Ciclabile del Garda: lei è un ecoappecorato, si informi!

Se ne parla da almeno un decennio. E anche quest’anno, potenza della primavera che reca con sè tramonti incendiati e serotini afrori di pitosfori, gardenie, limoni ed elezioni amministrative, riecco il progetto dell’anello ciclabile lungo le sponde del Benaco.CC 2016.04.22 Ciclogarda 001I 190 km del progetto originario, pur rimanendo almeno dai tempi di Cecco Beppe ineguagliato il perimetro del più grande specchio lacustre nazionale, si sono inspiegabilmente ridotti a 140. Ma i giornali non ne esplicano la ragione, esattamente come sembrano ignorare che la Provincia Autonoma di Trento e le Soprintendenze atesina e veronese bocciarono più volte il progetto, in particolare tra Malcesine e Torbole per la sua pericolosità lungo passaggi particolarmente ristretti e per l’elevato rischio idrogeologico, l’ultima di queste nel 2014. E quindi plaudono perepepè all’iniziativa, inneggiando all’incontro tenutosi a Roma il 7 aprile dopo “l’idea lanciata a Milano durante la Borsa Internazionale del Turismo a febbraio scorso” come scrivono all’unisono il Corriere della Sera, Il Giornale di Brescia, L’Arena (Agenzia Stefani, se ci sei batti un colpo…) e perfino Verona Green, e questo ci stupisce non poco poiché dall’altrimenti puntuale notiziario online che stimiamo non ce lo aspettavamo: ecologico e vegano, in questa circostanza ha adottato le fette di salame, sugli occhi.CC 2016.04.22 Ciclogarda 002Naturalmente Delrio, il ministro che si taglia con un grissino, “ha espresso la sua approvazione al progetto” garantendo che si attiverà “per la possibile concretizzazione di quest’opera che potrebbe dare grande impulso all’ecoturismo del territorio” assumendosi il “preciso impegno al recepimento dei necessari fondi statali”. Statali? Facciamo ammenda, ignoravamo che albergatori e commercianti benacensi fossero dipendenti di qualche carrozzone a partecipazione pubblica…
Perfetto, sentivamo giusto la mancanza di 70 milioni di euro forniti dallo stato… e approfittiamo per fare un po’ di conti: 140 km al costo di 70 milioni fa 500mila euro a km. E invece no, di più, perché il 60% del percorso risulterebbe già completato, si tratta solo di congiungere gli spezzoni ed uniformare l’aspetto esteriore ed i sistemi di sicurezza. Due milioni e mezzo a chilometro quindi. Non male: fatte le debite proporzioni quasi quanto una TAV. A Milano le ciclabili costano 60mila euro/km, in Liguria qualche anno di galera a certi amministratori locali, ma questo è un altro discorso. Siamo certi che sul Garda non accadrà, esattamente come siamo certi dell’esistenza della Befana.CC 2016.04.22 Ciclogarda 003E intanto gli ecocicloappecorati già intonano il peana ohcchebel-chebel-chebel: “140 km di piste ciclabili esclusivamente dedicati alle biciclette, senza precedenti in Europa e con i quali l’area gardesana potrebbe diventare con ogni titolo capitale europea del cicloturismo, con importanti ricadute anche economiche sul territorio, per il richiamo che un’infrastruttura del genere potrebbe avere sui turisti di tutto il Nordeuropa.”
Eccerto, mica sono pirla nel Nordeuropa, a casa loro costruiscono o recuperano tramvie e persino antiche ferrovie forestali a scartamento ridotto o Decauville che non infrequentemente costeggiano idilliaci laghetti e toccano villaggi immersi nei boschi.CC 2016.04.22 Ciclogarda 005CC 2016.04.22 Ciclogarda 004È da noi, nel Sud del mondo, che vengono a scorrazzare arroganti e impuniti dopo aver parcheggiato monumentali camper in parcheggi che vengono all’uopo continuamente predisposti, per incentivare l’afflusso turistico vien detto.
È da noi, nel Sud del mondo, che il più grande specchio lacustre non è servito nemmeno da un metro di binario, se si escludono le stazioni di Desenzano e Peschiera lungo la Milano-Venezia, e chiunque conosca almeno un po’ il Garda sa quale incubo siano la Gardesana occidentale ed orientale, specialmente se percorse nei fine settimana o d’estate. E dire che in passato il Garda poteva avvalersi di una efficiente rete di trasporti su rotaia: la ferrovia Mori-Arco-Riva, chiusa all’esercizio nel 1936, la tranvia Brescia-Salò, soppressa nel 1954, la ferrovia Verona-Caprino-Garda smantellata a partire dal 1959, la ferrovia Mantova-Peschiera cessata nel 1967 e persino il breve tratto da Desenzano a Desenzano Porto, dismesso nel 1969.
Di più, tenendo conto del fatto che l’ampiezza delle due Gardesane è quella che è, e salvo varianti che escludono gli abitati non è ampliabile per la presenza degli edifici (alcuni dei quali sono anzi stati rastremati per permettere il transito nei centri urbani di mezzi pesanti ed autobus) la ciclabile correrà lungo le rive. Dove? In commistione con le aree pedonali, naturalmente. Addirittura, secondo i primi abbozzi del progetto, verranno realizzati tratti a sbalzo, vale a dire sospesi sull’acqua, proprio per sopperire alla carenza di spazio.
Ma, e qui viene il bello, gli standard di sicurezza prevedono che la platea ciclabile sia riservata e fisicamente protetta con apposite transenne, nelle quali verranno ricavati dei varchi di attraversamento muniti di cancelletto girevole od altri accorgimenti ogni tot decine di metri, quando non addirittura sottopassi. Detto in altri termini: una barriera invalicabile di asfalto e metallo che toglierà spazio pedonale, modificherà l’impatto visivo e costerà un botto.
E chissà se, come già accade con certi appezzamenti, circoli, complessi residenziali o locali che dovrebbero essere pubblici, vedremo affissi cartelli con la scritta parcheggio bici vietato agli italiani…
Bene, mentre al Brennero camper e suv con o senza roulottes stanno scaldando i motori in attesa di calare sul Garda noi continuiamo ad osannare il cicloturismo d’assalto spacciandolo come ecologico, in particolare quello che usurpa le sedi ferroviarie dismesse, che da sede di un trasporto al servizio della collettività assumono il ruolo di giocattolo ecochic. Quel cicloturismo che fatte le debite proporzioni è ecologico come la caccia, perché come la caccia ammorba l’ambiente e crea non di rado rischi anche mortali assicurando però un indotto che fattura milioni di euro.

Alberto C. Steiner

Ikea, Report sostenibilità 2015: le favole della buona notte

Anche quest’anno la multinazionale svedese del mobile prêt à monter mi ha graziosamente inviato avvolto in un’elegante confezione che sembra uno dei suoi famosi pacchi piatti, però mini, il Report di cui al titolo: da Brescia Roncadelle a Gorizia Villesse, da Milano Carugate e Corsico a Parma, da Roma Anagnina e sino a Torino non mi ricordo … ah si, Collegno, ma senza trascurare il centro distribuzione di Piacenza e via elencando tutti quelli che, con maestra padronanza del basso profilo, definisce negozi, indica i consumi di acqua e la produzione di rifiuti ovviamente differenziati.CC 2016.04.19 Ikea 001Non manca naturalmente l’indicazione delle partnership ecosocialsolidalbiobau: FAI, Fondo per l’Ambiente Italiano (Ah beh, si beh, hoo vist on re… se l’ha vist cus’è? On re), Medici Senza Frontiere, Unicef, Unhcr. E naturalmente Save the Children: anche quelli di otto anni che in certi paesi d’oriente annodano tappeti e montano paralumi? come sarebbe a dire, per conto di chi? Per Ikea, è ovvio. Che però, appena apprese la questione si fece carico del problema, dichiarando: “Ci stiamo lavorando, è una delle nostre aree di miglioramento.”
Esistono due categorie che mi ripugnano, quella degli sfuggenti che pronunciano il mantra “come può benissimo immaginare” a suo tempo abusato dai Consulenti Globali di Programma Italia, ora Banca Mediolanum, e quella di chi ti prende per il culo dicendoti la verità per mentirti.
Torniamo a Ikea. Chi verifica che la mamma di Billy è ecosolidalciaociao? Ikea, naturalmente. La stessa che certifica i propri bilanci, guardandosi bene dal nominare revisori esterni. E poi, quali bilanci? Di quale Ikea? Se esiste un muro impenetrabile è il complesso di scatole cinesi, pardon svedesi e olandesi che avviluppano i misteri del pacchetto societario.
Il volume di ben 124 pagine traccia il compendio virtuoso di un anno di attività suddiviso nei capitoli Economia e ambiente (ripartito nei paragrafi Rifiuti, Energia, Acqua, Materie prime, Logistica e mobilità, Food) Dimensione sociale, Dimensione business (Dati aziendali, L’opinione su Ikea, Ikea sul web, Sempre più sostenibili, Prodotti a basso impatto) e infine Negozi, CSC e depositi.
Visto che parliamo di sostenibilità vado allora alle pagine 88 e 89: Sempre più sostenibili. Quel che c’è scritto lo vedete nella scansione riportata sotto. Questo è quanto.CC 2016.04.19 Ikea 002Boh, forse è meglio se vado a pagina 44: Soft Toys. Ah no scusate, pensavo fossero gadget erotici e invece sono pupazzi di peluche, grazie all’acquisto dei quali i clienti possono donare 1 Euro alle Associazioni beneficiarie (Unicef e Stc ad anni alterni) con la contestuale “possibilità di decidere di donare direttamente il pupazzo ai bambini meno fortunati.” Che possono sempre provare a bollirlo per sfamarsi.
Grazie a questa iniziativa, recita l’ineffabile pubblicazione, “dal 2006 ad oggi Unicef e Stc hanno potuto contare su un totale di risorse donate da Ikea Italia pari a 7 milioni di euro.” Non male, considerando che per il solo 2015 il fatturato svetta a quota 14.571 milioni di euro (pagina 75).
Al di là di qualsiasi attestazione verbale penso che sia il modello stesso Ikea a non essere sostenibile, non solo e non tanto a partire dall’idea di far vivere persone, sorridenti come quelle dello loro pubblicità, in una casa di 35 metri quadri affastellata di mobili, ma soprattutto per il concetto stesso di mobile usa e getta. Per tacere della politica che induce ad acquisti compulsivi.CC 2016.04.19 Ikea 003Mi fermo, perché il blablabla ha il potere di darmi il voltastomaco, esattamente come le patatine o le aringhe in barattolo che è possibile acquistare negli shop Ikea, lasciando chi vuole approfondire alla lettura del libro Ikea: un modèle à démonter, Ikea: un modello da smontare, scritto da Olivier Bailly, Jean-Marc Caudron e Denis Lambert, pubblicato in Italia nel 2007 da Anteprima e diffuso da Altroconsumo con il titolo Ikea, che cosa nasconde il mito della casa che piace a tutti? e purtroppo oggi praticamente introvabile (Il Giardino dei Libri ne dichiara in magazzino una copia ma non sono riuscito ad acquistarla). Ne riporto qui una recensione tratta dal Web.CC 2016.04.19 Ikea 004A proposito, notizia del 17 marzo 2016, leggibile qui: Anche Ikea ha scelto Altroconsumo label per la propria comunicazione. Ok, ciao.

Alberto C. Steiner

Borghi abbandonati: time expired, non ci sono più scuse.

Il caso più eclatante è costituito da Civita di Bagnoregio, in provincia di Viterbo, il borgo eretto sulla precaria altura situata su una platea tufacea nel quale vivono dodici abitanti che, a quanto risulta, sta crollando perché i banchi argillosi che la sorreggono sono soggetti a continua erosione.Old town of BagnoregioIl compendio dei borghi abbandonati ecochic comprende i soliti Fabbrica di Careggine, Craco, Bussana Vecchia, per citarne solo alcuni altrimenti non la finiamo più.
Ma, nel novero degli oltre ottomila censiti da un serio e attendibile lavoro del Censis, ve ne sono altri sicuramente meno celebrati ma non meno affascinanti, a partire da Galeria, nell’Agro Romano e, vagando di bosco in bosco e di sentiero in sentiero, lungo l’Appennino Piacentino e quello Parmense, in Valtellina piuttosto che nella valle del Sile o in Umbria.
Tenendo conto del fatto che i Comuni italiani sono 8.045, più o meno quante sono le Stazioni dei Carabinieri, è come se ogni comune avesse un borgo abbandonato che attende di essere riportato a nuova vita.
Il Medioevo prossimo venturo (ne ho scritto l’ultima volta il 20 marzo 2015: Medioevo prossimo venturo? È già arrivato, leggibile qui) del quale da anni vagheggio, o pavento secondo quelli che mi danno della Cassandra, è indiscutibilmente non più prossimo ma già fra noi: lo dimostra una nuova schiatta di camminanti (ne ho scritto il 13 maggio 2015: Montagna: giovani imprenditori, attenti ai nuovi camminanti! leggibile qui) prevalentemente transfughi dai centri sociali urbani che, appropriatisi di ruderi boschivi, ne hanno fatto la loro residenza e girano per le campagne raccogliendo ciò che trovano per garantirsi un minimo di sopravvivenza. Certo, i tiggì non ne parlano, non fa incazzare, non suscita odio e quindi non fa notizia.
Per quanto mi riguaeda, e per quanto quelli dei centri sociali mi stiano cordialmente sulle palle, devo convenire che costoro sono i nuovi tutori, guardiani, sorveglianti del territorio. Non fosse altro che per il fatto che, se la croda sta per crollare sulle loro nuove case, mettono in atto le necessarie misure per non essere sepolti, loro, i loro bambini e i loro animali più o meno domestici.
Certo, se vi dovessero invitare a cena potete fare a meno di indossare la dinner jacket ma, sinceramente, chissenefrega.CC 2016.04.13 Abbandonati 002Dunque, per farla corta la situazione è questa: abbiamo borghi abbandonati che attendono solo qualcuno che li riporti a nuova vita, in linea di massima non occorre acquistarli ma solo okkuparli per occuparsene.
Non ci sono solo case, ma anche terreni che possono essere ripristinati: la cura del bosco, la coltivazione, l’allevamento.
Una volta occupato il fondo, a condizione che sia realmente abbandonato e non reclamato da nessuno, costituito un comitato (è sufficiente attestarlo, almeno inizialmente non occorre nemmeno andare da un notaio) e notificata la propria presenza in comune con un programma di attività, sviluppo eccetera eccetera, è anche possibile che – trasformato il comitato in associazione senza fine di lucro – si possa chiedere qualche sovvenzione: per la ristrutturazione, per l’impianto di energie rinnovabili, per la tutela di specie vegetali o animali a rischio di scomparsa.
E intanto si inizia a lavorare, si mandano i bambini all’asilo o alla scuola del paese, ci si inserisce nella comunità. Addirittura si può diventare un punto di riferimento.
Insomma, ci si dà da fare. È forse per questa ragione che, dagli incessanti blablabla, dai vorrei, non vorrei, ma se vuoi, dai mi piacerebbe tanto, quando si fanno proposte concrete che presuppongono il rimboccarsi le maniche nessuno le accoglie?

Alberto C. Steiner

Credit Suisse e vergini dai candidi manti

Padre Flaherty, il Monsignore protagonista del romanzo scritto dal francese Jack-Alain Léger nel 1976, è un americano di origine irlandese. Paracadutista, responsabile di un settore dei servizi segreti vaticani, vive una doppia vita, quella occulta in un attico affacciato sull’Appia, con la propria compagna e relazioni ad alto livello nell’alta finanza, non esattamente adamantina, dei rapporti con la mafia dalla quale viene alla fine tradito.
Ad un certo punto il romanzo traccia un veritiero, e tuttora insuperato, spaccato delle procedure di sicurezza finalizzate a tutelare l’identità e la consistenza patrimoniale dei clienti di una banca svizzera. La banca in questione è ovviamente inventata ma l’autore ricevette pressioni affinché in una successiva edizione del romanzo modificasse il capitolo.A photo taken on November 1, 2011 showsRelativamente all’affaire Credit Suisse, oggi su tutti i giornali, i giornalisti del settimanale L’Espresso, che da grandi avrebbero voluto fare gli aggenti seggreti e invece si sono ridotti a fare i pennivendoli, nel pubblicare l’articolo del 12 febbraio scorso, scrissero di email criptate e messaggi riservati nei quali i funzionari del gruppo elvetico discutevano tra loro di conti segretati e intestazioni fittizie. Come no.
Non è certamente grazie all’articolo del settimanale radicalchic che le Fiamme Gialle hanno potuto dipanare la matassa di polizze assicurative farlocche, ma grazie a un lavoro investigativo durato quasi due anni in gran parte basato, come spesso accade in queste circostanze, sulle ammissioni di personaggi coinvolti ai quali è stata promessa riservatezza, anzi obliterazione, relativamente a certe debolezze ed a certi vizietti. Non piace? È così che funziona, baby.
Oggi il virginale mondo finanziario grida allo scandalo: polizze assicurative farlocche per costituire all’estero la stratosferica disponibilità di, stando ai riscontri, 14 miliardi di Euro. Nihil sub sole novi: è un sistema vecchio come il mondo. Destino 100 ad una polizza di assicurazione sulla vita a cosiddetto premio unico, mia o aziendale, che va quindi imputata nei costi. Per la legge italiana un’assicurazione sulla vita è insequestrabile ed impignorabile.
Bene, se la polizza è in capo ad una banca svizzera il “monte” è presso la sede istituzionale e territoriale della banca stessa, cioè in Svizzera.
Una volta che la polizza è attivata, vado (fisicamente, perché mi tocca) in Svizzera e riscatto la polizza. Al netto dei caricamenti, cioè delle spese vive e tra queste la provvigione dell’agente che l’ha stipulata, e del costo finanziario, vale a dire della monetizzazione della previsione di guadagno sull’investimento che la Compagnia, in questo caso la banca, avrebbe potuto conseguire amministrando i valori da me conferiti sottoscrivendo la polizza, recupero circa il 65% della somma sottoscritta. Considerato che la pressione fiscale sarebbe almeno del 47% è un guadagno.
Ovviamente tramite la stessa banca la reinvesto in modo sicuro e lontano da sguardi indiscreti. Fine della storia.
Se confermate, le accuse a carico di Credit Suisse rappresenterebbero una gravissima violazione alle norme internazionali antiriciclaggio. E con questo? A mio parere Credit Suisse non ha fatto altro che svolgere, onorevolmente e con professionalità, il proprio mestiere di banca svizzera. E senza ipocriti paludamenti etici.
Sono i Fabbichètta briantei, caso mai, quelli sui quali ci sarebbe da dire: quelli che lamentano la stretta creditizia, la pressione fiscale, il mancato aiuto di non si sa quale stato quando sono loro i primi a tentare in ogni modo di fotterlo, questo stato, e con lui i loro concittadini. Perché, come affermò anni fa l’allora presidente degli industriali brianzoli del legno e del mobile, praticamente mio suocero: la ricchezza di pochi vive della povertà di molti, è inutile stare a menarla, è così. E tutto il resto è finzione, bigottismo, ipocrisia.
Fine del cinema.
Ah no, dimenticavo: qualcuno si sarà chiesto perché ho citato i “fabbrichètta briantei”. Perché rappresenterebbero, allo stato delle indagini, il 64% dei sottoscrittori delle polizze farlocche.

Alberto C. Steiner

Siegi am Stilfserjoch

Vi sono persone che ad un certo punto trovano il coraggio di ascoltarsi, e scelgono.CC 2016.03.07 Siegi 003Una di queste è Siegi: ha lavorato in banca per un quarto di secolo, giù in valle, e quando è morto suo padre ha sentito il bisogno di ritrovare il contatto con la natura tornando al paese, dove vivono prevalentemente gli anziani perché i ragazzi se ne vanno per studiare e spesso non tornano più. 500 anime a 1.300 metri di altitudine dominati dal massiccio dell’Ortles con i suoi 3.905 metri e le sue nevi perenni.
A sud l’Adamello e la Valcamonica, a ore sette la Valtellina, a ore nove i Grigioni e il Bernina, a est la Vinschgau che, all’orizzonte, si apre sulla piana di Merano.CC 2016.03.07 Siegi 002Stilfs, in italiano Stelvio: un luogo molto diverso dai presepi altoatesini. Qui c’è una sola strada, quella che passa sotto il Dreisprachenspitze – in italiano banalmente Cima Garibaldi, che forse millantò di aver dormito anche qui – con le sue rampe ed i suoi quarantotto tornanti ancora considerata palestra dell’ardimento da trogloditi che per dimostrare quanto sono cazzuti la percorrono in moto e in auto, strappando urla strazianti ai motori tirati allo spasimo o imballati da inutili scalate. E ogni tanto qualcuno frena troppo tardi.
Per il resto si va a piedi fra boschi, costoni e prati quasi verticali, ed è qui che Siegi si dedica totalmente alle erbe, che coltiva e raccoglie nei campi a duemila metri, di proprietà della famiglia da generazioni e mai concimati con sostanze chimiche o sintetiche, per cucinare e per farne tisane, medicamenti o cosmetici. Ha ottenuto il permesso di raccogliere alchemilla, biancospino, borsa del pastore, crespino, eufrasia, olivello spinoso, prugnolo, rosa canina e, in più, d’estate sfalcia i prati per raccogliere il fieno, che è riuscito a far certificare come “Fieno d’alta montagna Sudtirolese”. Durante l’essiccazione l’inebriante profumo delle 40 diverse qualità si confonde con quello del legno stagionato.CC 2016.03.07 Siegi 001Siegi è noto anche per allestire, ogni estate, una specie di palcoscenico sul tetto del suo maso, destinato ad ospitare concerti. Questa iniziativa ha un nome: Stilfs Vertikal, Stelvio Verticale.
Nel maso, e nella Stube, accoglie anche gli ospiti ai quali fa assaggiare le sue proverbiali tisane e qualche bicchiere di Blauburgunder, di Traminer o di grappa con erbe capace di resuscitare i morti.
Molti vengono ad aiutarlo nel periodo della raccolta, in cambio Siegi offre vitto e alloggio. Vengono da Austria, Germania, Svizzera e persino da Finlandia e Olanda. Dall’Italia se ne vedono ben pochi.

Alberto C. Steiner

Nuovi giocattoli bancari: la Bad Bank. A spese dei contribuenti.

“Mi credo che i scrivi sta roba per insempiar la gente”, avrebbero sentenziato Carpinteri e Faraguna, le glorie satiriche del quotidiano triestino Il Piccolo.
Invece no, è tutto vero e se ne sta discutendo in questi giorni. Ma in che cosa consiste la Bad Bank per le sofferenze, ed in particolare per quelle immobiliari? Assolutamente in nulla di nuovo e, naturalmente, in nulla che si possa fare senza il consenso di Commissione e BCE.CC 2016.03.03 Bad Bank 1Ma vediamo come funzionerà il giocattolo: lo schema di accordo prevede che il Tesoro presti, dietro una remunerazione che dovrà essere di mercato per evitare l’accusa di aiuto di Stato, una garanzia fideiussoria alle società-veicolo costituite ad hoc – la o le bad bank – per l’acquisto dei crediti in sofferenza oggi detenuti dalle banche italiane. Non di quelli buoni, bensì di quelli marci: anomali, tossici, di dubbia esigibilità.CC 2016.03.03 Bad Bank 4Le società veicolo compreranno dunque i crediti in sofferenza effettuando un investimento che sarà remunerato attraverso due meccanismi: incassando i crediti da quegli stessi debitori in sofferenza che già facevano fatica a ripagare (meglio, che non ripagavano proprio) le banche o, se non dovesse essere sufficiente, escutendo la garanzia rilasciata dallo Stato.
Lo Stato si accollerà quindi, almeno parzialmente, il rischio credito connesso al mancato rimborso delle sofferenze attualmente nella pancia delle banche e lo sforzo sarà tanto più oneroso quanto più alto sarà il prezzo che le bad bank dovranno pagare alle banche per l’acquisto. Quello che rende complicato un meccanismo apparentemente semplice è proprio il fatto che il prezzo di cessione dei crediti sarà inevitabilmente condizionato dal valore al quale essi sono attualmente iscritti nei bilanci delle banche. Valore ormai ampiamente esuberante rispetto al valore di mercato dei beni a suo tempo costituiti a garanzia.CC 2016.03.03 Bad Bank 3Faccio un esempio: immaginiamo un prestito in sofferenza del valore nominale di 1.000 Euro, a suo tempo garantito da un immobile del valore di 1.000 ma iscritto per 3.000, e già c’era qualcosa che non quadrava… Il prestito sarà stato svalutato in funzione delle concrete probabilità di recupero, per definizione inferiori al 100% trattandosi, appunto, di sofferenze; la banca, cioè, avrà già registrato nel conto economico degli anni passati una perdita pari alla quota del credito che non ritiene più recuperabile. Ora, se ipotizziamo che la svalutazione sia stata del 50% (e quindi che la banca immagini ancora di recuperare il residuo 500) e che non voglia subire ulteriori perdite, il credito dovrà essere venduto a un prezzo non inferiore a 500. In caso contrario, la stessa cessione alla bad bank genererà altre perdite nei bilanci delle banche, e la necessità di nuovi aumenti di capitale. Come si fanno gli aumenti di capitale? Semplice: mungendo il parco buoi, vale a dire i risparmiatori sottoscrittori delle azioni della banca.
Si dà il caso che il grado di svalutazione medio delle sofferenze nei bilanci bancari vada da un minimo del 43% (Banco Popolare) a un massimo del 65,3% (Montepaschi).
E si dà anche il caso che, secondo le previsioni, il prezzo medio stimato per le cessioni di portafogli di sofferenze sia intorno al 25%-30%; se queste stime si rivelassero corrette, il sistema bancario si troverebbe difronte alla concreta possibilità di dover sopportare nuove perdite per una cifra vicina ai 40 miliardi di euro, rappresentati da quel 10-20% medio di delta tra grado di svalutazione e prezzo di cessione, se vorrà davvero liberarsi delle sofferenze.
Ci ritroveremo, dunque, da un lato le banche che tenteranno di tenere il prezzo dei crediti più alto possibile, dall’altro le bad bank che cercheranno di abbassarlo temendo di perdere parte dell’investimento necessario ad acquistarli. In mezzo rimarrà il Tesoro, che con le sue mirabolanti fideiussioni a garanzia rischierà di fare la fine del vaso di coccio tra i due vasi di ferro, prendendosi perdite scaricate dagli altri.
Non ci credete? Per averne la riprova basta chiedere dove le bad bank prenderanno i soldi per comprare i crediti. Nel posto più vicino e semplice da immaginare: saranno prestati dalle stesse banche cedenti. La bad bank emetterà obbligazioni, le obbligazioni verranno acquistate dalla banca cedente e la bad bank utilizzerà il danaro raccolto per acquistare i crediti, così restituendolo alla stessa banca cedente. La banca cedente metterà successivamente sul mercato i titoli, completando così nei fatti una cessione fino a quel momento effettuata solo sulla carta.
Sembra un po’ strambo, ma questo meccanismo è usuale nelle operazioni di cosiddetta cartolarizzazione, e comporta un rischio: che il prezzo di cessione dei crediti non corrisponda al loro valore reale perché negoziato tra due controparti non indipendenti tra loro. Nelle operazioni di mercato questo rischio è trascurabile, poiché la banca sa bene che se vuole liberarsi dei titoli emessi dalla bad bank, deve farlo a prezzi corretti pena il rischio di non trovare compratori. Ma siamo sicuri che accadrà la stessa cosa anche in un’operazione in cui interviene lo Stato con la sua garanzia? E’ evidente che in questo caso le banche e le bad bank potrebbero avere la tentazione di gonfiare i prezzi, approfittando della presenza del Tesoro e delle sue garanzie per scaricare sui contribuenti gli effetti della sopravvalutazione dei crediti ceduti.CC 2016.03.03 Bad Bank 2Negli Stati Uniti sarebbe addirittura considerato illegale e fioccherebbero condanne fino a 75 anni di detenzione, che non verrebbero trascorsi al centro clinico del carcere o ai domiciliari…
Ora possiamo finalmente tornare alla domanda dalla quale siamo partiti: questo meccanismo può funzionare senza il consenso dell’Unione Europea? Considerato che la garanzia statale sarà finanziata dallo Stato in deficit, che il deficit sarà coperto dal debito pubblico, che il debito pubblico italiano viene abitualmente acquistato dalla BCE nel contesto del programma di Quantitative Easing e che seduti nel board della stessa BCE non ci sono proprio dei fessi… beh, direi che la risposta è abbastanza semplice. Fine della storia e…. chi vuol esser lieto sia.

Alberto C. Steiner

Curiosità: Urban Farming nel 1600

Zappare all’ombra dei palazzi: non più un’occupazione da pensionati ma un’attività finalizzata a riqualificare aree verdi urbane incentivando forme di aggregazione tra cittadini, fornendo occasioni di svago per il tempo libero, e scoprendo l’importanza e la salubrità del ritorno alle origini, per esempio consumando cibo locale e di stagione evitando così i costi, il dispendio energetico e le emissioni derivanti dai trasporti su lunghe distanze.Cesec-CondiVivere 2015.03.24 Orti urbani 001Ma gli orti urbani non sono affatto una novità: a parte quelli di guerra che i nostri nonni ricordano ancora, dal XVI al XX secolo i coltivatori urbani di frutta e verdura crebbero esponenzialmente, in particolare nel bacino del Mediterraneo, Francia, Gran Bretagna e Olanda, utilizzando solo fonti energetiche che oggi definiamo rinnovabili.
Una delle tecniche maggiormente in uso, alternativa alle costosissime serre, era costituita da muri sui quali arrampicavano piante disposte a spalliera. Durante il giorno i muri assorbivano luce e calore solare, che rilasciavano durante la notte, creando un microclima in grado di sviluppare una temperatura sino a 10° C superiore rispetto a quella dell’ambiente circostante.CC 2016.02.29 Urban Farm 001Interi sobborghi cittadini apparivano come nella fotografia pubblicata sopra che mostra un frutteto urbano, scattata a Montreuil, presso Parigi, nella seconda metà dell’Ottocento.
Fu solo sul finire del XIX secolo che le serre si diffusero grazie al costo del vetro divenuto abbordabile e per merito di sistemi di riscaldamento artificiale efficaci e poco costosi.
(Sullo stesso argomento abbiamo scritto il 24 marzo 2015: Hortus Urbis. Ma anche su terrazzi e balconi è boom).

Alberto C. Steiner

Parco Sud Milano: e se le case di riposo diventassero fattorie?

Il Parco agricolo Sud Milano, area estesa per 46.300 ettari che interessa il territorio di 61 comuni,  comprende le tre antiche abbazie cistercensi di Chiaravalle, Mirasole e Viboldone, alcuni castelli, storici complessi agricoli fortificati e ben 1.400 aziende agricole.CC 2016.02.26 Parco Sud 001Il Parco Sud ha visto molte idee, tanti progetti, convegni a non finire ed i suoi prati sono stati idealmente calpestati da innumerevoli passerelle elettorali. Ma ancora oggi stenta a decollare una seria attività di coordinamento che muova da un’univocità di intenti, tanto è vero che ogni tanto qualcuno si pone delle domande. Per esempio il Comune di Cesano Boscone, che il 29 gennaio scorso ha organizzato la serata di informazione  “Il Parco Agricolo Sud Milano ha un futuro?”, momento di confronto pubblico pensato per conciliare l’ambito agricolo e quello cittadino, ricercando provvedimenti strutturali per diminuire le emissioni e per far conoscere le ricchezze di un territorio che può consentire l’avvio di nuove economie, basate sulla valorizzazione del made in Italy e del capitale umano. Insieme con agricoltori (pochi) ed istituzioni (scarse) vi hanno preso parte Giovanni Gottardi del WWF, Renato Aquilani dell’Associazione per il Parco Sud Milano, Domenico Finiguerra di Salviamo il paesaggio e Michela Palestra, Presidente del Parco.
Insomma: Nihil sub sole Novi Ligure, direbbero in provincia di Alessandria…
Fortunatamente il territorio del Parco comprende anche realtà dove non si convegna e non si chiacchiera ma si lavora concretamente e senza bisogno dei riflettori. Per esempio la Comunità Nocetum: questo luogo di spiritualità, accoglienza e condivisione situato nella Cascina Corte S. Giacomo, all’estrema propaggine meridionale di un quartiere da sempre considerato difficile, il Corvetto, promuove la connessione tra città e ambito rurale accogliendo al proprio interno un alloggio per donne in situazione di disagio e fragilità sociale e per i loro bambini ed organizzando percorsi didattici per scuole e gruppi, attività di volontariato ed iniziative per favorire l’integrazione, la coesione sociale e la valorizzazione del territorio.CC 2016.02.26 Parco Sud 002Ma anche altri nel Parco, per esempio mentre a Milano si inaugurava la monumentale esposizione sul cibo di plastica, continuavano a lavorare silenziosi, su piccola scala, attenti alla qualità e alle relazioni umane: agricoltori, gruppi, associazioni e reti che credono in un modo diverso di produrre, distribuire e consumare cibo. Sarà l’energia dell’ora et labora che ancora, a distanza di secoli, emana da quella terra? Chissà, può essere…
Alcuni progetti interessanti potrebbero riguardare la possibilità di far incontrare anziani e giovani per dialogo e scambio di conoscenze ed insegnamenti in un’ottica di aiuto reciproco, anche economico. Oggi sono considerati mondi lontani l’uno dall’altro, per via dell’età e degli spazi e dei momenti passati insieme, ma una volta accadeva spontaneamente: dove andava a vivere il giovane universitario fuori sede? A casa della vecchia zia che stava proprio nella stessa città sede della Facoltà. Oggi che l’assottigliamento delle vecchie zie ha assunto connotati preoccupanti, si potrebbe riscoprire ex-lege quello che il buon senso intergenerazionale aveva sempre dato per scontato. Ed ecco, per esempio, un centro di alloggio per anziani dove gli studenti potrebbero soggiornare gratis in cambio di un monte ore da dedicare a compagnia e supporto degli ospiti. E i ragazzi risparmierebbero almeno 500 Euro al mese di affitto insegnando, che ne so, l’uso di internet ed e-mail od organizzando il tempo ai nonni putativi i quali (non si sono assottigliate solo le zie, ma anche i nipoti, complice il drastico crollo delle nascite) sarebbero felici di chiacchierare con i ragazzi.
E se in questo mélange generazionale – lasciando stare l’ipotesi di trovare una zia ricca e sola, senza eredi e che veda nel giovane virgulto un perfetto erede da adottare – ci si inventasse una home farm e la casa di riposo diventasse una fattoria urbana? Dov’è scritto che la terza età debba essere considerata una specie di parcheggio in attesa della morte?CC 2016.02.26 Parco Sud 003Trasformare una casa di riposo in fattoria urbana non sarebbe difficile: gli anziani avrebbero un ruolo attivo coltivando frutta e verdura per autoconsumo e per la vendita. A costo quasi zero sarebbe terapeutico anche sotto il profilo della forma fisica, visto che è noto come essere attivi, avere dei progetti e vederne i risultati mantenga giovani, giovi all’umore e al fisico. Sembra un’ovvietà? Certo, lo è. Proprio per questo basta poco per trasformarla in realtà, oltretutto contribuendo alla tutela del territorio ed al recupero di edifici altrimenti destinati ad un progressivo degrado.

Alberto C. Steiner

BreBeMi, un fallimento annunciato

Secondo i dati diffusi da Legambiente e Aiscat nel 2015 la media dei passaggi non avrebbe superato i 35mila veicoli giornalieri. Che la BreBeMi fosse un’autostrada non molto frequentata era apparso chiaro sin dai primi giorni della sua apertura, ed ora i numeri ne certificano il fallimento. CC 2016.02.25 BreBeMi 001Addirittura un tracollo, visto che l’autostrada non solo non raggiunge i 120mila veicoli giornalieri preventivati in sede di progetto, ma neppure quei 60mila auspicati dai vertici della Società per garantirne il minimo fisiologico. A fare da contraltare i numeri in crescita sulla A4, dove  il traffico è aumentato fino a toccare nel tratto Milano-Brescia i 290 mila veicoli/giorno.
“Sono numeri imbarazzanti per un’autostrada che doveva essere pagata tutta dai privati ma che invece è già costata alla collettività 2,4 miliardi contro gli 800 milioni preventivati” ha dichiarato il responsabile trasporti di Legambiente Dario Balotta, aggiungendo che “si tratta di soldi ai quali vanno aggiunti i 280 milioni, 60 dal Pirellone e 180 dallo Stato, che BreBeMi riceverà nei prossimi 20 anni.”
La Società concessionaria però smentisce, dichiarando sul proprio sito una media giornaliera di 40mila veicoli nei giorni feriali e ricordando che il volume di traffico prefissato sarà raggiunto una volta terminati i lavori sul nodo di Brescia.
Per Balotta la soluzione è una sola: lo Stato attraverso l’Anas deve riprendersi la concessione e offrire il servizio gratis ai cittadini che l’autostrada l’hanno pagata già tre volte: con le tasse, con le tariffe e con i 900 ettari di suolo cementificato.
“Il fallimento di BreMeMi lo dovranno pagare i privati, i costruttori e le banche perché BreBeMi è l’emblema di un disastro economico e ambientale voluto dai privati e dalla connivenza con amministratori complici del potente di turno”, ha commentato il consigliere regionale M5S Violi.CC 2016.02.25 BreBeMi 002Sin qui la notizia, che può essere verificata con una semplice ricerca su Google e non necessita di commenti. Mi sorgono però spontanee alcune considerazioni: circa il trasporto merci su strada Siemens ha condotto a termine con successo l’esperimento di trazione elettrica, attrezzando alcuni autocarri Mercedes con motore elettrico bimodale ed un tratto stradale con bifilare per l’alimentazione. Nulla di nuovo, intendiamoci: da noi esisteva dal 1940 al 1958 la Filovia dello Stelvio, impiantata in Valtellina dall’AEM, Azienda Elettrica Milanese, da Tirano a Bormio e sino al bacino artificiale di Cancano per la costruzione delle dighe. Una volta conclusasi l’attività cantieristica l’impianto, della lunghezza di circa 40 km ed in grado di superare pendenze proibitive venne smantellato nonostante ipotesi per un suo riutilizzo.pirippiQuanto al concetto di trasporto, mentre in altri Paesi vengono potenziate linee ferroviarie e tramviarie anche al servizio di centri minori, da noi si insiste nell’illusione personalistica del trasporto individuale, camuffandolo con veicoli ibridi e car-sharing, chiudendo o lasciando andare in malora strutture esistenti.

Alberto C. Steiner

E il Maestro disse: in Real Estate we trust

Fu un’operazione immobiliare condotta magistralmente. La leggenda dice che grazie ad uno dei soci fondatori, di famiglia benestante, che monetizzò un prezioso dipinto presso Sotheby’s, fu possibile acquistare alla fine degli anni ’90 un vasto appezzamento di terreno sulle colline dell’entroterra romagnolo recuperando gli edifci e creando un centro di meditazione che aveva tutte le caratteristiche del resort di lusso: ristorante, pizzerie, lounge bar, discoteca, piscine. Oltre agli spazi dedicati alla meditazione beninteso.
Il lavoro svolto da volontari che, in cambio della propria opera godevano di vitto, alloggio, argent de poche ed accesso alle meditazioni contribuì a contenere i costi, i programmi interessanti e l’apertura del centro anche ad esterni mantennero alto il fatturato.CC 2016.02.17 in Real Estate we trust 001Oggi il complesso chiude: necessità strutturali alle quali non è possibile far fronte, insostenibilità dei costi, difficoltà di reperire woofers faranno sì che a primavera, in luogo della riapertura, verrà celebrata una festa di addio e il sito verrà definitivamente trasformato in un luogo di ricettività alberghiera con una quota di superficie pensata per una residenza in cohousing e per attività collaterali di stampo editoriale, formativo ed artigianale.
Mi dispiace. Perché era un posto bellissimo e perché uno dei fondatori mi piaceva molto: era un vero e proprio zanza, un furbacchione come si dice a Milano, ma sincero. Con i suoi baffetti da sparviero ed il suo sguardo da tombeur de femmes ti diceva che ti stava fregando, e te lo diceva con chiarezza. Stava a te decidere se credere o meno a ciò che lui si divertiva a proporre, compresi i costosissimi corsi della light impulsive university of love che si era inventato, riconosciuta da se stessa e, si vabbè, dal solito Sicool e da Conacreis….
Tra la fine del 2015 e l’inizio di questo 2016 circostanze legate alla mia professione mi hanno condotto ad interessarmi di immobili circostanti i più affermati centri di meditazione della Penisola: sino a non molti anni fa c’era la corsa all’accaparramento di case vicine allo spirito ed all’energia del Maestro, chiunque egli fosse.
Non infrequentemente il maestro in questione, previdente e – oh poppacco, illuminato! – aveva fatto incetta di edifici e terreni, normalmente rurali, vicini al centro. Spesso veri e propri ruderi ma i cui prezzi subivano un’impennata grazie alle richieste ed agli scambi tra adepti. Ristrutturazione e arredamento erano spesso pilotati attraverso imprese di altri confratelli, sodali, correligionari o come li vogliamo chiamare. E il bisnèss era assicurato, portando non infrequentemente benefici anche all’indotto degli immobili e delle attività sul territorio, quelle gestite da coloro che i meditazionisti militanti definiscono i normali.
Oggi, come cantava Battisti, tutto questo non c’è più: gli scambi immobiliari languono, nessuno riesce a vendere immobili spesso infognati in boschi privi di servizi e comode vie d’accesso. E quindi ciao.CC 2016.02.17 in Real Estate we trust 002Mi limito ad enumerare i casi della cittadella di Cisternino, l’ashram aperto negli anni Settanta da Lisetta Carmi in valle d’Itria, nel nome del maestro Babaji che in India l’aveva fulminata: “Ci occorrono mano d’opera, risorse economiche. Benvenuto chiunque voglia aiutare per le ristrutturazioni e con donazioni in denaro” dichiarava nel febbraio 2015 alla Gazzetta del Mezzogiorno.
O quello della comunità di Damanhur, a Baldissero Canavese: deceduto il fondatore e dominus sta facendo la fine della Jugoslavia del dopo Tito.
O il villaggio Hare Krishna di Medolago, nella Bassa Bergamasca, per non parlare di Ananda, il centro vicino Assisi creato dai seguaci di Paramahansa Yogananda.
O il centro di Osho a Miasto, o l’Istituto Lama Tzong Khapa di Pomaia, per finire con l’Albagnano Healing Meditation fondato nel 1999 dal Lama tibetano Gangchen Rinpoche, affacciato sul Lago Maggiore in provincia di Verbania.CC 2016.02.17 in Real Estate we trust 003Anche in ambito urbano si assisteva, sino a non molti anni fa, al fenomeno di chi acquistava casa in prossimità del centro di meditazione: a Milano presso due centri di Osho, a Firenze gravitando attorno ad una delegazione della comunità di Damanhur, a Roma nei pressi di numerose congreghe.
Intendiamoci: il fenomeno era presente anche a San Giovanni Rotondo o alla Verna, per citare solo due fra i maggiori luoghi di aggregazione della fede cattolica.
Le motivazioni sono diverse, ciascuna connotata da un’impronta personale, e non sta a me fare sociologia d’accatto. Io mi limito ad evidenziare un fenomeno immobiliare e, lo ammetto, non senza un lieve sorrisino sardonico.
Ma le mie considerazioni personali sono fatti miei. Per quanto mi consta, in questo ambito ho progettato con successo, alcuni anni fa, la ristrutturazione finanziaria ed immobiliare di un complesso mistico sciamanico in provincia di Verona che stava andando alla malora in ragione delle manie di grandezza delle titolari; ho sudato le proverbiali sette camicie per ottenere mille euro di fondo spese in luogo delle diecimila che a chiunque altro avrei fatturato per il progetto di recupero di un centro milanese: ma i suoi promotori erano convinti che cemento, infissi, scossaline ed oneri di urbanizzazione potessero essere pagati attraverso l’infusione dello spirito del Maestro ed ovviamente non si è combinato nulla; ho proposto il recupero di un appezzamento nell’Alessandrino e fui guardato con malcelato disprezzo quando spiegai che intendevo solo svolgere il mio ruolo di progfessionista ma non partecipare: è stato bello, teniamoci in contatto, chiamo io. Queste tre esperienze mi sono state sufficienti.
Un caso a parte, assolutamente controcorrente proprio perché non promana dall’energia mistica od estatica di qualche guru bensì dall’unione di risorse laiche in un ambito olistico marcato da profonda professionalità, si trova in provincia di Piacenza: ecovillaggio, cohousing, centro di formazione senza la pretesa di fornire lauree od attestati di dubbia efficacia, complesso agrituristico di notevole qualità, vasto appezzamento coltivato all’insegna della concretezza e della cultura del lavoro. E questo è quanto. Peace&love.

Alberto C. Steiner