L’azione di Cittadinanza Consapevole ha tolto l’acqua europea alle concessioni private

La sua potestà è solamente consultiva e la sua esistenza non è particolarmente nota nel nostro Paese, ma il primo strumento di partecipazione diretta adottato dall’Unione Europea ha già raccolto ben oltre il milione di firme necessarie per una delle prime e più importanti iniziative, partita a febbraio ed attualmente in corso: la proposta legislativa per portare l’Acqua fuori dalla Direttiva Concessioni.

 

L’ICE, Iniziativa dei Cittadini Europei, è uno strumento introdotto dal Trattato di Lisbona ed entrato in vigore ad aprile del 2012 che consente alle organizzazioni della società civile nonché a singoli cittadini di formulare alla Commissione Europea proposte legislative raccogliendo un milione di firme in almeno sette paesi dell’Unione Europea nell’arco di 12 mesi.

 

Per ogni paese è stabilita una soglia minima di validazione parametrata alla popolazione; per l’Italia è fissata in 54.750 firme. Le proposte devono essere coerenti con i Trattati dell’Unione Europea e devono ricadere nei settori di competenza della Commissione: ambiente, agricoltura, trasporti, salute pubblica per citare solo alcuni esempi.

 

Essendo il primo strumento di partecipazione diretta adotatto dall’Unione Europea presenta ancora dei limiti, primo fra tutti la non obbligatorietà per la Commissione di istruire un percorso legislativo.

 

L’utilizzo di questo importante strumento ha però consentito di rafforzare l’azione comune del Movimento Europeo per l’Acqua, portando in Europa l’ iniziativa volta a rendere l’acqua un diritto umano e la voce dei 27 milioni di italiani che il 12 e 13 giugno 2011 votarono a favore della gestione pubblica del servizio idrico.

 

Grazie all’ampio consenso riscontrato il Forum Italiano dei Movimenti per l’acqua prosegue la propria attività promuovendo nuove iniziative in Italia.

 

Ciò che è stato ottenuto, per quanto importante, non è sufficiente. Affinché l’attenzione al problema si mantenga desta al fine di centrare l’obiettivo è necessario che in almeno 7 Paesi si raggiunga la quota minima stabilita. Invitiamo perciò a partecipare all’iniziativa sottoscrivendola. E’ possibile farlo cliccando sull’immagine sottostante:

 

 

 

Clicca qui per firmare

 

I promotori dell’iniziativa ritengono inoltre auspicabile che:

 

– Chi ha firmato convinca almeno altre due persone a farlo

 

– Condivida sui social network la pagina di Acqua Pubblica

 

– Scarichi qui la cover dell’ICE esponendola sul proprio profilo Facebook

 

L’iniziativa dei cittadini europei per l’acqua diritto umano in pochi mesi ha superato il milione e mezzo di firme ed è riuscita già a mettere in imbarazzo la Commissione Europea. Il Commissario Europeo al Mercato Interno, Michel Barnier, ha preso atto della grande mobilitazione sul tema dichiarando che il servizio idrico verrà stralciato dalla Direttiva Concessioni, il provvedimento dedicato alla privatizzazione dei servizi pubblici.

 

Nell’immagine qui sotto: cascate dell’Acquafraggia, allo sbocco della Val Bregaglia, presso l’abitato di Borgonuovo di Piuro in Valchiavenna.

 

Il torrente che le origina nasce a 3.050 metri di altitudine e l’acqua compie un salto di 170 m formando una doppia cascata: aqua fracta significa infatti acqua spezzata.

 

 

 

Cascata Acquafraggia - Valchiavenna

Lecco: iniziativa popolare perché l’acqua sia pubblica

E’ partita a Lecco la raccolta di firme per una delibera d’iniziativa popolare perché la gestione idrica sia pubblica: a due anni dal referendum, la gestione pubblica del servizio idrico su quel ramo del lago di Como che volge a mezzogiorno tra due catene non interrotte di monti sarebbe a rischio in quanto il 14 maggio scorso la maggioranza dei sindaci lecchesi ha deciso di affidare per 20 anni la gestione dell’acqua alla società Idroservice facente capo al gruppo Lario Reti Holding il cui obiettivo, come per tutte le società di diritto privato, è conseguire utili. La scelta, in contrasto con il voto espresso da 27 milioni di cittadini il 12 e 13 giugno 2011, oltre 138.000 dei quali in provincia di Lecco, non consente il controllo diretto da parte dei Comuni.

Manifestazione a Lecco
La proposta del Comitato lecchese per l’Acqua pubblica è pertanto quella di costituire un’Azienda Speciale, Ente di diritto pubblico non privatizzabile che non risponde alla logica del profitto, pienamente controllabile dai Comuni e il cui affidamento sarebbe pienamente legittimo, in paerto contrasto con la nomina di Idroservice in quanto Ente di diritto privato portato a conseguire profitti, sul quale Comuni e i Consigli comunali non esercitano nessuna forma di controllo diretto ed il cui affidamento, indicato come potenzialmente illegittimo, può essere fonte di possibili ricorsi.

In sostanza, la proposta del Comitato verte su un servzio idrico affidato ad un’Azienda speciale consortile di diritto pubblico, collocata fuori dalle logiche del mercato, partecipata e controllata attivamente dalle amministrazioni comunali e dalle rispettive cittadinanze. Una scelta considerata l’unica coerente con la volontà popolare espressa nel Referendum del 2011. Per realizzarla, il Comitato ritene indispensabile una grande mobilitazione popolare che sostenga la nostra di delibera al Consiglio Provinciale, considerato il soggetto chiamato ad esprimersi definitivamente, rispettando la dignità ed il voto espresso dai cittadini e garantendo una gestione veramente pubblica del servizio idrico.

In margine alla notizia riteniamo doveroso precisare che, in sintonia con quanto attuato da numerose amministrazioni comunali in ogni parte d’Italia, anche il Comune i Lecco ha varato un progetto finalizzato a promuovere l’utilizzo dell’acqua pubblica di qualità tramite impianti per l’erogazione di acqua naturale e frizzante: un’acqua buona, controllata e sicura, microfiltrata, declorata, sterilizzata e raffreddata, distribuita non a caso per mezzo di bottiglie in vetro anzoché in plastica e denominato Casa dell’Acqua ed attuato mediante cinque distributori pubblici, l’ultimo dei quali inaugurato lunedì 4 febbraio 2013 in via Nullo, presso il Circolo Canottieri e che si aggiunge a quelli già attivi in via Magenta (Zona V Alpini), via Sora (Zona San Giovanni), lungolario Piave (Zona Caviate), in attesa dell’apertura dell’ultimo previsto, in piazza delle Nazioni (Zona Rivabella).

Per parte nostra non possiamo che notare come la proposta del Comitato lecchese sia in sintonia con il nostro sentire: l’acqua è e rimane pubblica – lo afferma del resto la legge – mentre la gestione del servizio distributivo può essere affidata ad una Società di proprietà dei diretti utilizzatori, che si troverebbero così, in un clima di democrazia partecipata, ad essere contemporaneamente azionisti e controllori, a garanzia dell’efficacia e della salubrità del servizio, nonché delle sue tariffe

lecco_grigna

Il Cohousing responsabile contribuisce alla lotta alla fame

Frutti e ortaggi che non rispettano le misure standard vengono buttati via,poiché agricoltura meccanizzata e vendita di massa richiedono uniformità.

Tutti abbiamo presenti quelle mele tutte uguali: tonde, verdi gialle o rosse come quella di Biancaneve, passate a cera. O la carne di un rosso improbabile, nei banchi frigo dei supermercati massimamente rappresentata da fettine, costate, roast-beef…SlowFood

La quantità di cibo che viene sprecata e buttata via nel mondo potrebbe saziare tre miliardi di persone, ben oltre i 900 milioni censiti come coloro che soffrono la fame. Secondo quanto dichiaratoci da Slow Food solo in Italia, e dalla filiera, non dalla mancata vendita, vengono sprecate 4.400 tonnellate giornaliere di cibo, con le quali si potrebbe sfamare una città di tre milioni di abitanti.

Niente di nuovo, purtroppo… Vandana Shiva, vicepresidente di Slow Food e presidente del movimento ambientalista Navdanya ha recentemente dichiarato: “Il 50 per cento del cibo prodotto negli Stati Uniti viene gettato o non utilizzato” aggiungendo “Invece di un grande business legato alle monoculture, abbiamo bisogno di fattorie che preservino la biodiversità. Monoculture come la soia non risolvono i problemi legati al cibo, ma li creano. Si tratta di un circolo vizioso” ha concluso “perché il circuito della produzione industriale ha bisogno dello spreco per creare surplus”.

Per parte nostra, oltre a condividere l’indignazione per tale spreco in nome del solito Moloch, affermiamo la nostra propensione per la biodiversità, che le multinazionali delle sementi si guardano bene dal favorire. Aggiungiamo infine che, per quanto è nelle nostre possibilità, attraverso la promozione e la progettazione di comunità coresidenziali ecocompatibili stiamo muovendoci nella direzione della maggior tutela di un’agricoltura locale e non invasiva, rispettosa delle specie e del territorio. Una goccia nel mare? Chissà…

Stress idrico: oltre due miliardi di persone non hanno acqua

Cresce lo stress idrico: oltre due miliardi di esseri umani non hanno accesso all’acqua. Ma, partendo da una reale presa di coscienza e dalla consapevolezza delle proprie possibilità ciascuno di noi può fare qualcosa perché, è il caso di dirlo, ogni goccia riempia il bicchiere… riportiamo un trafiletto pubblicato sabato 15 giugno su IO donna, supplemento settimanale del Corriere della Sera, iodonna.it.

Lo scritto sintetizza significativamente attraverso i numeri una considerazione di fondo: l’acqua, bene primario che dovrebbe essere considerata pubblica e agevolmente disponibile, lo è invece sempre più in funzione delle capacità economiche e tecnologiche. Astenendoci da commenti e giudizi politici o di merito, non pertinenti allo spirito della segnalazione, ci limitiamo a far osservare quanto siano universalmente note le competenze tecniche Israeliane in materia di potabilizzazione.

Di seguito il testo:

La terra trema – NUOVA MAPPA: UN TERZO DEL MONDO E’ ASSETATO

Migliora la situazione in Cina e in India. Ma si degrada nell’Africa subsahariana e in Ucraina. Il rapporto 2013 dell’Oms aggiorna la mappa dello “stress idrico”. Ed eleva la cifra ufficiale di chi nel mondo non ha accesso all’acqua potabile a 2,4 miliardi. Aumenta il numero di impianti che veicolano acqua buona nelle case, ma anche la popolazione cresce. E paradossalmente, ci sono meno rubinetti oggi che nel XX secolo. Tra le aree critiche: il Nilo (l’Egitto la fa da padrone, rispetto a Sudan, Eritrea, Etiopia e Kenya), il Mekong (il Vietnam preleva per abitante più di Thailandia, Birmania, Laos) e Israele, gestore unico delle risorse idriche anche nei territori occupati. (P.P.)Gocce di Sollievo - Pove del Grappa

Il Cohousing montano è una tutela per il territorio

 

Alpeggio BittoPrati fioriti di mille colori, alte vette che fanno da quinta, aria cristallina, mucche sparse a brucare che sembrano messe lì come in un presepe, il mandriano, i cani, le baite, il formaggio saporito, il burro giallo che si conserva nell’acqua gelida del torrente mentre la polenta brontola nel paiolo sul fuoco del camino…
Riusciamo a immaginare cosa c’è veramente dietro bei paesaggi e buoni formaggi, ricordi e suggestioni, sapori e folclore?

Non è solo questo l’agricoltura in montagna. Qui gestione, manutenzione, valorizzazione di territorio e paesaggio non sono opera di giardinieri, ma il frutto di un’attività economica e produttiva che per millenni ha costituito la principale fonte di sostentamento e il centro identitario e culturale del territorio e delle popolazioni.
Le tracce di questa cultura e di queste attività improntano tuttora in modo indelebile e diffuso il territorio, il paesaggio, i modi di vivere, le tradizioni, l’architettura, i cibi, i prodotti alimentari ed i manufatti artigianali lasciando, in montagna forse più che altrove, i segni di un’identità forte che agli occhi degli estranei viene percepita come luogo di tradizioni senza tempo.

Una storia millenaria ha costruito in Alpe il paesaggio di cui oggi godiamo come straordinario testimone che ci racconta la vita delle sue genti e ci apre alle belezze di ambienti frutto di fatiche secolari poiché, all’interno di questo sistema che ha funzionato perfettamente fino ad alcuni decenni fa, la valorizzazione delle risorse pastorali è stata una delle chiavi di successo e di sopravvivenza delle popolazioni, armonico ed equilibrato rapporto tra risorse del fondovalle e degli alpeggi che ha permesso lo sviluppo di forme integrate di economia agricola con l’allevamento permanente di bestiame da latte.

L’attività degli agricoltori montani ha consentito di creare forme ingegnose di transumanza verticale che hanno costruito nel tempo un paesaggio variegato fatto di aperture tra i boschi, prati e maggenghi, pascoli di alta quota, nuclei rurali ed architetture tipiche che costituiscono il pregio di tante località montane.
Eppure anche la montagna è cambiata e sta cambiando, anche se questo può non apparire agli occhi dei frequentatori occasionali, e non parliamo di mutamenti dovuti all’incremento di strade, case, capannoni che hanno invaso e imbruttito i fondovalle, quanto di cambiamenti più profondi e meno evidenti. Fra tutti la riduzione quando non la scomparsa dell’agricoltura e con essa, pur se a più lungo termine, della biodiversità e della bellezza paesaggistica dei luoghi.

Due tendenze opposte originano tale pericolo: da una parte l’intensificazione dello sfruttamento e, dall’altra, il suo abbandono. I fondovalle, considerati superfici pregiate, sono utilizzati in modo sempre più intensivo dallo sviluppo di un’urbanizzazione indiscriminata e da un’agricoltura che, assumendo sempre più i caratteri tipici della pianura, è ormai diventata di tipo periurbano.

Alle quote più elevate e meno accessibili i terreni vengono invece spesso abbandonati, e prima o poi riconquistati dal bosco. Se il ritorno del bosco può apparire positivo perché riduce l’impatto negativo dell’uomo su natura e paesaggio, costituisce in realtà un pericolo perché spesso le zone abbandonate sono proprio quelle più importanti ai fini della conservazione della biodiversità florofaunistica, oltre che per la diversità dei paesaggi. E senza trascurare l’incontrollato proliferare di animali selvatici che, non trovando di che nutrirsi, devono necessariamente essere abbattute. Innegabilmente, il ritorno del bosco migliora la stabilità delle pendici.

Per queste ragioni l’atteggiamento più sbagliato che una comunità coresidenziale può assumere allorché si stabilisce in un luogo, e maggiormente in un contesto orograficamente difficile quale quello montano, è quello di apparire e sentirsi enucleata dalla società locale ivi residente.
Sappiamo di ripeterci, ma non finiremo mai di dirlo: le comunità da noi promosse non prescindono dal territorio, sarebbe una forma di colonialismo, non di inserimento.

I cohouser che provengono, come in massima parte accade, dal vissuto urbano possono incontrare situazioni particolarmente difficili: agli occhi delle comunità storicamente residenti sono, a seconda dei casi quei matti che vivono nel bosco oppure i cittadini che giocano a fare i contadini o, più semplicemente, quelli là.
Chi vive da generazioni strappando con fatica alla montagna di che sostentarsi ha maturato una scorza dura. Perché duro è il loro lavoro: in montagna non servono le mastodontiche mietitrebbia che vediamo in pianura, tutt’al più i trattorini ed i trenini delle vigne, anch’esse faticosamente ricavate terrazzando a mano la montagna, dove i raccolti e le merci viaggiano per gli alpeggi nella gerla o a dorso di mulo. O con la teleferica.

Gli scenari futuri mettono in luce un sistema rurale alpino senza domani, con una perdita progressiva e costante delle note caratteristiche e delle specificità che l’hanno finora contraddistinto. Solo una diversa considerazione del ruolo dell’agricoltura di montagna rispetto alla conservazione dei paesaggi colturali tipici, alle produzioni alimentari di qualità, alla tutela degli spazi, alla difesa dell’ambiente e del territorio potrà garantire nuove forme di sopravvivenza e di sviluppo.

Agli agricoltori di montagna andrebbe finalmente riconosciuto il ruolo di Protagonisti essenziali del mantenimento del paesaggio naturale e rurale, come recita il protocollo Agricoltura di Montagna redatto nell’ambito della Convenzione delle Alpi e risalente all’anno 1991. Da allora si sono sprecati convegni e dibattiti ma è tuttora necessario lottare perché in montagna le imprese agricole continuino ad avere un ruolo centrale nello sviluppo di attività multifunzionali, confermando la funzione dell’agricoltore quale attore principale e strumento di presidio e salvaguardia del territorio e dello spazio rurale. Il futuro dell’agricoltura di montagna è a rischio e con esso molto della cultura che rappresenta.

 

Lungi da noi demonizzare il progresso o celebrare inni retorici al bel tempo andato, anche perché in quel tempo si emigrava per fame, ma intendiamo invece onorare ciò che ha formato la montagna come la conosciamo e che si sta irrimediabilmente perdendo.
Se l’agricoltura scompare, niente più ampi pascoli alpini tra i boschi, niente prati fioriti, niente mucche, niente paesaggi, niente formaggi.

2013-06-13 19.30.33

La scomparsa dell’agricoltura rischia di mutare profondamente le condizioni di vita dei territori di montagna e dell’intera società, e i fondovalle del futuro rischiano di diventare agglomerati di tipo metropolitano circondati da versanti boscosi inselvatichiti e abbandonati.
La montagna rischia così di diventare periferia urbana e una delle opportunità di divertimento che la cultura metropolitana esige per il benessere dei propri cittadini. In questo senso e pur non disconoscendone le molteplici opportunità di reddito, da noi stessi propugnate e sostenute nelle opportune sedi progettuali a condizione di essere saldamente legate al territorio, anche gli Agriturismi non connotati da un senso di appartenenza ambientale costituiscono solo un’ennesima opportunità di turismo mordi-e-fuggi, destinata ad utilizzatori con una patente ecosostenibile di maniera ma che, al di là dell’effimero, non rende giustizia al contesto ed alle sue tradizioni di lavoro. Tanto è vero che a non pochi di questi l’attuale contingenza economica sta rendendo difficile l’esistenza.

Sinceramente, crediamo più all’iniziativa delle Comunità locali e dei cittadini responsabili che alla capacità ed alla volontà politica centrale di attuare scelte corrette ed efficaci affinché all’agricoltura di montagna ed alle attività connesse – che tanto hanno dato alla difesa dell’ambiente ed alla valorizzazione della specificità delle produzioni – sia garantita non solo la sopravvivenza, ma anche il sostegno.

Ma se questi attori del cambiamento attraverso decisioni ed iniziative concrete, sono solamente coloro che vivono il territorio come fonte di lavoro, sostentamento e vita non ci si deve poi stupire di chiusure o localismi esasperati: è solo il frutto dell’abbandono in cui questi cittadini, lavoratori, elettori e contribuenti sono stati lasciati.

Il Cohousing: i caratteri e le linee fondamentali

Ciascuna iniziativa di cohousing possiede propri tratti caratteristici, per esempio la destinazione del terreno circostante gli edifici in base alla sua estensione, alle caratteristiche geomorfologiche ed alle aspettative dei futuri residenti, ovvero la destinazione di determinati spazi comuni o la loro realizzazione ad hoc. Ma tutte le iniziative sono acco- munate dalle medesime linee guida fondamentali.

Ne elenchiamo le principali.

1. La Progettazione è partecipata

Normalmente i futuri abitanti partecipano direttamente alla progettazione del villaggio in cui andranno ad abitare scegliendo i servizi da condividere e come gestirli; nel caso delle iniziative da noi promosse gli aderenti potranno beneficiare della progettazione assistita, vale a dire che una volta individuato il luogo e raccolte le adesioni di massi- ma offriremo un progetto originario sul quale lavorare: ciò consentirà di ridurre sensibilmente i tempi di intervento.

2. Il Vicinato è elettivo

La comunità sono elettive, nel senso che aggregano persone dalle esperienze differenti, che scelgono di formare un gruppo promotore condolidandosi attraverso la formazione progressiva di una visione comune condivisa.

3. Le Comunità non sono ideologicamente connotate

A meno di partire dalla premessa di aggregare persone o famiglie che condividano un pensiero, un sentire, un credo religioso, degli interessi non sussistono principi ideologici, religiosi o sociali alla base del formarsi delle comunità coresidenziali, anche se appare evidente come di fatto ci si scelga funzionalmente ad una visione comune di base; allo stesso modo non vi sono vincoli specifici o penali per uscire dalle comunità coresidenziali.

KL - Villaggio nel bosco

4. La Gestione è locale
Le comunità di cohouser sono amministrate direttamente dagli abitanti, che si occupano anche di organizzare i lavori di manutenzione e della gestione degli spazi comuni.

5. Le Strutture non sono gerarchizzate
Nelle comunità di cohousing si definiscono responsabilità e ruoli di gestione degli spazi e delle risorse condivise, generalmente in relazione agli interessi e alle competenze delle persone, ma nessuno esercita alcuna autorità sugli altri membri e le decisioni vengono prese in forza del consenso condiviso.

6. La Sicurezza

Il cohousing offre la garanzia di un ambiente sicuro, con forme alte di socialità e collaborazione, particolarmente idoneo per la crescita dei bambini e per la sicurezza dei più anziani.

7. Il Design e degli spazi per la socialità

La progettazione preliminare tiene conto dell’individuazione e dell’organizzazione degli spazi destinati a facilitare lo sviluppo dei rapporti di vicinato incrementando il senso di appartenenza ad una comunità.

8. I Servizi a valore aggiunto

La formula del cohousing, indipendentemente dalla tipologia abitativa, consente di accedere, attraverso la condivi- sione, a beni e servizi che per il singolo individuo avrebbero costi economici alti.

9. Gli Spazi Sacri

Ovvero la privacy: l’idea di un cohousing sano e integro è quella che permette di coniugare i benefici della condivisione di alcuni spazi e attività comuni, delimitando con precisione i confini, anche fisici, tra questi e quelli individuali: l’abitazione ed i ritmi e tempi di vita di ciascuno dei residenti.

10. I Benefici economici

La condivisione dei beni e dei servizi, riducendo gli sprechi ed il ricorso a fornitori esterni, nonché favorendo l’acquisto collettivo di beni ed attrezzature, consente di risparmiare sui costiordinari: pensiamo ad un locale adibito a lavanderia oppure ad un forno per la preparazione comune di pane, pasta ed altri consimili prodotti, o ancora ad un luogo comune per l’approntamento di conserve alimentari o, infine, ad un parco veicoli di proprietà ed uso comune.

Negli agglomerati in cohousing la dimensione delle abitazioni è generalmente inferiore, a parità di utilizzo, rispetto alla media delle normali abitazioni; oltre a contenere i costi complessivi dell’intervento – poiché a carico di ciascun proprietario vi è anche una quotaparte della spesa per la realizzazione degli spazi collettivi – tale caratteristica favorisce un più intenso utilizzo delle aree comuni.

Un progetto di cohousing prevede abitualmente la presenza di un numero variabile da 20 a 40 famiglie, o comunque unità, ma i progetti da noi proposti saranno destinati, salvo casi particolari, ad un massimo di venti unità: ciò per consentire una significativa integrazione tra gli abitanti e l’agevole sviluppo delle sinergie necessarie alla condivisione. Anche sulla base di precedenti esperienze abbiamocalcolato che in tal modo si possono gestire gli spazi comuni in modo ottimale ottenendo risparmi economici e benefici di natura ecologica e sociale.

Le nostre proposte di cohousing sono all’insegna di una strategia ecosostenibile, anche relativamente alla progetta- zione ed all’utilizzo dei materiali, all’adduzione dell’acqua, agli impianti termici, alla produzione ed all’utilizzo dell’energia elettrica, nonché relativamente alla questione dei rifiuti: tendenzialmente preferiamo riciclare piuttosto che differenziare.

Riteniamo inoltre che l’uomo abbia già sottratto sin troppi spazi alla Natura, tanto è vero che esistono tuttora milioni di metri cubi inutilizzati; non prevediamo pertanto di edificare nuove volumetrie ma di recuperare luoghi esistenti ed abbandonati, nelle città, nelle campagne ed in località collinari o montane. Se ciò da un lato comporterà una bassa incidenza economica per l’acquisto del luogo, dall’altro le tecniche adottate ed i materiali impiegati faranno sì che i costi finali non saranno molto diversi da quelli del mercato immobiliare ordinario.

Quelle da noi proposte, infine, saranno idealmente Comunità tendenti all’autosufficienza e, per quanto possibile e senza disconoscere la realtà circostante, all’autosostentamento; vale a dire che non sussisteranno preclusioni a formulare i progetti affinché i residenti che aspirano a svolgere un’attività nell’ambito dei complessi: agricoltura, artigianato, gestione di eventuali strutture destinate all’ospitalità o alla ristorazione, medicina non allopatica e discipline olistiche vi trovino spazi adeguati.

Partendo da solide basi, dalla consapevolezza di un impegno lavorativo ed economico destinato a protrarsi nel tempo e dall’aspirazione ad uno stile di vita rallentato ed attento ai bisogni veri di economia di scala e condivisione si creeranno le premesse per un’esperienza sicuramente gratificante.

Quanto costa guardare l’arcobaleno?

Cesec - Marta e l'acqua scomparsaBisognerà mettere il cartellino con il prezzo a ogni goccia di pioggia? Porteranno via l’acqua da sotto la pancia delle anatre? E quanto costerà la rugiada? Queste ed altre domande se le pone una bambina, Marta, protagonista di Marta e l’acqua scomparsa, libro scritto da Emanuela Bussolati ed edito da Terre di Mezzo.

KL-MartaUna favola intelligente ed ecologica per riflettere sull’importanza delle risorse naturali, in particolare dell’acqua, bene vitale, di tutti e irrinunciabile ma che improvvisamente scompare poiché c’è chi pensa di poterla vendere e comprare. E’ quello che scopre Marta quando, un giorno, va a trovare la nonna e trova la fontana del giardino secca come la gola di un uomo nel deserto. Che è successo? L’acquedotto, spiega la nonna, è diventato di proprietà della Compagnia delle acque libere e, d’ora in poi, chi vorrà l’acqua dovrà comprarla. Una compagnia padrona dell’acqua? Ma non è giusto! Cosa accadrà – si chiede la bimba – durante i temporali?Del libro colpisce un’immagine: l’espressione della bambina all’interno dell’auto, mentre con la punta della lingua cerca di leccare le goccioline d’acqua che si rincorrono sulla parte esterna del vetro. Nemmeno l’umidità che appanna un po’ il vetro riesce ad offuscare la fiducia di quello sguardo incorniciato in un caschetto di capelli neri. E’ uno sguardo che con tutti i suoi limiti: le gocce sono fuori, Marta, non puoi intercettarle! e forse proprio grazie ad essi, resta aperto sul mondo esterno. E pazienza se poi il mondo riserva sorprese non sempre gradite, come quella di chiudere la fontana nel cortile della nonna perché bisogna collegarla all’acquedotto: tra breve la sorgente non sarà più di tutti ma di una sola Compagnia e chi vorrà l’acqua dovrà pagarla. Un’altra tavola molto evocativa è quella di poche pagine dopo, che ritrae la mamma di spalle sull’uscio di casa mentre la nonna sale le scale.

La porta è aperta: sarà anche solo un’interpretazione, ma il bianco candido dell’interno contrasta così tanto con l’incombente oscurità dell’e- sterno da risultarne persino minacciato. E si legge: Non è giusto! – esclama Marta – L’acqua è di tutti!

A lei questa cosa proprio non va. I grandi stanno zitti come la fontana che non canta più e nemmeno il sonno tran- quillizza la bambina, che invece, tra un incubo e l’altro, si chiede se le nuvole diventeranno come banche gonfie di pioggia, se l’arcobaleno diventerà un bene di lusso, se la Compagnia metterà il cartellino del prezzo ad ogni goccia che cade. E poi c’è un problema… come faranno a far pagare i passeri che bevono l’acqua sull’incavo dei rami, sulle foglie e nelle gronde? Un racconto ecologico e appassionato sull’acqua come bene di tutti.KL - ArcobalenoDi chi è l’acqua? chiede sempre l’autrice ai bambini, prima di leggere loro Marta e l’acqua scomparsa. Quasi nessuno risponde: E’ di tutti. Abituati al fatto che le cose siano di qualcuno, non pensano che la Terra e le sue risorse fondamentali, tra cui l’acqua, siano un bene comune.

Spesso i libri per l’infanzia propongono modelli positivi di comportamento: non sprecare, non sporcare. Ma poi si cresce e ci si dimentica quello che si è imparato.
Perché allora non lasciar spazio all’immaginazione, potente qualità che può trasformarsi in azione? Che cosa succederebbe se l’acqua fosse in vendita? Qualcuno vorrebbe accaparrarsela, e si metterebbe in vendita perfino la visione dell’arcobaleno. Le nuvole sarebbero legate, perché non se ne vadano da altri affaristi, e via di seguito.

Abbiamo proposto questa favola come necessario complemento alle iniziative di cohousing che proponiamo e come premessa ad un progetto di finanza etica che si pone in antitesi con le purtroppo sempre più attuali minacce di privatizzare l’acqua.

E sappiamo bene di non fare le Cassandre… ne parleremo sempre di piu’ in futuro.

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