Monte Prat, l’albergo diffuso sull’altipiano di Forgaria (con una citazione a Daniele Kihlgren)

cesec,condivivere,danielekihlgren,albergodiffuso,monteprat,friuliLo ammettiamo: se la minibiografia, spudoratamente celebrativa, con la quale iniziamo questo scritto fosse un post su Facciuzzadilibro non esiteremmo un istante a cliccare mi piace tremilaseicento volte di seguito.
Adottato da un camorrista dei Quartieri Spagnoli, un’esistenza scandita da tossicodipendenza, esperienze estreme, un viaggio in auto da Milano alla Giordania durato otto mesi, la capacità (e la fortuna che, come si sa, audentes iuvat…) di riuscire a non farsi arrestare dai militari israeliani che lo avevano scambiato per un terrorista islamico, facendoli rotolare per terra dalle risate. Giusto per non farsi mancare nulla, a Cuba dev’essere stato, se non l’unico, sicuramente uno dei pochi stranieri che è riuscito a farsi mantenere dalle puttane anziché pagarle: avendo finito i soldi lui e suo fratello furono accolti da due jineteras, che li ospitarono per 15 giorni in casa loro all’Avana.
Anche questo è Daniele Kihlgren, che secondo noi non casualmente ha studiato al Liceo Parini di Milano… Oggi 48enne, è considerato il pioniere italiano dell’albergo diffuso perché un giorno, girovagando in moto, si perse nelle strade d’Abruzzo imbattendosi  in un paesino disabitato, Santo Stefano di Sessanio. Decise di acquistare una casetta e, poco dopo, una decisione, anzi una vera e propria illuminazione: comprare tutto il borgo per qualche milione di lire, senza chiedere un soldo di contributi statati o europei, senza prostituirsi a nessuna fazione politica, per restaurarlo secondo un metodo conservativo e salvarlo dalla rovina creando uno degli alberghi diffusi italaini più belli. Correva l’anno 1997… da allora Kihlgren ha fondato l’Associazione Sextantio e, dopo Santo Stefano di Sessanio, recensito dai più famosi giornali stranieri come one of the best hotels in the worldsono seguite iniziative analoghe. Tra queste, nella parte più antica dei Sassi di Matera, Le Grotte di Civita, un favola dotata di 18 stanze.

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L’albergo diffuso è un hotel che possiede una struttura centrale e per il resto è disseminato tra le case di un borgo abbandonato, oppure diffuso in un contesto rurale. E’ questo il caso dell’Albergo Diffuso Forgaria Monte Prat, nel cuore del Friuli. L’altopiano di Monte Prat si sviluppa ad un’altitudine media di 800 metri su un incantevole balcone naturale e consiste in una una distesa verde di prati e borghi rurali ristrutturati dove si trovano le case dell’albergo diffuso.

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L’altopiano è raggiungibile da Majano o da San Daniele del Friuli seguendo le indicazioni per Forgaria ed attraversando il fiume Tagliamento sul ponte di Cornino. Giunti alla frazione di Grap ci si ritrova in piazza Julia dove si può parcheggiare l’auto per proseguire a piedi mentre su tutto vigila lo sguardo attento del grifone, maestoso nel suo volo.

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L’albergo diffuso è nato nel maggio 2003 da un’idea sorta spontaneamente tra alcuni compaesani. I fabbricati che si trovavano sull’altipiano, il più antico dei quali risale all’anno 1775, e che fungevano da residenza estiva erano tipicamente rurali, con la stalla sotto e l’abitazione al piano superiore, tutti costruiti in pietra locale per ospitare il bestiame e la gente che, come d’uso all’inizio dell’estate e sino ad autunno inoltrato, si trasferiva sull’altipiano.

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Come in tante altre località montane, negli anni ’50 del secolo scorso con l’avvento delle prime industrie, abitudini ed economia locali mutarono e l’altipiano si spopolò. Il terremoto del 1976 diede il colpo di grazia portando all’abbandono quasi totale del promontorio. Quando si riprese a ristrutturare ed edificare sull’altipiano di Monte Prat, la popolazione si rese conto dell’importanza della tipicità dei fabbricati, che vennero adeguatamente censiti. Venne creato il Parco di conservazione di Monte Prat e, grazie ad un piano regolatore lungimirante, vennero stabilite direttive chiare sulle caratteristiche che dovevano e devono tuttora avere le case edificate e ristrutturate. Tant’è vero che, a tutt’oggi, la pietra locale caratteristica deve essere presente nella totalità degli edifici o almeno in buona parte.

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In questo contesto e con queste rigorose premesse, connotate alla mentalità friulana che, quando decide una cosa, non ammette ritardi o deroghe, è nato l’Albergo Diffuso Forgaria Monte Prat, disteso ai piedi del maestoso Monte Cuar, ricercata meta di un turismo escursionistico slow ma proprio per questo sempre più esigente.
Le antiche case della transumanza, isolate o inserite in microborghi rurali e ristrutturate rispettando la tipologia tradizionale della seconda metà dell’800, si presentano in spazi intervallati da prati e radure boschive, uniti tra loro da sentieri secolari.
L’ospite gode completamente della casa, in un luogo dove rigenerare corpo e mente in un ambiente sicuro adatto anche ai bambini più piccoli. Ogni edifcio è unico, incorniciato da uno splendido paesaggio che muta il suo aspetto con il cambiare delle stagioni.

Trasparente, gelida e indaco: l’Éve-verta di St. Marcel

cesec,condivivere,kryptoslife,st.marcel,eve-verda,acqua,montagna,aostaI primi sbuffi di vapore annunciavano la rivoluzione industriale mentre sul Secolo dei Lumi stava per abbattersi la rivoluzione francese. Un certo conte Saint Martin de La Motte, membro dell’Académie Royale des Sciences di Torino, decise di compiere una ricognizione naturalistica in Valle d’Aosta; gli accadde così di studiare il fenomeno naturale detto de l’Éve-verta, nel vallone di Saint Marcel, chiamata fontaine verte a causa del colore del suo deposito, composto in gran parte da rame privato della sua componente infiammabile e mineralizzato all’aria.

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Nelle sue memorie lo studioso riferì che rimase estasiato dal colpo d’occhio che presentava il vallone:  non credo che una natura così feconda e varia possa offrire uno spettacolo più gradevole, l’entrata del vallone è molto stretta e montagne si innalzano su ogni lato, cascate d’acqua riempiono di terrore al rumore che fanno, ma tra tutto questo spicca questa sorgente che pare di smeraldo, soprattutto quando il sole la illumina con i suoi raggi.
Essa sgorga tra due montagne molto elevate, che formano un vallone laterale alla valle centrale: queste montagne sono in parte calcaree e in parte scistose; quella che si trova sulla destra della fontana è in gran parte composta da mica riempita di granati; vi ho trovato anche delle tracce di schorl con granati. In cima alla montagna si trova una miniera di rame attualmente sfruttata e che viene chiamata filon de Molère; questa miniera, così come il resto della montagna, è ricco in granati; sarebbe auspicabile che lo fosse altrettanto in rame.
La fonte sgorga da una grande roccia calcarea che sembra essersi staccata dall’alto della montagna ed ha coperto una parte del letto della fonte stessa; l’acqua uscendo crea un volume del diametro di poco più di 30 cm (le unità di misura sono riferite al Système international d’unités codificato a partire dal 1889 – NdA). Essa si estende per 2 – 2,5 metri nei punti più larghi e dopo aver percorso circa 300 metri tra le rocce e attraversato pendii scoscesi, si perde nel torrente del vallone di Saint – Marcel, da cui prende il nome.
Il legno, le pietre, il muschio, tutto ciò che viene bagnato da quest’acqua è coperto da uno strato di terra verde, dove più e dove meno, a seconda che l’acqua scorra più o meno rapidamente; si nota la colorazione verde persino nei punti in cui l’acqua fa mulinello e si crea la schiuma, ma di colore meno intenso.

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Gli abitanti del posto, interpellati in proposito, riferirono che nel periodo di scioglimento della neve l’acqua era più sporca del solito, ma che la portata era sempre costante. Relativamente alla qualità dell’acqua, la gente credeva che fosse nociva per gli animali poiché non cercavano mai di berne, ma probabilmente la ragione era dovuta alla temperatura: lo studioso stimò che quella dell’acqua fosse 4,5°C contro una esterna di 12°C.

Egli rilevò altresì come l’acqua non fosse né acida né alcalina, non contenesse alcuna sostanza metallica bensì acido vitriolico, terra calcarea, terra magnesiaca ed argilla. Analizzando il deposito lasciato sulle rocce questo risultò composto da una parte estrattiva vegetale, accidentale in quanto dipendente dalle piante che l’acqua incontrava al suo passaggio, circa 1/3 di rame, 1/5 di argilla, 1/10 di terra silicea ed una modesta quantità di terra calcarea.

La relazione del conte Saint Martin de La Motte offre altri spunti, per esempio partendo dall’esistenza di una miniera di rame nella parte alta della montagna – all’epoca ancora in fase di sfruttamento unitamente a quelle di ferro prevalentemente per approvvigionare gli arsenali sabaudi- dalla quale sgorgava la sorgente dell’acqua verde. Questa miniera, sfruttata già ai tempi dei Romani, non è un semplice filone che segue la stratificazione della montagna, com’erano le miniere di La Thuile, Cogne o altre, ma una vera montagna di rame e pirite rameica coperta da roccia di diverso genere.
Se la sorgente origina dall’interno della montagna il flusso idrico potrebbe attraversare banchi di minerale decomposto trascinando materiali per forza meccanica. Lo studioso annota come inizialmente ritenne che il deposito fosse dovuto ad efflorescenza delle pietre erose dall’acqua, ma fu presto convinto del contrario considerando come le particelle di rame – più pesanti – precipitassero in funzione della forza trascinante impressa dall’acqua  nello stesso modo in cui i grandi fiumi portano con sé le grandi pietre. Osservò altresì come fosse possibile che le particelle venissero trasportate solamente in determinati periodi dell’anno, per esempio durante lo scioglimento delle nevi.
Salendo lungo il vallone, in località Laveyc o Éve-verta (in patois valdostano Acqua verde) a circa 1290 metri di altitudine, si incontra una sorgente di acque turchesi, la cui colorazione dà il nome al luogo: la particolarità dell’ Éve-verta, ricca di sali di rame, è proprio quella di colorare pietre, terra e muschi su cui scorre depositandovi una patina di quel minerale oggi noto come woodwardite poiché prende il nome Samuel Pickworth Woodward, il naturalista e geologo inglese che la studiò in Cornovaglia determinandone la formula chimica Cu1-xAlx(OH)2[SO4]x/2·NH2O. La woordwardite è diffusa in Tasmania, Tirolo, Nuova Scozia, Boemia, Alsazia, Baden-Württemberg e Westfalia, Honshu e, in Italia, oltre che in Valle d’Aosta a Gadoni in Sardegna, Valle Isarco in Trentino, Massa Marittima in Toscana e Torrebelvicino in Veneto.

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Resterebbe da stabilire, cosa che ancora  oggi nessuno ha fatto, quali possano essere le eventuali proprietà curative di quest’acqua che, in ogni caso, è una meraviglia da vedere: il ruscello, il suo fondo, le rocce, le pietre, il legno, il terreno  coperti da una sostanza che presenta tutte le sfumature tra il verde ed il blu. Tutto ciò che è sommerso appare di un bel blu cielo, ciò che è parzialmente bagnato è verde, mentre ciò che è asciutto è d’un blu cielo pallido. Lo stesso ruscello scorre su di un fondo colorato.

Restando in tema di minerali, nella miniera di Praborna, posta alla base del versante sinistro della valle di Saint Marcel, è presente un minerale rarissimo minerale chiamato violano proprio per le sue sfumature violacee.
Il violano è un diopside manganesifero comprendente dal 3 al 12% in giadeite in composizione di omfacite manganesifera (giadeite 35-50%), un altro pirosseno monoclino contenente sodio e alluminio, nel quale il manganese è quasi o del tutto assente.

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Ma sorgente di acqua verde e violano non esauriscono le attrattive di Saint Marcel. E dire che, percorrendo l’autostrada e vedendolo di sfuggita, lassù in alto sulla destra orografica della Dora Baltea, nessuno si immaginerebbe che meriti più di un’occhiata distratta…

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In realtà questo paese, abitato fin dalla preistoria e che in alcune frazioni conserva numerose incisioni rupestri, oltre ad essere un paese molto gradevole abitato da circa 1.200 anime, offre prosciutti crudi gustosissimi, aromatizzati con erbe di montagna ed anticamente preparati con carne d’orso. Il clima asciutto e ventilato ne permette una stagionatura ottimale e se la loro storia si perde lontano nel tempo, l’esistenza ufficiale è comprovata da affreschi risalenti al XV e XVI secolo che li ritraggono.

Naturalmente, a Saint Marcel non poteva mancare un un castello. Uno dei tanti, bellissimi, che costellano la Valle d’Aosta. Questo, detto a monoblocco poiché definisce l’ultima fase evolutiva del castello medievale, presenta una costruzione quadrata ed una successiva rettangolare scandite dall’immancabile torre.

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Il castello, eretto nel villaggio di Surpian ad opera di Giacomo di Challant verso il 1500 ampliando una preesistente casa-forte, è inquadrabile nella rete di installazioni che permetteva di controllare il territorio del fondovalle.
E come in ogni castello che si rispetti non possono mancare i fantasmi. Sembra che quelli di Saint Marcel si riuniscano, incappucciati, si riuniscano in una sala dopo aver percorso i corridoi. Alcune persone riferiscono di urla, colpi secchi, pietre che rotolano, nonché di un brusio indistinto, come se gli spettri fossero impegnati in una animata conversazione tra loro, ed infine di una figura maschile prestante, abbigliata con abiti seicenteschi, che tiene in mano una spada.

Ma non è finita. Tra le attrattive di Saint Marcel vi sono le antiche miniere: situati nella parte alta del vallone, i giacimenti manganesiferi di Praborna, a 1900 metri di altitudine, e ferrosi-cupriferi di Servette e Chuc fanno parte di un complesso minerario noto e sfruttato intensamente nei secoli passati ed oggi abbandonati ma tuttora meta di collezionisti e di studiosi provenienti da diverse Università europee. Le tracce delle attività estrattive industriali sono ancora visibili lungo i sentieri, nei boschi dove si celano forni e depositi di scorie, teleferiche in rovina, baracche dei minatori ed antiche gallerie parzialmente crollate e coperte di vegetazione, costituendo oggi un patrimonio di archeologia industriale meta di turisti slow; per gli appassionati di archeologia industriale il sito del Turismo in Valle d’Aosta merita davvero una visita.

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Saint Marcel, il cui vallone ospita rare varietà floristiche tra le quali la linnaea borealis e la clematis alpina, fa infine parte della Riserva Naturale  Les Îles, una zona umida vicino alla Dora istituita nel 1995 e che comprende anche i territori di Brissogne, Nus e Quart.