Lecco: iniziativa popolare perché l’acqua sia pubblica

E’ partita a Lecco la raccolta di firme per una delibera d’iniziativa popolare perché la gestione idrica sia pubblica: a due anni dal referendum, la gestione pubblica del servizio idrico su quel ramo del lago di Como che volge a mezzogiorno tra due catene non interrotte di monti sarebbe a rischio in quanto il 14 maggio scorso la maggioranza dei sindaci lecchesi ha deciso di affidare per 20 anni la gestione dell’acqua alla società Idroservice facente capo al gruppo Lario Reti Holding il cui obiettivo, come per tutte le società di diritto privato, è conseguire utili. La scelta, in contrasto con il voto espresso da 27 milioni di cittadini il 12 e 13 giugno 2011, oltre 138.000 dei quali in provincia di Lecco, non consente il controllo diretto da parte dei Comuni.

Manifestazione a Lecco
La proposta del Comitato lecchese per l’Acqua pubblica è pertanto quella di costituire un’Azienda Speciale, Ente di diritto pubblico non privatizzabile che non risponde alla logica del profitto, pienamente controllabile dai Comuni e il cui affidamento sarebbe pienamente legittimo, in paerto contrasto con la nomina di Idroservice in quanto Ente di diritto privato portato a conseguire profitti, sul quale Comuni e i Consigli comunali non esercitano nessuna forma di controllo diretto ed il cui affidamento, indicato come potenzialmente illegittimo, può essere fonte di possibili ricorsi.

In sostanza, la proposta del Comitato verte su un servzio idrico affidato ad un’Azienda speciale consortile di diritto pubblico, collocata fuori dalle logiche del mercato, partecipata e controllata attivamente dalle amministrazioni comunali e dalle rispettive cittadinanze. Una scelta considerata l’unica coerente con la volontà popolare espressa nel Referendum del 2011. Per realizzarla, il Comitato ritene indispensabile una grande mobilitazione popolare che sostenga la nostra di delibera al Consiglio Provinciale, considerato il soggetto chiamato ad esprimersi definitivamente, rispettando la dignità ed il voto espresso dai cittadini e garantendo una gestione veramente pubblica del servizio idrico.

In margine alla notizia riteniamo doveroso precisare che, in sintonia con quanto attuato da numerose amministrazioni comunali in ogni parte d’Italia, anche il Comune i Lecco ha varato un progetto finalizzato a promuovere l’utilizzo dell’acqua pubblica di qualità tramite impianti per l’erogazione di acqua naturale e frizzante: un’acqua buona, controllata e sicura, microfiltrata, declorata, sterilizzata e raffreddata, distribuita non a caso per mezzo di bottiglie in vetro anzoché in plastica e denominato Casa dell’Acqua ed attuato mediante cinque distributori pubblici, l’ultimo dei quali inaugurato lunedì 4 febbraio 2013 in via Nullo, presso il Circolo Canottieri e che si aggiunge a quelli già attivi in via Magenta (Zona V Alpini), via Sora (Zona San Giovanni), lungolario Piave (Zona Caviate), in attesa dell’apertura dell’ultimo previsto, in piazza delle Nazioni (Zona Rivabella).

Per parte nostra non possiamo che notare come la proposta del Comitato lecchese sia in sintonia con il nostro sentire: l’acqua è e rimane pubblica – lo afferma del resto la legge – mentre la gestione del servizio distributivo può essere affidata ad una Società di proprietà dei diretti utilizzatori, che si troverebbero così, in un clima di democrazia partecipata, ad essere contemporaneamente azionisti e controllori, a garanzia dell’efficacia e della salubrità del servizio, nonché delle sue tariffe

lecco_grigna

Il Cohousing responsabile contribuisce alla lotta alla fame

Frutti e ortaggi che non rispettano le misure standard vengono buttati via,poiché agricoltura meccanizzata e vendita di massa richiedono uniformità.

Tutti abbiamo presenti quelle mele tutte uguali: tonde, verdi gialle o rosse come quella di Biancaneve, passate a cera. O la carne di un rosso improbabile, nei banchi frigo dei supermercati massimamente rappresentata da fettine, costate, roast-beef…SlowFood

La quantità di cibo che viene sprecata e buttata via nel mondo potrebbe saziare tre miliardi di persone, ben oltre i 900 milioni censiti come coloro che soffrono la fame. Secondo quanto dichiaratoci da Slow Food solo in Italia, e dalla filiera, non dalla mancata vendita, vengono sprecate 4.400 tonnellate giornaliere di cibo, con le quali si potrebbe sfamare una città di tre milioni di abitanti.

Niente di nuovo, purtroppo… Vandana Shiva, vicepresidente di Slow Food e presidente del movimento ambientalista Navdanya ha recentemente dichiarato: “Il 50 per cento del cibo prodotto negli Stati Uniti viene gettato o non utilizzato” aggiungendo “Invece di un grande business legato alle monoculture, abbiamo bisogno di fattorie che preservino la biodiversità. Monoculture come la soia non risolvono i problemi legati al cibo, ma li creano. Si tratta di un circolo vizioso” ha concluso “perché il circuito della produzione industriale ha bisogno dello spreco per creare surplus”.

Per parte nostra, oltre a condividere l’indignazione per tale spreco in nome del solito Moloch, affermiamo la nostra propensione per la biodiversità, che le multinazionali delle sementi si guardano bene dal favorire. Aggiungiamo infine che, per quanto è nelle nostre possibilità, attraverso la promozione e la progettazione di comunità coresidenziali ecocompatibili stiamo muovendoci nella direzione della maggior tutela di un’agricoltura locale e non invasiva, rispettosa delle specie e del territorio. Una goccia nel mare? Chissà…

Stress idrico: oltre due miliardi di persone non hanno acqua

Cresce lo stress idrico: oltre due miliardi di esseri umani non hanno accesso all’acqua. Ma, partendo da una reale presa di coscienza e dalla consapevolezza delle proprie possibilità ciascuno di noi può fare qualcosa perché, è il caso di dirlo, ogni goccia riempia il bicchiere… riportiamo un trafiletto pubblicato sabato 15 giugno su IO donna, supplemento settimanale del Corriere della Sera, iodonna.it.

Lo scritto sintetizza significativamente attraverso i numeri una considerazione di fondo: l’acqua, bene primario che dovrebbe essere considerata pubblica e agevolmente disponibile, lo è invece sempre più in funzione delle capacità economiche e tecnologiche. Astenendoci da commenti e giudizi politici o di merito, non pertinenti allo spirito della segnalazione, ci limitiamo a far osservare quanto siano universalmente note le competenze tecniche Israeliane in materia di potabilizzazione.

Di seguito il testo:

La terra trema – NUOVA MAPPA: UN TERZO DEL MONDO E’ ASSETATO

Migliora la situazione in Cina e in India. Ma si degrada nell’Africa subsahariana e in Ucraina. Il rapporto 2013 dell’Oms aggiorna la mappa dello “stress idrico”. Ed eleva la cifra ufficiale di chi nel mondo non ha accesso all’acqua potabile a 2,4 miliardi. Aumenta il numero di impianti che veicolano acqua buona nelle case, ma anche la popolazione cresce. E paradossalmente, ci sono meno rubinetti oggi che nel XX secolo. Tra le aree critiche: il Nilo (l’Egitto la fa da padrone, rispetto a Sudan, Eritrea, Etiopia e Kenya), il Mekong (il Vietnam preleva per abitante più di Thailandia, Birmania, Laos) e Israele, gestore unico delle risorse idriche anche nei territori occupati. (P.P.)Gocce di Sollievo - Pove del Grappa

Il Cohousing montano è una tutela per il territorio

 

Alpeggio BittoPrati fioriti di mille colori, alte vette che fanno da quinta, aria cristallina, mucche sparse a brucare che sembrano messe lì come in un presepe, il mandriano, i cani, le baite, il formaggio saporito, il burro giallo che si conserva nell’acqua gelida del torrente mentre la polenta brontola nel paiolo sul fuoco del camino…
Riusciamo a immaginare cosa c’è veramente dietro bei paesaggi e buoni formaggi, ricordi e suggestioni, sapori e folclore?

Non è solo questo l’agricoltura in montagna. Qui gestione, manutenzione, valorizzazione di territorio e paesaggio non sono opera di giardinieri, ma il frutto di un’attività economica e produttiva che per millenni ha costituito la principale fonte di sostentamento e il centro identitario e culturale del territorio e delle popolazioni.
Le tracce di questa cultura e di queste attività improntano tuttora in modo indelebile e diffuso il territorio, il paesaggio, i modi di vivere, le tradizioni, l’architettura, i cibi, i prodotti alimentari ed i manufatti artigianali lasciando, in montagna forse più che altrove, i segni di un’identità forte che agli occhi degli estranei viene percepita come luogo di tradizioni senza tempo.

Una storia millenaria ha costruito in Alpe il paesaggio di cui oggi godiamo come straordinario testimone che ci racconta la vita delle sue genti e ci apre alle belezze di ambienti frutto di fatiche secolari poiché, all’interno di questo sistema che ha funzionato perfettamente fino ad alcuni decenni fa, la valorizzazione delle risorse pastorali è stata una delle chiavi di successo e di sopravvivenza delle popolazioni, armonico ed equilibrato rapporto tra risorse del fondovalle e degli alpeggi che ha permesso lo sviluppo di forme integrate di economia agricola con l’allevamento permanente di bestiame da latte.

L’attività degli agricoltori montani ha consentito di creare forme ingegnose di transumanza verticale che hanno costruito nel tempo un paesaggio variegato fatto di aperture tra i boschi, prati e maggenghi, pascoli di alta quota, nuclei rurali ed architetture tipiche che costituiscono il pregio di tante località montane.
Eppure anche la montagna è cambiata e sta cambiando, anche se questo può non apparire agli occhi dei frequentatori occasionali, e non parliamo di mutamenti dovuti all’incremento di strade, case, capannoni che hanno invaso e imbruttito i fondovalle, quanto di cambiamenti più profondi e meno evidenti. Fra tutti la riduzione quando non la scomparsa dell’agricoltura e con essa, pur se a più lungo termine, della biodiversità e della bellezza paesaggistica dei luoghi.

Due tendenze opposte originano tale pericolo: da una parte l’intensificazione dello sfruttamento e, dall’altra, il suo abbandono. I fondovalle, considerati superfici pregiate, sono utilizzati in modo sempre più intensivo dallo sviluppo di un’urbanizzazione indiscriminata e da un’agricoltura che, assumendo sempre più i caratteri tipici della pianura, è ormai diventata di tipo periurbano.

Alle quote più elevate e meno accessibili i terreni vengono invece spesso abbandonati, e prima o poi riconquistati dal bosco. Se il ritorno del bosco può apparire positivo perché riduce l’impatto negativo dell’uomo su natura e paesaggio, costituisce in realtà un pericolo perché spesso le zone abbandonate sono proprio quelle più importanti ai fini della conservazione della biodiversità florofaunistica, oltre che per la diversità dei paesaggi. E senza trascurare l’incontrollato proliferare di animali selvatici che, non trovando di che nutrirsi, devono necessariamente essere abbattute. Innegabilmente, il ritorno del bosco migliora la stabilità delle pendici.

Per queste ragioni l’atteggiamento più sbagliato che una comunità coresidenziale può assumere allorché si stabilisce in un luogo, e maggiormente in un contesto orograficamente difficile quale quello montano, è quello di apparire e sentirsi enucleata dalla società locale ivi residente.
Sappiamo di ripeterci, ma non finiremo mai di dirlo: le comunità da noi promosse non prescindono dal territorio, sarebbe una forma di colonialismo, non di inserimento.

I cohouser che provengono, come in massima parte accade, dal vissuto urbano possono incontrare situazioni particolarmente difficili: agli occhi delle comunità storicamente residenti sono, a seconda dei casi quei matti che vivono nel bosco oppure i cittadini che giocano a fare i contadini o, più semplicemente, quelli là.
Chi vive da generazioni strappando con fatica alla montagna di che sostentarsi ha maturato una scorza dura. Perché duro è il loro lavoro: in montagna non servono le mastodontiche mietitrebbia che vediamo in pianura, tutt’al più i trattorini ed i trenini delle vigne, anch’esse faticosamente ricavate terrazzando a mano la montagna, dove i raccolti e le merci viaggiano per gli alpeggi nella gerla o a dorso di mulo. O con la teleferica.

Gli scenari futuri mettono in luce un sistema rurale alpino senza domani, con una perdita progressiva e costante delle note caratteristiche e delle specificità che l’hanno finora contraddistinto. Solo una diversa considerazione del ruolo dell’agricoltura di montagna rispetto alla conservazione dei paesaggi colturali tipici, alle produzioni alimentari di qualità, alla tutela degli spazi, alla difesa dell’ambiente e del territorio potrà garantire nuove forme di sopravvivenza e di sviluppo.

Agli agricoltori di montagna andrebbe finalmente riconosciuto il ruolo di Protagonisti essenziali del mantenimento del paesaggio naturale e rurale, come recita il protocollo Agricoltura di Montagna redatto nell’ambito della Convenzione delle Alpi e risalente all’anno 1991. Da allora si sono sprecati convegni e dibattiti ma è tuttora necessario lottare perché in montagna le imprese agricole continuino ad avere un ruolo centrale nello sviluppo di attività multifunzionali, confermando la funzione dell’agricoltore quale attore principale e strumento di presidio e salvaguardia del territorio e dello spazio rurale. Il futuro dell’agricoltura di montagna è a rischio e con esso molto della cultura che rappresenta.

 

Lungi da noi demonizzare il progresso o celebrare inni retorici al bel tempo andato, anche perché in quel tempo si emigrava per fame, ma intendiamo invece onorare ciò che ha formato la montagna come la conosciamo e che si sta irrimediabilmente perdendo.
Se l’agricoltura scompare, niente più ampi pascoli alpini tra i boschi, niente prati fioriti, niente mucche, niente paesaggi, niente formaggi.

2013-06-13 19.30.33

La scomparsa dell’agricoltura rischia di mutare profondamente le condizioni di vita dei territori di montagna e dell’intera società, e i fondovalle del futuro rischiano di diventare agglomerati di tipo metropolitano circondati da versanti boscosi inselvatichiti e abbandonati.
La montagna rischia così di diventare periferia urbana e una delle opportunità di divertimento che la cultura metropolitana esige per il benessere dei propri cittadini. In questo senso e pur non disconoscendone le molteplici opportunità di reddito, da noi stessi propugnate e sostenute nelle opportune sedi progettuali a condizione di essere saldamente legate al territorio, anche gli Agriturismi non connotati da un senso di appartenenza ambientale costituiscono solo un’ennesima opportunità di turismo mordi-e-fuggi, destinata ad utilizzatori con una patente ecosostenibile di maniera ma che, al di là dell’effimero, non rende giustizia al contesto ed alle sue tradizioni di lavoro. Tanto è vero che a non pochi di questi l’attuale contingenza economica sta rendendo difficile l’esistenza.

Sinceramente, crediamo più all’iniziativa delle Comunità locali e dei cittadini responsabili che alla capacità ed alla volontà politica centrale di attuare scelte corrette ed efficaci affinché all’agricoltura di montagna ed alle attività connesse – che tanto hanno dato alla difesa dell’ambiente ed alla valorizzazione della specificità delle produzioni – sia garantita non solo la sopravvivenza, ma anche il sostegno.

Ma se questi attori del cambiamento attraverso decisioni ed iniziative concrete, sono solamente coloro che vivono il territorio come fonte di lavoro, sostentamento e vita non ci si deve poi stupire di chiusure o localismi esasperati: è solo il frutto dell’abbandono in cui questi cittadini, lavoratori, elettori e contribuenti sono stati lasciati.

Il Cohousing: i caratteri e le linee fondamentali

Ciascuna iniziativa di cohousing possiede propri tratti caratteristici, per esempio la destinazione del terreno circostante gli edifici in base alla sua estensione, alle caratteristiche geomorfologiche ed alle aspettative dei futuri residenti, ovvero la destinazione di determinati spazi comuni o la loro realizzazione ad hoc. Ma tutte le iniziative sono acco- munate dalle medesime linee guida fondamentali.

Ne elenchiamo le principali.

1. La Progettazione è partecipata

Normalmente i futuri abitanti partecipano direttamente alla progettazione del villaggio in cui andranno ad abitare scegliendo i servizi da condividere e come gestirli; nel caso delle iniziative da noi promosse gli aderenti potranno beneficiare della progettazione assistita, vale a dire che una volta individuato il luogo e raccolte le adesioni di massi- ma offriremo un progetto originario sul quale lavorare: ciò consentirà di ridurre sensibilmente i tempi di intervento.

2. Il Vicinato è elettivo

La comunità sono elettive, nel senso che aggregano persone dalle esperienze differenti, che scelgono di formare un gruppo promotore condolidandosi attraverso la formazione progressiva di una visione comune condivisa.

3. Le Comunità non sono ideologicamente connotate

A meno di partire dalla premessa di aggregare persone o famiglie che condividano un pensiero, un sentire, un credo religioso, degli interessi non sussistono principi ideologici, religiosi o sociali alla base del formarsi delle comunità coresidenziali, anche se appare evidente come di fatto ci si scelga funzionalmente ad una visione comune di base; allo stesso modo non vi sono vincoli specifici o penali per uscire dalle comunità coresidenziali.

KL - Villaggio nel bosco

4. La Gestione è locale
Le comunità di cohouser sono amministrate direttamente dagli abitanti, che si occupano anche di organizzare i lavori di manutenzione e della gestione degli spazi comuni.

5. Le Strutture non sono gerarchizzate
Nelle comunità di cohousing si definiscono responsabilità e ruoli di gestione degli spazi e delle risorse condivise, generalmente in relazione agli interessi e alle competenze delle persone, ma nessuno esercita alcuna autorità sugli altri membri e le decisioni vengono prese in forza del consenso condiviso.

6. La Sicurezza

Il cohousing offre la garanzia di un ambiente sicuro, con forme alte di socialità e collaborazione, particolarmente idoneo per la crescita dei bambini e per la sicurezza dei più anziani.

7. Il Design e degli spazi per la socialità

La progettazione preliminare tiene conto dell’individuazione e dell’organizzazione degli spazi destinati a facilitare lo sviluppo dei rapporti di vicinato incrementando il senso di appartenenza ad una comunità.

8. I Servizi a valore aggiunto

La formula del cohousing, indipendentemente dalla tipologia abitativa, consente di accedere, attraverso la condivi- sione, a beni e servizi che per il singolo individuo avrebbero costi economici alti.

9. Gli Spazi Sacri

Ovvero la privacy: l’idea di un cohousing sano e integro è quella che permette di coniugare i benefici della condivisione di alcuni spazi e attività comuni, delimitando con precisione i confini, anche fisici, tra questi e quelli individuali: l’abitazione ed i ritmi e tempi di vita di ciascuno dei residenti.

10. I Benefici economici

La condivisione dei beni e dei servizi, riducendo gli sprechi ed il ricorso a fornitori esterni, nonché favorendo l’acquisto collettivo di beni ed attrezzature, consente di risparmiare sui costiordinari: pensiamo ad un locale adibito a lavanderia oppure ad un forno per la preparazione comune di pane, pasta ed altri consimili prodotti, o ancora ad un luogo comune per l’approntamento di conserve alimentari o, infine, ad un parco veicoli di proprietà ed uso comune.

Negli agglomerati in cohousing la dimensione delle abitazioni è generalmente inferiore, a parità di utilizzo, rispetto alla media delle normali abitazioni; oltre a contenere i costi complessivi dell’intervento – poiché a carico di ciascun proprietario vi è anche una quotaparte della spesa per la realizzazione degli spazi collettivi – tale caratteristica favorisce un più intenso utilizzo delle aree comuni.

Un progetto di cohousing prevede abitualmente la presenza di un numero variabile da 20 a 40 famiglie, o comunque unità, ma i progetti da noi proposti saranno destinati, salvo casi particolari, ad un massimo di venti unità: ciò per consentire una significativa integrazione tra gli abitanti e l’agevole sviluppo delle sinergie necessarie alla condivisione. Anche sulla base di precedenti esperienze abbiamocalcolato che in tal modo si possono gestire gli spazi comuni in modo ottimale ottenendo risparmi economici e benefici di natura ecologica e sociale.

Le nostre proposte di cohousing sono all’insegna di una strategia ecosostenibile, anche relativamente alla progetta- zione ed all’utilizzo dei materiali, all’adduzione dell’acqua, agli impianti termici, alla produzione ed all’utilizzo dell’energia elettrica, nonché relativamente alla questione dei rifiuti: tendenzialmente preferiamo riciclare piuttosto che differenziare.

Riteniamo inoltre che l’uomo abbia già sottratto sin troppi spazi alla Natura, tanto è vero che esistono tuttora milioni di metri cubi inutilizzati; non prevediamo pertanto di edificare nuove volumetrie ma di recuperare luoghi esistenti ed abbandonati, nelle città, nelle campagne ed in località collinari o montane. Se ciò da un lato comporterà una bassa incidenza economica per l’acquisto del luogo, dall’altro le tecniche adottate ed i materiali impiegati faranno sì che i costi finali non saranno molto diversi da quelli del mercato immobiliare ordinario.

Quelle da noi proposte, infine, saranno idealmente Comunità tendenti all’autosufficienza e, per quanto possibile e senza disconoscere la realtà circostante, all’autosostentamento; vale a dire che non sussisteranno preclusioni a formulare i progetti affinché i residenti che aspirano a svolgere un’attività nell’ambito dei complessi: agricoltura, artigianato, gestione di eventuali strutture destinate all’ospitalità o alla ristorazione, medicina non allopatica e discipline olistiche vi trovino spazi adeguati.

Partendo da solide basi, dalla consapevolezza di un impegno lavorativo ed economico destinato a protrarsi nel tempo e dall’aspirazione ad uno stile di vita rallentato ed attento ai bisogni veri di economia di scala e condivisione si creeranno le premesse per un’esperienza sicuramente gratificante.

Quanto costa guardare l’arcobaleno?

Cesec - Marta e l'acqua scomparsaBisognerà mettere il cartellino con il prezzo a ogni goccia di pioggia? Porteranno via l’acqua da sotto la pancia delle anatre? E quanto costerà la rugiada? Queste ed altre domande se le pone una bambina, Marta, protagonista di Marta e l’acqua scomparsa, libro scritto da Emanuela Bussolati ed edito da Terre di Mezzo.

KL-MartaUna favola intelligente ed ecologica per riflettere sull’importanza delle risorse naturali, in particolare dell’acqua, bene vitale, di tutti e irrinunciabile ma che improvvisamente scompare poiché c’è chi pensa di poterla vendere e comprare. E’ quello che scopre Marta quando, un giorno, va a trovare la nonna e trova la fontana del giardino secca come la gola di un uomo nel deserto. Che è successo? L’acquedotto, spiega la nonna, è diventato di proprietà della Compagnia delle acque libere e, d’ora in poi, chi vorrà l’acqua dovrà comprarla. Una compagnia padrona dell’acqua? Ma non è giusto! Cosa accadrà – si chiede la bimba – durante i temporali?Del libro colpisce un’immagine: l’espressione della bambina all’interno dell’auto, mentre con la punta della lingua cerca di leccare le goccioline d’acqua che si rincorrono sulla parte esterna del vetro. Nemmeno l’umidità che appanna un po’ il vetro riesce ad offuscare la fiducia di quello sguardo incorniciato in un caschetto di capelli neri. E’ uno sguardo che con tutti i suoi limiti: le gocce sono fuori, Marta, non puoi intercettarle! e forse proprio grazie ad essi, resta aperto sul mondo esterno. E pazienza se poi il mondo riserva sorprese non sempre gradite, come quella di chiudere la fontana nel cortile della nonna perché bisogna collegarla all’acquedotto: tra breve la sorgente non sarà più di tutti ma di una sola Compagnia e chi vorrà l’acqua dovrà pagarla. Un’altra tavola molto evocativa è quella di poche pagine dopo, che ritrae la mamma di spalle sull’uscio di casa mentre la nonna sale le scale.

La porta è aperta: sarà anche solo un’interpretazione, ma il bianco candido dell’interno contrasta così tanto con l’incombente oscurità dell’e- sterno da risultarne persino minacciato. E si legge: Non è giusto! – esclama Marta – L’acqua è di tutti!

A lei questa cosa proprio non va. I grandi stanno zitti come la fontana che non canta più e nemmeno il sonno tran- quillizza la bambina, che invece, tra un incubo e l’altro, si chiede se le nuvole diventeranno come banche gonfie di pioggia, se l’arcobaleno diventerà un bene di lusso, se la Compagnia metterà il cartellino del prezzo ad ogni goccia che cade. E poi c’è un problema… come faranno a far pagare i passeri che bevono l’acqua sull’incavo dei rami, sulle foglie e nelle gronde? Un racconto ecologico e appassionato sull’acqua come bene di tutti.KL - ArcobalenoDi chi è l’acqua? chiede sempre l’autrice ai bambini, prima di leggere loro Marta e l’acqua scomparsa. Quasi nessuno risponde: E’ di tutti. Abituati al fatto che le cose siano di qualcuno, non pensano che la Terra e le sue risorse fondamentali, tra cui l’acqua, siano un bene comune.

Spesso i libri per l’infanzia propongono modelli positivi di comportamento: non sprecare, non sporcare. Ma poi si cresce e ci si dimentica quello che si è imparato.
Perché allora non lasciar spazio all’immaginazione, potente qualità che può trasformarsi in azione? Che cosa succederebbe se l’acqua fosse in vendita? Qualcuno vorrebbe accaparrarsela, e si metterebbe in vendita perfino la visione dell’arcobaleno. Le nuvole sarebbero legate, perché non se ne vadano da altri affaristi, e via di seguito.

Abbiamo proposto questa favola come necessario complemento alle iniziative di cohousing che proponiamo e come premessa ad un progetto di finanza etica che si pone in antitesi con le purtroppo sempre più attuali minacce di privatizzare l’acqua.

E sappiamo bene di non fare le Cassandre… ne parleremo sempre di piu’ in futuro.

Ringraziamo KryptosLife per la gentile concessione www.kyptoslife.com

 

Monte Prat, l’albergo diffuso sull’altipiano di Forgaria (con una citazione a Daniele Kihlgren)

cesec,condivivere,danielekihlgren,albergodiffuso,monteprat,friuliLo ammettiamo: se la minibiografia, spudoratamente celebrativa, con la quale iniziamo questo scritto fosse un post su Facciuzzadilibro non esiteremmo un istante a cliccare mi piace tremilaseicento volte di seguito.
Adottato da un camorrista dei Quartieri Spagnoli, un’esistenza scandita da tossicodipendenza, esperienze estreme, un viaggio in auto da Milano alla Giordania durato otto mesi, la capacità (e la fortuna che, come si sa, audentes iuvat…) di riuscire a non farsi arrestare dai militari israeliani che lo avevano scambiato per un terrorista islamico, facendoli rotolare per terra dalle risate. Giusto per non farsi mancare nulla, a Cuba dev’essere stato, se non l’unico, sicuramente uno dei pochi stranieri che è riuscito a farsi mantenere dalle puttane anziché pagarle: avendo finito i soldi lui e suo fratello furono accolti da due jineteras, che li ospitarono per 15 giorni in casa loro all’Avana.
Anche questo è Daniele Kihlgren, che secondo noi non casualmente ha studiato al Liceo Parini di Milano… Oggi 48enne, è considerato il pioniere italiano dell’albergo diffuso perché un giorno, girovagando in moto, si perse nelle strade d’Abruzzo imbattendosi  in un paesino disabitato, Santo Stefano di Sessanio. Decise di acquistare una casetta e, poco dopo, una decisione, anzi una vera e propria illuminazione: comprare tutto il borgo per qualche milione di lire, senza chiedere un soldo di contributi statati o europei, senza prostituirsi a nessuna fazione politica, per restaurarlo secondo un metodo conservativo e salvarlo dalla rovina creando uno degli alberghi diffusi italaini più belli. Correva l’anno 1997… da allora Kihlgren ha fondato l’Associazione Sextantio e, dopo Santo Stefano di Sessanio, recensito dai più famosi giornali stranieri come one of the best hotels in the worldsono seguite iniziative analoghe. Tra queste, nella parte più antica dei Sassi di Matera, Le Grotte di Civita, un favola dotata di 18 stanze.

cesec,condivivere,albergodiffuso,monteprat,friuli

L’albergo diffuso è un hotel che possiede una struttura centrale e per il resto è disseminato tra le case di un borgo abbandonato, oppure diffuso in un contesto rurale. E’ questo il caso dell’Albergo Diffuso Forgaria Monte Prat, nel cuore del Friuli. L’altopiano di Monte Prat si sviluppa ad un’altitudine media di 800 metri su un incantevole balcone naturale e consiste in una una distesa verde di prati e borghi rurali ristrutturati dove si trovano le case dell’albergo diffuso.

cesec,condivivere,albergodiffuso,monteprat,montagna,friuli

L’altopiano è raggiungibile da Majano o da San Daniele del Friuli seguendo le indicazioni per Forgaria ed attraversando il fiume Tagliamento sul ponte di Cornino. Giunti alla frazione di Grap ci si ritrova in piazza Julia dove si può parcheggiare l’auto per proseguire a piedi mentre su tutto vigila lo sguardo attento del grifone, maestoso nel suo volo.

cesec.condivivere,monteprat,albergodiffuso,grifone

 

L’albergo diffuso è nato nel maggio 2003 da un’idea sorta spontaneamente tra alcuni compaesani. I fabbricati che si trovavano sull’altipiano, il più antico dei quali risale all’anno 1775, e che fungevano da residenza estiva erano tipicamente rurali, con la stalla sotto e l’abitazione al piano superiore, tutti costruiti in pietra locale per ospitare il bestiame e la gente che, come d’uso all’inizio dell’estate e sino ad autunno inoltrato, si trasferiva sull’altipiano.

cesec,condivivere,albergodiffuso,monteprat,case,friuli

Come in tante altre località montane, negli anni ’50 del secolo scorso con l’avvento delle prime industrie, abitudini ed economia locali mutarono e l’altipiano si spopolò. Il terremoto del 1976 diede il colpo di grazia portando all’abbandono quasi totale del promontorio. Quando si riprese a ristrutturare ed edificare sull’altipiano di Monte Prat, la popolazione si rese conto dell’importanza della tipicità dei fabbricati, che vennero adeguatamente censiti. Venne creato il Parco di conservazione di Monte Prat e, grazie ad un piano regolatore lungimirante, vennero stabilite direttive chiare sulle caratteristiche che dovevano e devono tuttora avere le case edificate e ristrutturate. Tant’è vero che, a tutt’oggi, la pietra locale caratteristica deve essere presente nella totalità degli edifici o almeno in buona parte.

cesec,condivivere,albergodiffuso,monteprat,friuli

In questo contesto e con queste rigorose premesse, connotate alla mentalità friulana che, quando decide una cosa, non ammette ritardi o deroghe, è nato l’Albergo Diffuso Forgaria Monte Prat, disteso ai piedi del maestoso Monte Cuar, ricercata meta di un turismo escursionistico slow ma proprio per questo sempre più esigente.
Le antiche case della transumanza, isolate o inserite in microborghi rurali e ristrutturate rispettando la tipologia tradizionale della seconda metà dell’800, si presentano in spazi intervallati da prati e radure boschive, uniti tra loro da sentieri secolari.
L’ospite gode completamente della casa, in un luogo dove rigenerare corpo e mente in un ambiente sicuro adatto anche ai bambini più piccoli. Ogni edifcio è unico, incorniciato da uno splendido paesaggio che muta il suo aspetto con il cambiare delle stagioni.

Trasparente, gelida e indaco: l’Éve-verta di St. Marcel

cesec,condivivere,kryptoslife,st.marcel,eve-verda,acqua,montagna,aostaI primi sbuffi di vapore annunciavano la rivoluzione industriale mentre sul Secolo dei Lumi stava per abbattersi la rivoluzione francese. Un certo conte Saint Martin de La Motte, membro dell’Académie Royale des Sciences di Torino, decise di compiere una ricognizione naturalistica in Valle d’Aosta; gli accadde così di studiare il fenomeno naturale detto de l’Éve-verta, nel vallone di Saint Marcel, chiamata fontaine verte a causa del colore del suo deposito, composto in gran parte da rame privato della sua componente infiammabile e mineralizzato all’aria.

cesec,condivivere,kryptoslife,eve-verda,aosta,st.marcel,acqua,montagna,prosciutto

Nelle sue memorie lo studioso riferì che rimase estasiato dal colpo d’occhio che presentava il vallone:  non credo che una natura così feconda e varia possa offrire uno spettacolo più gradevole, l’entrata del vallone è molto stretta e montagne si innalzano su ogni lato, cascate d’acqua riempiono di terrore al rumore che fanno, ma tra tutto questo spicca questa sorgente che pare di smeraldo, soprattutto quando il sole la illumina con i suoi raggi.
Essa sgorga tra due montagne molto elevate, che formano un vallone laterale alla valle centrale: queste montagne sono in parte calcaree e in parte scistose; quella che si trova sulla destra della fontana è in gran parte composta da mica riempita di granati; vi ho trovato anche delle tracce di schorl con granati. In cima alla montagna si trova una miniera di rame attualmente sfruttata e che viene chiamata filon de Molère; questa miniera, così come il resto della montagna, è ricco in granati; sarebbe auspicabile che lo fosse altrettanto in rame.
La fonte sgorga da una grande roccia calcarea che sembra essersi staccata dall’alto della montagna ed ha coperto una parte del letto della fonte stessa; l’acqua uscendo crea un volume del diametro di poco più di 30 cm (le unità di misura sono riferite al Système international d’unités codificato a partire dal 1889 – NdA). Essa si estende per 2 – 2,5 metri nei punti più larghi e dopo aver percorso circa 300 metri tra le rocce e attraversato pendii scoscesi, si perde nel torrente del vallone di Saint – Marcel, da cui prende il nome.
Il legno, le pietre, il muschio, tutto ciò che viene bagnato da quest’acqua è coperto da uno strato di terra verde, dove più e dove meno, a seconda che l’acqua scorra più o meno rapidamente; si nota la colorazione verde persino nei punti in cui l’acqua fa mulinello e si crea la schiuma, ma di colore meno intenso.

cesec,condivivedere,eva-verta,kryptoslife,acqua,valled'aosta,montagna

Gli abitanti del posto, interpellati in proposito, riferirono che nel periodo di scioglimento della neve l’acqua era più sporca del solito, ma che la portata era sempre costante. Relativamente alla qualità dell’acqua, la gente credeva che fosse nociva per gli animali poiché non cercavano mai di berne, ma probabilmente la ragione era dovuta alla temperatura: lo studioso stimò che quella dell’acqua fosse 4,5°C contro una esterna di 12°C.

Egli rilevò altresì come l’acqua non fosse né acida né alcalina, non contenesse alcuna sostanza metallica bensì acido vitriolico, terra calcarea, terra magnesiaca ed argilla. Analizzando il deposito lasciato sulle rocce questo risultò composto da una parte estrattiva vegetale, accidentale in quanto dipendente dalle piante che l’acqua incontrava al suo passaggio, circa 1/3 di rame, 1/5 di argilla, 1/10 di terra silicea ed una modesta quantità di terra calcarea.

La relazione del conte Saint Martin de La Motte offre altri spunti, per esempio partendo dall’esistenza di una miniera di rame nella parte alta della montagna – all’epoca ancora in fase di sfruttamento unitamente a quelle di ferro prevalentemente per approvvigionare gli arsenali sabaudi- dalla quale sgorgava la sorgente dell’acqua verde. Questa miniera, sfruttata già ai tempi dei Romani, non è un semplice filone che segue la stratificazione della montagna, com’erano le miniere di La Thuile, Cogne o altre, ma una vera montagna di rame e pirite rameica coperta da roccia di diverso genere.
Se la sorgente origina dall’interno della montagna il flusso idrico potrebbe attraversare banchi di minerale decomposto trascinando materiali per forza meccanica. Lo studioso annota come inizialmente ritenne che il deposito fosse dovuto ad efflorescenza delle pietre erose dall’acqua, ma fu presto convinto del contrario considerando come le particelle di rame – più pesanti – precipitassero in funzione della forza trascinante impressa dall’acqua  nello stesso modo in cui i grandi fiumi portano con sé le grandi pietre. Osservò altresì come fosse possibile che le particelle venissero trasportate solamente in determinati periodi dell’anno, per esempio durante lo scioglimento delle nevi.
Salendo lungo il vallone, in località Laveyc o Éve-verta (in patois valdostano Acqua verde) a circa 1290 metri di altitudine, si incontra una sorgente di acque turchesi, la cui colorazione dà il nome al luogo: la particolarità dell’ Éve-verta, ricca di sali di rame, è proprio quella di colorare pietre, terra e muschi su cui scorre depositandovi una patina di quel minerale oggi noto come woodwardite poiché prende il nome Samuel Pickworth Woodward, il naturalista e geologo inglese che la studiò in Cornovaglia determinandone la formula chimica Cu1-xAlx(OH)2[SO4]x/2·NH2O. La woordwardite è diffusa in Tasmania, Tirolo, Nuova Scozia, Boemia, Alsazia, Baden-Württemberg e Westfalia, Honshu e, in Italia, oltre che in Valle d’Aosta a Gadoni in Sardegna, Valle Isarco in Trentino, Massa Marittima in Toscana e Torrebelvicino in Veneto.

cesec,condivivere,kryptoslife,eve-verda,acqua,valled'aosta,montagna

Resterebbe da stabilire, cosa che ancora  oggi nessuno ha fatto, quali possano essere le eventuali proprietà curative di quest’acqua che, in ogni caso, è una meraviglia da vedere: il ruscello, il suo fondo, le rocce, le pietre, il legno, il terreno  coperti da una sostanza che presenta tutte le sfumature tra il verde ed il blu. Tutto ciò che è sommerso appare di un bel blu cielo, ciò che è parzialmente bagnato è verde, mentre ciò che è asciutto è d’un blu cielo pallido. Lo stesso ruscello scorre su di un fondo colorato.

Restando in tema di minerali, nella miniera di Praborna, posta alla base del versante sinistro della valle di Saint Marcel, è presente un minerale rarissimo minerale chiamato violano proprio per le sue sfumature violacee.
Il violano è un diopside manganesifero comprendente dal 3 al 12% in giadeite in composizione di omfacite manganesifera (giadeite 35-50%), un altro pirosseno monoclino contenente sodio e alluminio, nel quale il manganese è quasi o del tutto assente.

cesec,condivivere,kryptoslife,st.marcel,eve-verda,acqua,valled'aosta,

Ma sorgente di acqua verde e violano non esauriscono le attrattive di Saint Marcel. E dire che, percorrendo l’autostrada e vedendolo di sfuggita, lassù in alto sulla destra orografica della Dora Baltea, nessuno si immaginerebbe che meriti più di un’occhiata distratta…

cesec,condivivere,eve-verda,st.marcel,valled'aosta,acqua,prosciutto,montagna

In realtà questo paese, abitato fin dalla preistoria e che in alcune frazioni conserva numerose incisioni rupestri, oltre ad essere un paese molto gradevole abitato da circa 1.200 anime, offre prosciutti crudi gustosissimi, aromatizzati con erbe di montagna ed anticamente preparati con carne d’orso. Il clima asciutto e ventilato ne permette una stagionatura ottimale e se la loro storia si perde lontano nel tempo, l’esistenza ufficiale è comprovata da affreschi risalenti al XV e XVI secolo che li ritraggono.

Naturalmente, a Saint Marcel non poteva mancare un un castello. Uno dei tanti, bellissimi, che costellano la Valle d’Aosta. Questo, detto a monoblocco poiché definisce l’ultima fase evolutiva del castello medievale, presenta una costruzione quadrata ed una successiva rettangolare scandite dall’immancabile torre.

cesec,condivivere,eve-verda,st.marcel,valled'aosta,acqua,prosciutto,castellost.michel

Il castello, eretto nel villaggio di Surpian ad opera di Giacomo di Challant verso il 1500 ampliando una preesistente casa-forte, è inquadrabile nella rete di installazioni che permetteva di controllare il territorio del fondovalle.
E come in ogni castello che si rispetti non possono mancare i fantasmi. Sembra che quelli di Saint Marcel si riuniscano, incappucciati, si riuniscano in una sala dopo aver percorso i corridoi. Alcune persone riferiscono di urla, colpi secchi, pietre che rotolano, nonché di un brusio indistinto, come se gli spettri fossero impegnati in una animata conversazione tra loro, ed infine di una figura maschile prestante, abbigliata con abiti seicenteschi, che tiene in mano una spada.

Ma non è finita. Tra le attrattive di Saint Marcel vi sono le antiche miniere: situati nella parte alta del vallone, i giacimenti manganesiferi di Praborna, a 1900 metri di altitudine, e ferrosi-cupriferi di Servette e Chuc fanno parte di un complesso minerario noto e sfruttato intensamente nei secoli passati ed oggi abbandonati ma tuttora meta di collezionisti e di studiosi provenienti da diverse Università europee. Le tracce delle attività estrattive industriali sono ancora visibili lungo i sentieri, nei boschi dove si celano forni e depositi di scorie, teleferiche in rovina, baracche dei minatori ed antiche gallerie parzialmente crollate e coperte di vegetazione, costituendo oggi un patrimonio di archeologia industriale meta di turisti slow; per gli appassionati di archeologia industriale il sito del Turismo in Valle d’Aosta merita davvero una visita.

cesec,condivivere,eve-verda,st.michel,valled'aosta,acqua,prosciutto,castellost.michel

Saint Marcel, il cui vallone ospita rare varietà floristiche tra le quali la linnaea borealis e la clematis alpina, fa infine parte della Riserva Naturale  Les Îles, una zona umida vicino alla Dora istituita nel 1995 e che comprende anche i territori di Brissogne, Nus e Quart.

Il nuovo mondo: progettiamolo insieme

cesec,condivivere,futuro,ecosostenibilità,cohousing,neomedioevalismo,consapevolezzaIn questo intervento parliamo di come trasformare ecosostenibilità ed occupazione in sicurezza sociale. Ma è necessario partire da una premessa.
Noi siamo convinti che difficoltà ed ostacoli arrivino per portarci segnali e messaggi. Inutile, e persino pericoloso, tentare di scappare: fuggiremmo da un’opportunità di crescita personale e, se si tratta di nodi da sciogliere o cerchi da chiudere, finché non lo avremo fatto non avanzeremo di un passo.

cesec,condivivere,finanza,ecosostenibilità,cohousing.condivisione,consapevolezza

Certo, osservarsi dentro presuppone un profondo desiderio di cambiare ed implica coraggio. Altrimenti possiamo sempre continuare a fingere che…, a raccontarci menzogne da soli, ad autoconvincerci che siano gli altri ad avercela immotivatamente con noi, che siamo tanto belli e tanto buoni. Relazioni destinate al fallimento, imprese che non decollano, collaboratori, amici, amanti o soci, persino fratelli o sorelle, che ci tradiscono, la casistica può essere pressoché infinita.
La soluzione è una sola: smetterla di lamentarsi, di piangersi addosso, di cercare per ogni dove capezzoli da succhiare avidamente e darsi da fare. Una volta per tutte.

cesec,finanza,cohousing,condivisione,consapevolezza,ecosostenibilitàSiamo partiti da questa premessa per affermare che siamo convinti che l’attuale crisi, economica, sociale, ambientale, imponga profonde trasformazioni del sistema. Ma il sistema, guarda caso, siamo noi; siamo quindi noi a dover cambiare. Lo scibile potrebbe essere infinito, ci limitiamo qui ad un obiettivo, ambizioso ma non irrealizzabile: come costruire una società in grado di garantire una serena convivenza per tutti, nell’abbondanza e nel rispetto dei limiti del pianeta, che preferiamo chiamare con il nome che gli spetta di diritto: Madre Terra.

cesec,condivivere,madreterra,condivisione,consapevolezza,cohousing,ecosostenibilità

Parliamoci chiaro, senza una bussola, senza una programmazione, senza un’idea di Società verso cui tendere, non possiamo affrontare neppure la fatica del giorno per giorno. C’è chi lo fa, e purtroppo i risultati si vedono. Essere centrati, vivere hic et nunc non significa affatto essere sbalestrati, cambiare idea come bambini di tre anni pur osservando le cose con la meraviglia del bambino. Significa essere ben radicati, chiari soprattutto con se stessi. Ma ne abbiamo già parlato in altre circostanze.

Ormai è certo: per ripristinare l’equilibrio ambientale dobbiamo ridurre produzione e consumi, ma fintanto che il motore dell’economia rimane il mercato, l’arresto della crescita comporterebbe seri contraccolpi sociali. Questione ambientale e sociale sono due temi indissolubili, se affrontiamo l’uno senza preoccuparci dell’altro non abbiamo futuro.

cesec,condivivere,vespucci,consapevolezza,ecosostenibilità,cohousing,finanza

Noi abbiamo la soluzione. Conosciamo il modo per dimostrare che è possibile coniugare sobrietà con piena occupazione e sicurezza sociale. E non stiamo sputazzando mere affermazioni di principio, siamo persone concrete e sappiamo quanto la gente abbia ormai bisogno di concretezza, voglia sapere come si ottiene il miracolo, chi e come elabori le proposte di riorganizzazione e le relative strategie di attuazione.
Gli obiettivi che ci siamo posti non si raggiungono con piccoli ritocchi ma richiedono un capovolgimento culturale nel nostro modo di concepire rapporti con la Natura, diritti, lavoro, tecnologia, mercato, comunità, benessere. I nostri obiettivi, che siamo felici ed onorati di condivivere, richiedono una revisione profonda del nostro modo di organizzare il tempo, le città, la produzione, la soddisfazione dei bisogni, i rapporti sociali, l’economia privata e quella pubblica. In una parola richiedono il ripensamento dell’intera architettura economica e sociale. Qualcuno potrebbe anche ironizzare sbottando in un: hai detto niente…
No, affatto, l’abbiamo premesso che siamo ambiziosi… Sia chiaro: non stiamo proponendo di aprire tavoli o dibattiti, invitare illustri economisti, politologi, sociologhi e via enumerando, sinceramente sono almeno vent’anni che i dibattiti e i gruppi di studio ci hanno, per usare un garbato eufemismo, rotto le palle, perché si parla si parla e non si combina niente.
Quindi niente scorciatoie, tanto illusorie quanto pericolose, niente democrazie più o meno delegate o partecipate, tanto meno dittature ammantate di egologismo e spiritualità, dove il ducetto di turno fa il bello e il cattivo tempo travestito da guru. Al limite, crediamo nel cerchio, seguito immeditamente dopo da compiti e responsabilità individuali. E da incontri di verifica.
La nostra è una microsoluzione.  Però una microsoluzione ripetibile su vasta scala. C’è una carta, appartenente ad un mazzo di tarocchi molto particolare, ci piace molto e la sua denominazione è: una nuova visione.
Ecco, noi siamo per un diverso approccio alla vita, per guardare alla realtà dalla prospettiva della convivenza nell’abbondanza intesa come soddisfazione di tutte le dimensioni umane, di trovare soluzioni che tengano conto della complessità dei bisogni, dei limiti del pianeta, dei diritti delle generazioni che verranno. Ma senza deleghe, perché nei fatti costituiscono l’antitesi della democrazia. Se vuoi una cosa, prendila, rubala, comprala, costruiscila, inventala. Fai quello che vuoi, ma fallo tu. Ed assumitene la responsabilità.

Pensiamo solo all’economia: nulla influenza la nostra vita più dell’economia e nulla è posto fuori dal nostro controllo più dell’economia, segno che il potere non appartiene al popolo, ma ai mercati ed ai mercanti, insomma ai maghetti della finanza, che noi ci immaginiamo come miliardari sensali che si riuniscono, corrucciati ed ingobbiti, in qualche antro illuminato dalla fioca luce di mozziconi di candele. E i finanzieri d’assalto, quelli da copertine patinate accompagnati da panterone da urlo, chi sarebbero? Nessuno, semplicemente gli addetti alle pubbliche relazioni ed al marketing… Ecco i veri α e Ω di questo sistema che ci sta ribaltando perché non infinito, perché non può crescere indefinitamente, perché non tiene conto della dimensione umana, non tiene conto di chi sta meglio e di chi sta peggio.

Per necessità e per, necessariamente se intendiamo sopravvivere, ritrovata virtù, senza distinzione di professione, censo, titolo di studio, vestitino privato o pubblico, provenienza culturale e politica,  dobbiamo finalmente azzittire il rumore parolaio che ci circonda e ci sovrasta e rimboccarci le maniche per costruire la nostra nuova Società e tracciare il percorso lungo il quale farla avanzare.

cesec,condivivere,cohousing,montagna,consapevolezza,ecosostenibilità,progettualità

 

I nostri piccoli borghi recuperati dall’oblio, il nostro lavoro perché l’acqua sia e rimanga bene di tutti, le nostre comunità coresidenziali, il nostro interesse per il recupero degli spazi agricoli e per la tutela del territorio sono iniziative quanto mai concrete. E, oltre che nuovi e diversi spazi abitativi, significano anche lavoro. Certo, qui abiteranno venti famiglie, là sessanta, in quell’altro posto solo quattro. E con questo? Nelle nostre intenzioni si tratterà di comunità autonome, ma niente affatto isolate: saranno in contatto fra loro e con il resto del mondo, in ogni senso.
Ma vivranno all’insegna di ritmi nuovi, rallentati, soddisfacendo bisogni reali e non artefatti. Nel mondo, non in fuga dal mondo, solo un po’ più distanti dal suo inutile rumore. Sia chiaro, non abbiamo inventato nulla, ed è per questa ragione che non partiamo da zero: alcuni hanno riflettuto e scritto in proposito, altri hanno sperimentato su scala più o meno vasta, e le loro suggestioni ed esperienze costituiscono per noi un ottimo materiale su cui lavorare per attivare il necessario processo di elaborazione diffuso capace di portare ad una sintesi condivisa.
Ovviamente il percorso non è e non può essere completamente chiaro, l’importante è partire, strada facendo comprenderemo come proseguire il cammino.

Ci piacerebbe che di queste comunità ne sorgessero a centinaia, addirittura a migliaia, trasversali e diffuse ovunque, piccoli gruppi che si prendono il loro spazio per vivere finalmente una nuova vita, lasciando contemporaneamente tracce condivisibili delle loro esperienze in modo che emergano assonanze, differenze, similitudini.

Perciò invitiamo chiunque voglia coinvolgersi in questo percorso a comunicarcelo, scrivendoci un messaggio privato. Molto presto inizieremo ad organizzare degli incontri per valutare le possibilità di formazione di gruppi e stabilire come proseguire il cammino, in questa avventura di partecipazione dal basso.

Centro Studi Cesec – KryptosLife