residenti diminuivano del 6,3%, con 675 mila abitanti in meno.
Questione di condizioni ambientali? si chiede Legambiente. Non sempre, si risponde, perché se è vero che la montagna soffre, ma non dappertutto, ci sono centinaia di piccoli comuni a disagio in collina e pianura, segno che «più che le condizioni altimetriche sono le condizioni di collegamento e innervatura delle reti a governare lo sviluppo». Eccola qui la chiave di lettura: l’innervatura delle reti. Ci torneremo fra poco.KL Cesec CV 2014.03.16 Agrinido 001Come evitare che questi comuni diventino paesi fantasma? E pronta, l’associazione ambientaiola, fornisce la risposta:
Anzitutto sfruttando le opportunità residenziali, perché «Se solo un quarto delle 500 mila abitazioni non utilizzate lo fossero, potremmo addirittura ospitare fino a 1,5 milioni di nuovi cittadini, e se solo un quarto dei posti letto fossero utilizzati secondo le medie urbane, il turismo creerebbe benessere diffuso: 123 milioni di presenze ogni anno, un fatturato di quasi 10 milioni di euro con oltre 300 mila nuovi posti di lavoro».
Perfetto, e ci siamo costruiti un’identità disneyana di santi, navigatori, ristoratori, barman e camerieri.
E conseguentemente valorizzando l’agricoltura: «Se solo un quarto delle superfici agricole abbandonate negli ultimi 20 anni fosse riutilizzato, potremmo avere oltre 125mila nuove aziende agricole, con una media di 12 ettari ognuna» vale a dire 1.500.000 ettari complessivi, vale a dire 15.000 km2, insomma un po’ più della Calabria (15.221,90) e un po’ meno del Lazio (17.232,29). Non male, considerando che l’intera superficie italiana è pari a 302.072,84 km2.
E tutto questo grazie alle nuove forze di giovani laboriosi e capaci, «che scelgano di andare o tornare a vivere in posti molto più salutari, genuini, belli e semplici, potendo nello stesso tempo svolgere il proprio lavoro da casa, grazie a reti internet veloci e smartworking.» Insomma, parliamoci chiaro, qui non servono bamboccioni.
Ma occhio all’incongruenza, sostanziata da quel: svolgere il lavoro da casa grazie a reti internet veloci e smartworking. Spiegateci, cari ambientazionalisti: ma questi giovani vanno a recuperare le terre abbandonate per svolgervi attività agricola o cosa? E se svolgono attività agricola è ovvio che “lavorano da casa”, come è altrettanto ovvio che una rete internet veloce fa comodo ma non è un imprescindibile strumento per pacciamare, spollonare, mungere capre o voltare fieno. E la campagna è proprio il posto meno adatto per pensare ad uno “smart”working. C’è il working, e basta e avanza.CC 2016.06.09 Smartworking 001Ed ecco che Legambiente tira fuori la soluzione, corroborata da una proposta di legge a cura del piddino Ermete Realacci, attualmente in discussione alle Commissioni riunite Ambiente, Territorio e Lavori Pubblici e Bilancio della Camera. Dichiara il parlamentare: «L’intenzione è di approvare questa proposta di legge per andare presto in Aula; è una legge su cui con Legambiente lavoriamo da tempo anche con la campagna Voler Bene all’Italia.»
Tra le misure principali del provvedimento la diffusione della banda larga e misure di sostegno per l’artigianato digitale (lo vogliamo vedere l’artigianato digitale: i bit fatti a mano uno per uno con materiali ecocompatibili, magari da portatori di disagio sociale? Chissà…).
Naturalmente il disegno di legge parla anche di semplificazione per il recupero dei centri storici in abbandono o a rischio spopolamento, al fine di convertirli “anche” in alberghi diffusi (attenzione: “anche”); di interventi di manutenzione del territorio con priorità alla tutela dell’ambiente; di messa in sicurezza di strade e scuole e interventi di efficientamento energetico del patrimonio edilizio pubblico, nonché di acquisizione e riqualificazione di terreni e edifici in abbandono.
Bene, evviva. E il recupero del territorio, e l’agricoltura rinata grazie ai giovani operosi? Boh…
Il nostro sospetto è che, come suol dirsi, alla fine della fiera i piccoli borghi montani e collinari potranno in primo luogo beneficiare della banda larga a spese pubbliche. E che la riqualificazione ecosostenibile del territorio passi attraverso opere di cantieristica: case, strade, edifici pubblici, alberghi diffusi presumibilmente affidati a carrozzoni cooperativi e che, vedendo ben pochi clienti, dovranno prima o poi essere sostenuti da interventi di finanza pubblica.
Che ve lo diciamo a fare: se Legambiente non esistesse bisognerebbe inventarla.

Alberto C. Steiner

Sempre più affilati i denti a sciabola della finanza etica

Il 9 luglio scorso pubblicavamo l’articolo Analisi del portafoglio di Banca Etica Sgr leggibile qui che argomentava, dati alla mano, come il portafoglio dei titoli componenti i fondi che detto istituto di credito offriva ai propri clienti non fosse affatto etico.Cesec-CondiVivere 2015.07.09 Io odio la finanza sostenibileL’articolo riprendeva, aggiornandolo ed integrandolo, quanto scrivemmo il 7 novembre 2013 leggibile qui nonché il breve saggio: Attenti! ora la finanza speculativa si traveste di verde, pubblicato addirittura il 18 novembre 2009 sul sito TGCom24 a firma Fiori & Foglie, linkato all’interno dell’articolo citato sopra.
A confortare ciò che scrivemmo giunge il 30 dicembre scorso l’articolo Possiamo fare a meno dei fondi etici? pubblicato su Comune-Info a firma di Paolo Trezzi e leggibile qui: un punto di vista assolutamente critico e dettagliato su Etica sgr, la società di gestione del risparmio che, scrive l’autore, “corre sempre di più il rischio di amministrare portafogli di società quotate piuttosto discutibili” affermando perentoriamente: “Etica Sgr, la società di gestione del risparmio di Banca etica (e altri), dovrebbe chiudere, essere chiusa. In forza delle stesse ragioni per cui è nata Banca etica.”
Per parte nostra lasciamo volentieri la lettura dell’articolo, dove si parla di armi, autostrade, sfruttamento di lavoro minorile e chi più ne ha più ne metta, a chi fosse interessato. Senza ulteriori commenti. Quel che avevamo da dire lo abbiamo già detto.

Alberto C. Steiner

Fear Arousing Appeal, il marketing della paura

Sta andando a ruba negli Stati Uniti il kit prodotto dalla società americana Taurus chiamato First 24 e dichiarato come indispensabile per sopravvivere ad un disastro e raggiungere un luogo sicuro. Significativo il disclaimer del produttore: “Un team di esperti del settore ha selezionato i componenti di alta qualità racchiusi in questo kit che vi permetterà di sopravvivere alle prime 24 ore, dandovi un vantaggio considerevole. Dal disastro naturale ad una apocalisse zombie, voi sopravvivrete”.Cesec-CondiVivere 2015.06.03 Marketing della paura 001Il kit comprende un revolver a cinque colpi Taurus Judge, detto il giudice supremo, camerato per le .45 Colt e per le .410 Bore e completamente personalizzabile con mirini ottici; munizioni; un coltello tattico CRKT Sting Survival a lama non riflettente; una torcia elettrica anfibia che può proiettare un fascio stroboscopico in grado di accecare la minaccia; e per finire accendino, bussola, fune, batterie ricaricabili. Il tutto contenuto in una robusta valigetta dichiarata resistente a tutto Costo: 1.499 dollari.
No, vi rendete conto? Mettiamo di trovarci alla canna del gas per una catastrofe ambientale e stiamo a pensare agli zombie… ma non crediate che accada solo a quei beoti degli americani: anche da noi la paura fa 90 e, sulla circolare filoviaria di Milano, pure 91…
È bene sapere che esiste una forma particolare di marketing strategico: il Fear Arousing Appeal, o della paura.
Chi vuole vendere un prodotto ha due possibilità: soddisfare un bisogno reale oppure crearne uno che prima non c’era. Con i cellulari, per esempio, si è creato un bisogno prima inesistente.
Ma, giusto per amor di fatturato e di controllo, ogni giorno viene fatto credere nell’esistenza di un falso problema, che spesso fa leva sugli istinti peggiori. In un mondo dove siamo sopraffatti dal superfluo la nuova frontiera è quella di insinuare paure ingiustificate, per poi proporre un prodotto risolutivo.
La tecnica consta di tre passaggi ben precisi:

  • Creazione della minaccia
  • Descrizione sempre più preoccupante del pericolo appena creato, così da generare tensione
  • Proposta della soluzione attraverso l’acquisto di un prodotto che rassicura e garantisce che, seguendo i suggerimenti forniti, non si correrà alcun rischio.

Attraverso la creazione di un problema inesistente si giustifica la spesa per difendersi da un nemico invisibile e spesso, per rincarare la dose, viene applicata un’ulteriore tecnica di marketing strategico, uno strumento legalmente legittimo, basato sul semplice meccanismo della domanda/offerta, ma che ancora una volta fa leva sulle paure. In amor vince chi fugge… ma la massima può essere applicata anche agli affari: il prodotto, reso essenziale dallo stratagemma del terrore, viene distribuito ad un prezzo ragionevole ma in quantità limitata e solo entro una certa scadenza. Inutile dire che la disponibilità limitata di un’opportunità spinge a desiderarla maggiormente proprio per paura di perderla.
Lo sanno bene aziende multate dall’Antitrust per sconti incredibili che terminavano di domenica, ma non si capiva quale, visto che ogni domenica venivano rinnovati.Cesec-CondiVivere 2015.06.03 Marketing della paura 002Pubblicità, televisione, certi siti di informazione non hanno alcun interesse a fornire informazioni corrette, unica loro finalità è attizzare il fuoco della paura per manipolare spingendo a fare quello che vogliono. Di esempi ce ne sono moltissimi, basta scorrere internet per trovarne a bizzeffe: le scie chimiche, i clandestini che stupreranno le nostre figlie e ci prenderanno le case, i giocattoli costruiti di proposito con sostanze che fanno morire i bambini e, per converso, la bacca che cura il cancro, la formula magica della tal acqua dinamizzata. Mi fermo qui che, come dice il Puffo Quattrocchi, è meglio…
Vigili, centrati, ragionare con la propria testa, infischiandosene di apparire fuori dal coro. Ecco la soluzione.
Il ben dell’intelletto è un dono straordinario, ma nella vita spesso lasciamo che sia la nostra parte irrazionale a spadroneggiare, non coltivando sufficientemente la capacità di valutare lucidamente le decisioni, ma con la pretesa che i nostri desideri siano realizzati. Da chi? Come? Dove? Quando? E soprattutto perché mai dovrebbero esserlo senza che noi facciamo un passo?
Prendiamo certi post che trovano largo consenso sui social: è tutto un blablabla, un delirio incazzato, un urlo dell’impotenza, uno sbavare di turpitudini qualunquiste, razziste, da stadio. Ma nessuno si sogna di spegnere il pc assumendosi la responsabilità di scendere in strada con mazze e bastoni. Altrimenti come farebbero a continuare a lamentarsi? No, dev’essere qualcun altro a farlo…
Inutile che ci facciamo illusioni, la massa non è senziente, la cosiddetta democrazia rappresentativa è una frode, e i social sono stati implementati per fornire un’illusione di libertà. Chi detiene il potere lo sa molto bene, come sa che l’irrazionale è la base dei vizi, della manipolazione sociale e di molti dei problemi che ci creiamo e che poi cerchiamo faticosamente di risolvere. E in questo certe infami filosofie misticheggianti che ci hanno spiegato che la mente mente non fanno altro che il gioco che apparentemente affermano di contrastare.
Seguendo il Pathos, ovvero l’irrazionale, crediamo che basti pronunciare parole positive, esercitare il peace&love incondizionato e, per converso, temere scie chimiche, complotti mondiali e contemporaneamente fabbricare acqua caricata infondendole chissà quale energia per trarre innumerevoli benefici.Cesec-CondiVivere 2015.06.03 Marketing della paura 003Se veramente esitono persone in grado di produrre effetti speciali, di muoversi nel tempo e nello spazio, non si sognerebbero mai di istituire corsi o seminari per l’apprendimento.
La verità è che mettiamo da parte la ragione perché abbiamo un gran bisogno di cambiamento e di conseguire la felicità, di non sentirci soli ed oppressi dal peso della fatica di vivere. Senza fare sforzi? Troppo comodo, gente…
Obiettivamente non si capisce perché qualcuno debba venirci a salvare prendendoci per manina e sollevandoci dalla massa di individui inconsapevoli che affollano il Pianeta. Gratis.
Una soluzione rapida e indolore che cancella ogni problema? A parte il suicidio, eventualmente anche di massa visto che siamo sette miliardi e le risorse bastano solo per due, non ne vedo altre. Dice: ma se tutti consumassimo meno, decrescessimo e balblabla… Io faccio la mia parte ma non ho nessuna intenzione di vivere allo stato brado, pur essendo ecosostenibilconsapevole. Esistono innumeri esseri che sono lì ad aspettare che la manna, manna onlus, manna ong, manna babbonatale, manna pippirinanda cada dal cielo senza essersi mai sbattuti per autodeterminarsi, autogovernarsi. Fatevene una ragione: non accadrà mai. Si, magari qualcuno potrebbe avere un grosso colpo di fortuna, ma è altamente improbabile e i furbetti del mondo lo sanno, per questo studiano come farci sognare, per riuscire a trasformarci in burattini senza cervello, che si bevono qualunque fesseria viene loro raccontata.
L’egemonia del lato irrazionale è la radice che spinge verso l’autodistruzione, è la corrente che permette al pifferaio di farsi seguire ed alle dittature di regnare, perché i politici carismatici sanno bene come esaltare la folla ignorante facendo leva su sentimenti manipolabili; è lo stesso motore della dipendenza dal gioco d’azzardo, malattia che gli stessi stati alimentano in continuazione ben sapendo quali meccanismi emozionali scatenare. La supremazia dell’irrazionale permette alla superstizione di vincere sulla ragione, e quindi a maghi, indovini, maestri e guru di vivere come parassiti sfruttando le paure delle persone, costituendo l’humus sul quale sono nate e cresciute centinaia di religioni, capaci di travalicare l’ambito spirituale nella certezza che l’ignoranza diffusa non permetterà alle persone di pensare con la propria testa.
Tutto questo non solo è noto, ma è sfruttato quotidianamente da chi ha capito che il potere si ottiene basando la propria vita sulla ragione e sfruttando le debolezze di chi invece lascia che l’impulsività e la superficialità tengano in mano le redini della sua esistenza.
Io li chiamo truffatori dell’anima, e queste stesse persone ridono quando capiscono che la massa crede nella favoletta che il sentimento, quello che spinge a compiere errori irreparabili, è caldo, mentre la ragione è fredda, triste; addirittura godono quando sentono persone farsi paladini del Pathos, del ragionare di pancia, dell’agire d’istinto, e pensano: “Ecco un altro pollo da spennare”.
Ed è la stessa modalità che muove i vari maestri, guru, illuminati e mappine varie ai quali si rivolgono persone in stato di disagio quando non disperate. Loro fra i truffatori, insieme ai politici sono i peggiori, perché insegnano che la mente mente, che occorre la pancia, occorre il cuore, che tutto il resto sono sovrastrutture: misticismo, peace&love, pacifismo. Sono tutti accorgimenti per ottundere le coscienze, per creare una pletora di beoti convinti di essere liberi. E per creare dipendenza.Cesec-CondiVivere 2015.06.03 Marketing della paura 004Fino a quando questo sarà il pensiero dominante, loro avranno vita e denaro, mentre gli altri resteranno nella mediocrità, oppressi, senza nemmeno accorgersi di chi sono i carnefici.
Spesso dimentichiamo che filosofia, quella che ci piace citare quando vogliamo dare rilevanza al nostro lato irrazionale, significa invece amore per la sapienza, esattamente l’opposto di quello che crediamo e del modo improprio con il quale la tiriamo in ballo.
Per essere felici è necessario riuscire ad essere padroni della propria vita, cioè compiere le scelte migliori per noi, in funzione di quello che vorremmo che ci accadesse, cioè usare il Logos. Nonostante l’imprevisto sia sempre dietro l’angolo, non c’è motivo per non indirizzare tutti i nostri sforzi verso i traguardi che vogliamo raggiungere, ma prima di tutto va chiarito un concetto importante: questi sono i sentimenti caldi, forti, che consolidano l’autostima rovesciando la percezione che si ha dell’uso della ragione, del pensare e dell’agire con la propria testa, senza farsi sopraffare da sentimenti irrazionali derivanti dall’ignoranza dilagante.
E’ il vero piacere, più forte di un qualsiasi cambiamento inaspettato, perché quest’ultimo lascerebbe sempre il dubbio, la paura che le cose possano cambiare nuovamente, timore che invece non esiste quando si conosce il perché degli accadimenti, si sanno valutare bene i fattori che hanno portato ad un determinato stato e come ricrearli perché le cose tornino (eventualmente) al loro posto.
Per questo, quando si vuole cambiare occorre ragionare e lasciare che la mente prevalga sulle decisioni impulsive. Fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e conoscenza scrisse l’Alighieri nel Canto XXVI dell’Inferno…
Eccessi incontrollati, scelte errate, fede nelle pseudo-scienze significano solo farsi manipolare, sono i mali che oggi impediscono alle persone di dare una svolta alla propria vita. Sono le forme peggiori di repressione della libertà perché non permettono all’individuo di accorgersi della condizione in cui versa e quindi difficilmente può liberarsene.
Ragionare con la propria testa è la chiave, per farlo il primo passo è ammettere che la ragione è più soddisfacente ed efficace dell’agire di pancia, capire che alle persone non piace usare la testa perché costa fatica, lavoro, impegno, responsabilità mentre l’illusione di soluzioni facili non richiede sforzo, ma non porta a niente, se non ad un diverso livello di schiavitù.
Vogliamo davvero cambiare vita e provare ad essere felici? Cambiamo completamente l’approccio alla vita. Ma il cambiamento richiede sforzi concreti e applicazione metodica che porti a risultati certi e ripetibili.
Ripetibili, questa è la parola chiave. La ragione produce risultati ripetibili, misurabili, che infondono sicurezza. E solo la sicurezza in noi stessi è la chiave della serenità contro lo spaventapasseri dell’ignoranza.

Alberto C. Steiner

Montagna: giovani imprenditori, attenti ai nuovi camminanti!

Ancora oggi la montagna sa essere ostile come e forse più del mare: il suo territorio è un contesto complesso e pericoloso, non agevole quanto a comunicazioni specialmente durante l’inverno, duro da lavorare anche per l’impossibilità di utilizzare mezzi meccanici. In cambio di molta fatica la resa può essere scarsa. Il senso di isolamento, infine, ha fatto sì che nei decenni scorsi le montagne si spopolassero o, in alcune località, si trasformassero in isole per sport invernali che non solo nulla avevano a che fare con la cura del territorio, ma che contribuivano anzi a violentarlo: innumerevoli sono gli esempi di scempio condito da folclore, slavine, inquinamento, traffico, agenzie immobiliari, impianti di risalita e cannoni sparaneve devastanti.Cesec-CondiVivere 2015.03.13 Montagna 004Pur sapendo che il loro cammino sarà faticoso e che troveranno ostacoli di ogni tipo, molti giovani imprenditori stanno però tornando alla montagna, colpiti da quell’unicità che vi hanno saputo cogliere e dalla possibilità di dare vita ad un sogno.
Disillusi da una crisi economica che fa guardare di nuovo alla terra non tornano però semplicemente  all’agricoltura o all’allevamento ma inventano forme miste in cui turismo, valorizzazione e benessere costituendo alternative interessanti all’essere dei semplici coltivatori o allevatori. Giovani iperconnessi, consapevoli di quanto la comunicazione e la valorizzazione di prodotti e servizi siano dimensioni concrete quanto la natura che li circonda, avendo ben presente che il territorio montano costituisce il 43% della superficie nazionale.Cesec-CondiVivere 2015.03.13 Montagna 001Questi ragazzi sono spesso laureati in agraria, veterinaria, biotecnologie, economia, ingegneria, nessuno in filosofia o scienze politiche. Riconsiderano la montagna per dare avvio ad attività nel settore agro-ambientale sapendo che non sceglieranno un esilio nel quale gli unici clienti saranno i pochi sopravvissuti all’esodo urbano ma, consapevoli di strumenti e tecnologie che aiutano a costruire una storia intorno al prodotto, ne valorizzano l’origine per farlo conoscere oltre i confini del singolo paesino.
Oggi racconto le storie di alcuni di questi startupper pionieri che hanno saputo trasformare in valore ciò che è percepito come marginale .Cesec-CondiVivere 2015.03.13 Montagna 002Parto da quella che mi piace di più: Stefania Savardi, titolare, in una piccola fattoria nei pressi del lago di Iseo a Solto Collina, dell’azienda agricola L’Asino del Lago, specializzata nella produzione di cosmetici ipoallergenici a base di latte d’asina e erbe officinali. Interessante in questo caso il concetto di multifunzionalità dell’azienda, costruita intorno all’asineria e attiva non solo per la produzione alimentare e cosmetica ma anche come fattoria didattica e centro di pet-therapy. È importante sottolineare come in questo caso sia fondamentale acquisire competenze specifiche sia nell’ambito dell’allevamento che della coltivazione in territori collinari-montani, luoghi che spesso vedono una frammentazione dei pascoli e terreni. Quest’ultimo aspetto risulta di fatto vantaggioso perché la verticalità del contesto aiuta a sfruttare climi diversi per coltivazioni ed esigenze di pascolo diverse.
A seguire Valentino Bonomi: ritorna alla montagna, dove era nato e cresciuto vicino a Edolo, dopo aver studiato economia a Milano. Diventa uno dei primi laureati dell’Università della Montagna e prende in mano l’azienda agricola di famiglia, concentrandosi soprattutto sull’allevamento di capre che permettono una produzione di formaggi e derivati di qualità nel caseificio annesso. All’attività dell’agriturismo, si affianca anche quella di fattoria didattica e vendita diretta di formaggi, salumi e marmellate prodotte in loco.
E poi Marco Tacconi, fondatore di Terraxchange, iniziativa di riqualificazione di terreni incolti che, tramite una piattaforma di annunci online, mette in contatto proprietari e appassionati orticoltori con la voglia di far tornare queste friches (come le chiamerebbe l’architetto paesaggista Gilles Clement) di nuovo produttive. Si tratta di una riqualificazione funzionale ed estetica, destinata a ridare vita e forma a piccoli appezzamenti che prima producevano solo erbacce. Nella maggior parte di casi, il pagamento per la gestione del terreno avviene attraverso la concessione al proprietario di una parte dei prodotti coltivati.
Ed infine Andrea Campi, cuoco e imprenditore dell’Osteria al Dosso di Aprica, che ha messo in piedi la Snood Kitchen per unire le sue due passioni: snow, la neve, e food, il cibo. Ha trasformato un gatto delle nevi in una vera e propria cucina professionale mobile capace di funzionare in condizioni estreme, con il quale intercettare una fetta di mercato costituita da un target giovane, attento alla qualità ma anche al prezzo, che in orario di pranzo si trova sulle piste da sci e non certo al ristorante. Snood Kitchen li raggiunge sulle piste, proponendosi anche come punto di ritrovo e intrattenimento: oltre al cibo, mette a diposizione consolle per dj, hotspot wifi e punto di ricarica per i cellulari. E, considerando la scomodità di pagare in contanti in abbigliamento da sci, Andrea ha studiato un pratico pagamento tramite rfid-tag che permette di caricare del credito nel proprio chip, oltre a promozioni per i clienti più affezionati.
Punto di contatto tra queste 4 storie, i loro protagonisti. Tutti laureati dell’Università della Montagna, l’ateneo che offre corsi di laurea triennale in Valorizzazione e Tutela dell’Ambiente e del Territorio, unici in Italia per la specificità di strumenti e conoscenze che offre.Cesec-CondiVivere 2015.03.13 Montagna 005Ed ora il rovescio della medaglia, nell’ottica di quel medioevo prossimo venturo del quale non mi stancherò mai di parlare. Sono già centinaia, ed anch’essi fuggono dalla pazza folla per riconquistare una dimensione bucolica. In campagna però, forse perché in montagna fa troppo freddo. Sono quelli dei centri sociali. Mentre i montanari lavorano, hanno raccolto le loro avventure in un libro, che già dal titolo fa incazzare: Genuino e clandestino, edito dall’ineffabile ecochic Aam Terra Nuova, dove tengono a precisare che vi si narra della fuga in campagna di dieci famiglie in stile hippy per attuare la sfida dei nuovi contadini anarchici. Clandestino? Anarchici? Non hanno ancora capito che la terra non vuole politicanti, la terra, anzi Madre Terra, ti spacca la schiena.
Battaglia in difesa della terra e nascita di una rete che si batte per coltivare e distribuire prodotti sani al giusto prezzo, affermano. Duri e puri finché dura insieme impastano il pane, zappano, arano coltivi, seminano, curano viti e frutteti, governano animali lottando contro le leggi insensate che stravolgono la cultura della terra, contro la burocrazia. Conducendo battaglie importanti come quella per il prezzo sorgente perché il prodotto non possa essere rivenduto sul mercato a 20-30 volte quel che è stato pagato al contadino. I clandestini si sostengono tra loro con una rete di 21 siti di coordinamento locale e gruppi d’acquisto da Torino a Matera, da Vicenza a Napoli, passando per l’Emilia, le Marche, la campagna romana e l’Aspromonte calabro, fino alle pendici etnee. Iniziativa encomiabile, almeno nelle premesse, ma la prima domanda che sorge è: a che titolo occupano le terre che desiderano far rinascere? Le okkupano? Se le fanno assegnare da qualche carrozzone socialpolitico in qualche modo legato alla tetta del terzo settore?
No, chiariamo il concetto: chi non paga il costo del terreno, chi non sta pagando un mutuo, si mette in una posizione di vantaggio sleale nei confronti degli altri. Inutile poi farsi belli, equi e solidali!
Lo so, sarò limitato e politicamente scorretto ma, a mio avviso, i migliori difensori della terra e della montagna, anche sotto il profilo legislativo, rimangono quelli che la vivono attraverso la consapevolezza della tradizione e del lavoro, non i fighetti ecochic dell’orto urbano e della cascina cuccagna, o che per una volta hanno spollonato l’uliveta in un centro di meditazione.
Fra gli obiettivi di questa nuova comunità c’è quello di “costruire un movimento che metta assieme i lavoratori precari della città con i lavoratori precari della campagna”. A posto siamo.
Date le radici ben piantate nella cultura dei centri sociali non prescindono dall’impegno ambientalista e politico: “La storia e le realtà del movimento sono storie di resistenza contadina in nome della terra come bene comune” affermano, sforzandosi per creare mercati di vendita diretta, momenti di “scambio di saperi, sapori e informazione” conditi da sfide per “rivendicare il diritto alla sovranità alimentare, alla difesa della terra e dei territori”. Sfide? A proposito di sfide, vi siete portati la vanga o solo i libri che parlano della Boje?
Nessun portavoce, niente strutture gerarchiche, solo un manifesto di principi condivisi che punta a saldare un’alleanza tra i neo contadini anarchici e i consumatori, per evitare le trappole dell’agrobusiness e di una green economy, verde solo nella facciata. Una rete sociale e ambientale, dunque, che produce il cibo e l’etica del cibo di domani. Perché mangiare bene, sano e al prezzo giusto è la nuova battaglia da vincere. In difesa della terra.
Naturalmente la RIVE, Rete Ideologica Villaggi Ecomagici, ci ha messo lo zampino e il patrocinio.
Qualcuno ce la farà, ma temo fortemente che i numerosi falliti costituiranno l’embrione dei nuovi camminanti, ma ben più pericolosi dei loro antenati: una nuova società di predoni che non si limiterà a vagabondare di villaggio in villaggio vivendo di lavoretti, piccoli furti e carità.
Che nei centri sociali e nei vari collettivi universitari vi fossero centinaia di braccia rubate all’agricoltura era un fatto noto: vedo con piacere che l’agricoltura se ne sta riprendendo qualcuna… Mi auguro solo che vivano del proprio lavoro, felici e contenti. E senza pesare su Pantalone quando si renderanno conto che con natura e stagioni non puoi sovvertire le regole. La natura non è anarchica, per farla produrre ci vuole fatica attenendosi scrupolosamente alla realtà, e se non sapranno gestirla non potranno dar colpa alla polizia e ai suoi manganelli. Staremo a vedere fino a quanto durano e cosa produrranno, possibilmente senza incentivi gratuiti.Cesec-CondiVivere 2015.03.13 Montagna 003E che non si sognino, almeno dalle mie parti, di venire a predare. Sappiamo già come accoglierli.

Alberto Cazzoli Steiner

Non si sono mai viste in giro tante zoccole!

Si, sub crisi imperante si registra anche l’incremento di chi decide di prostituirsi, ma non è di quel fenomeno che intendiamo parlare, bensì delle zoccole altrimenti dette pantegane, ovvero topi di fogna.
Citiamo dal dizionario Treccani online: “zòccola s. f. [prob. der. di un lat. volg. *sorcula, dim. femm. del class. sorex -ĭcis «sorcio», incrociato con zoccolo1 (nel sign. fig. e spreg. del n. 1 b)], region. – 1. Topo di chiavica”.Cesec CV 2014.07.13 ZoccoleBene, esaurito il colto riferimento passiamo alle cose serie: l’aumento delle pantegane, non solo nelle città ma anche nelle campagne, è esponenziale. Vivono nelle fogne, vivono dei nostri rifiuti, si moltiplicano ad una velocità impressionante e diventano sempre più invasive, voraci ed aggressive. A Milano, il laghetto del parco Sempione ne è infestato e non è raro che qualcuna si spinga sino al sacchetto di patatine tenuto da qualcuno seduto su una panchina. E’ di qualche anno fa la notizia che uno di questi animali avrebbe ingaggiato una furiosa lotta nientemeno che con un pitbull. Corre addirittura voce che il carcere di San Vittore, sotto il quale scorre l’Olona, non abbia grandi protezioni contro le evasioni che potrebbero essere effettuate attraverso i sotterranei in quanto chi ci provasse non solo non ne uscirebbe vivo, ma di costui non si troverebbero neppure i più minuti ossicini.
Ma le grandi città: Milano, Roma, Napoli non sono le sole a vivere il fenomeno. Addirittura sui sentieri della via Francigena alcuni viandanti sono stati ad un passo dall’essere aggrediti; le guardie forestali toscane hanno addirittura ritrovato lo scorso autunno i resti di un cinghiale divorato da un gruppo di pantegane; un asilo ligure ha dovuto essere chiuso per la disinfestazione. E di casi potremmo citarne centinaia.
La costante ricerca di cibo, l’impulso a riprodursi a ritmi pazzeschi rendono da sempre le pantegane un pericolo, anche per le numerose e gravi patologie che possono trasmettere.
L’incremento della raccolta differenziata ed una consapevole gestione dei rifiuti urbani contribuiscono ad arginare il fenomeno nei centri abitati, ma il problema si sta spostando nelle campagne e nei boschi ed a farne le spese, per ora, sono piccoli animali, mammiferi e volatili.
E’ altresì noto come i topi rispondano ad un “segnale” collettivo, e le loro migrazioni assumono i contorni di un fenomeno di massa.
A livello pubblico della questione si parla poco, addirittura non se ne parla affatto, in realtà l’aumento esponenziale delle pantegane sta assumendo i contorni di un’emergenza sanitaria sempre più grave.

ACS