Proponiamo questo articolo, decisamente prenatalizio perché tra pochi giorni tavole imbandite, cibi tradizionali, chi ha mangiato che cosa e dove, chili da smaltire a gennaio costituiranno la notizia. Noi preferiamo invece parlare di un unico soggetto, semplice e fortemente evocativo: il pane.Non di solo pane, progetto pluriennale situato tra le iniziative di Expo 2015 al quale partecipano fotografi, pittori, scultori, videomaker, designer uniti attorno al tema del pane: cibo, ma anche elemento culturale ed immateriale rappresentativo della sostenibilità sociale, ambientale ed economica. Il pane è connaturato alla nostra simbologia evolutiva, religiosa, economica, è il lievito sociale che arricchisce la comunità, è cibo per tutti ma è anche il pane che manca, è la memoria della fame, della guerra, della povertà, di buone e cattive abitudini, di sprechi imperdonabili.La proposta stimola sui temi dell’alimentazione, dei consumi, degli stili di vita attraverso una mostra collettiva che percorre il tempo, possiede una profonda valenza rituale ed è spunto di meditazione perché mediante segni, simboli, forme e materiali, attraverso la storia del pane riporta alle radici dell’Uomo che parte dalla Terra assimilata alla Madre poiché simbolo di fecondità, fertilità e nutrimento.Dal nomadismo agli insediamenti stanziali all’emigrazione in cerca di cibo, il pasto consumato collettivamente si arricchisce di nuovi rituali diventando esso stesso rito, e la tavola luogo dove accogliere, condividere, esprimere cultura od esibire il proprio status.
E dalla tavola al luogo paradigmatico dei tempi in cui viviamo, simbolo di spreco, consumismo superficiale e disattento, metafora della disgregazione in un’alternanza di significati che mettono a confronto il valore che attribuiamo al cibo, paradosso di un’epoca ricca di contraddizioni: la discarica.
Siamo partiti da questa mostra, ottimamente allestita, per riprendere uno dei nostri temi fondamentali ricordando che un terzo degli alimenti finisce nella spazzatura, e che per limitare questo spreco basterebbe imparare a fare meglio la spesa e a conservare correttamente gli acquisti.
Se ad accumulare in casa prodotti vecchi, non scaduti ma considerati di dubbia bontà, per esempio perché aperti da molto tempo, sono soprattutto i single, lasciar scadere i prodotti prima di consumarli è prerogativa delle famiglie con figli, che fanno maggiori scorte in dispensa. Nessuno sfugge agli avanzi, gettando le porzioni di cibo rimaste dopo i pasti.
E ce n’è per ogni tipologia di alimento: frutta e verdura vanno a male perché spesso acquistate in quantità maggiore del necessario, o perché non conservate correttamente; il latte a lunga conservazione scaduto finisce nella spazzatura insieme allo yogurt ed a pezzi di formaggio avanzati e ricoperti di muffa; vengono buttate non solo le bibite aperte e non consumate nel giro di qualche giorno ma persino il vino, specialmente se rosso, mentre scatolame, conserve, sughi, farine, legumi secchi vengono scartati se scaduti o considerati vecchi.
Anche i surgelati vengono buttati se ci accorge di averli nel freezer da troppo tempo o quando, una volta scongelati, cambiano colore ed emanano cattivi odori, non di rado perché dimenticati nel frigorifero.
La carne è invece un alimento che si butta raramente: viene conservata in frigorifero o nel congelatore, mentre il pesce viene acquistato per il consumo immediato e difficilmente viene congelato, raramente sprecato.
E concludiamo la carrellata con il pane: ancora oggi fa sentire particolarmente in colpa buttarlo, è perciò difficile che finisca nella spazzatura.Stabilire quale sia il male peggiore, tra il cibo-spazzatura e la quantità di cibo che finisce nella spazzatura, è arduo anche se gli effetti del primo problema si stanno ridimensionando grazie alla sempre maggiore attenzione dedicata al nostro benessere e alla qualità di ciò che portiamo in tavola.
Per quanto riguarda lo spreco distrazione ed insensibilità regnano sovrane, come se ciò non avesse a che fare con la nostra salute e con quella del pianeta. I dati sono sconcertanti: nel mondo finiscono nella spazzatura 1,3 miliardi di tonnellate di cibo, in pratica un terzo di quanto prodotto. Lo ha recentemente denunciato la Fao, l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura, nel suo ultimo Rapporto sulle conseguenze ambientali dello spreco di prodotti alimentari. Crisi o non crisi, ciò significa che acquistiamo più cibo di quello che realmente ci occorre, dissipando più risorse naturali rispetto a quelle strettamente necessarie.
Conseguentemente produciamo più rifiuti di quelli che altrimenti produrremmo, rifiuti da smaltire, riciclare, recuperare. Operazioni che hanno a loro volta un costo e un impatto sull’ambiente e sulle risorse disponibili per noi e per le generazioni future. La Fao ha anche calcolato le conseguenze economiche dirette di questi sprechi: ammontano alla cifra mostruosa di 550 miliardi di euro l’anno.
Per capirci, 550 miliardi di euro costituiscono l’ammontare dei crediti che Equitalia avrebbe da riscuotere, a 557 miliardi assomma il costo previsto per realizzare la linea 5 della metropolitana milanese.
Ma, oltre alle implicazioni ecologiche ed economiche, non va sottovalutata quella etica: un terzo di tutto il cibo che viene prodotto nel mondo va perduto quando vi sono 870 milioni di persone che sono, letteralmente, alla fame. E quanto ciò sia ingiustificabile lo sappiamo tutti, dal momento che gettare nella spazzatura anche solo un pezzo di pane è motivo di disagio, anche se meno che in passato. Lo spreco alimentare è un argomento tabù quando ci riguarda personalmente. Infatti, quando parli con qualcuno, nessuno ammette di buttare cibo, anzi. Tutti a mettere le mani avanti: “Io non butto niente, se mi accorgo che qualcosa sta per scadere la congelo” oppure: “riutilizzo gli avanzi per preparare torte salate“. Salvo poi scoprire, se ci si prende la briga di tenere un diario alimentare, che nella pattumiera finisce di tutto.Il buongiorno si vede dal mattino… e il mattino, nel nostro caso, è la spesa al supermercato dove solo una sparuta minoranza arriva con la lista, dove un sacco di gente si fa prendere dalle offerte promozionali (sono fatte apposta!) e dalle confezioni maxxxi, maxi-risparmio, dove tantissimi cedono alla seduzione di slogan salutisti e nutrizionisti di prodotti alla Mulino Bianco.
Del resto è noto che i GOI, Gruppi Operativi Incursori, del marketing sono abilissimi a farci diventar scemi fin da piccoli. E’ storia di questi giorni prenatalizi, ed ha un nome, ovviamente quanto mai evocativo: Sugar, zucchero. Trattasi di un’assolutamente inutile foca meccanica dall’iniziale esorbitante costo di oltre 100 euro (già ribassato del 50% da Coop, Auchan e persino dalla blasonata Rinascente) proposta al target di riferimento – da 3 a 6 anni – attraverso ridondanti pubblicità televisive che mostrano fiabeschi paesaggi innevati con tanto di igloo e bambina felice. Ci è accaduto di assistere a veri e propri pianti greci, in special modo di bambine, intrippate dal desiderio di avere quel gioco. Che non sviluppa nulla, non fa nulla a parte due o tre movimenti che nemmeno il Big Jim dei nostri tempi, per intenderci quello che poteva calciare un pallone grazie ad un pulsante sulla schiena, non serve a nulla, non è interattivo, e presumibilmente dopo tre giorni finisce nella cesta dei giochi dimenticati…
Ok, atto dovuto… e poi in questi tempi di insicurezza e di paura c’è la sindrome della dispensa vuota. Abbiamo assistito a veri e propri assalti ai forni di manzoniana memoria, in questi giorni di terrore indotto dal 9 dicembre, neanche fosse la profezia dei Maya: l’Italia si ferma! e noi che ci divertivamo come monelli a gridarci, da sei metri di distanza: “serve il sedano?” “nooo, ne abbiamo ancora un gamboooo!” mentre gli zombies attorno a noi riempivano parossisticamente i carrelli, uno per componente familiare, di ogni ben di dio, assolutamente indispensabile in un’economia di guerra: tonno, fagioli, pizza margherita surgelata, prosecco, improbabili merendine Ciccia&BrufoliBio, panettone perché-è-in-offerta-e-magari-a-natale-non-si-sa-mai…L’Italia non si è fermata, il nostro gambo di sedano è ancora lì, e occhieggia ridendo divertito dal frigo nella consapevolezza di essere stato protagonista del nostro divertissement, non sappiamo se inteso come quell’istanza filosofica concettualizzata da Blaise Pascal, sappiamo solo che abbiamo riso tanto…
Purtroppo, contro il tanto insano quanto compulsivo bisogno di dovizia alimentare poco o nulla possono iniziative lodevoli come quella di alcuni supermercati inglesi: hanno adottato la promozione 2×1 in due fasi, in pratica i clienti ritirano il secondo prodotto in omaggio la volta successiva.
Niente, è la stessa ragione per cui è ormai impossibile contrastare qualsiasi puttanata venga pubblicata su Facebook, versione virtuale della piazza e del bar del paese. Almeno al bar, il cacciapalle lo riconoscevi e, in casi, estremi, due schiaffoni ben dati risolvevano la questione. Salvo poi berci sopra tutti insieme.
Bene, e passiamo alla scadenza degli alimenti. Premesso che le aziende produttrici prevedono un franco di sicurezza, la buona abitudine di controllare la data di scadenza degli alimenti è tutt’altro che diffusa, per molti addirittura non esiste differenza tra da consumarsi entro e da consumarsi preferibilmente entro, interpretando entrambe in senso restrittivo: non si deve più mangiare. Se la prima è tassativa perché ne va della sicurezza dell’alimento, la seconda significa solo che l’alimento, dopo quella data, non garantirà gusto, aroma, colore, consistenza e parte del valore nutrizionale che gli sono propri e anche parte del suo valore nutrizionale.
Non ci riteniamo migliori di altri, però potremmo avere un frigo delle dimensioni di quelli presenti nelle camere d’albergo, salvo che per il comparto dei surgelati. Detto in altri termini: pur svolgendo un’attività lavorativa intensa riusciamo, senza per questo svenarci, a fare la spesa pressoché quotidianamente. Dedichiamo quella mezzora congiunta alla passeggiata, all’aperitivo, al che ne so, decidendo praticamente ogni giorno che cosa abbiamo voglia di mangiare per cena.
Certo, sappiamo bene che per la maggior parte delle persone acquistare meno e fare la spesa più spesso, è un’esigenza che si scontra con il poco tempo a disposizione e la poca voglia di svolgere un’incombenza spesso ritenuta fastidiosa. Ecco il punto nodale della questione: fastidiosa.
Fare la spesa significa provvedere primordialmente alla grotta, alla caverna, alla tana. E se oggi circolano a piede libero un sacco di coppie, di famiglie costituite da ex-singles abituati a trovare la pappa pronta grazie a mammà oppure stanche ed insofferenti per il fatto di essere coppia, sinceramente non è affar nostro.
Torniamo al solito discorso: c’è chi nasce per essere Libero e chi per essere schiavo, e ciascuno della propia vita ne fa quel che gli pare.
Comunque sia, una volta tornati a casa con la spesa, molti non sanno come conservarla, molti non hanno ben chiaro come usare il frigorifero, un ripiano vale l’altro, i prodotti vengono riposti a casaccio, quasi nessuno sospetta che la temperatura del frigo non sia omogenea in tutti i suoi scomparti e che esiste un preciso criterio per posizionare gli alimenti al suo interno, un criterio che allunga la vita dei prodotti. Il cibo però non finisce nell’immondizia solo perché non consumato in tempo – ed è quindi scaduto, ammuffito, emana cattivo odore o sapore – ma anche perché se ne è cucinato troppo. Preparare porzioni eccessive è un difetto di pianificazione che riguarda moltissime famiglie. Potremmo parlare di consapevolezza e risveglio, ma non vogliamo infierire…
E passiamo finalmente all’apoteosi del trash: la spazzatura! Ansia da raccolta differenziata, e il cerchio si chiude: dove è partita anche quella dell’umido, si sono moltiplicati nervosismi e ansie. La si fa con sforzo, controvoglia e sfiducia. Che sia il motivo per cui non ci si applica abbastanza?
Come conseguenza lo spreco di cibo che, per onor del vero, si verifica in ogni fase della catena alimentare, diventa un problema etico, al quale però si aggiungono costi economici e ambientali, con ripercussioni sul clima, sullo sfruttamento del suolo, sulle risorse idriche e sulla biodiversità.
Il cibo che finisce nella spazzatura mangia una quantità impensabile di risorse naturali e genera rifiuti ed emissioni inquinanti nell’atmosfera.
E intanto c’è chi sopravvive grazie ad immonde pappette fornite dagli aiuti internazionali…
Pane, origini della vita e spreco alimentare.
Pane, origini della vita e spreco alimentare.ultima modifica: 2013-12-20T09:38:23+01:00da
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