Il Cohousing montano è una tutela per il territorio

 

Alpeggio BittoPrati fioriti di mille colori, alte vette che fanno da quinta, aria cristallina, mucche sparse a brucare che sembrano messe lì come in un presepe, il mandriano, i cani, le baite, il formaggio saporito, il burro giallo che si conserva nell’acqua gelida del torrente mentre la polenta brontola nel paiolo sul fuoco del camino…
Riusciamo a immaginare cosa c’è veramente dietro bei paesaggi e buoni formaggi, ricordi e suggestioni, sapori e folclore?

Non è solo questo l’agricoltura in montagna. Qui gestione, manutenzione, valorizzazione di territorio e paesaggio non sono opera di giardinieri, ma il frutto di un’attività economica e produttiva che per millenni ha costituito la principale fonte di sostentamento e il centro identitario e culturale del territorio e delle popolazioni.
Le tracce di questa cultura e di queste attività improntano tuttora in modo indelebile e diffuso il territorio, il paesaggio, i modi di vivere, le tradizioni, l’architettura, i cibi, i prodotti alimentari ed i manufatti artigianali lasciando, in montagna forse più che altrove, i segni di un’identità forte che agli occhi degli estranei viene percepita come luogo di tradizioni senza tempo.

Una storia millenaria ha costruito in Alpe il paesaggio di cui oggi godiamo come straordinario testimone che ci racconta la vita delle sue genti e ci apre alle belezze di ambienti frutto di fatiche secolari poiché, all’interno di questo sistema che ha funzionato perfettamente fino ad alcuni decenni fa, la valorizzazione delle risorse pastorali è stata una delle chiavi di successo e di sopravvivenza delle popolazioni, armonico ed equilibrato rapporto tra risorse del fondovalle e degli alpeggi che ha permesso lo sviluppo di forme integrate di economia agricola con l’allevamento permanente di bestiame da latte.

L’attività degli agricoltori montani ha consentito di creare forme ingegnose di transumanza verticale che hanno costruito nel tempo un paesaggio variegato fatto di aperture tra i boschi, prati e maggenghi, pascoli di alta quota, nuclei rurali ed architetture tipiche che costituiscono il pregio di tante località montane.
Eppure anche la montagna è cambiata e sta cambiando, anche se questo può non apparire agli occhi dei frequentatori occasionali, e non parliamo di mutamenti dovuti all’incremento di strade, case, capannoni che hanno invaso e imbruttito i fondovalle, quanto di cambiamenti più profondi e meno evidenti. Fra tutti la riduzione quando non la scomparsa dell’agricoltura e con essa, pur se a più lungo termine, della biodiversità e della bellezza paesaggistica dei luoghi.

Due tendenze opposte originano tale pericolo: da una parte l’intensificazione dello sfruttamento e, dall’altra, il suo abbandono. I fondovalle, considerati superfici pregiate, sono utilizzati in modo sempre più intensivo dallo sviluppo di un’urbanizzazione indiscriminata e da un’agricoltura che, assumendo sempre più i caratteri tipici della pianura, è ormai diventata di tipo periurbano.

Alle quote più elevate e meno accessibili i terreni vengono invece spesso abbandonati, e prima o poi riconquistati dal bosco. Se il ritorno del bosco può apparire positivo perché riduce l’impatto negativo dell’uomo su natura e paesaggio, costituisce in realtà un pericolo perché spesso le zone abbandonate sono proprio quelle più importanti ai fini della conservazione della biodiversità florofaunistica, oltre che per la diversità dei paesaggi. E senza trascurare l’incontrollato proliferare di animali selvatici che, non trovando di che nutrirsi, devono necessariamente essere abbattute. Innegabilmente, il ritorno del bosco migliora la stabilità delle pendici.

Per queste ragioni l’atteggiamento più sbagliato che una comunità coresidenziale può assumere allorché si stabilisce in un luogo, e maggiormente in un contesto orograficamente difficile quale quello montano, è quello di apparire e sentirsi enucleata dalla società locale ivi residente.
Sappiamo di ripeterci, ma non finiremo mai di dirlo: le comunità da noi promosse non prescindono dal territorio, sarebbe una forma di colonialismo, non di inserimento.

I cohouser che provengono, come in massima parte accade, dal vissuto urbano possono incontrare situazioni particolarmente difficili: agli occhi delle comunità storicamente residenti sono, a seconda dei casi quei matti che vivono nel bosco oppure i cittadini che giocano a fare i contadini o, più semplicemente, quelli là.
Chi vive da generazioni strappando con fatica alla montagna di che sostentarsi ha maturato una scorza dura. Perché duro è il loro lavoro: in montagna non servono le mastodontiche mietitrebbia che vediamo in pianura, tutt’al più i trattorini ed i trenini delle vigne, anch’esse faticosamente ricavate terrazzando a mano la montagna, dove i raccolti e le merci viaggiano per gli alpeggi nella gerla o a dorso di mulo. O con la teleferica.

Gli scenari futuri mettono in luce un sistema rurale alpino senza domani, con una perdita progressiva e costante delle note caratteristiche e delle specificità che l’hanno finora contraddistinto. Solo una diversa considerazione del ruolo dell’agricoltura di montagna rispetto alla conservazione dei paesaggi colturali tipici, alle produzioni alimentari di qualità, alla tutela degli spazi, alla difesa dell’ambiente e del territorio potrà garantire nuove forme di sopravvivenza e di sviluppo.

Agli agricoltori di montagna andrebbe finalmente riconosciuto il ruolo di Protagonisti essenziali del mantenimento del paesaggio naturale e rurale, come recita il protocollo Agricoltura di Montagna redatto nell’ambito della Convenzione delle Alpi e risalente all’anno 1991. Da allora si sono sprecati convegni e dibattiti ma è tuttora necessario lottare perché in montagna le imprese agricole continuino ad avere un ruolo centrale nello sviluppo di attività multifunzionali, confermando la funzione dell’agricoltore quale attore principale e strumento di presidio e salvaguardia del territorio e dello spazio rurale. Il futuro dell’agricoltura di montagna è a rischio e con esso molto della cultura che rappresenta.

 

Lungi da noi demonizzare il progresso o celebrare inni retorici al bel tempo andato, anche perché in quel tempo si emigrava per fame, ma intendiamo invece onorare ciò che ha formato la montagna come la conosciamo e che si sta irrimediabilmente perdendo.
Se l’agricoltura scompare, niente più ampi pascoli alpini tra i boschi, niente prati fioriti, niente mucche, niente paesaggi, niente formaggi.

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La scomparsa dell’agricoltura rischia di mutare profondamente le condizioni di vita dei territori di montagna e dell’intera società, e i fondovalle del futuro rischiano di diventare agglomerati di tipo metropolitano circondati da versanti boscosi inselvatichiti e abbandonati.
La montagna rischia così di diventare periferia urbana e una delle opportunità di divertimento che la cultura metropolitana esige per il benessere dei propri cittadini. In questo senso e pur non disconoscendone le molteplici opportunità di reddito, da noi stessi propugnate e sostenute nelle opportune sedi progettuali a condizione di essere saldamente legate al territorio, anche gli Agriturismi non connotati da un senso di appartenenza ambientale costituiscono solo un’ennesima opportunità di turismo mordi-e-fuggi, destinata ad utilizzatori con una patente ecosostenibile di maniera ma che, al di là dell’effimero, non rende giustizia al contesto ed alle sue tradizioni di lavoro. Tanto è vero che a non pochi di questi l’attuale contingenza economica sta rendendo difficile l’esistenza.

Sinceramente, crediamo più all’iniziativa delle Comunità locali e dei cittadini responsabili che alla capacità ed alla volontà politica centrale di attuare scelte corrette ed efficaci affinché all’agricoltura di montagna ed alle attività connesse – che tanto hanno dato alla difesa dell’ambiente ed alla valorizzazione della specificità delle produzioni – sia garantita non solo la sopravvivenza, ma anche il sostegno.

Ma se questi attori del cambiamento attraverso decisioni ed iniziative concrete, sono solamente coloro che vivono il territorio come fonte di lavoro, sostentamento e vita non ci si deve poi stupire di chiusure o localismi esasperati: è solo il frutto dell’abbandono in cui questi cittadini, lavoratori, elettori e contribuenti sono stati lasciati.

Il Cohousing: i caratteri e le linee fondamentali

Ciascuna iniziativa di cohousing possiede propri tratti caratteristici, per esempio la destinazione del terreno circostante gli edifici in base alla sua estensione, alle caratteristiche geomorfologiche ed alle aspettative dei futuri residenti, ovvero la destinazione di determinati spazi comuni o la loro realizzazione ad hoc. Ma tutte le iniziative sono acco- munate dalle medesime linee guida fondamentali.

Ne elenchiamo le principali.

1. La Progettazione è partecipata

Normalmente i futuri abitanti partecipano direttamente alla progettazione del villaggio in cui andranno ad abitare scegliendo i servizi da condividere e come gestirli; nel caso delle iniziative da noi promosse gli aderenti potranno beneficiare della progettazione assistita, vale a dire che una volta individuato il luogo e raccolte le adesioni di massi- ma offriremo un progetto originario sul quale lavorare: ciò consentirà di ridurre sensibilmente i tempi di intervento.

2. Il Vicinato è elettivo

La comunità sono elettive, nel senso che aggregano persone dalle esperienze differenti, che scelgono di formare un gruppo promotore condolidandosi attraverso la formazione progressiva di una visione comune condivisa.

3. Le Comunità non sono ideologicamente connotate

A meno di partire dalla premessa di aggregare persone o famiglie che condividano un pensiero, un sentire, un credo religioso, degli interessi non sussistono principi ideologici, religiosi o sociali alla base del formarsi delle comunità coresidenziali, anche se appare evidente come di fatto ci si scelga funzionalmente ad una visione comune di base; allo stesso modo non vi sono vincoli specifici o penali per uscire dalle comunità coresidenziali.

KL - Villaggio nel bosco

4. La Gestione è locale
Le comunità di cohouser sono amministrate direttamente dagli abitanti, che si occupano anche di organizzare i lavori di manutenzione e della gestione degli spazi comuni.

5. Le Strutture non sono gerarchizzate
Nelle comunità di cohousing si definiscono responsabilità e ruoli di gestione degli spazi e delle risorse condivise, generalmente in relazione agli interessi e alle competenze delle persone, ma nessuno esercita alcuna autorità sugli altri membri e le decisioni vengono prese in forza del consenso condiviso.

6. La Sicurezza

Il cohousing offre la garanzia di un ambiente sicuro, con forme alte di socialità e collaborazione, particolarmente idoneo per la crescita dei bambini e per la sicurezza dei più anziani.

7. Il Design e degli spazi per la socialità

La progettazione preliminare tiene conto dell’individuazione e dell’organizzazione degli spazi destinati a facilitare lo sviluppo dei rapporti di vicinato incrementando il senso di appartenenza ad una comunità.

8. I Servizi a valore aggiunto

La formula del cohousing, indipendentemente dalla tipologia abitativa, consente di accedere, attraverso la condivi- sione, a beni e servizi che per il singolo individuo avrebbero costi economici alti.

9. Gli Spazi Sacri

Ovvero la privacy: l’idea di un cohousing sano e integro è quella che permette di coniugare i benefici della condivisione di alcuni spazi e attività comuni, delimitando con precisione i confini, anche fisici, tra questi e quelli individuali: l’abitazione ed i ritmi e tempi di vita di ciascuno dei residenti.

10. I Benefici economici

La condivisione dei beni e dei servizi, riducendo gli sprechi ed il ricorso a fornitori esterni, nonché favorendo l’acquisto collettivo di beni ed attrezzature, consente di risparmiare sui costiordinari: pensiamo ad un locale adibito a lavanderia oppure ad un forno per la preparazione comune di pane, pasta ed altri consimili prodotti, o ancora ad un luogo comune per l’approntamento di conserve alimentari o, infine, ad un parco veicoli di proprietà ed uso comune.

Negli agglomerati in cohousing la dimensione delle abitazioni è generalmente inferiore, a parità di utilizzo, rispetto alla media delle normali abitazioni; oltre a contenere i costi complessivi dell’intervento – poiché a carico di ciascun proprietario vi è anche una quotaparte della spesa per la realizzazione degli spazi collettivi – tale caratteristica favorisce un più intenso utilizzo delle aree comuni.

Un progetto di cohousing prevede abitualmente la presenza di un numero variabile da 20 a 40 famiglie, o comunque unità, ma i progetti da noi proposti saranno destinati, salvo casi particolari, ad un massimo di venti unità: ciò per consentire una significativa integrazione tra gli abitanti e l’agevole sviluppo delle sinergie necessarie alla condivisione. Anche sulla base di precedenti esperienze abbiamocalcolato che in tal modo si possono gestire gli spazi comuni in modo ottimale ottenendo risparmi economici e benefici di natura ecologica e sociale.

Le nostre proposte di cohousing sono all’insegna di una strategia ecosostenibile, anche relativamente alla progetta- zione ed all’utilizzo dei materiali, all’adduzione dell’acqua, agli impianti termici, alla produzione ed all’utilizzo dell’energia elettrica, nonché relativamente alla questione dei rifiuti: tendenzialmente preferiamo riciclare piuttosto che differenziare.

Riteniamo inoltre che l’uomo abbia già sottratto sin troppi spazi alla Natura, tanto è vero che esistono tuttora milioni di metri cubi inutilizzati; non prevediamo pertanto di edificare nuove volumetrie ma di recuperare luoghi esistenti ed abbandonati, nelle città, nelle campagne ed in località collinari o montane. Se ciò da un lato comporterà una bassa incidenza economica per l’acquisto del luogo, dall’altro le tecniche adottate ed i materiali impiegati faranno sì che i costi finali non saranno molto diversi da quelli del mercato immobiliare ordinario.

Quelle da noi proposte, infine, saranno idealmente Comunità tendenti all’autosufficienza e, per quanto possibile e senza disconoscere la realtà circostante, all’autosostentamento; vale a dire che non sussisteranno preclusioni a formulare i progetti affinché i residenti che aspirano a svolgere un’attività nell’ambito dei complessi: agricoltura, artigianato, gestione di eventuali strutture destinate all’ospitalità o alla ristorazione, medicina non allopatica e discipline olistiche vi trovino spazi adeguati.

Partendo da solide basi, dalla consapevolezza di un impegno lavorativo ed economico destinato a protrarsi nel tempo e dall’aspirazione ad uno stile di vita rallentato ed attento ai bisogni veri di economia di scala e condivisione si creeranno le premesse per un’esperienza sicuramente gratificante.

Quanto costa guardare l’arcobaleno?

Cesec - Marta e l'acqua scomparsaBisognerà mettere il cartellino con il prezzo a ogni goccia di pioggia? Porteranno via l’acqua da sotto la pancia delle anatre? E quanto costerà la rugiada? Queste ed altre domande se le pone una bambina, Marta, protagonista di Marta e l’acqua scomparsa, libro scritto da Emanuela Bussolati ed edito da Terre di Mezzo.

KL-MartaUna favola intelligente ed ecologica per riflettere sull’importanza delle risorse naturali, in particolare dell’acqua, bene vitale, di tutti e irrinunciabile ma che improvvisamente scompare poiché c’è chi pensa di poterla vendere e comprare. E’ quello che scopre Marta quando, un giorno, va a trovare la nonna e trova la fontana del giardino secca come la gola di un uomo nel deserto. Che è successo? L’acquedotto, spiega la nonna, è diventato di proprietà della Compagnia delle acque libere e, d’ora in poi, chi vorrà l’acqua dovrà comprarla. Una compagnia padrona dell’acqua? Ma non è giusto! Cosa accadrà – si chiede la bimba – durante i temporali?Del libro colpisce un’immagine: l’espressione della bambina all’interno dell’auto, mentre con la punta della lingua cerca di leccare le goccioline d’acqua che si rincorrono sulla parte esterna del vetro. Nemmeno l’umidità che appanna un po’ il vetro riesce ad offuscare la fiducia di quello sguardo incorniciato in un caschetto di capelli neri. E’ uno sguardo che con tutti i suoi limiti: le gocce sono fuori, Marta, non puoi intercettarle! e forse proprio grazie ad essi, resta aperto sul mondo esterno. E pazienza se poi il mondo riserva sorprese non sempre gradite, come quella di chiudere la fontana nel cortile della nonna perché bisogna collegarla all’acquedotto: tra breve la sorgente non sarà più di tutti ma di una sola Compagnia e chi vorrà l’acqua dovrà pagarla. Un’altra tavola molto evocativa è quella di poche pagine dopo, che ritrae la mamma di spalle sull’uscio di casa mentre la nonna sale le scale.

La porta è aperta: sarà anche solo un’interpretazione, ma il bianco candido dell’interno contrasta così tanto con l’incombente oscurità dell’e- sterno da risultarne persino minacciato. E si legge: Non è giusto! – esclama Marta – L’acqua è di tutti!

A lei questa cosa proprio non va. I grandi stanno zitti come la fontana che non canta più e nemmeno il sonno tran- quillizza la bambina, che invece, tra un incubo e l’altro, si chiede se le nuvole diventeranno come banche gonfie di pioggia, se l’arcobaleno diventerà un bene di lusso, se la Compagnia metterà il cartellino del prezzo ad ogni goccia che cade. E poi c’è un problema… come faranno a far pagare i passeri che bevono l’acqua sull’incavo dei rami, sulle foglie e nelle gronde? Un racconto ecologico e appassionato sull’acqua come bene di tutti.KL - ArcobalenoDi chi è l’acqua? chiede sempre l’autrice ai bambini, prima di leggere loro Marta e l’acqua scomparsa. Quasi nessuno risponde: E’ di tutti. Abituati al fatto che le cose siano di qualcuno, non pensano che la Terra e le sue risorse fondamentali, tra cui l’acqua, siano un bene comune.

Spesso i libri per l’infanzia propongono modelli positivi di comportamento: non sprecare, non sporcare. Ma poi si cresce e ci si dimentica quello che si è imparato.
Perché allora non lasciar spazio all’immaginazione, potente qualità che può trasformarsi in azione? Che cosa succederebbe se l’acqua fosse in vendita? Qualcuno vorrebbe accaparrarsela, e si metterebbe in vendita perfino la visione dell’arcobaleno. Le nuvole sarebbero legate, perché non se ne vadano da altri affaristi, e via di seguito.

Abbiamo proposto questa favola come necessario complemento alle iniziative di cohousing che proponiamo e come premessa ad un progetto di finanza etica che si pone in antitesi con le purtroppo sempre più attuali minacce di privatizzare l’acqua.

E sappiamo bene di non fare le Cassandre… ne parleremo sempre di piu’ in futuro.

Ringraziamo KryptosLife per la gentile concessione www.kyptoslife.com

 

Monte Prat, l’albergo diffuso sull’altipiano di Forgaria (con una citazione a Daniele Kihlgren)

cesec,condivivere,danielekihlgren,albergodiffuso,monteprat,friuliLo ammettiamo: se la minibiografia, spudoratamente celebrativa, con la quale iniziamo questo scritto fosse un post su Facciuzzadilibro non esiteremmo un istante a cliccare mi piace tremilaseicento volte di seguito.
Adottato da un camorrista dei Quartieri Spagnoli, un’esistenza scandita da tossicodipendenza, esperienze estreme, un viaggio in auto da Milano alla Giordania durato otto mesi, la capacità (e la fortuna che, come si sa, audentes iuvat…) di riuscire a non farsi arrestare dai militari israeliani che lo avevano scambiato per un terrorista islamico, facendoli rotolare per terra dalle risate. Giusto per non farsi mancare nulla, a Cuba dev’essere stato, se non l’unico, sicuramente uno dei pochi stranieri che è riuscito a farsi mantenere dalle puttane anziché pagarle: avendo finito i soldi lui e suo fratello furono accolti da due jineteras, che li ospitarono per 15 giorni in casa loro all’Avana.
Anche questo è Daniele Kihlgren, che secondo noi non casualmente ha studiato al Liceo Parini di Milano… Oggi 48enne, è considerato il pioniere italiano dell’albergo diffuso perché un giorno, girovagando in moto, si perse nelle strade d’Abruzzo imbattendosi  in un paesino disabitato, Santo Stefano di Sessanio. Decise di acquistare una casetta e, poco dopo, una decisione, anzi una vera e propria illuminazione: comprare tutto il borgo per qualche milione di lire, senza chiedere un soldo di contributi statati o europei, senza prostituirsi a nessuna fazione politica, per restaurarlo secondo un metodo conservativo e salvarlo dalla rovina creando uno degli alberghi diffusi italaini più belli. Correva l’anno 1997… da allora Kihlgren ha fondato l’Associazione Sextantio e, dopo Santo Stefano di Sessanio, recensito dai più famosi giornali stranieri come one of the best hotels in the worldsono seguite iniziative analoghe. Tra queste, nella parte più antica dei Sassi di Matera, Le Grotte di Civita, un favola dotata di 18 stanze.

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L’albergo diffuso è un hotel che possiede una struttura centrale e per il resto è disseminato tra le case di un borgo abbandonato, oppure diffuso in un contesto rurale. E’ questo il caso dell’Albergo Diffuso Forgaria Monte Prat, nel cuore del Friuli. L’altopiano di Monte Prat si sviluppa ad un’altitudine media di 800 metri su un incantevole balcone naturale e consiste in una una distesa verde di prati e borghi rurali ristrutturati dove si trovano le case dell’albergo diffuso.

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L’altopiano è raggiungibile da Majano o da San Daniele del Friuli seguendo le indicazioni per Forgaria ed attraversando il fiume Tagliamento sul ponte di Cornino. Giunti alla frazione di Grap ci si ritrova in piazza Julia dove si può parcheggiare l’auto per proseguire a piedi mentre su tutto vigila lo sguardo attento del grifone, maestoso nel suo volo.

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L’albergo diffuso è nato nel maggio 2003 da un’idea sorta spontaneamente tra alcuni compaesani. I fabbricati che si trovavano sull’altipiano, il più antico dei quali risale all’anno 1775, e che fungevano da residenza estiva erano tipicamente rurali, con la stalla sotto e l’abitazione al piano superiore, tutti costruiti in pietra locale per ospitare il bestiame e la gente che, come d’uso all’inizio dell’estate e sino ad autunno inoltrato, si trasferiva sull’altipiano.

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Come in tante altre località montane, negli anni ’50 del secolo scorso con l’avvento delle prime industrie, abitudini ed economia locali mutarono e l’altipiano si spopolò. Il terremoto del 1976 diede il colpo di grazia portando all’abbandono quasi totale del promontorio. Quando si riprese a ristrutturare ed edificare sull’altipiano di Monte Prat, la popolazione si rese conto dell’importanza della tipicità dei fabbricati, che vennero adeguatamente censiti. Venne creato il Parco di conservazione di Monte Prat e, grazie ad un piano regolatore lungimirante, vennero stabilite direttive chiare sulle caratteristiche che dovevano e devono tuttora avere le case edificate e ristrutturate. Tant’è vero che, a tutt’oggi, la pietra locale caratteristica deve essere presente nella totalità degli edifici o almeno in buona parte.

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In questo contesto e con queste rigorose premesse, connotate alla mentalità friulana che, quando decide una cosa, non ammette ritardi o deroghe, è nato l’Albergo Diffuso Forgaria Monte Prat, disteso ai piedi del maestoso Monte Cuar, ricercata meta di un turismo escursionistico slow ma proprio per questo sempre più esigente.
Le antiche case della transumanza, isolate o inserite in microborghi rurali e ristrutturate rispettando la tipologia tradizionale della seconda metà dell’800, si presentano in spazi intervallati da prati e radure boschive, uniti tra loro da sentieri secolari.
L’ospite gode completamente della casa, in un luogo dove rigenerare corpo e mente in un ambiente sicuro adatto anche ai bambini più piccoli. Ogni edifcio è unico, incorniciato da uno splendido paesaggio che muta il suo aspetto con il cambiare delle stagioni.

Trasparente, gelida e indaco: l’Éve-verta di St. Marcel

cesec,condivivere,kryptoslife,st.marcel,eve-verda,acqua,montagna,aostaI primi sbuffi di vapore annunciavano la rivoluzione industriale mentre sul Secolo dei Lumi stava per abbattersi la rivoluzione francese. Un certo conte Saint Martin de La Motte, membro dell’Académie Royale des Sciences di Torino, decise di compiere una ricognizione naturalistica in Valle d’Aosta; gli accadde così di studiare il fenomeno naturale detto de l’Éve-verta, nel vallone di Saint Marcel, chiamata fontaine verte a causa del colore del suo deposito, composto in gran parte da rame privato della sua componente infiammabile e mineralizzato all’aria.

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Nelle sue memorie lo studioso riferì che rimase estasiato dal colpo d’occhio che presentava il vallone:  non credo che una natura così feconda e varia possa offrire uno spettacolo più gradevole, l’entrata del vallone è molto stretta e montagne si innalzano su ogni lato, cascate d’acqua riempiono di terrore al rumore che fanno, ma tra tutto questo spicca questa sorgente che pare di smeraldo, soprattutto quando il sole la illumina con i suoi raggi.
Essa sgorga tra due montagne molto elevate, che formano un vallone laterale alla valle centrale: queste montagne sono in parte calcaree e in parte scistose; quella che si trova sulla destra della fontana è in gran parte composta da mica riempita di granati; vi ho trovato anche delle tracce di schorl con granati. In cima alla montagna si trova una miniera di rame attualmente sfruttata e che viene chiamata filon de Molère; questa miniera, così come il resto della montagna, è ricco in granati; sarebbe auspicabile che lo fosse altrettanto in rame.
La fonte sgorga da una grande roccia calcarea che sembra essersi staccata dall’alto della montagna ed ha coperto una parte del letto della fonte stessa; l’acqua uscendo crea un volume del diametro di poco più di 30 cm (le unità di misura sono riferite al Système international d’unités codificato a partire dal 1889 – NdA). Essa si estende per 2 – 2,5 metri nei punti più larghi e dopo aver percorso circa 300 metri tra le rocce e attraversato pendii scoscesi, si perde nel torrente del vallone di Saint – Marcel, da cui prende il nome.
Il legno, le pietre, il muschio, tutto ciò che viene bagnato da quest’acqua è coperto da uno strato di terra verde, dove più e dove meno, a seconda che l’acqua scorra più o meno rapidamente; si nota la colorazione verde persino nei punti in cui l’acqua fa mulinello e si crea la schiuma, ma di colore meno intenso.

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Gli abitanti del posto, interpellati in proposito, riferirono che nel periodo di scioglimento della neve l’acqua era più sporca del solito, ma che la portata era sempre costante. Relativamente alla qualità dell’acqua, la gente credeva che fosse nociva per gli animali poiché non cercavano mai di berne, ma probabilmente la ragione era dovuta alla temperatura: lo studioso stimò che quella dell’acqua fosse 4,5°C contro una esterna di 12°C.

Egli rilevò altresì come l’acqua non fosse né acida né alcalina, non contenesse alcuna sostanza metallica bensì acido vitriolico, terra calcarea, terra magnesiaca ed argilla. Analizzando il deposito lasciato sulle rocce questo risultò composto da una parte estrattiva vegetale, accidentale in quanto dipendente dalle piante che l’acqua incontrava al suo passaggio, circa 1/3 di rame, 1/5 di argilla, 1/10 di terra silicea ed una modesta quantità di terra calcarea.

La relazione del conte Saint Martin de La Motte offre altri spunti, per esempio partendo dall’esistenza di una miniera di rame nella parte alta della montagna – all’epoca ancora in fase di sfruttamento unitamente a quelle di ferro prevalentemente per approvvigionare gli arsenali sabaudi- dalla quale sgorgava la sorgente dell’acqua verde. Questa miniera, sfruttata già ai tempi dei Romani, non è un semplice filone che segue la stratificazione della montagna, com’erano le miniere di La Thuile, Cogne o altre, ma una vera montagna di rame e pirite rameica coperta da roccia di diverso genere.
Se la sorgente origina dall’interno della montagna il flusso idrico potrebbe attraversare banchi di minerale decomposto trascinando materiali per forza meccanica. Lo studioso annota come inizialmente ritenne che il deposito fosse dovuto ad efflorescenza delle pietre erose dall’acqua, ma fu presto convinto del contrario considerando come le particelle di rame – più pesanti – precipitassero in funzione della forza trascinante impressa dall’acqua  nello stesso modo in cui i grandi fiumi portano con sé le grandi pietre. Osservò altresì come fosse possibile che le particelle venissero trasportate solamente in determinati periodi dell’anno, per esempio durante lo scioglimento delle nevi.
Salendo lungo il vallone, in località Laveyc o Éve-verta (in patois valdostano Acqua verde) a circa 1290 metri di altitudine, si incontra una sorgente di acque turchesi, la cui colorazione dà il nome al luogo: la particolarità dell’ Éve-verta, ricca di sali di rame, è proprio quella di colorare pietre, terra e muschi su cui scorre depositandovi una patina di quel minerale oggi noto come woodwardite poiché prende il nome Samuel Pickworth Woodward, il naturalista e geologo inglese che la studiò in Cornovaglia determinandone la formula chimica Cu1-xAlx(OH)2[SO4]x/2·NH2O. La woordwardite è diffusa in Tasmania, Tirolo, Nuova Scozia, Boemia, Alsazia, Baden-Württemberg e Westfalia, Honshu e, in Italia, oltre che in Valle d’Aosta a Gadoni in Sardegna, Valle Isarco in Trentino, Massa Marittima in Toscana e Torrebelvicino in Veneto.

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Resterebbe da stabilire, cosa che ancora  oggi nessuno ha fatto, quali possano essere le eventuali proprietà curative di quest’acqua che, in ogni caso, è una meraviglia da vedere: il ruscello, il suo fondo, le rocce, le pietre, il legno, il terreno  coperti da una sostanza che presenta tutte le sfumature tra il verde ed il blu. Tutto ciò che è sommerso appare di un bel blu cielo, ciò che è parzialmente bagnato è verde, mentre ciò che è asciutto è d’un blu cielo pallido. Lo stesso ruscello scorre su di un fondo colorato.

Restando in tema di minerali, nella miniera di Praborna, posta alla base del versante sinistro della valle di Saint Marcel, è presente un minerale rarissimo minerale chiamato violano proprio per le sue sfumature violacee.
Il violano è un diopside manganesifero comprendente dal 3 al 12% in giadeite in composizione di omfacite manganesifera (giadeite 35-50%), un altro pirosseno monoclino contenente sodio e alluminio, nel quale il manganese è quasi o del tutto assente.

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Ma sorgente di acqua verde e violano non esauriscono le attrattive di Saint Marcel. E dire che, percorrendo l’autostrada e vedendolo di sfuggita, lassù in alto sulla destra orografica della Dora Baltea, nessuno si immaginerebbe che meriti più di un’occhiata distratta…

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In realtà questo paese, abitato fin dalla preistoria e che in alcune frazioni conserva numerose incisioni rupestri, oltre ad essere un paese molto gradevole abitato da circa 1.200 anime, offre prosciutti crudi gustosissimi, aromatizzati con erbe di montagna ed anticamente preparati con carne d’orso. Il clima asciutto e ventilato ne permette una stagionatura ottimale e se la loro storia si perde lontano nel tempo, l’esistenza ufficiale è comprovata da affreschi risalenti al XV e XVI secolo che li ritraggono.

Naturalmente, a Saint Marcel non poteva mancare un un castello. Uno dei tanti, bellissimi, che costellano la Valle d’Aosta. Questo, detto a monoblocco poiché definisce l’ultima fase evolutiva del castello medievale, presenta una costruzione quadrata ed una successiva rettangolare scandite dall’immancabile torre.

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Il castello, eretto nel villaggio di Surpian ad opera di Giacomo di Challant verso il 1500 ampliando una preesistente casa-forte, è inquadrabile nella rete di installazioni che permetteva di controllare il territorio del fondovalle.
E come in ogni castello che si rispetti non possono mancare i fantasmi. Sembra che quelli di Saint Marcel si riuniscano, incappucciati, si riuniscano in una sala dopo aver percorso i corridoi. Alcune persone riferiscono di urla, colpi secchi, pietre che rotolano, nonché di un brusio indistinto, come se gli spettri fossero impegnati in una animata conversazione tra loro, ed infine di una figura maschile prestante, abbigliata con abiti seicenteschi, che tiene in mano una spada.

Ma non è finita. Tra le attrattive di Saint Marcel vi sono le antiche miniere: situati nella parte alta del vallone, i giacimenti manganesiferi di Praborna, a 1900 metri di altitudine, e ferrosi-cupriferi di Servette e Chuc fanno parte di un complesso minerario noto e sfruttato intensamente nei secoli passati ed oggi abbandonati ma tuttora meta di collezionisti e di studiosi provenienti da diverse Università europee. Le tracce delle attività estrattive industriali sono ancora visibili lungo i sentieri, nei boschi dove si celano forni e depositi di scorie, teleferiche in rovina, baracche dei minatori ed antiche gallerie parzialmente crollate e coperte di vegetazione, costituendo oggi un patrimonio di archeologia industriale meta di turisti slow; per gli appassionati di archeologia industriale il sito del Turismo in Valle d’Aosta merita davvero una visita.

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Saint Marcel, il cui vallone ospita rare varietà floristiche tra le quali la linnaea borealis e la clematis alpina, fa infine parte della Riserva Naturale  Les Îles, una zona umida vicino alla Dora istituita nel 1995 e che comprende anche i territori di Brissogne, Nus e Quart.

Onoriamo il Lupo, per noi è un animale veramente Sacro. Soprattutto se parliamo di finanza

Senza nulla voler togliere allo zio d’America Sunkmanitu Tanka ed alle sue coreografiche tradizioni iniziamo con un riferimento al nostro lupo oggi presente in circa un migliaio di esemplari diffusi tra Appennino marsicano, Toscana e alto Lazio, Aspromonte, Alpi Maittime e Dolomiti con qualche sconfinamento in Francia e Svizzera. Il germoplasma del nostro Lupo come esemplare codificato origina nel 1966 da un cucciolo nato dall’incrocio tra un pastore tedesco (non sappiamo se luterano) ed una lupa selvatica proveniente dall’Appennino laziale.
Se la gente sapesse quali sono le vere modalità comportamentali del Lupo bandirebbe la frase homo homini lupus: magari gli esseri umani si comportassero come i lupi con i loro simili!
Bene, detto questo aggiungiamo che non ci piace quando gli squali della finanza si travestono da lupi per poi travestirsi da agnelli. Oltretutto equoecobiobausolidalsostenibili
, e proprio per questa ragione abbiamo titolato Se Mangiafuoco addobba il carro con le luci della finanza sostenibile, un breve scritto pubblicato questa mattina sulla nostra pagina Fb.Cesec-CondiVivere 2014.10.20 Mangiafuoco della finanza sostenibileSi è concluso, almeno per quanto ci riguarda, il Forum per la Finanza Sostenibile. Abbiamo visto quello che dovevamo vedere, detto quello che dovevamo dire ma soprattutto annusato un odore che avremmo preferito non sentire.
Non ci sono piaciuti i toni paludati, saccenti, supponenti. Non ci sono piaciuti i sorrisi a 96 denti splendenti d’acciaio su tre file. Non ci è piaciuto il tono da accademici illuminati, tanto per cambiare da guru della finanza, questa volta eticobiobau. Saremo reattivi? Dobbiamo osservare meglio dentro di noi perché certe cose ci risuonano? Si, è vero, ci risuonano ferite dell’infanzia… chissà perché ci sono venuti in mente fatti accaduti nel 1969, quando migliaia di risparmiatori che avevano investito nell’allora Montedison si sono ritrovati in mano carta straccia (si può dire da culo?), quando si scoprì che le Cartelle Fondiarie dell’allora Cariplo non erano legate a nessun tipo di fondo inteso come appezzamento di terreno: Ah ma noi non l’avevamo mai detto…, quando iniziò l’attività, immediatamente osteggiata dai santuari della finanza tradizionale, di un certo ingegner Orazio che aveva inventato la macchina per far soldi grazie ad un meccanismo che, anni più tardi – all’epoca d’oro di panino e listino – si sarebbe chiamato con una parola magica: cartolarizzazione. Peccato che quel meccanismo dirottasse, sottraendolo, il denaro dei risparmiatori dalle banche: Anatema! Noi che allora giocavamo ancora con la Barbie, il G.I. Joe e i trenini Märklin e Rivarossi, certe cose le abbiamo sapute, e comprese, solo molto tempo dopo. E’ stato dopo che abbiamo saputo dell’esistenza di quello che chiamavate parco buoi… ed ora come lo chiamate, parco illusi ecosolidali?
Cosa credevate Signori, che perché ci presentiamo con il maglioncino, pur se di Boggi o Bardelli, anziché con la cravatta veniamo giù con la piena? Come disse Jack Nicholson in Codice d’Onore: “Hai scelto il Marine sbagliato“…
Cesec-Condivivere 2014.10.20 Squali della finanza sostenibileNon siamo in grado di stabilire se e in quale misura siamo finanziariamente etici e sostenibili, secondo quelli che sono diventati i parametri ufficiali. Dei quali, sinceramente, non ci frega il classico beneamato cazzo perché sono artefatti, e possiamo dimostrarlo. Ma per quanto attiene al nostro piccolo mondo di Amélie dove ci piace vivere abbiamo ancora una volta dimostrato a noi stessi di avere gli attributi e di non essere in vendita. E nemmeno in fistfactoring o in fuckleasing.
Però di una cosa, che avevamo dapprima compreso o se preferite sentito, siamo certi: la finanza, quella vera, quella con i denti a sciabola, si è appropriata dell’ecosostenibilità, della sostenibilità e della solidarietà, con la complicità di coloro che preferiscono usare il termine collettivo al posto di pubblico e nelle retrovie stanno scaldando i motori delle loro Kooperativistiche und Onlusaistische Panzer Divisionen
Indossando il vestitino etico e solidale si sta preparando l’ennesimo atto sodomitico ai danni dei risparmiatori. Non stiamo farneticando: alcune cooperative edilizie che promettevano comunità residenziali in cohousing in autocostruzione lo hanno già dimostrato. Una per tutte: Alisei..
Abbiamo fatto ciò che era nostro dovere fare affinché non rimanessero margini di dubbio circa la supposta (appunto…) eticità di una certa finanza e, pur nella limitata potenza della nostra voce, possiamo lanciare un monito: attenzione a chi, con retrostante pabulus politico, irretisce, seduce, indora pillole di ecosolidarietà finanziaria, perché vuole solo avere il controllo anche di quelle realtà, per portarvi l’acqua del proprio mulino fatto di drenaggio di denari pubblici, clientele, commissioni, carrozzoni, compagnie circensi, osservatòri e corte canterina varia.
Iniziativa privata. Iniziativa privata. Iniziativa privata. Non ci stancheremo mai di affermarlo.
E questo è quanto.
Giusto per concludere, un rimando: Attenti! ora la finanza speculativa si traveste di verde, che riportiamo qui sotto anche in formato immagine, non si sa mai che lo cancellino.Cesec-CondiVivere 2014.10.20 Attenti alla finanza sostenibileE’ l’attenta analisi di una minaccia che andrebbe solo ad impoverire e beffare ulteriormente i cittadini oltre che, come sempre, ad arricchire le banche. Leggetela.

Alberto C Steiner

Il nuovo mondo: progettiamolo insieme

cesec,condivivere,futuro,ecosostenibilità,cohousing,neomedioevalismo,consapevolezzaIn questo intervento parliamo di come trasformare ecosostenibilità ed occupazione in sicurezza sociale. Ma è necessario partire da una premessa.
Noi siamo convinti che difficoltà ed ostacoli arrivino per portarci segnali e messaggi. Inutile, e persino pericoloso, tentare di scappare: fuggiremmo da un’opportunità di crescita personale e, se si tratta di nodi da sciogliere o cerchi da chiudere, finché non lo avremo fatto non avanzeremo di un passo.

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Certo, osservarsi dentro presuppone un profondo desiderio di cambiare ed implica coraggio. Altrimenti possiamo sempre continuare a fingere che…, a raccontarci menzogne da soli, ad autoconvincerci che siano gli altri ad avercela immotivatamente con noi, che siamo tanto belli e tanto buoni. Relazioni destinate al fallimento, imprese che non decollano, collaboratori, amici, amanti o soci, persino fratelli o sorelle, che ci tradiscono, la casistica può essere pressoché infinita.
La soluzione è una sola: smetterla di lamentarsi, di piangersi addosso, di cercare per ogni dove capezzoli da succhiare avidamente e darsi da fare. Una volta per tutte.

cesec,finanza,cohousing,condivisione,consapevolezza,ecosostenibilitàSiamo partiti da questa premessa per affermare che siamo convinti che l’attuale crisi, economica, sociale, ambientale, imponga profonde trasformazioni del sistema. Ma il sistema, guarda caso, siamo noi; siamo quindi noi a dover cambiare. Lo scibile potrebbe essere infinito, ci limitiamo qui ad un obiettivo, ambizioso ma non irrealizzabile: come costruire una società in grado di garantire una serena convivenza per tutti, nell’abbondanza e nel rispetto dei limiti del pianeta, che preferiamo chiamare con il nome che gli spetta di diritto: Madre Terra.

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Parliamoci chiaro, senza una bussola, senza una programmazione, senza un’idea di Società verso cui tendere, non possiamo affrontare neppure la fatica del giorno per giorno. C’è chi lo fa, e purtroppo i risultati si vedono. Essere centrati, vivere hic et nunc non significa affatto essere sbalestrati, cambiare idea come bambini di tre anni pur osservando le cose con la meraviglia del bambino. Significa essere ben radicati, chiari soprattutto con se stessi. Ma ne abbiamo già parlato in altre circostanze.

Ormai è certo: per ripristinare l’equilibrio ambientale dobbiamo ridurre produzione e consumi, ma fintanto che il motore dell’economia rimane il mercato, l’arresto della crescita comporterebbe seri contraccolpi sociali. Questione ambientale e sociale sono due temi indissolubili, se affrontiamo l’uno senza preoccuparci dell’altro non abbiamo futuro.

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Noi abbiamo la soluzione. Conosciamo il modo per dimostrare che è possibile coniugare sobrietà con piena occupazione e sicurezza sociale. E non stiamo sputazzando mere affermazioni di principio, siamo persone concrete e sappiamo quanto la gente abbia ormai bisogno di concretezza, voglia sapere come si ottiene il miracolo, chi e come elabori le proposte di riorganizzazione e le relative strategie di attuazione.
Gli obiettivi che ci siamo posti non si raggiungono con piccoli ritocchi ma richiedono un capovolgimento culturale nel nostro modo di concepire rapporti con la Natura, diritti, lavoro, tecnologia, mercato, comunità, benessere. I nostri obiettivi, che siamo felici ed onorati di condivivere, richiedono una revisione profonda del nostro modo di organizzare il tempo, le città, la produzione, la soddisfazione dei bisogni, i rapporti sociali, l’economia privata e quella pubblica. In una parola richiedono il ripensamento dell’intera architettura economica e sociale. Qualcuno potrebbe anche ironizzare sbottando in un: hai detto niente…
No, affatto, l’abbiamo premesso che siamo ambiziosi… Sia chiaro: non stiamo proponendo di aprire tavoli o dibattiti, invitare illustri economisti, politologi, sociologhi e via enumerando, sinceramente sono almeno vent’anni che i dibattiti e i gruppi di studio ci hanno, per usare un garbato eufemismo, rotto le palle, perché si parla si parla e non si combina niente.
Quindi niente scorciatoie, tanto illusorie quanto pericolose, niente democrazie più o meno delegate o partecipate, tanto meno dittature ammantate di egologismo e spiritualità, dove il ducetto di turno fa il bello e il cattivo tempo travestito da guru. Al limite, crediamo nel cerchio, seguito immeditamente dopo da compiti e responsabilità individuali. E da incontri di verifica.
La nostra è una microsoluzione.  Però una microsoluzione ripetibile su vasta scala. C’è una carta, appartenente ad un mazzo di tarocchi molto particolare, ci piace molto e la sua denominazione è: una nuova visione.
Ecco, noi siamo per un diverso approccio alla vita, per guardare alla realtà dalla prospettiva della convivenza nell’abbondanza intesa come soddisfazione di tutte le dimensioni umane, di trovare soluzioni che tengano conto della complessità dei bisogni, dei limiti del pianeta, dei diritti delle generazioni che verranno. Ma senza deleghe, perché nei fatti costituiscono l’antitesi della democrazia. Se vuoi una cosa, prendila, rubala, comprala, costruiscila, inventala. Fai quello che vuoi, ma fallo tu. Ed assumitene la responsabilità.

Pensiamo solo all’economia: nulla influenza la nostra vita più dell’economia e nulla è posto fuori dal nostro controllo più dell’economia, segno che il potere non appartiene al popolo, ma ai mercati ed ai mercanti, insomma ai maghetti della finanza, che noi ci immaginiamo come miliardari sensali che si riuniscono, corrucciati ed ingobbiti, in qualche antro illuminato dalla fioca luce di mozziconi di candele. E i finanzieri d’assalto, quelli da copertine patinate accompagnati da panterone da urlo, chi sarebbero? Nessuno, semplicemente gli addetti alle pubbliche relazioni ed al marketing… Ecco i veri α e Ω di questo sistema che ci sta ribaltando perché non infinito, perché non può crescere indefinitamente, perché non tiene conto della dimensione umana, non tiene conto di chi sta meglio e di chi sta peggio.

Per necessità e per, necessariamente se intendiamo sopravvivere, ritrovata virtù, senza distinzione di professione, censo, titolo di studio, vestitino privato o pubblico, provenienza culturale e politica,  dobbiamo finalmente azzittire il rumore parolaio che ci circonda e ci sovrasta e rimboccarci le maniche per costruire la nostra nuova Società e tracciare il percorso lungo il quale farla avanzare.

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I nostri piccoli borghi recuperati dall’oblio, il nostro lavoro perché l’acqua sia e rimanga bene di tutti, le nostre comunità coresidenziali, il nostro interesse per il recupero degli spazi agricoli e per la tutela del territorio sono iniziative quanto mai concrete. E, oltre che nuovi e diversi spazi abitativi, significano anche lavoro. Certo, qui abiteranno venti famiglie, là sessanta, in quell’altro posto solo quattro. E con questo? Nelle nostre intenzioni si tratterà di comunità autonome, ma niente affatto isolate: saranno in contatto fra loro e con il resto del mondo, in ogni senso.
Ma vivranno all’insegna di ritmi nuovi, rallentati, soddisfacendo bisogni reali e non artefatti. Nel mondo, non in fuga dal mondo, solo un po’ più distanti dal suo inutile rumore. Sia chiaro, non abbiamo inventato nulla, ed è per questa ragione che non partiamo da zero: alcuni hanno riflettuto e scritto in proposito, altri hanno sperimentato su scala più o meno vasta, e le loro suggestioni ed esperienze costituiscono per noi un ottimo materiale su cui lavorare per attivare il necessario processo di elaborazione diffuso capace di portare ad una sintesi condivisa.
Ovviamente il percorso non è e non può essere completamente chiaro, l’importante è partire, strada facendo comprenderemo come proseguire il cammino.

Ci piacerebbe che di queste comunità ne sorgessero a centinaia, addirittura a migliaia, trasversali e diffuse ovunque, piccoli gruppi che si prendono il loro spazio per vivere finalmente una nuova vita, lasciando contemporaneamente tracce condivisibili delle loro esperienze in modo che emergano assonanze, differenze, similitudini.

Perciò invitiamo chiunque voglia coinvolgersi in questo percorso a comunicarcelo, scrivendoci un messaggio privato. Molto presto inizieremo ad organizzare degli incontri per valutare le possibilità di formazione di gruppi e stabilire come proseguire il cammino, in questa avventura di partecipazione dal basso.

Centro Studi Cesec – KryptosLife

Fare concretamente finanza solidale e sostenibile

cesec,condivivere,finanza,solidale,cohousing,gruppoacquisto,benessereImmaginiamo di voler acquistare in gruppo un’azienda agricola e renderla produttiva grazie a metodi biologici e naturali che ci permettono di ottenere prodotti qualitativamente migliori e soprattutto nel pieno rispetto dell’ambiente.
Immaginiamo anche di non voler avere nulla a che fare con situazioni tipo Parmalat, Cirio, Argentina, Banca 121 e tante altre che hanno segnato la memoria, e le tasche, di molti risparmiatori.
L’idea è quindi quella di investire il proprio capitale nel bene rifugio per eccellenza, la terra, dedicandoci a un’attività economica pulita sul piano ecologico ed etico.

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Terra significa anche edifici, abitazioni, condivsione di spazi. Ed ecco il cohousing. Ma può significare anche condivisione di interessi ed attività, ed ecco, per esempio, il gruppo di acquisto solidale, cioè quel pool di persone che decidono di incontrarsi per acquistare insieme prodotti alimentari o di uso comune, solitamente di produzione biologica o eco-compatibile, rispettosi dell’ambiente e dei lavoratori. Può infine significare turismo responsabile e rispettoso del territorio, ed ecco l’albergo diffuso. Per non dimenticare spazi ed iniziative legate al benessere fisico e spirituale ed ecco, chiamiamola così per praticità, la componente olistica.
La differenza tra questa iniziativa e l’investimento tradizionale, sta nel fatto che per aderire non si affidano i propri capitali ad un consulente o promotore finanziario, ad una sim o ad una banca, ma si uniscono le proprie risorse a quelle degli altri entrando a far parte di una società gestita da un normale consiglio di amministrazione formato dai soci.
Questa strategia permette ad un certo numero di risparmiatori di acquistare insieme un fondo, un terreno agricolo di una certa consistenza a un prezzo per ettaro in linea con il mercato. Oppure a costi inferiori se chi promuove l’iniziativa è in grado di reperire terreni ed immobili a prezzi inferiori a quelli di mercato, per esempio perché sottoposti a procedure esecutive.
Pensando più in grande si può addirittura ipotizzare la costituzione di un Fondo, che sarà proprietario di una parte di tutti i terreni e le aziende agricole, e del quale i risparmiatori investitori saranno a loro volta proprietari. La misura del fondo permette una gestione che sarebbe impossibile con un piccolo appezzamento, e in più la forma societaria delle singole srl agricole consente di superare problematiche di ordine fiscale garantendo l’investimento del risparmiatore.
Attualmente la legge italiana consente iniziative di questo genere, pur se in modo invero macchinoso e con tempi biblici per poter presentare i progetti, superando pareri, opinioni, e talvolta vere e proprie ubbìe, di comitati di comprensorio, territorio, quartiere, pianerottolo. Ormai il notro è diventato il paese dove si parla, dove si aprono i tavoli. E poi tutti si aspettano che sia qualcun altro ad apparecchiarli, in ogni caso nessuno li sparecchia o li richiude…

Per semplificare le cose, anche sotto il profilo fiscale, è fortunatamente possibile costituire il Fondo in un Paese europeo: no, non stiamo parlando di paradisi fiscali o altre, pardon, schifezze, stiamo parlando di un paese, sicuramente extracomunitario, sicuramente a nord delle Alpi, sicuramente ad ovest del Danubio, attento alle istanze ecologiche più di quanto i mezzi di informazione nostrani facciano credere, dove la finanza costituisca il pane quotidiano, dove l’imprenditoria è supportata anziché essere svantaggiata da norme incomprensibili, balzelli medioevali, ruberie di vario genere.
Tra i propositi del Fondo, naturalmente, vi sarà anche quello di rispettare le tipicità territoriali  differenziando le destinazioni produttive a seconda di dove avvengono gli acquisti dei terreni. Quindi frumento duro e tenero nella pianura padana piuttosto che raccolta di funghi e frutti spontanei ed erbe officinali in area boschiva, pascoli, uliveti e vigne dove fanno parte della storia del territorio.
La struttura del Fondo prevede un investimento complessivo ripartito in quote, ed ogni partecipante potrà acquistarne, per singola operazione, sino ad un massimo che non conferisca nessun tipo di prevalenza rispetto agli altri soci, questo per evitare eventuali tirannie di pochi assicurando uguaglianza a tutti gli aderenti. Ovviamente si tratta di un modello base,  che potrà essere adattato alle singole situazioni.
Per finire, il ricorso al credito ordinario sarà attuato nella misura minima possibile e, se possibile, evitato. Per quanto riguarda il credito agevolato sarà possibile fruirne a condizione di non dover sposare nessuno sponsor politico. Per lo meno sin quando la politica nel nostro Paese sarà quella cloaca che tutti abbiamo davanti agli occhi.
La nostra iniziativa sta riscuotendo interesse da molte regioni e da molti gruppi intenzionati ad acquistare un terreno, un’azienda agricola, o a recuperare edifici rurali dismessi: lo provano le numerose richieste informative che ci pervengono.
L’intenzione è quella di diffondere l’iniziativa su tutto il territorio. Non escludiamo naturalmente la collaborazione, in parte già in atto, con alcune amministrazioni locali, enti ed organismi preposti alla tutela ed allo sviluppo del territorio, per esempio in Valtellina e sulla sponda gardesana orientale.
La nostra iniziativa, sicuramente variegata poiché comporta imprese basate sulla coltivazione naturale, la rivalutazione ambientale, la creazione di centri di educazione ambientale e agriturismo naturale, strutture che permettano di vendere i prodotti senza intermediari in modo da ottimizzare i margini, prevede per sua stessa natura un impegno finanziario etico e solidale.

Etica e sostenibile: la Finanza può esserlo

cesec,condivivere,forum,finanza,etica,sostenibileDal 5 al 12 novembre si svolgerà in diverse città italiane la Settimana dell’Investimento Sostenibile e Responsabile, un’iniziativa promossa e coordinata dal Forum per la Finanza Sostenibile.
Approfittiamo dell’evento, al quale prenderemo parte sia pure limitatamente ad incontri che si terranno a Milano, Bologna e Venezia, per esprimere alcune considerazioni circa la finanza, che può ed anzi dovrebbe essere etica e sostenibile. Si ma come?

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Anzitutto riteniamo che la finanza debba generare un profitto. E’ dall’origine e dalla misura dello stesso, oltre dall’utilizzo che se ne fa che si esprime la vocazione etica e solidale dell’operatore.
Infatti, non casualmente la cosiddetta finanza sostenibile vanta, oltre ai suoi convinti seguaci, anche i suoi acerrimi oppositori. Tra i due estremi una variegata zona d’ombra di tiepido interesse, di moderato scetticismo e di chi semplicemente sta alla finestra a guardare. Insomma, come in tutte le cose terrene.
Giusto per esprimerci con la chiarezza che ci contraddistingue, e per non smentirci, ricorriamo ad alcuni esempi.

  • Primo esempio, surreale: traffichiamo in armi o stupefacenti, ma reinvestiamo i favolosi profitti che ne derivano nella costruzione di villaggi ecologici o in altre attività ecocompatibili ed all’insegna della solidarietà. Potrà avere una valenza karmica, ma non si tratta certamente di un’attività solidale.
  • Secondo esempio, questa volta connotato alla realtà: decidiamo di coltivare vasti appezzamenti di terreno secondo tecniche biodinamiche e collochiamo i prodotti sul mercato affermando che, oltre che biologiche, le nostre coltivazioni sono all’insegna della solidarietà perché abbiamo garantito un lavoro a n persone; in realtà queste persone sono sottopagate con la scusa dell’ecosostenibilità e della solidarietà. Anche in questo caso non siamto facendo proprio nulla di etico, anzi. E se il primo esempio appartiene alla sfera della fantasia, in questo caso molti che ci leggono sanno bene che non stiamo purtroppo parlando a vanvera.
  • Terzo esempio: costituiamo un fondo di investimento che con il denaro dei risparmiatori/investitori acquista fonti idriche inutilizzate. Dal fondo origina una serie di società, consorzi, cooperative e quant’altro legate al fondo per un’economia di scala ed un’uniformità normativa ma di esclusiva proprietà dei cittadini residenti nel territorio, nel comprensorio, nel comune, insomma nel bacino d’utenza di fruizione di quell’acqua. Le società, consorzi, cooperative e quant’altro sono proprietarie di ciò ciò che permette l’adduzione delle acque ed il loro smaltimento: condotte, rete distributiva, vasche di depurazione. Il vantaggio per gli utilizzatori/soci consiste nel fatto di sapere di essere gli effettivi proprietari dell’acqua che utilizzano, e che ovviamente pagano, ma a prezzi che corrispondono al costo reale degli impianti, della loro manutenzione, degli stipendi degli addetti. Il fondo a propria volta percepisce dei diritti, o royalties se così vogliamo chiamarle, che gli consentono di sopravvivere remunerando altresì il capitale degli investitori ad un tasso dignitoso pur se non certamente esorbitante.
  • Il quarto, ed ultimo, esempio è la fotocopia del precedente solo che al posto dell’acqua c’è il recupero di borghi abbandonati per trasformarli in complessi abitativi in cohousing, magari rurale ed all’insegna dell’ecocompatibilità.

Questi esempi, compreso il primo farneticante, sono inoltre tutti accomunati da un aspetto: non vi si parla di immaterialità. Patate e pomodori, acqua e case sono tutti beni concreti. In questo senso la nostra non tanto ipotetica attività finanziaria è la conseguenza di un lavoro reale, di produzione, di costruzione. Non di fantasie o scommesse su questa o quella catastrofe, sul fatto che i pomodori di Tizio potranno valere X e allora li acquistiamo ben prima della maturazione a X-60%, anzi già che ci siamo acquistiamo anche quelli di Caio, Sempronio e Mevio. Così abbiamo il monopolio della produzione di quell’anno e siamo noi a fare il prezzo. Siamo trogloditi finanziari? In effetti non siamo esperti di finanza o, peggio, guru; siamo solo professionisti e imprenditori che ad un certo punto hanno scelto di muoversi in un modo piuttosto che in un altro, nella consapevolezza che la decrescita non può essere legata agli abracadabra del pil: o è pil o è decrescita. E la decrescita o, se preferite, la consapevolezza, è ora più che mai necessaria se decidiamo di sopravvivere al futuro che ci aspetta. E decrescita non significa affatto tornare al medioevo o al paleolitico.

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Ciò detto, appare quindi ovvio come gli investimenti finanziari, in quanto tali, implichino rendite. E’ vero, non è detto che tali rendite abbiano sempre origine diretta dal lavoro ma si sostanziano come etiche allorché seguono precisi parametri nell’ottica di un’equa riditribuzione della ricchezza generata.
In un mondo perfetto… afferma sempre uno di noi. Ok, il mondo perfetto non esiste, e se si aspetta la perfezione non ci si muove mai. Quindi ci muoviamo, programmando ma contemporaneamente navigando a vista pronti a correggere la rotta ogni volta che sia necessario od opportuno. Ma ponendoci costantemente la questione di affrontare questi temi secondo una matrice di sostenibilità e con meno iniquità possibile.

Ed è qui che accogliamo pienamente la teoria del male minore che, in una logica di sano pragmatismo, costituirà il filo conduttore della Settimana dell’Investimento Sostenibile.
In questa settimana coloro che interverranno: operatori finanziari, imprenditori, esponenti del mondo accademico non parleranno di aria fritta ma di engagement come nuova opportunità per gli investitori istituzionali, di cambiamento climatico e dei rischi connessi, delle nuove frontiere dell’impact investing e del responsible property investing, della possibile svolta sostenibile del mercato retail e, temiamo con poche speranze di successo, del ruolo dei decisori politici nella promozione di una cultura della sostenibilità in Italia.
L’Investimento Sostenibile Responsabile” spiegano i promotori dell’iniziativa  “è la pratica in base alla quale considerazioni di ordine ambientale o sociale integrano le valutazioni di carattere finanziario che vengono svolte nel momento delle scelte di acquisto o vendita di un titolo o nell’esercizio dei diritti collegati alla sua proprietà. L’ISR si esplica attraverso la selezione di titoli di società, per lo più quotate, che soddisfano alcuni criteri di responsabilità sociale, cioè svolgono la propria attività secondo principi di trasparenza e di correttezza nei confronti dei propri stakeholder tra i quali, per esempio, i dipendenti, gli azionisti, i clienti ed i fornitori, le comunità in cui sono inserite e l’ambiente. Investitori sostenibili e responsabili possono essere sia i singoli individui, che operano direttamente o attraverso la mediazione dei gestori, sia le istituzioni: fondazioni, fondi pensione, enti religiosi, imprese o organizzazioni non-profit“.

Vallesanta, un Ecovillaggio nella Foresta Casentinese

Vallesanta è una località nella Foresta Casentinese, frazione di Corezzo, borgo situato a 760 metri  di altitudine nel cuore dell’Appennino Tosco-Romagnolo e tappa obbligata sulla strada che collega i principali luoghi di culto della zona: il Monastero di Camaldoli ed il Santuario della Verna, dai quali dista circa 15 chilometri. Durante i mesi invernali il paese conta soltanto poche decine di abitanti, ma in estate si risveglia arrivando ad ospitarne centinaia.

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Come molte numerose località di montagna, anche Corezzo ha subito un progressivo spopolamento a partire dagli anni Cinquanta del secolo scorso, in ragione dei mutamenti sociali dovuti al passaggio dalla civiltà agro-pastorale a quella industriale del dopoguerra. Numerosi sono infatti nella zona i terreni agricoli abbandonati.

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La Vallesanta ha conseguentemente subito un indebolimento del tessuto sociale per le stesse ragioni che abbiamo descritto nell’articolo Cohousing montano e salvaguardia del territorio pubblicato in questo Blog il 15 giugno scorso: e quindi scuole e negozi serrati, nessun servizio e, per inevitabile conseguenza, il disgregarsi della comunità locale superstite.

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Ma alcune persone sensibili alla natura ed alla storia del territorio, dapprima per aggregazione spontanea e successivamente dandosi una denominazione, uno statuto, un regolamento  ed un progetto hanno pensato a come fare per riportare nuovi abitanti in questa zona montana, creando stimoli ed opportunità concrete per famiglie e singoli motivati a stabilirvisi, portando nuova linfa e nuove prospettive per un futuro vivo e vivibile nella Vallesanta, per non correre il rischio di creare un museo all’aperto o un borgo della ruralità intellettuale da salotto, per intenderci quella che noi chiamiamo macrovegetoveganbiobau che no ha mai vissuto la fatica del lavoro contadino e crede che le vacche si mungano da sole.

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Appurata l’esistenza di un crescente interesse da parte di molte persone ecologicamente e socialmente motivate a tornare a vivere in zone ormai abbandonate e selvagge, con l’intento e la capacità di recuperare un territorio proprio perché ha conservato quel valore ambientale e paesaggistico che sancisce un’elevata qualità del vivere, si sono dati da fare. E qui, giusto per non dilungarci, preferiamo ricorrere ad un’ulteriore autocitazione: Perché vivere in un ecovillaggio, articolo pubblicato in questo Blog il 17 giugno scorso.
Soldi, come sempre, pochi. Ma la Regione Toscana, attraverso il Decreto 51/2004 che prevede misure straordinarie, urgenti e sperimentali per la progettazione e attuazione di interventi regionali pilota nel campo della bioarchitettura e bioedilizia, concorre per una disponibilità complessiva di 13 milioni di Euro alla realizzazione di interventi riferiti ad organismi abitativi con caratteristiche di sostenibilità ambientale e che favoriscano le relazioni umane e sociali. La norma risale a nove anni fa, ma si sa che le regioni Friuli Venezia Giulia, Emilia Romagna e Toscana sono state pioniere sotto il profilo legislativo, copiate da Lombardia, Umbria, Liguria e persino Trentino Alto Adige. Infatti la disposizione legislativa prevede persino l’autocostruzione.

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Alta qualità del vivere, si diceva. E politica del fare, del rimboccarsi le maniche. Di case abbandonate nei boschi non ne mancano e allora si progetta un futuro sostenibile , fatto anche per famiglie con bambini.
Il progetto del Villaggio Ecologico in Vallesanta cerca quindi di realizzare un’offerta accessibile e attraente per chi è intenzionato a stabilirvisi, creandosi un’abitazione sana ed economica e occupazioni compatibili legate al territorio.
Non vuole inoltre essere un’entità isolata, ma intende collaborare con persone, associazioni, enti e istituzioni a livello locale, nazionale e internazionale. A livello locale esistono già da diversi anni collaborazioni con l’Amministrazione Comunale di Chiusi della Verna, con le Pro-Loco della zona, con l’Ecomuseo del Casentino e con associazioni presenti sul territorio, nell’intento di creare sinergie utili a sostenere la qualità del vivere in una zona marginalizzata. Particolarmente intenso è il legame con la piccola scuola di Corezzo, grazie alla quale negli anni diverse famiglie hanno deciso di insediarsi nella zona, e con la quale sono state realizzate varie iniziative di carattere culturale e ambientale. Inoltre l’arrivo recente di alcune famiglie richiamate dal progetto dell’ecovillaggio ha permesso di allontanare la minaccia di chiusura della scuola.
Il progetto è sin dall’inizio animato dall’intento di realizzare abitazioni a minimo impatto ambientale, utilizzando materiali locali, naturali, biodegradabili – legno, paglia, terra, lana – e per quanto possibile di recupero, per ottenere case veramente ecologiche e che rispondano a criteri di alta efficienza energetica, obiettivo decisamente  difficile e costoso da ottenere nelle vecchie case in pietra.
Le abitazioni saranno inoltre armoniosamente inserite nel paesaggio, quasi a confondersi in esso, ma al tempo stesso raggruppate intorno a spazi comuni, con lo scopo di creare una nuova tipologia di insediamento che risponda a una nuova filosofia abitativa frutto di un approccio dei nostri tempi che tenga in considerazione l’ambiente, la socialità, la condivisone e lo scambio con il territorio, anche attraverso l’autocostruzione, obiettivo da realizzare nei termini più ampi possibili nel rispetto delle vigenti leggi in materia.
La vicinanza all’abitato di Corezzo è chiaramente considerata un atout per consentire l’integrazione con la comunità locale preesistente e per la fruizione di servizi come scuola, negozi, mezzi pubblici, ambulatorio medico.

I futuri cohousers immaginano, come noi abbiamo fatto da tempo, che hic et nunc siamo in un momento topico, perché viviamo contemporaneamente il fallimento della modernità e quello della civiltà contadina. E da questo doppio fallimento può uscire l’idea per un nuovo Umanesimo delle Montagne.

La partenza dei lavori è prossima, il Comitato per la realizzazione del villaggio cerca nuovi aderenti rendendo noto che ogni nucleo familiare che intendesse aderire al percorso può risultare assegnatario di un contributo fino a 35.000 euro, finalizzato all’autocostruzione partecipata della propria abitazione.
Il progetto prevede la realizzazione di 14 unità abitative autonome, 8 delle quali da terminare entro giugno 2016, provviste di sala polivalente, officina/falegnameria, lavatoio, orti comuni, frutteto. E’ naturalmente prevista la gestione condivisa e responsabile dell’acqua e delle fonti energetiche: lago e fitodepurazione.
Al fine di evitare sgradevoli sorprese il Comitato rende noto che aderire al progetto significa prendere parte ad un percorso di costruzione di fiducia reciproca. Per tale ragione l’adesione è subordinata ad un periodo di conoscenza ed all’accettazione degli attuali aderenti. Per consentire la partecipazione al Bando tutti gli aderenti versano inoltre una quota paritaria nelle intenzioni non superiore a 15.000 Euro per nucleo famigliare, una parte investiti come partecipazione alla Cooperativa ed il rimanente per la realizzazione delle case, anche attraverso lo svolgimento di attività lavorative comuni.

Per chi desidera informazioni l’indirizzo di questa Comunità è:

Comitato per un villaggio ecologico in Vallesanta
Località Biforco, 2 – 52010 Chiusi della Verna (AR)
 www.ecovillaggiovallesanta.org