“Toglieranno l’acqua da sotto la pancia delle anatre? Metteranno il cartellino con il prezzo a ogni goccia di pioggia? E quanto costerà la rugiada?” Queste ed altre domande se le poneva Marta, la bimba protagonista di Marta e l’acqua scomparsa, la favola bella, intelligente ed ecologica scritta da Emanuela Bussolati, della quale scrissi in uno degli articoli che considero più belli e toccanti: Quanto costerà guardare l’arcobaleno? pubblicato nel giugno 2013 sulla home page di Kryptos Life&Water e richiamato in queste pagine il 6 ottobre 2014.
Torno oggi sull’argomento per il desiderio di fare una sorta di punto della situazione, per verificare dove siamo, come ci siamo arrivati, cosa accadrà nell’immediato futuro e quali saranno le ricadute economiche e sociali nel lungo termine. Nell’ultimo biennio il governo ha varato numerosi provvedimenti tendenti a perseguire l’evidente finalità di rilanciare la cessione al mercato dei servizi pubblici locali e dei beni comuni: decreto Sblocca Italia, legge di stabilità, riforma della pubblica amministrazione, spinta impressa a livello internazionale a favore dei trattati T-tip e Tisa.
Il decreto Sblocca Italia evidenzia un piano complessivo di aggressione ai beni comuni tramite il rilancio di grandi opere, misure per favorire la dismissione del patrimonio pubblico, nuove regolamentazioni concernenti l’incenerimento dei rifiuti, ammissione delle perforazioni per la ricerca di idrocarburi, costruzione di gasdotti, semplificazione e deregolamentazione della procedura delle bonifiche.
Nell’ambito edilizio, quello che mi interessa più da vicino, lo stesso programma che verrà discusso a gennaio in materia di consumo del suolo è già superato nei fatti da numerose norme regionali – Lombardia e Piemonte costituiscono in questo senso un chiaro esempio – che ammettono nei fatti il disboscamento selvaggio, ampliando le superfici fruibili riducono le distanze e statuendo un’autocertificazione farsa.
Limitando l’analisi all’acqua, si impone una precisazione: cresce lo stress idrico e oltre due miliardi di persone non hanno acqua, poiché questo bene primario che dovrebbe essere considerato pubblico e agevolmente disponibile, lo è invece sempre più in funzione delle capacità economiche e tecnologiche. Mi astengo da commenti e giudizi politici o di merito, mi limito a segnalare che alla Borsa di Chicago sono quotate società finanziarie che speculano, letteralmente, sulla sete. E non sono io a dirlo: girovagate nel Web e troverete innumerevoli riferimenti, oltre a proposte di investimento nei paesi del Sud del mondo.
Lasciamo stare le utopie, e torniamo a considerare come sia evidente che il governo intenda indicare la direzione della privatizzazione dei servizi pubblici, attraverso esplicite dismissioni di quote detenute dalle amministrazioni locali comuni e favorendo economicamente soggetti privati e processi di aggregazione. Detto in altri termini: costruendo il palinsesto di un ricatto nei confronti degli enti locali che, una volta strangolati dai tagli, verrebbero spinti alla cessione delle loro quote al mercato azionario e relegati ad un esclusivo ruolo di controllo: esterno, formale, inutile.
Se qualcuno pensa che io esageri, basta guardare i numeri per avere la certezza del colpo mortale inferto all’esito referendario del giugno 2011, nel totale disprezzo per la volontà dei cittadini e – va detto – nella totale indifferenza dei cittadini zombies. Della serie: ciascuno raccoglie quel che semina.
Sto parlando dell’aprile scorso, quando passò sotto silenzio la mirabile sintonia fra Hera, Acea, governo e orientamenti della grande maggioranza delle amministrazioni locali incentrate sul Pd, in primis quelle emiliane del triangolo rosso, nell’intento di procedere entro la fine di quel mese, con il piè veloce che sembra essere la cifra di questa stagione controriformatrice, a far scendere la quota di proprietà pubblica dal 57 per cento al 38, arrivando così per la prima volta sotto la maggioranza assoluta, da sempre propagandata come elemento di garanzia per il controllo pubblico delle aziende.
Queste manovre creano un muro destinato a dividere la società: da una parte le grandi aziende, i mercati finanziari e gli istituti bancari, dall’altra i cittadini non più degni di tale appellativo ma tornati ad essere servi della gleba. E non trascuriamo di osservare come, all’interno di questa divisione, sia evidente come le istituzioni nazionali ed europee si prodighino diligentemente nell’applicare politiche di austerità che si traducono in tagli al welfare e ai diritti, ed in cessione di porzioni di sovranità al mercato.
In questi anni i vari movimenti per l’acqua hanno combattuto quotidianamente per affermare il diritto all’acqua pubblica, ponendo la massima attenzione al ciclo integrato di questo bene e costruendo il referendum attraverso il quale la cittadinanza si è espressa contro la privatizzazione e per una gestione pubblica dell’acqua e dei servizi pubblici locali. Da noi non se ne parla, presi dall’interesse per qualche bifolco miliardario in mutande che tira calci ad un pallone o dal perché Belen e Stefano si siano lasciati, ma anche negli altri paesi europei vi sono persone che continuano ostinatamente ad affermare quei principi, costruendo nuovi legami e relazioni sui territori, costruendo una conoscenza diffusa, studiando e progettando modelli alternativi, ponendo le basi per un modello sociale che superi la dicotomia tra pubblico e privato.
Sulla base di queste considerazioni è stato organizzato l’evento nel quale il 7 e 8 novembre scorsi si è argomentato, non per slogan ma scientificamente e come momento di confronto e riflessione di “Diritto all’acqua, diritto al futuro – Agorà dell’acqua e dei beni comuni”. Ne avete sentito parlare? No, vero? Ne ero sicuro.
Insomma, tanto per cambiare concludo con una delle affermazioni che mi sono tanto care: il medioevo prossimo venturo è già iniziato. Però questa volta parlo del medioevo delle coscienze.
Pipipì-pì-pì-pò-sgnòff-tirititì-ping-ping-ping-sbrang …. no scusate è un’interferenza: è il fanciullo che è in me, ha sette anni e sta pistolando in metrò sull’i-phone sotto lo sguardo amorevole di mammà, tronfia di guardare fingendo di nulla se qualcuno osserva invidioso il fiammante ritrovato tecnologico in mano al creaturo. Così è, se vi pare.
Alberto C. Steiner