Case di carta e uomini di cartone

Nonostante la crisi, Milano rimane l’unica città italiana che stenti a riconoscere, se la lasci anche solo per qualche anno. A parte quartieri ingessati come Brera e i Navigli ridotti al rango di luna-park è tutto un demolire e ricostruire, un riqualificare, un sintetizzare declinando, contaminando e via cementificando.
Non è raro e non è ignoto come certe imponenti operazioni immobiliari servano solo a creare le premesse per una finanza di carta, avulsa dal contesto delle reali necessità urbane e finalizzata ad una riqualificazione patrimoniale interbancaria fittizia, mentre in aree non necessariamente periferiche languono, a rievocare immagini da dopo-bomba, scheletri che  avrebbero dovuto costituire le riqualificazioni di dieci, venti, venticinque, trent’anni fa.Cesec - Pin Lake ApocalypseMentre tanta gente dorme per strada o in macchina, di edifici vuoti e sovente mai abitati a Milano non ne mancano. E potrebbero essere riqualificati, se non con poca spesa visto il degrado al quale tempo ed incuria li hanno assoggettati, almeno per evitare di sottrarre ulteriore spazio alla superficie cittadina. E questo, oltre a far tornare a lavorare l’industria delle costruzioni in un contesto diverso da quello tutt’altro che ecosostenibile che conosciamo, contribuirebbe in modo sostanziale a risolvere problemi di degrado urbano.
Beninteso: per ecosostenibile non intendiamo solo polveri sottili, amianto, anidride carbonica: Anche certa finanza nuoce gravemente alla salute.
In altri luoghi del pianeta, per esempio negli Usa, se non siamo alla casa usa e getta poco ci manca. Le imprese edili sono incredibilmente tornate a lavorare in città zeppe di case invendute, dalla California meridionale a Las Vegas, da Phoenix in Arizona all’estremo Nord-Ovest di Seattle.
La ragione è semplice: nessuno vuole andare a vivere in case disabitate da tempo, miserevoli in quanto bisognose di restauri, in quartieri ormai deserti e conseguentemente insicuri e socialmente degradati. Quindi, con sano pragmatismo, meglio ripartire da zero: giù tutto e ricostruire sulle medesime aree case nuove meno costose, in quartieri che tornano a vivere, adottando tecniche costruttive più economiche e con maggiore attenzione al risparmio energetico.
E le abitazioni sfitte che ingolfano il mercato immobiliare restano sfitte o invendute e, in casi che vanno facendosi sempre più frequenti, cominciano a essere demolite da banche e assicurazioni che ne sono divenute proprietarie dopo aver cacciato i loro debitori ormai insolventi. Si è infine scoperto che in molti casi è più conveniente azzerare un valore patrimoniale e assumersi anche i costi di demolizione piuttosto che continuare a spendere soldi per i continui interventi di manutenzione – tetti da restaurare, alberi da potare, giardini da tenere in ordine, superfici esterne di legno da verniciare di frequente – necessari per mantenere la proprietà sul mercato in condizioni presentabili, ma con la prospettiva di non riuscire, comunque, a venderla per anni.
E così, da Chicago a Cleveland, in Ohio, le demolizioni di case che ormai hanno un valore minimo e che nessuno vuole sono diventate assai frequenti. Lo Stato col maggior numero di case rase al suolo è il Michigan, alle prese con l’esodo di una parte della popolazione, rimasta senza lavoro per la profondissima crisi del sistema industriale. La città di Detroit ha appena avviato un programma di demolizione di 450 edifici residenziali. Molti ritengono che sia solo l’inizio, visto che nell’area urbana ci sono già 33 mila case sfitte e altre 50 mila stanno per diventarlo, visto che i proprietari hanno fatto default sul mutuo. Intanto città devastate dalla crisi dell’auto come Flint (quella di Roger & Me, il film di Michael Moore sulla prima crisi della General Motors) usano i fondi dello stimolo fiscale, i sostegni all’economia varati da Obama subito dopo il suo insediamento alla Casa Bianca all’inizio del 2009, proprio per fare a pezzi le case ritenute non più abitabili.Cesec - Environment post ApocalypseTorniamo  a casa nostra, dove da sempre vige il detto: se riparte l’immobiliare riparte l’Italia. Si, forse in termini di Pil, non certo in termini di qualità della vita. Questione di opinioni…
Da noi quasi l’80% dei cittadini è proprietario della casa in cui vive prevalentemente e ben 1.400.000 sono i lavoratori che operano a vario titolo nel settore immobiliare. Parliamo di quelli censiti, è ovvio, non di quelli che se gli capita un incidente sul lavoro il titolare dell’impresa dà loro fuoco o tenta di far credere che siano finiti sotto al tram…
A differenza di altri paesi dov’è diffusa la grande proprietà immobiliare e nonostante che banche, istituti religiosi, previdenziali ed assicurativi detengano cospicui patrimoni, da noi i quasi 4.500 miliardi di valore delle abitazioni private svolgono un ruolo fondamentale per il benessere e la stabilità dei nuclei familiari, ed è innegabile che la proprietà immobiliare diffusa abbia prodotto ricchezza per la maggioranza dei cittadini, contribuendo a suo modo al formarsi di un capitalismo popolare, rimasto immune nel tempo dalle crisi prodotte dall’eccessiva finanziarizzazione dei mercati e che nel contempo ha garantito, con la propria patrimonializzazione, una parte del debito pubblico nazionale.
Per un privato, per una famiglia, investire ora in immobili con l’idea di metterli a reddito non è difficile, è impossibile. A parte la difficoltà di accedere al credito per l’ottenimento di mutui, esiste un concreto rischio credito o d’impresa o comunque vogliamo chiamarlo, vale a dire la niente affatto aleatoria possibilità che l’inquilino non paghi l’affitto. Agire per via giudiziaria significa, oltre che sostenere spese giudiziarie e legali, mettere una croce sopra al mancato guadagno sino all’esecuzione dello sfratto: chi vive a Modena, Trento o Monza può mettere in preventivo dai 9 ai 18 mesi di sofferenza, mentre chi vive a Milano o in altre grandi città del Nord e del Centro può mettersi il cuore in pace per tre-quattro anni. Lasciamo perdere i tempi delle città del Sud…
Oltre a questo, tra i fattori che stanno allontanando gli italiani dall’investimento immobiliare si annoverano l’alta tassazione del bene-casa, che in questi ultimi tempi è diventata la più alta d’Europa e l’erosione del valore dei beni immobili, anch’essa prevalentemente causata da una modalità di tassazione applicata in forma patrimoniale e non reddituale.
Nonostante questo quadro a tinte fosche l’investimento immobiliare rimane per gli italiani un faro nella crisi, che illumina tra marosi, secche e  scogli affioranti la navigazione notturna delle famiglie, che vorrebbero ma non riescono più a comprar casa.
Ad ogni analisi trimestrale le compravendite sprofondano, l’andamento delle variazioni dei passaggi di proprietà è sempre più negativo: il calo è più accentuato nel Nord Est e nel Nord Ovest (rispettivamente -28,5 e -26,7%). La ragione, a dar retta agli ultimi dati del Crif, starebbe nell’erogazione da parte degli istituti di credito di ipoteche immobiliari a garanzia di mutui calata di oltre il 45% poiché le banche, adottando criteri sempre più restrittivi, hanno praticamente dimezzato l’erogazione di mutui. Tant’è vero che molti clienti interessati a comprare casa, per evitare l’umiliazione di un rifiuto alla concessione del mutuo, hanno smesso di cercare, sperando in tempi migliori.
Quando quel genio carismatico il cui nome era Cerutti Gino ma lo chiamavan Drago, intervenne a favore di un allentamento della stretta creditizia, soprattutto nei confronti delle famiglie e delle piccole aziende, ottenne che numerose banche iniziassero da quel momento a chiedere, oltre a tutto il resto, anche il certificato Inps, e certune legate al mondo cooperativo persino le attestazioni delle tessere fedeltà dalle quali desumere, attraverso l’analisi degli acquisti, il tenore di vita dei mutuandi. Non ci è giunta notizia di banche che abbiano chiesto il tema natale e la foto dell’aura… Insomma, il tutto nel classico stile delle banche che non vogliono concedere mutui.
Del resto, non più tardi di pochi giorni fa un banchiere intervistato, risentitosi per le numerose critiche che gli giungevano in quanto rappresentante del sistema-credito, ha reagito attaccando a propria volta le critiche e sostenendo che le banche comprando i Btp stanno salvando l’Italia. Certo, con i miliardi di Euro avuti dalla Bce all’1% li compreremmo anche noi i Btp, ma avremmo il pudore di non qualificarci come salvatori della patria…Cesec - Casetta di cartaBene, alla fine di questa chiacchierata, la nostra opinione non solo rimane sempre la stessa, ma anzi si rafforza: è il momento di vedere le cose da un’altra prospettiva. Affermava lo scrittore e psichiatra Mario Tobino: per comprendere i matti devi ragionare da matto. Ecco, chi si vuole salvare per sopravvivere deve cominciare a ragionare da matto. Matto, non stupido.
I matti sono quelli fuori dal coro. Sono quelli che pensano che possa esistere la solidarietà, che si possano abbattere i costi, che si possa vivere ad un ritmo rallentato all’insegna di una decrescita felice, che si possa essere autosufficienti ed ecosostenibili. Per l’ambiente e per se stessi. Sono quelli che non cedono alle lusinghe delle notizie artefatte messe in giro a bella posta. Sono quelli che credono nel potere di una parola, anzi di due: cohousing ed autocostruzione.
Ma badando bene di non lasciarsi sedurre dalle sirene dei carrozzoni pubblici che fanno luccicare cooperative sociali ed agevolazioni finanziarie. Purtroppo è meglio un bagno nell’acqua fredda a dura della realtà: e la realtà si chiama iniziativa privata.

Malleus