Solo attraverso profondi cambiamenti individuali il nostro Paese potrà rinascere

Stiamo vivendo un momento assolutamente particolare, forse unico: c’è chi dedica le proprie energie a diffondere una cultura delle regole, chi si impegna nella difesa dell’ambiente, chi si mobilita nel volontariato, chi affronta la fatica di un periodo di lavoro o di studio all’estero o semplicemente impara una lingua straniera in più, magari il cinese, il russo, l’arabo.CC 2014.04.30 Rinascere 001Nel segno di un’Energia nuova e pulita sono tante le riforme dal basso che ciascuno di noi può avviare da subito, e costituiscono un antidoto alla lagnanza, alla rassegnazione, al senso di impotenza che non è mai nelle cose ma dentro di noi. Sono quell’impotenza, quella rassegnazione che respiriamo oggi in Italia nell’attesa sempre delusa di grandi cambiamenti, svolte, catarsi collettive, rinascite nazionali. Che dovrebbe essere sempre qualcun altro ad attuare.
Questo aticolo nasce sulla scia di interessanti scritti pubblicati recentemente dal sito partner Consulenza-Finanziaria.it argomentando di competitività estera e di malcostume delle aziende nostrane, oltre che di gestione del credito bancario.
Iniziamo accennando al tanto vituperato cuneo fiscale che fa occupare al nostro Paese un posto niente affatto invidiabile nella classifica Ocse ma che, senza entrare nella disamina dei numeri – per quella basta leggere i siti del Sole 24 Ore e dell’Istat – è comunque inferiore a quelli tedeschi o francesi. Pertanto se Germania e Francia sono più competitive dell’Italia sui mercati mondiali non è certamente in ragione delle tasse sul lavoro.
Non a caso tiriamo in ballo la Germania, oggi da noi nuovamente nel mirino di una propaganda strumentale, che non esitiamo a definire sconcia, tendente a spostare l’attenzione dai problemi veri per raccattare voti nell’imminenza delle elezioni europee.
Per comprendere da dove deriva la minore competitività del nostro Paese rispetto ai due concorrenti bisogna considerare i dati della produttività per addetto, e prima di tutto nelle aziende manifatturiere, cioè quelle globali per definizione. Qui i dati parlano da soli: la produttività manifatturiera per occupato è pressoché identica in Germania e Francia ed è vicina ai 65mila euro. In Italia è pari a 48mila, inferiore di circa un quarto.ALSTOM TRANSPORT CORADIA MERIDIAN FITTING IN SAVIGLIANI , ITALYE la differenza non dipende dal fatto che i francesi sono bravi a fare treni e tram ed i tedeschi auto e frigoriferi, beni a tecnologia intermedia o elevata, e gli italiani lo sono a fare scarpe e cravatte, cioè beni tecnologicamente semplici.KL Cesec CV 2014.04.30 Consapevolezza e cambiamento 003KL Cesec CV 2014.04.30 Consapevolezza e cambiamento 002Se osserviamo attentamente l’intero settore manifatturiero ci accorgiamo che le produttività tedesca e francese sono quasi sempre più elevate rispetto alla nostra, per esempio in uno dei settori tipici del Made in Italy: tessile, abbigliamento e calzature, tradizionalmente considerato a più bassa produttività rispetto alla media economica europea. Ma in Germania e Francia la produttività annua per occupato è pari rispettivamente a 43 e 46mila euro, mentre da noi siamo a 33mila. Quindi inferiore del 25% circa. Come nel resto dell’economia.
Questa premessa per dire che, visto dal nostro Paese, il mondo appare immenso e fa paura. E’ un mondo che sta cambiando a velocità inaudita, nel quale sono entrati di prepotenza nuovi protagonisti ben più grandi di noi, dove antichi equilibri si sono alterati, gerarchie di potere improvvisamente stravolte, in cui nuovi pericoli incombono, mentre sfide e problemi mai incontrati prima chiedono una soluzione.
E’ già accaduto che per provincialismo, miopia e furbizia dei nostri attori politici ed imprenditoriali l’Italia sia arrivata impreparata di fronte a grandi svolte, perdendo tempo prezioso, e sta per accadere di nuovo: se non saremo pronti ad intuire gli scenari del futuro, se non sapremo valutare la direzione del cambiamento nelle tendenze di lungo periodo, rischieremo di prendere una volta di più le decisioni sbagliate.KL Cesec CV 2014.04.30 Consapevolezza e cambiamento 004Tanto è vero che invasione è la parola più usata dagli attuali predicatori dell’Apocalisse prossima ventura: invasione di immigrati clandestini, di prodotti cinesi, di capitali stranieri che ci colonizzano. E non ci accorgiamo che tutto ciò che temiamo è in realtà già accaduto.
Sia chiaro, di fronte ad ogni cambiamento la paura è legittima perché le grandi novità spaventano, possono nascondere delle incognite e il riflesso più spontaneo è difendersi. O negare il cambiamento.
Ma qual è esattamente la natura dei pericoli che ci minacciano? E qual è il modo per difenderci attaccando, per vincere la sfida senza accontentarci semplicemente di limitare i danni?
Imprenditori illuminati (ne esistono anche da noi) ed osservatori dell’Impero di Cindia possono tentare di rispondere a queste domande offrendoci punti di vista nuovi e in un certo senso rivoluzionari: le scelte da fare non riguardano solo governi, classi imprenditoriali e dirigenti.
Riguardano prima di tutto la vita quotidiana di ciascuno di noi, che inevitabilmente si ripercuote nelle famiglie e nelle imprese, di qualunque dimensione esse siano.
Siamo noi che, con maturata consapevolezza, impegno civile, consumi responsabili, andiamo in cerca, anzi costruiamo, il nostro futuro. Detto in altri termini: è solo attraverso una profonda revisione dei nostri modelli produttivi, di consumo, sociali che possiamo agire per scuotere i sistemi politico e produttivo.
Ma se continuiamo a lamentarci attribuendo a chicchessia la responsabilità dei nostri fallimenti e del nostro non andare avanti, non solo resteremo al palo, ma inevitabilmente ci attende una regressione: economica, sociale, delle coscienze.
Non ci sono alternative: o ci risvegliamo da quello che alcuni hanno definito sonno verticale, aprendoci ad un mondo nuovo, dove il punto di riferimento non è più il pil bensì la decrescita più o meno felice, un nuovo approccio alla qualità della vita, o saremo già morti senza saperlo.KL Cesc CV 2014.04.30 Consapevolezza e cambiamento 005Ed i cimiteri che potremo visitare saranno alla portata di chiunque avrà occhi per vedere e cuore per sentire: autobus e metropolitane, centri commerciali, le strade dove passeggeranno torme di zombies.
Dall’insieme delle decisioni individuali, decentrate, che ciascuno di noi compie ogni giorno possono nascere gli innumerevoli stimoli che possono spingere il nostro Paese all’ormai indifferibile cambiamento.

Alberto C. Steiner

Network Marketing e teoria dello schiavo

Ricevo periodicamente la newsletter di uno dei troppi guru della finanza creativa che insegnano al colto e all’inclita come far soldi senza soldi, nella fattispecie come diventare trader immobiliari e proprietari di sterminati patrimoni edilizi dai quali trarre un reddito, semplicemente mettendo a frutto l’intento, seguendo i costosi corsi tenuti da questi dispensatori di Sapienza e Verità e, perché no, come ricavare denaro partecipando a strutture di network marketing. Qualche lettore potrebbe osservare: ma se l’argomento ti fa così schifo perché non ti cancelli dalla newsletter? Per due ragioni. Anzitutto per conoscere cosa gira nel panorama di riferimento, discariche comprese. In secondo luogo perché, come diceva tanti anni fa un amico torinese: “Leggo Stampa Sera per poterla disprezzare con cognizione di causa.” Nella fattispecie il nostro guru racconta tutto tronfio di essere appena tornato da un viaggio alle Hawaii organizzato da una società di network marketing e, tiene a sottolineare: “Pagato da loro“. E, gigionando, non manca di far osservare: “Mi ero iscritto circa 4 anni fa e piano piano ho costruito una struttura. La cosa magica del network è la duplicazione. 11 persone inserite sono diventate 2060 per effetto della duplicazione. E anche se guadagno 11 euro a persona in media al mese incominciano ad essere soldi che attirano la mia attenzione. Soprattutto per la qualità del denaro che ad un certo punto perde la proporzione tra sforzo e risultato. L’azienda ha distribuito premi per 71.000.000 di $ in una sera. Da 50.000 a 2.400.000 a persona… C’erano 3.000 persone (che guadagnano dai 200.000 a oltre 10.000.000) e circa 400 persone hanno avuto accesso al bonus… Io ero tra i barboni… Inoltre feste a tema, cene di gala ecc ecc tutto per confermare l’eccezionale stile di vita che questo tipo di attività dà a chi ci crede e si impegna.KL-Cesec-CV-2014.04.02-NM-005Afferma inoltre che il NM non è per tutti ma solo per chi è attrattivo o vuole diventarlo, e la misura del successo è data da crescita personale ed assegno, che vanno di pari passo; l’importante è che l’azienda abbia prodotti che creano fan, dato che si guadagna dal consumo: se il prodotto non crea consumatori fedeli ogni volta bisogna cercare nuovi clienti/distributori e la struttura non cresce in maniera esponenziale. E, da quel guru che è, conclude la concione affermando: “Qualunque commerciale dovrebbe fare network, qualunque imprenditore dovrebbe avere almeno una entrata da network. La cosa buona del network sono le abilità che devi sviluppare per crescere. Se non ti formi, non impari e non fai non cresci. Può essere fatto full time, part time o per aggiungere un piccolo reddito da casa.”Computer study
Invito chi legge a focalizzare l’attenzione sull’insipienza di quanto questo figuro afferma, nonché sugli squallidi riferimenti offerti come modelli inarrivabilii, non senza far notare come (stranamente?) costui ometta il nome del network foriero di cotanta cornucopia… Continuo a ribadire il mio pensiero sull’argomento: se ho un prodotto ripetibile, assumo agenti e rappresentanti perché me lo vendano, loro si presentano ai clienti che a loro volta possono essere distributori o negozianti, se il prodotto è buono e loro sono bravi vendono e, se il prodotto va, mi rinnovano gli ordini tramite i rappresentanti. Naturalmente, compatibilmente con le mie possibilità e funzionalmente a strategia e target, investo anche in pubblicità e comunicazione, e il prezzo finale del prodotto è ovviamente formato anche dai miei costi di promozione e vendita. In ogni caso io sono il produttore, lui è il rappresentante, quell’altro è il negoziante e tutti sanno con chiarezza chi sono e chi siamo. E vissero tutti felici e contenti. Detto in altri termini, tutti lavoriamo e io, come è giusto che sia, mi assumo il rischio d’impresa. Trovo che il concetto del Network Marketing, che preferisco continuare a chiamare con il nome che gli spetta: Catena di Sant’Antonio, fatti salvi alcuni casi di eccellenza sia l’antitesi del concetto di lavoro, che parte dalla premessa interiore di guadagnare alle spalle degli altri. E sempre che non si configuri come una truffa; tutti ricorderemo il caso Tucker, il tubo che non serviva a un tubo che ha spopolato nel decennio scorso.KL-Cesec-CV-2014.04.02-NM-004E, mi duole doverlo affermare ma sono i fatti a sostanziarlo, la maggior parte di chi cede alle lusighe del Network Marketing si colloca ideologicamente nella fascia della cosiddetta alternativa, quella che aborre il lavoro in quanto fonte di sfruttamento. Non sto parlando a vanvera, e cito solo due casi. Uno si chiama Aloe più o meno vera, che impazza nel mondo di una certa spiritualità e meditazione. Per guadagnare devi cominciare a spendere 250 euro di prodotti, e il reclutamento avviene attraverso il passaparola utilizzando cene e serate in location più o meno gradevoli. L’altro è anche peggio perché non presuppone l’esistenza di un prodotto ma solo l’anelito ad arricchirsi: si chiama Ruota dell’Abbondanza, imperversa nello stesso mondo, in particolare in quello dei Sanniasyn di Osho e consiste nell’intortare (scusate, ma intortare è più pregnante rispetto a convincere o persino irretire) otto illusi affinché versino 10.000 Euro ciascuno; una volta che la ruota è completata il promotore ritira il malloppo, e intanto gli altri hanno istitutito a loro volta altrettante ruote. Costo dieci, resa ottanta. Se va bene. Naturalmente è tutto ammantato dal segreto, anche perché questi censori della morale capitalista ben sanno che è tutto in nero, nulla si scrive, tutto si dice sottovoce e mai al telefono. Si organizzano feste in casa ora dell’uno ora dell’altro, ci si autoincensa e via. Qualcuno rimane con il cerino acceso in mano, a qualcun altro son capitati in casa i Carabinieri a rovinare la frittata, se ne è molto parlato l’anno scorso specialmente in certe zone del Piemonte.E tutto questo per tacere dei modelli di riferimento: denaro, luccichii, guadagnare senza far nulla. Non mi stupisce che prenda molto certi soggetti che aborrono anzi avversano l’idea di imprenditoria, sbandierandosi peraltro puri, consapevoli e alternativi. E vi è mai capitato di avere a che fare con questi reclutatori, peggio ancora se sono fra coloro che il network lo stanno inventando? Vi invitano per un caffè e, dopo una premessa evanescente condita da fantasmagorici dati snocciolati, vi propongono di entrare a far parte di un team di successo: partiamo da cinque e entro un anno siamo a duemilaottocentotrentasette, ti mostrano uno schema piramidale come se ti svelassero le cellule della Resistenza. Ti parlano di piattaforme, di e-gadget, di e-book, e il loro tono giunge invariabilmente all’untuoso di sapore levantino. Ti parlano di milioni di euro e sono vestiti da straccioni, li conosci e sai bene quanto fatichino a sbarcare il lunario pur non avendo mai capito bene cosa facciano per vivere. In ogni caso sono improbabili. E poi ci sono quelli che del network fanno già parte, e te li ritrovi vicini di tavolo a una cena alla quale hai partecipato per divertirti e rilassarti, ti rintronano con le loro mirabolanti performances basate su valori che per loro sono assoluti ma che – almeno per me – non significano nulla, anzi sono fuffa. Non infrequentemente sono dei tamarri sottoacculturati, e lo dimostrano nell’abbigliamento e nell’accessoristica, nell’auto che non perdono occasione di far notare. Se sono donne, sono delle assatanate, di una volgarità esemplare, di quelle con le quali un uomo normale si vergognerebbe a farsi vedere in giro. Estetiste che argomentano di alta finanza lasciandoti intravvedere le tette. Con il cellulare sul tavolo che squilla incessantemente. Il network marketing, così concepito, costituisce in realtà una delle peggiori forme di schiavitù, quella che ti fa credere di esserti riscattato, di essere diverso, migliore, un ganzo. E vi dimostrerò il perché.KL-Cesec-CV-2014.04.02-NM-001Il nostro Paese, così come lo conosciamo e prima che si sfasciasse, è stato costruito dall’imprenditoria. Più o meno illuminata, più o meno lobbistica, più o meno qui, più o meno là, ma imprenditoria. Un’imprenditoria proveniente da Belgio, Francia, Germania, Svizzera, Regno Unito che, affiancata da lungimiranti locali, generalmente di nobili origini, cospicui patrimoni fondiari e qualche esperienza protoindustriale, ha dato vita all’Italia di fine Ottocento: pensiamo solo alla ferrovia dei Giovi destinata a creare uno sbocco marittimo ai mercati centro-europei, pensiamo alle tramvie a capitale prevalentemente belga che per ogni dove solcavano le strade, in particolare quelle lombarde per trasportare merci, pensiamo alle realtà torinesi, milanesi, a Sesto San Giovanni, al Bresciano. Pensiamo allo sfruttamento delle risorse idriche per produrre energia elettrica. E pensiamo alle innumerevoli attività artigianali che hanno segnato la storia del nostro Paese.KL-Cesec-CV-2014.04.02-NM-002E tutto questo prima che arrivasse l’Iri di Prodi. Prima che arrivassero la finanza di carta e i finanzieri di cartone. Prima dei vari Cultrera, Sgarlata, Fiorini, Canavesio e prima degli imbonitori televisivi. Prima che quelli che avevano vissuto di tangenti si reinventassero equosolidali. Poi è arrivato il peggio: l’Italia dei venditori di spazzole con la barzelletta sconcia, l’Italia puttaniera e della menzogna, l’Italia del fottere lo Stato, anzi del diventare stato per potersi fare i cazzi propri. L’Italia che ha avuto spazio perché sostenuta da tanti che bramavano di essere così. L’Italia che sembrava quella dei filmacci con Boldi e De Sica. Cosa c’entra l’industrializzazione nazionale con il network marketing? C’entra, eccome. C’entra nella misura in cui si è creata l’attuale cultura del non lavoro. O, ancora peggio, la cultura del mio figlio farebbe qualsiasi cosa, ma non trova niente. La questione è anche questa: essere disposti a fare qualsiasi cosa, compreso farsi sfruttare in un call-center per imbrogliare telefonicamente chiunque capiti a tiro proponendo qualsiasi cosa, pur truffaldina che sia. E per quattro soldi, oltretutto. Di cosa sto parlando? Sto parlando della mentalità dello schiavo. Che poi finisce per credere di essere padrone, addirittura alternativo. E questo concetto inizia ad essere instillato dalla famiglia, dalla scuola dove ti insegnano ad essere uno schiavo (presente In fila per tre di Bennato?) però in modo ben più raffinato che in passato. Sto parlando del non reinventarsi, dell’accogliere supinamente modelli, e non fa nulla che chiunque potrebbe obiettare che a nessuno piace lavorare, ma quando si è sottoposti alla necessità di vivere allora si cerca il lavoro, addirittura si combatte per esso giungendo al punto che qualunque mansione andrebbe bene, e si è persino disposti a morire per coloro che fingono di riconoscerci diritti, ma che lo fanno nel loro interesse. Che è quello di tenerti sempre più sotto il tallone. Proviamo invece a pensare esattamente al contrario: non è  forse perché alle persone non interessa nulla di profondo, nulla che oltrepassi la soglia della sopravvivenza, dell’anestesia allietata da innumerevoli gadget che si costringono a lottare e sgomitare? La soluzione sta nell’affrancarsi dall’ancestrale paura della fame riprendendo possesso della propria dignità, della propria nobiltà interiore dedicandosi anzitutto a ciò che di più elevato si riesce a produrre interiormente, vale a dire l’identificazione con la propria anima, l’unica vera essenza nella quale è già scritto qual è il mestiere al quale dobbiamo dedicarci per vivere in maniera equilibrata. Tanto per cambiare sto parlando di Consapevolezza, di vivere nel Presente. Questa è una civiltà che mira a fabbricare servi, e da sempre i servi complottano per fottersi tra loro, senza ritegno, molto spesso per assomigliare ai tanto vituperati padroni. Ma nessuno ci vieta di riacquistare la nostra dignità, per esempio non accogliendo come alternative o liberatorie attività che altro non sono che una forma di sfruttamento. Tutto qui. Ciascuno ne tragga le considerazioni che preferisce.

Alberto C. Steiner