Saranno anche grossolane, le incubatrici del nostro orto sul terrazzo, ma intanto da novembre ad oggi l’insalata è al quinto taglio. Ed ora abbiamo messo a dimora fragole, aromatiche, piselli e pomodori.
Parlo quindi nuovamente di orto urbano, un mezzo piacevole e visibile per permettere la partecipazione dei cittadini alla vita pubblica, attuato grazie a scelte urbanistiche che vincolano suoli altrimenti destinati a cadere o nelle mani della speculazione edilizia o nel nulla contribuendo al degrado del paesaggio.
Per creare un orto urbano basta poco, e non servono progetti di archistar vere o presunte, come quello attuato a Firenze dove Comune e Coldiretti hanno firmato uno scenografico Community Garden nella zona di Borgo Pitti, in pieno centro della città. Per creare un orto servono la vanga e la camicia bagnata di sudore sulla schiena, non il CAd o il rendering.
L’orto privato assomma l’attenzione alla qualità del cibo, per intenderci quella che orienta buona parte delle scelte per la spesa, cura per l’ambiente attraverso un riappropriarsi di spazi altrimenti inoperosi e suscettibili di degrado ambientale e sociale, la riduzione dei costi di approvvigionamento alimentare e la soddisfazione dell’autoproduzione.
Anche il fisco è favorevole: grazie agli incentivi fiscali che possono arrivare al 65% di detrazione Irpef, i cittadini che devono ristrutturare il terrazzo possono optare per il giardino pensile: ambiente migliore, isolamento termico naturale e minori infiltrazioni di acqua piovana e possibilità di servire in tavola frutta e verdura prodotte in casa.
Se in anni recenti l’orto individuale ha segnato un salto di qualità, da hobby di una minoranza a stile di vita sempre più diffuso, l’orto urbano costituisce una vera e propria rivoluzione verde che nasce al confine tra le decisioni pubbliche e le azioni private. Dati in affidamento gratuito o in comodato ad associazioni o gruppi di cittadini, o addirittura acquistati attraverso lo strumento del GAT, Gruppo Acquisto Terreni, si sono triplicati nell’ultim biennio passando da una superficie complessiva di 1,1 milioni di metri quadrati a 3,3 milioni. Un boom favorito dai bandi dei comuni, per dovere di cronaca emessi nell’81 per cento dei casi nel Centro-Nord, e da un’idea più evoluta, concreta e meno ideologica della cittadinanza attiva. Se a Roma sono stati censiti ben 150 appezzamenti, a Bologna un bando per l’assegnazione di 108 piccoli lotti di terreno di proprietà comunale ha visto candidarsi oltre duemila famiglie.
Tornati ad essere luoghi della comunità gli orti cittadini possono addirittura diventare strumenti di politica urbanistica: modificano l’aspetto del territorio e la stessa geografia urbana, e ove adeguatamente curati contribuiscono ad attenuare l’effetto di squallore che siamo abituati a percepire approssimandoci ai grandi centri urbani, in treno o in autostrada.
Gli orti urbani costituiscono inoltre una potenziale leva per creare lavoro in uno dei pochi settori, appunto l’agricoltura, dove il trend dell’occupazione in Italia è decisamente di segno positivo.
E poi c’è l’adozione di aree verdi, parti di giardini che vengono curati dai privati anche attraverso sponsorizzazioni, con un doppio vantaggio per le amministrazioni comunali: risparmio sui costi per la manutenzione del verde e certezza di protezione del territorio. Padova e Casale Monferrato hanno deciso di ringraziare i cittadini che si occupano a proprie spese di giardini pubblici o alberi di strada con uno sconto sulla tassa per i rifiuti.
E per avere la certezza che non costituiscano solo un diletto ecochic, basta pensare che ai tavoli del breakfast del Waldorf Astoria, albergo sito in uno degli edifici-simbolo di New York, ogni mattina si serve il miele fatto in casa, ovvero sul tetto, grazie a una delibera municipale che ha ammesso l’apicoltura urbana. Sempre a New York i tetti dei grattacieli di grandi società o di istituzioni pubbliche, dalla Bank of America al Whitney Museum of Art, sono diventati orti.
Alberto C. Steiner