Cresce in Italia la voglia di cohousing e di ecovillaggio.
E molti sono sommersi, nel senso che non si pubblicizzano sui social, non aderiscono alla Rete Italiana Villaggi Ecortodossi. I loro promotori non ne hanno bisogno, specialmente da quando hanno provato a partecipare a corsi che avrebbero dovuto spiegare cose concrete e si sono ritrovati tra scambi reiki e danze sacre di Gurdjieff, fra gente che non aveva la più pallida cognizione del lavoro se non inteso come sfruttamento, e che a furia di cerchi di condivisione passava più tempo seduta in terra a cianciare che sui ponteggi. Tra filosofi piuttosto che fra ingegneri e carpentieri.
Tempo medio tre anni, mentre nell’ambito dell’ortodossia ecosocialsostenibile non è raro trovare gente che dopo un decennio non ha ancora deciso che nome darsi.
Finalmente molti hanno iniziato a comprendere che la consapevolezza passa anche di qui: nel mollare quelle sovrastrutture denominate ideologie e nel guardare alla concretezza. Uomini e Donne del Fare, per crescere insieme, ma solo dopo che ciascuno ha iniziato a crescere da solo.
E che questa nuova visione sia vincente la dimostrano i numeri: alla fine del 2012 i progetti di ecovillaggio avviati e visibili erano 26, a settembre di quest’anno sono oltre 200.
ACS