Dall’abbandono alla rinascita: è possibile.

L’argomento è complesso, proverò a dipanarlo scrivendone. In sostanza si tratta di affermare, se non di dimostrare, che la Terra, nostra Madre, matrice e, anche se molti tendono a dimenticarlo, fonte di Vita, può essere salvata dal degrado e dall’abbandono.
Riqualificata e riportata a nuova vita può nutrirci, costituire fonte di lavoro e di reddito, rasserenarci attraverso quel senso del bello che solo un orto, un campo, un giardino, un bosco possono darci e proteggerci in cambio dell’attenzione che le dedichiamo.
In che senso proteggerci? Semplice: pensiamo solo all’attenzione che dedichiamo alla cura del bosco, a riportare in quota sassi rotolati, a riformare muretti a secco, a ripulire sentieri, alvei di fossi e torrenti. Ecco, quell’attenzione si chiama cura del territorio. In cambio la Terra non si sentirà più violata, offesa, trascurata. E non esprimerà, nel limite del possibile, quell’urlo di dolore che assume la forma della frana, della slavina, dell’esondazione.
Esistono, nel nostro Paese, innumerevoli appezzamenti un tempo coltivati ed ora lasciati nel più completo abbandono, anche in aree strategiche; esattamente come nelle campagne abbondano edifici che con pazienza e amore possono essere riportati a nuova vita.Cesec-CondiVivere 2014.10.22 Abbandono e rinascita 003Non sto parlando di quel vado a vivere in campagna tanto caro a manager, creativi, modaioli, portaborse, contesse e saltimbanchi degli anni Ottanta e Novanta del secolo scorso: quelli furono due decenni che fecero lievitare oltre misura i prezzi degli immobili rurali, enucleandoli ulteriormente da un territorio già depauperato di suo sotto i profili sociale e culturale, trasformando la casa di campagna in un oggetto patinato, con l’obbrobrio del cotto antichizzato e dell’immancabile catino sul trespolo ritrovato al mercato dell’antiquariato. Quello fu il periodo del buen retiro. Oggi, muti testimoni di quell’epoca luccicante, molti di quegli edifici languono abbandonati, talvolta perché posti sotto sequestro dall’autorità giudiziaria.
No, mi riferisco a gruppi di persone che ricercano l’opportunità di acquistare appezzamenti di terreno per viverci la vita di ogni giorno, secondo un concetto di solidarietà, decrescita e prossimità alla natura. Persone che vogliono sporcarsi le mani con la terra impiantando filari, spollonando, coltivando, sarchiando, allevando, recuperando specie, concetti e saperi. Magari, ma non necessariamente, secondo un intento di proprietà comune.
Addentrandomi nell’argomento citerò un esempio, minimo ma significativo, di come il territorio possa essere recuperato, ed in questo momento storico a costi vantaggiosi attraverso la negoziazione di beni assoggettati alle vendite giudiziarie.
Ma prima desidero riportare un passo in grado di colpire e far riflettere per la sua forza evocativa, proveniente da Le stanze del Tempo e riguardante una zona del territorio piemontese. E’ legato ad un filmato tanto breve quanto intenso, visionabile qui, e si intitola Crote e Crotin:Cesec-CondiVivere 2014.10.22 Abbandono e rinascita 005Queste grotte sono state scavate nella terra sabbiosa a partire dal XIII secolo. Le Crote, così chiamate dagli abitanti del posto, svolgevano la funzione di vere e proprie case abitate dai contadini. Fino all’inizio del Novecento hanno offerto ricovero a persone della zona e con il passare del tempo sono state trasformate in depositi attrezzi ed abbandonate. Ai nostri giorni, molte, sono state recuperate per ricordare il mondo contadino ed un’epoca oramai completamente perduta. Sono opere anche complesse estese all’interno della collina.Cesec-CondiVivere 2014.10.22 Abbandono e rinascita 007Si dice che in queste crote e crotin vi siano dei fantasmi. E’ interessante il fatto che le storie di fantasmi non sono frequenti in questa zona ed è molto significativa la loro presenza. Non so se si tratta di spiriti malvagi e la loro presenza ha un grande valore per la tradizione locale. La popolazione ha imparato ad accettarli come presenze necessarie…. insoliti guardiani di posti che per molto tempo sono stati vissuti da sofferenza e fatica ma oggi quasi in abbandono.
Secondo Freud: i rimproveri ossessivi dei vivi diventano patologicamente l’ira del fantasma, che da corpo alle pulsioni del nevrotico… In questo luogo non c’è nulla di tutto questo ed è un gran mistero.Cesec-CondiVivere 2014.10.22 Abbandono e rinascita 006E veniamo al dunque.
Alla fine dello scorso mese di settembre presso il Tribunale di Genova avrebbe dovuto tenersi il terzo esperimento di vendita relativo ad un lotto costituito da 41 appezzamenti di terreno contigui situati nel comune montano di Valbrevenna, estesi complessivamente per poco più di quattro ettari destinati a prato, bosco ceduo, castagneto da frutto, seminativo e pascolo e comprendenti alcuni fabbricati rurali bisognosi di ristrutturazione.
Il prezzo a base d’asta, fissato in € 13.738,50 – come vedremo destinato ad un notevole ribasso per effetto di una negoziazione extra-asta a saldo e stralcio – venne definito nella misura di € 18.318,00 nelle sessioni d’asta tenutesi il 25 settembre ed il 2 ottobre 2012, che  andarono inesitate. La relazione peritale originaria,risalente all’ottobre 2009, fissava un valore di € 21.550,03.
Sin qui la notizia: un’asta inesitata come tante nonostante un controvalore che, oggetto di significativi ribassi ed oggettivamente non più capiente rispetto al debito che avrebbe dovuto ripagare, avrebbe potuto significare un vero affare per l’acquirente.
Il significato della notizia è invece ben altro, e riguarda il progressivo abbandono delle aree boschive e montane che, dopo un arresto durato pochi anni, ha ripreso a falcidiare il nostro Paese con le inevitabili conseguenze economiche, sociali ed ambientali legate alla conservazione ed alla tutela del territorio.Cesec-CondiVivere 2014.10.22 Abbandono e rinascita 001Il caso specifico merita una breve analisi: non è un luogo sperduto, inaccessibile, gravato da condizioni climatiche proibitive e privo di servizi perché Valbrevenna, in provincia di Genova dalla quale dista circa 40 km, è un comune montano agevolmente raggiungibile con l’autostrada A7 e con la ferrovia, anzi con due ferrovie.
Il suo territorio coincide pressoché interamente con il bacino dell’omonimo torrente, che origina alle pendici del monte Antola a quota 1.597 ed è affluente del torrente Scrivia sulla sua destra idrografica.
Conta poco più di 800 abitanti distribuiti in otto frazioni ad un altitudine compresa fra 533 e 1.597 metri sul livello del mare, la sua superficie assomma a 35,2 km² e la sua economia locale è prevalentemente agricola.
Fa parte del Parco naturale regionale dell’Antola e confina con Crocefieschi, Montoggio, Propata, Savignone, Torriglia (il cui territorio si estende anche nella valle del Trebbia), Vobbia e con Carrega Ligure in provincia di Alessandria. Una menzione particolare merita l’adiacente abitato di Casella, dove si attesta la ferrovia a scartamento ridotto proveniente da Genova, attualmente in corso di riqualificazione.
La maggor parte delle frazioni conta pochi residenti stabili e i ripidi versanti della valle in cui si sviluppa sono prevalentemente ricoperti di boschi di castagno, rovere, carpino e frassino. Alle quote più alte si trovano prati e pascoli mentre le esigue aree coltivate, organizzate a terrazzamenti con muri a secco, sono per gran parte abbandonate.
I nuclei abitati sono disposti a mezza costa lungo i percorsi delle antiche mulattiere che percorrendo la valle conducevano verso Piemonte e Lombardia.
I nuclei storici dei paesi sono caratterizzati da case in marna, pietra di estrazione locale, arroccate sui pendii con strette vie pavimentate in sasso e la chiesa generalmente staccata dalle case e in posizione dominante sulla valle.
Degno di nota è l’antico mulino ad acqua situato in una frazione, alimentato da tre piccoli bacini formati sbarrando un ruscello con muretti in pietra e recentemente restaurato: rimane l’unica testimonianza dei tanti che un tempo caratterizzavano la valle.
Le vie di comunicazione stradali sono rappresentate principalmente dalla S.P. 11 di Valbrevenna che collega il capoluogo Molino Vecchio con Avosso, frazione del vicino comune di Casella, da cui si diparte la S.S. 226 della Valle Scrivia che in una direzione conduce a Busalla ed alla bassa valle Scrivia, e nella direzione opposta collega Montoggio e Torriglia con il bivio della S.S. 45 della Val Trebbia. La S.P. 12 di Nenno, infine, collega il comune con Savignone e Crocefieschi attraverso un suggestivo percorso panoramico.
Una menzione particolare meritano le comunicazioni ferroviarie. Da Valbrevenna è agevole raggiungere la stazione di Busalla, situata sulla storica linea Torino-Genova realizzata tra il 1844 ed il 1853 e dal profilo planoaltimetrico decisamente tormentato.
Interessante inoltre la prossimità con il confinante comune di Casella, dal 1929 collegato con il capoluogo da una linea ferroviaria a scartamento ridotto, che si sviluppa per 24,318 km su un tracciato che offre imperdibili scorci paesaggistici ed è considerata una delle più belle ferrovie turistiche europee. Attualmente l’esercizio è sospeso in attesa di importanti lavori di riqualificazione agli impianti ed al materiale rotabile.Cesec-CondiVivere 2014.10.22 Abbandono e rinascita 004Il fondo citato in apertura si trova tra le frazioni di Chiappa e Senarega. Chiappa è un tipico borgo montano situato ad un’altitudine di 890 metri mentre Senarega, in posizione panoramica  ad un’altitudine di 715 metri, è un esempio di agglomerato medioevale caratterizzato da abitazioni rurali in marna con i tetti ricoperti dalle tipiche lastre di pietra: sul suo territorio, oltre al castello medioevale Senarega-Fieschi, insiste la cappelletta di Nostra Signora delle Grazie, presso l’antico ponte in pietra all’ingresso del paese.Cesec-CondiVivere 2014.10.22 Abbandono e rinascita 002La strada che da Senarega termina a 1.035 metri di altitudine in corrispondenza di Piancassino è estremamente disagevole: stretta, ripida e tortuosa costituisce il punto di partenza di uno degli itinerari più frequentati per il monte Antola, da qui raggiungibile in circa due ore di cammino. Lungo i sentieri si incontrano resti di abitati da tempo spopolati.
Sul territorio comunale vige ul regime di salvaguardia che ha fissato norme di tutela paesistica per le aree agricole boschive in mantenimento, nelle quali sono privilegiati gli interventi manutentivi rispetto alle nuove edificazioni.
La procedura esecutiva relativa al terreno esaminato origina nell’anno 2009. Secondo un’indagine che ho effettuato considerando il periodo intercorrente tra il gennaio 2009 ed il luglio 2014, il breve spazio di un quinquennio ha visto una drastica diminuzione delle superfici coltivate, ridottesi ben oltre il 60% rispetto ai valori iniziali. Molti terreni sono stati abbandonati sia dall’agricoltura sia dall’allevamento. Molti edifici non sono più abitati, dando luogo al fenomeno sempre più esteso di borghi e frazioni completamente abbandonate.
Ciò pregiudica la stabilità del territorio e comporta un grave rischio di dissesto idrogeologico, in un’area particolarmente esposta a fenomeni di smottamento ed erosione.
E’ cronaca recente il deragliamento di un treno Frecciabianca vicino Genova, per una serie di concause tra le quali l’apertura del cantiere TAV Terzo Valico e le abbondanti piogge che hanno interessato l’area genovese.
Nel generale abbandono, che ha interessato anche alcune attività agrituristiche locali, spiccano alcune meritorie iniziative promosse da agricoltori – tengo a precisare di provenienza non locale – che hanno scelto di dedicare risorse alla coltivazione biologica e biodinamica di specie rare ed a rischio di scomparsa ovvero di erbe aromatiche ed officinali e frutti di bosco, oltre che all’allevamento.
Nel complesso la situazione territoriale presenta un grave stato di abbandono con scarse possibilità di recupero, esattamente come in altre aree italiane dove i borghi disabitati e lasciati al degrado sono in pochi anni raddoppiati, raggiungendo l’incredibile numero di seimila. Questo è quanto e, come disse Jalaluddin Rumi: Quelli che non sentono questo amore trascinarli come un fiume, quelli che non bevono l’alba come una tazza di acqua sorgiva o non fanno provvista per il tramonto, quelli che non vogliono cambiare lasciateli dormire.
Ma, dopo aver letto questa specie di bollettino di guerra, a qualcuno potrebbe essere rimasta sospesa la domanda: Si, ma com’è andata a finire con quel terreno? La risposta è: Poiché l’asta sarebbe probabilmente andata deserta, è stata fatta un’offerta alla banca creditrice: 8.500 Euro, con i quali un gruppo di giovani coltivatori ha acquistato l’appezzamento aggregandolo ad altri che già possiede in zona.
Ottomilacinquecento contro quasi ventiduemila iniziali, non so se mi spiego…
Cambiare è quindi possibile. Servono solo la volontà delle persone e le competenze di quelli che oggi potremmo chiamare facilitatori: in grado di individuare le aree, negoziarne il controvalore nei termini più vantaggiosi, fissare i canoni di un progetto insieme tecnico e finanziario, ottenere fondi, mutui e finanziamenti ove necessario e portare a compimento l’intervento.
Perché non provarci, magari riuniti in piccoli Gruppi di Acquisto Terreni?

Alberto C. Steiner

Ringrazio Melissa Ghezzo de Le Stanze del Tempo per l’autorizzazione a riprodurre Crote e Crotin.

Ospitalità rurale? si, ma di charme

Esaminando i dati pervenutimi dagli IVG, Istituti per le Vendite Giudiziarie, relativi alle iscrizioni di aziende agrituristiche ed agricole nei ruoli delle vendite giudiziarie del bimestre 20 agosto – 20 ottobre riferite ai tribunali di Bologna, Cesena, Parma, Piacenza, Ravenna in Emilia Romagna; Udine nel Friuli Venezia Giulia; Brescia, Monza, Sondrio, Voghera in Lombardia; Arezzo, Lucca, Pistoia, Siena in Toscana; Belluno, Padova, Verona,Treviso in Veneto emerge che i contenziosi finanziari senza possibilità di ricomposizione hanno subito un incremento del 9% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, del 12,5% se parametrati alla media dell’ultimo quinquennio.Cesec-CondiVivere 2014.10.22 Ospitalità di charme 001Scrivevo l’8 corrente, nell’articolo intitolato Agriturismo, anche no, che secondo i dati Confcommercio-Confagri nel corso del 2013 sugli oltre 20mila agriturismi censiti il 22% aveva cessato l’attività mentre il 16% risultava inoperante.
E i dati disponibili a fine settembre di quest’anno erano tutt’altro che incoraggianti: complice il tempo inclemente le aspettative estive dei gestori si sono concretizzate solo nella misura del 53 per cento. Un disastro. Di pari passo i contenziosi bancari per mutui o finanziamenti non pagati hanno visto un incremento del 29% in un solo quadrimestre.
Paventavo quindi che entro un anno un ulteriore quota di aziende potesse chiudere e le proprietà finire nei canali delle vendite giudiziarie, dove peraltro le vendite del settore languono da anni per mancanza di acquirenti. Non sono per nulla felice che l’incremento del 9 per cento citato in apertura stia confermando le mie previsioni.
Concludevo l’articolo con un suggerimento dettato dall’esperienza: l’unica possibilità di fare agriturismo rimane quella di abbinarlo ad una reale attività agricola, agroalimentare o di allevamento costituente la fonte primaria di reddito. E ancora meglio se edifici e terreni sono di famiglia, in una visione non da Cassandra ma esclusivamente improntata a maggiore consapevolezza: il tempo degli sprechi è finito, è arrivato il momento di badare all’essenziale. E questo vale a maggior ragione per chi intende aprire attività in territori impervi o di montagna non facilmente raggiungibili dai clienti.
Dopo avere riferito della batosta estiva e ben sapendo che in prossimità dell’inverno si preannunciano tempi segnati dall’estrema difficoltà a far quadrare i conti ripropongo quanto scrissi oltre due anni fa, esattamente il 23 agosto 2012, in una relazione accompagnatoria al progetto di recupero del borgo medioevale di Vallerano, situato in provincia di Siena.Cesec-CondiVivere 2014.10.22 Copertina 23.08.2012Perché mai un Agriturismo dovrebbe essere di charme? Non si scontra forse, tale definizione, con l’immagine di una campagna rustica, essenziale, ecologica, in altre parole vera? Non significa che, fra le righe dei buoni proponimenti, si sta surrettiziamente realizzando l’ennesima Disneyland del Chiantishire?
Niente affatto. Finiti, e fortunatamente, sono i tempi in cui per essere responsabili ed ecosostenibili era d’obbligo offrire sistemazioni a dir poco spartane, in una logica di conformismo dell’anticonformismo: se non ti presentavi con i capelli raccolti nel codino, non ti rollavi le … sigarette, non indossavi braghe di cotone indiano a righe eri irrimediabilmente out.
Si può essere ecosostenibili anche vestendo Armani, l’importante è non essere eco-compatibili, nel senso di non suscitare compatimento…
Usiamo il cellulare, l’i-pod e pure l’i-pad e il Tablet, non abbiamo voglia – e forse non l’abbiamo mai avuta – di dormire nel sacco a pelo, l’attenzione alle emissioni di metano non ci impedisce di azzannare, letteralmente, una costata di Chianina, purché bio e possibilmente a chilometro zero.
Pur rispettando le opinioni di tutti assaporiamo il miele poiché non riteniamo che le api siano “sfruttate” e ci piace ridestarci fra lenzuola di lino profumate di lavanda osservando le antiche travature dei soffitti e le ancor più antiche pietre delle pareti che ci circondano, nella consapevolezza che le abbiamo amorevolmente recuperate con tecniche ecocompatibili: calce e pozzolana, per esempio. Sapendo che ci aspetta lo yoghurt di capra.Cesec-CondiVivere 2014.10.22 Ospitalità di charme 002Tutto questo a significare che, oggi, per famiglie, coppie, singoli l’ospitalità in campagna non può e non deve limitarsi ad offrire panorami, silenzi, cucina genuina ma deve poter accostare percorsi turistici, itinerari di benessere fisico e spirituale, corsi e seminari legati a diverse tematiche: ecologia, tutela del territorio, recupero di antichi sapori e mestieri, degustazione, esperienze spirituali non già tanto coreografiche quanto profonde, pet-terapy, o semplicemente il non far nulla, staccando la spina in un ambiente elegante ma non artefatto che consenta di rilassarsi profondamente appagando il senso del bello.
Il nostro obiettivo, pertanto, è quello di creare un vero e proprio punto di riferimento che, oltre ad essere un’azienda che dia stabilmente lavoro a non meno di ottanta persone, costituisca una garanzia di relax e benessere di ottimo livello.
Va tenuto presente che quanto scritto sopra riguarda un intervento su di un territorio che comprende 48 edifici e 127 ettari di terreno ad uliveto e bosco, comprendente una piccola centrale idroelettrica dismessa da ripristinare. Trattasi quindi di un caso assolutamente particolare. Relativamente alle situazioni maggiormente diffuse, di più modesta estensione territoriale e suscettibili di assicurare reddito ad uno o più nuclei familiari, la mia spassionata opinione, in questo momento, è quella di puntare sull’azienda agricola in grado di offrire prodotti particolari, corroborando eventualmente l’attività con offerte accessorie. Ma puntare primariamente all’agriturismo, oggi equivale al suicidio finanziario, soprattutto per chi è neofita. E questo, purtroppo, è quanto.

Alberto C. Steiner

Vieni a vivere con me?

Sembra che presto, unitamente al defibrillatore, tra la strumentazione salvavita delle unità mobili di rianimazione troverà posto una pulsantiera da ascensore.
Nelle intenzioni del legislatore dovrebbe essere di ausilio negli stati di choc conseguenti ad attacchi di panico: avete presente quegli orribili minuti che si dilatano nell’immensità verticale tra il pianterreno ed il settimo di un qualsiasi condominio in forzata compagnia del vicino che, ne siete certi, ha votato contro la rastrelliera per le biciclette a favore dell’impianto di videosorveglianza? Oppure quel greve silenzio riempito solo da un borbottato buongiorno mentre l’occhio, anziché sorridere alla vicina, è inchiodato sulle modanature satinate che rinserrano lo specchio o, per l’appunto, sulla pulsantiera?
A me non accade, in primo luogo perché dove abito l’ascensore non c’è ed inoltre perché attacco bottone con chiunque, nelle situazioni più impensate. Ma posso comprendere.
La sindrome dell’ascensore, quindi. Che la pulsione alla sperimentazione di nuove forme abitative nasca proprio da lì?
Come per i sacchetti di plastica, nulla si crea e nulla si distrugge… in questa era postmoderna l’idea di vivere in comune torna ad occupare il panorama sociale. Tutto però si trasforma: dimenticati gli echi rivoluzionari e venute a noia le seduzioni dell’amore libero, la nostra anima è oggi tutta per emozioni suscitate da termini quali solidarietà, ecosostenibilità, integrazione assistita, decrescita felice.
La neo tendenza (c’è sempre un neo, da qualche parte…) a coabitare ha da qualche anno accelerato la propria curva di crescita: perché più che a una casa aspiriamo ad un ecosistema, perché siamo cuori verdi bio, perché siamo cuori grandi e la famiglia non ci basta, perché siamo cuori allegri e stare da soli… uff che noia.
Evviva le neocomuni quindi ma, come faceva dire il Manzoni al cancelliere Ferrer, si puedes y con juicio e facendo ricorso all’iniziativa privata, senza aspettarsi che la manna cada dal cielo, senza associarsi, consociarsi o avvilupparsi a qualche carrozzone politico che promette, illude per tornaconto, non fa crescere ed alla fine si rivela come il carro di Mangiafuoco: luccicante di lumi ma pronto a trasformare tutti in ciuchi.
I fatti lo dimostrano: le 26 iniziative censite a fine 2012 risultano essere oltre 200 alla fine dello scorso mese di settembre, ma molte di queste non sono associate alla RIVE, non compaiono sui social, non si aspettano che nessuno assegni loro alcunché. Individuano una cascina o un gruppo di case in un borgo abbandonato, studiano la fattibilità dell’intervento, mettono mano al portafogli, contraggono un mutuo e partono con la cantieristica affidandosi all’autocostruzione integrata dall’aiuto di professionalità specifiche, in particolare per quanto riguarda la statica, l’ambito energetico e gli aspetti tecnico-finanziari.Cesec-CondiVivere 2014.10.20 Ecovillaggio 005Ed anche il fattore tempo è dalla parte dell’iniziativa privata: tre anni costituiscono la durata media del periodo che va dall’idea alla consegna degli immobili, mentre nell’ambito dell’ortodossia ecosocialsostenibile non è raro trovare gente che dopo un decennio non ha ancora deciso che nome darsi.
Non è la prima volta che lo scrivo: molti hanno iniziato a comprendere che la consapevolezza passa anche dal mollare quelle sovrastrutture denominate ideologie e nel guardare alla concretezza. Per crescere insieme dopo che ciascuno ha iniziato a crescere da solo, lasciando perdere utopie, sogni, fantasie fuori contesto o di dubbia realizzazione e rivendicando ciascuno, pur in un ambito solidale, le proprie autonomie ed i propri spazi.
Soprattutto rifuggendo da quella modalità che vorrebbe annientare l’individualismo mettendo tutto in comune, soprattutto il denaro riconoscendo di fatto solamente la paghetta mensile anche a chi opera esternamente all’ecovillaggio e porta alla casa comune lo stipendio. Obbligato a sottostare ad una decisione collettiva che suona come un processo pubblico anche qualora trattasi di acquistare un minipimer per casa propria.
Questa vera e propria logica della setta (sicuramente più vantaggiosa rispetto a quella dell’Opus Dei: qui si parla di mancette variabili da 50 a 200 Euro mensili, ai nipotini di Josemaría Escrivá ne spetterebbero solo 30) permea molte vicende, ed è quella propugnata da certi aggregati portati ad esempio da quella specie di bibbia dell’ecovillaggista che è Ecovillaggi e cohousing, dove sono, come farne parte. Fortunatamente ha fatto il suo tempo, riscuotendo ormai credito solo presso alcune fasce di militante marginalità attanagliata dal male di vivere.
Questo scritto costituisce l’ideale seguito di Ecovillaggi, la rivoluzione silenziosa pubblicato in questo stesso Blog il 13 ottobre scorso.Cesec-CondiVivere 2014.10.20 Ecovillaggio 002Tra le motivazioni che portano a voler vivere in cohousing, e più ancora in ecovillaggio, non vi è solo il desiderio di una vita più ecosostenibile orientata verso un paradigma differente, una maggiore coerenza con una visione realmente ecologica ed olistica dell’esistenza. Autoproduzione, economia condivisa nello scambio ed attraverso il mutuo sostegno, consumo consapevole ed attenzione all’alimentazione nel rispetto delle diversità per chi vuol essere onnivoro, vegetariano, vegano, uno stile di vita naturale ed essenziale sono tutte nobili motivazioni, ma nascono da ben altre e più profonde, vale a dire da un vero e proprio processo di cambiamento interiore.
Detto in altri termini: nascono quando si diventa Consapevoli, Risvegliati, Guerrieri.
Decidere di vivere in un cohousing o o in un ecovillaggio non significa semplicemente metter su casa nel verde, ma ricercare primariamente un’armonia interiore attraverso un percorso di risveglio che coinvolge i piani psicologico, energetico, emotivo, relazionale, pratico ed economico legati ai concetti di sostentamento e sopravvivenza.
Tanto è vero che non ci si arriva improvvisamente, bensì attraverso un graduale percorso di crescita i cui primi segnali sono costituiti dal senso di smarrimento, frustrazione, sofferenza per come l’essere umano sia capace di condizionare se stesso distruggendo e danneggiando gravemente la Natura. Condizionamenti, menzogne, assuefazione alla violenza, egocentrismo che vengono sentiti come obsoleti e distruttivi.
Rabbia e frustrazione portano a cercare informazioni valicando quei canali ufficiali che mantengono le persone nel senso di inferiorità, di asservimento a bisogni indotti, di impotenza e paura.Cesec-CondiVivere 2014.10.20 Ecovillaggio 003Ad alcuni prende l’illusione di denunciare e controinformare, salvo scoprire che anche nell’attivismo socio-politico apparentemente più genuino si nascondono truffe e truffatori. Ad altri non par vero di aderire a gruppi, movimenti, associazioni che accogliendo amorevolmente propugnano l’ecosostenibilità, salvo scoprire che sono delle sette, e che esistono funzionalmente a una casa editrice, un marchio, una catena di ditribuzione o tutte queste cose insieme, oltre che per aprire tavoli ed organizzare convegni fruendo di fondi pubblici drenati da quel sistema che tanto denigrano.
Chi sfugge a tali ennesime sovrastrutture, illusorie bandiere di un conformismo dell’anticonformismo, inizia a pensare non già a come fare per cambiare il vecchio, bensì a come dare alimento al nuovo. Il vecchio, non più nutrito,  morirà per inedia…
Inizia quindi a ricercare soluzioni reali per sè e per la propria famiglia, più o meno allargata ad amici e conoscenti sintonici con quel modo di sentire e pensare.Cesec-CondiVivere 2014.10.20 Ecovillaggio 001Da soli o in gruppo si va a vedere questo o quel villaggio abbandonato, ed intanto tempo e situazioni contribuiscono a scremare chi vive l’esperienza come socializzante gita in campagna od occasione per l’ennesimo imbonitorio blabla. E si passa ad una fase di profonda introspezione mettendo in discussione se stessi e le proprie scelte, non guardando più all’esterno accusando e giudicando. E parafrasando la storica frase pronunciata da John Kennedy il 20 gennaio 1961: Non chiedete che cosa il vostro paese può fare per voi, ma cosa voi potete fare per il vostro paese, si inizia a domandarsi cosa realmente sia possibile fare per se stessi.
Partendo quindi dal sé, per sè e per i propri cari e non più per un evanescente collettivo, si cessa di sentirsi una marionetta, una vittima lamentosa, iniziando ad ascoltarsi per seguire concretamente ciò che si desidera, ad essere per primi quel cambiamento che si desidera per il mondo.
Abitudine, comodità, resistenza al cambiamento, paura del giudizio, timore di non farcela o di ripercussioni da parte del sistema, depressione, fissazione su pensieri di fallimento, ansia dell’incertezza sul futuro scompaiono insieme con la desuetudine ad affidarsi al proprio intuito, alla scarsa stima di sé, ai condizionamenti religiosi, culturali e familiari passivamente subiti per secoli.Cesec-CondiVivere 2014.10.20 Ecovillaggio 004Ci si rende conto di essere Cocreatori della realtà e non si ha più voglia di perder tempo attendendo che la maggioranza si decida. E nemmeno di interagire con essa, nella finalmente maturata consapevolezza che c’è chi è nato per essere libero e chi per essere schiavo e che tutto dipende dal singolo, un singolo che si è fatto la propria rivoluzione armonizzando le parti in conflitto per agire verso un radicale cambiamento della realtà esterna generando armonia intorno a sé, senza più proiettare all’esterno tensioni interiori o timori.
E si arriva così alla creazione del nuovo, scoprendo che anche nel quotidiano ancora urbano si tende a frequentare persone che vedono l’essere umano come Anima incarnata connessa con il Tutto, attratte dall’idea di coltivare orti e frutteti, di affondare le mani nella Terra con la consapevolezza che può contribuire a fornire il sostentamento necessario nella connessione profonda con gli elementi naturali, ma soprattutto con il proprio Centro. E si arriva così all’autoproduzione, magari iniziando dal terrazzo o dal giardino di casa, al mutuo sostegno, alla creazione di reti di scambio di prodotti, tecnologie, lavoro, competenze e risorse. Scoprendo infine che è possibile vivere, e vivere bene, risparmiando drasticamente sui costi della vita e, diventando sempre più indifferenti ai prodotti delle multinazionali, costituire una società parlallela ecosostenibile e alternativa. Ma soprattutto creattiva.

Alberto C. Steiner

Campioni del mondo! di spreco.

Madrid, 11 luglio 1982. A parte chi non era ancora nato nessuno, credo, ha dimenticato quella voce, e quel grido, ripetuto due volte: Campioni del mondo! Campioni del mondo!
La voce apparteneva al cronista Nando Martellini, il resto è storia, compresa l’immagine della partita a scopone giocata sul volo del ritorno tra Zoff, Causio, Bearzot e l’allora presidente della Repubblica Pertini, con la coppa del mondo al centro del tavolo.Cesec-CondiVivere 2014.10.18 Campioni del mondo 001Il nostro Paese è tuttora campione del mondo, anche se ad onor del vero sempre costretto a contendere il titolo agli Stati Uniti d’America e alla Cina. Campione di spreco idrico.
Abbiamo una notevole disponibilità di risorse idriche, al Nord come al Sud nonostante che l’iconografia ufficiale rappresenti un Meridione permanentemente assetato, ma spesso entriamo in emergenza.
Considerando i soli utilizzi domestici consumiamo più acqua rispetto a Regno Unito, Spagna e Francia, il doppio rispetto alla Germania e più dei paesi scandinavi considerati nel loro complesso. Non siamo ancora entrati nell’ordine di idee che, mentre ci spazzoliamo i denti con lo spazzolino è inutile che lasciamo scorrere l’acqua nel lavandino, allo stesso modo in cui è inutile lasciarla scorrere nella doccia mentre ci insaponiamo. Per non parlare di quando laviamo i piatti con il rubinetto dell’acqua, ovviamente calda, inutilmente aperto a manetta.
Tra l’altro siamo tra i maggiori consumatori mondiali di acque in bottiglia, pur essendo questo un dato fuorviante in quanto negli altri paesi, a tavola, non si beve prevalentemente acqua bensì altro.
Esaminando gli usi massicci emerge che l’agricoltura è il settore maggiormente assetato con un utilizzo che si attesta sui 25 miliardi di metri cubi annui, seguito a distanza dall’industria e dall’energia per un complesso di 15 miliardi, mentre il terziario ne assorbe all’incirca 9 miliardi.
Ma a quanto assommano e come sono distribuite le risorse idriche nazionali?Cesec-CondiVivere 2014.10.18 Campioni del mondo 002Siamo il Paese dell’Europa meridionale più ricco di risorse idriche, ben più della Francia e della Spagna, per non parlare della Grecia e persino dell’area balcanica. Contornati come siamo a nord dalle Alpi, ricchissime di corpi idrici, disponiamo di ben 69 laghi naturali di superficie pari o superiore a 0,5 km², 183 bacini artificiali con oltre 1 km² di superficie, ai quali dobbiamo assommare 234 corsi d’acqua e fiumi di una certa rilevanza a livello idrico ed ambientale. Inoltre, i corpi idrici superficiali e sotterranei destinati alla potabilizzazione sono quasi 500, e 400 sono i laghi a partire da 0,2 km² di estensione, andando a consolidare, così, un’abbondanza di risorse idriche già fisiologicamente presenti sul territorio sia naturalmente che artificialmente.
Le acque di origine lacustre, considerando nel novero solo gli specchi d’acqua di superficie pari o superiore a 0,2 km² di superficie, comprendono 150 miliardi di metri cubi, una riserva ingente anche se distribuita in modo irregolare sul territorio nazionale. Basti pensare che la metà dell’acqua lacustre si trova nella sola Lombardia, anche se la cubatura dei laghi Maggiore e Garda, il più esteso a livello nazionale pur se non il più profondo, è convenzionalmente divisa rispettivamente con Piemonte/Svizzera e Veneto/Trentino. La cubatura del lago di Lugano ci è invece attribuibile solo nella misura del 21%.
L’Italia settentrionale accorpa complessivamente il 62% del patrimonio idrico nazionale con 124 miliardi di metri cubi, ed è anche quella che – Lombardia in testa – ne fa maggiormente uso.
I 26 miliardi di metri cubi residui sono dislocati prevalentemente nei laghi appenninici, mentre il Sud e le Isole dispongono soltanto del 3% delle acque d’origine lacustre.
Le acque di origine fluviale sono raggruppate in 11 fiumi considerati di interesse nazionale, 7 di questi sono al Nord: Po, Tanaro, Ticino, Adda, Oglio, Adige, Isonzo; al Centro: Arno, Tevere; al Sud: Garigliano, Volturno.
A questi si sommano altri bacini di minore estensione o portata, ai quali vanno aggiunti quattro bacini classificati come sperimentali.
Insomma, siamo ricchissimi di acqua: oltre 50 miliardi di metri cubi annui, pari a quasi 1.000 metri cubi per abitante. Ma tuttora presentiamo problemi di disponibilità delle risorse, specialmente durante i mesi estivi. E non solo al Sud.
Secondo i dati forniti dall’Istituto Nazionale di Economia Agraria destiniamo all’irrigazione il 70 per cento dei prelievi e l’80 dei consumi totali di acqua a livello nazionale. Una quantità impressionante, ma che da anni spinge il settore agricolo a costanti aggiornamenti finalizzati all’ottimizzazione delle risorse tecnologiche ed impiantistiche. La ragione è che in agricoltura e zootecnia l’acqua prelevata viene effettivamente consumata, a differenza dei settori industriale, energetico, terziario e domestico, che presi nel complesso possono restituire anche il 90% dell’acqua prelevata. Ma quest’acqua, prelevata in buone condizioni, viene resa ai sistemi fognari di qualità scadente quando non pessima.
Conseguentemente i consumi maggiori si registrano al Nord con oltre il 60 per cento in ragione dei processi di urbanizzazione ed industrializzazione avvenuti nell’ultimo cinquantennio e della densità delle superfici agricole. Non dimentichiamo che la Lombardia è la regione più agricola d’Italia. Le Isole risultano essere le più parche nei consumi, assommando solo l’8%, mentre il Centro utilizza il 10 per cento delle risorse e il Sud il 15.
Il settore industriale registra ormai da anni una costante diminuzione dei consumi, purtroppo non solo grazie all’innovazione ma a causa della crisi economica, mentre aumentano di pari passo gli utilizzi – e gli sprechi – civili e domestici.
A parte casi, non infrequenti specialmente al Sud, di condotte marcescenti che comportano perdite anche sensibili lungo il tragitto, sempre al Sud si assisterebbe al fenomeno dei furti; nota e rovente è la querelle, tuttora in corso con risvolti anche giudiziari, nel comprensorio del Calore.
Concludiamo con un dato curioso: uno studio dell’Università di Bologna ha stimato in 1.538 mc/Ha/y, vale a dire metri cubi per ettaro per anno la quantità d’acqua necessaria per irrigare la superficie unitaria di un campo da golf, benché la Regione Liguria faccia ascendere tale dato ad oltre 2.000 mc.
L’Autorità Ambientale della Regione Puglia ha invece valutato un consumo di 100.000 mc/Ha/y per un campo della superficie di 60/70 Ha, con incrementi del 50-60% durante la stagione estiva relativamente alle condizioni dell’Italia meridionale. L’aspetto curioso è che relativamente all’utilizzo delle risorse idriche i campi da golf non sono considerati impianti sportivi, ma superfici agricole.

ACS

Ecovillaggi, la rivoluzione silenziosa

Cresce in Italia la voglia di cohousing e di ecovillaggio.
E molti sono sommersi, nel senso che non si pubblicizzano sui social, non aderiscono alla Rete Italiana Villaggi Ecortodossi. I loro promotori non ne hanno bisogno, specialmente da quando hanno provato a partecipare a corsi che avrebbero dovuto spiegare cose concrete e si sono ritrovati tra scambi reiki e danze sacre di Gurdjieff, fra gente che non aveva la più pallida cognizione del lavoro se non inteso come sfruttamento, e che a furia di cerchi di condivisione passava più tempo seduta in terra a cianciare che sui ponteggi. Tra filosofi piuttosto che fra ingegneri e carpentieri.Cesec-CondiVivere 2014.10.13 Ecovillaggio 002I nuovi cohousing ed ecovillaggi nascono da gruppi di amici che decidono di fare insieme una scelta senza cappellini ideologici in testa o sponsor dall’ecopedegree. Senza tante chiacchiere né aspettarsi che qualcuno assegni o conceda loro alcunché si guardano attorno, scelgono un appezzamento o un villaggio abbandonato, mettono mano al portafogli e comprano, sputandosi sulle mani ed impugnando la vanga o la mazzetta, e lavorando, ristrutturando.Cesec-CondiVivere 2014.10.13 Ecovillaggi 001Nel frattempo continuando a fare chi l’idraulico, chi l’avvocato, chi la cassiera, chi la mamma e via enumerando.
Tempo medio tre anni, mentre nell’ambito dell’ortodossia ecosocialsostenibile non è raro trovare gente che dopo un decennio non ha ancora deciso che nome darsi.
Finalmente molti hanno iniziato a comprendere che la consapevolezza passa anche di qui: nel mollare quelle sovrastrutture denominate ideologie e nel guardare alla concretezza. Uomini e Donne del Fare, per crescere insieme, ma solo dopo che ciascuno ha iniziato a crescere da solo.Cesec-CondiVivere 2014.10.13 Ecovillaggi 003E’ così che nascono e si sviluppano le motivazioni che conducono al desiderio di una vita più ecosostenibile, naturale ed essenziale, alla voglia di una scelta di vita orientata verso un paradigma differente, una visione realmente ecologica ed olistica dell’esistenza. Autoproduzione, economia condivisa nello scambio e mutuo sostegno, consumo consapevole ed attenzione all’alimentazione nel rispetto delle diversità: chi vuol essere onnivoro, chi vegetariano, chi vegano.
E che questa nuova visione sia vincente la dimostrano i numeri: alla fine del 2012 i progetti di ecovillaggio avviati e visibili erano 26, a settembre di quest’anno sono oltre 200.

ACS

Energia: in Olanda si può CondiVivere tra privati.

Comprare energia pulita da un vicino? Vandebron è una start-up che ha concretizzato questa possibilità, realizzando un sito internet sullo stile di Airbnb per scambiare energia elettrica tra privati.Cesec-CondiVivere 2014.10.10 Vandebron 001Succede in Olanda, dove da qualche mese chi ha deciso di dire addio all’energia fossile ma non può installare generatori autonomi, per esempio pannelli fotovoltaici, può acquistare energia pulita da privati.
Funziona così: i consumatori entrano nel sito, dichiarano la preferenza per un contratto annuale o triennale, specificano di quanta energia ritengono di avere bisogno e infine scelgono a quale produttore rivolgersi.Cesec-CondiVivere 2014.10.10 Vandebron 002
Ciascuno dei 12 produttori attualmente convenzionati, in grado di fornire energia sufficiente per circa 20mila famiglie, ha sul sito una pagina dedicata dove presenta se stesso e la propria produzione. L’iniziativa è aperta esclusivamente a produttori privati, in massima parte agricoltori, che cedono energia in esubero ed esclude tassativamente le aziende energetiche tradizionali.
Un modo per dire addio alle sempre più care bollette fossili, sapendo da chi si sta comprando l’energia proprio come quando si fa la spesa dal contadino di fiducia.
Vi è da specificare che nei Paesi Bassi questo tipo di apporto energetico è massimamente rappresentato da impianti eolici.Cesec-CondiVivere 2014.10.10 ElettrodottoAbbiamo segnalato questa notizia, minore ma significativa in quanto sintomatica di una sempre maggiore apertura verso l’economia della condivisione.
E da noi? Da noi, se cadessimo nel tranello di chi tenta di farci credere che è vietato piantare semi privati, non coltiveremmo neppure le zucchine sul balcone di casa mentre, nel caso specifico, se dovessimo cedere alle lusinghe del lamento e dell’inazione potremmo ritenere che una cosa del genere non sia nemmeno ipotizzabile, perché si scontrerebbe con infiniti ostacoli disseminati ad hoc a beneficio dell’oligarchia energetica delle varie   A2A, Acea, Edison, Enel, Terna. Eccetera eccetera eccetera.Cesec-CondiVivere 2014.10.10 Val d'Herens digaIntanto non è vero perché le disposizioni legislative ammettono già ora questa possibilità. Ma per creare un network che favorisca uno scambio diffuso a nostro avviso l’unica cosa da fare, se ci crediamo veramente, sarebbe quella di provarci con la saldezza dell’intento finalizzato ad una reale condivisione.

ACS

Quanto costerà guardare l’arcobaleno?

“Toglieranno l’acqua da sotto la pancia delle anatre? Metteranno il cartellino con il prezzo a ogni goccia di pioggia? E quanto costerà la rugiada?”Cesec-CondiVivere 2014.09.30 Marta e l'acqua scomparsa 002Queste ed altre domande se le pone Marta, la bimba protagonista di Marta e l’acqua scomparsa, la favola bella, intelligente ed ecologica scritta da Emanuela Bussolati ed edita da Terre di Mezzo per riflettere sull’importanza delle risorse naturali, in particolare di quel bene vitale, di tutti e irrinunciabile che è l’acqua. Che improvvisamente scompare poiché c’è chi pensa di poterla vendere e comprare.Cesec-CondiVivere 2014.9.30 Marta e l'acqua scomparsa 001E’ quello che scopre Marta quando, un giorno, va a trovare la nonna e trova la fontana del giardino secca come la gola di un uomo nel deserto. Che è successo? L’acquedotto, spiega la nonna, è diventato di proprietà della Compagnia delle acque libere e, d’ora in poi, chi vorrà l’acqua dovrà comprarla.
“Una compagnia padrona dell’acqua? Ma non è giusto! Cosa accadrà” si chiede la bimba “durante i temporali?”
Del libro colpisce un’immagine: l’espressione della bambina all’interno dell’auto, mentre con la punta della lingua cerca di leccare le goccioline d’acqua che si rincorrono sulla parte esterna del vetro. Nemmeno l’umidità che appanna un po’ il vetro riesce ad offuscare la fiducia di quello sguardo incorniciato in un caschetto di capelli neri. E’ uno sguardo con tutti i suoi limiti: le gocce sono fuori, Marta non puo intercettarle ma proprio grazie a ciò lo sguardo resta aperto al mondo esterno. E pazienza se poi il mondo riserva brutte sorprese, come quella di chiudere la fontana nel cortile della nonna perché bisogna collegarla all’acquedotto: tra breve la sorgente non sarà più di tutti ma di una sola Compagnia e chi vorrà l’acqua dovrà pagarla.
Nel libro, un disegno molto evocativo ritrae la mamma di Marta di spalle sull’uscio di casa mentre la nonna sale le scale. La porta è aperta: sarà anche solo suggestione, ma il bianco candido dell’interno contrasta così tanto con l’incombente oscurità dell’esterno da risultarne persino minacciato. E in calce al disegno si legge: Non è giusto! – esclama Marta – L’acqua è di tutti!
Alla bambina questa cosa proprio non va. I grandi stanno zitti come la fontana che non canta più e nemmeno il sonno tranquillizza la bambina, che invece, tra un incubo e l’altro, si chiede se le nuvole diventeranno come banche gonfie di pioggia, se l’arcobaleno diventerà un bene di lusso, se la Compagnia metterà il cartellino del prezzo ad ogni goccia che cade. E poi c’è un problema… come faranno a far pagare i passeri che bevono l’acqua sull’incavo dei rami, sulle foglie e nelle gronde?Cesec-CondiVivere 2014.09.30 Marta e l'acqua scomparsa 003Insomma, un racconto ecologico e appassionato sull’acqua come bene di tutti.
Di chi è l’acqua? chiede sempre l’autrice ai bambini, prima di leggere loro Marta e l’acqua scomparsa. Ma quasi nessuno risponde: E’ di tutti. Abituati al fatto che le cose siano di qualcuno, non pensiamo che la Terra e le sue risorse fondamentali, tra cui l’acqua, siano un bene comune.
Spesso i libri per l’infanzia propongono modelli positivi di comportamento: non sprecare, non sporcare. Ma poi si cresce e ci si dimentica quello che si è imparato.
Perché allora non lasciar spazio all’immaginazione, potente qualità che può trasformarsi in azione? Che cosa succederebbe se l’acqua fosse in vendita? Qualcuno vorrebbe accaparrarsela, e si metterebbe in vendita perfino la visione dell’arcobaleno. Le nuvole sarebbero legate, perché non se ne vadano da altri affaristi, e via di seguito.
Ho proposto questa favola come necessario complemento alle iniziative di cohousing che pronuovo e come personale protesta con le purtroppo sempre più attuali minacce di privatizzare l’acqua. E so bene di non essere una Cassandra…

ACS

Campo di Brenzone: una perla abbandonata sul Garda

In posizione incantevole a mezza costa sulla sponda veronese del lago di Garda, all’ombra del monte Baldo e circondato da campi di ulivi secolari, un pugno di case pressoché disabitate aspetta di essere riportato a nuova vita: è Campo, un antico borgo dal quale si gode la vista di tutto il Garda.CC 2014.10.03 Campo Brenzone 001Lontano dalla strada e non accessibile in auto, ma in quindici minuti di camminata si giunge in riva al lago. Numerosi sentieri indicati da segnavia portano in vetta al monte Baldo, per chi non vuole faticare scalabile in cabinovia dalla vicina Malcesine.
Campo, situato a 45°42′ N 10°46′ E ed il cui toponimo deriva dai campi coltivati ad ulivi, è una frazione di Brenzone, con i suoi 50 km2 di estensione territoriale il comune più vasto del Veneto, e la sua esistenza è riscontrabile sin dall’anno 1023; oggi consta di un abitante censito, in realtà i residenti sono ben… nove facenti capo a due nuclei familiari.CC 2014.10.03 Campo Brenzone 003La via che conduce a Campo sale dal lago stretta fra le antiche case, selciata e molto ripida. Appena termina l’abitato appaiono i primi ulivi, che accompagnano il rimanente percorso in una campagna curata, caratterizzata da terrazzamenti con muretti a secco e da un panorama mozzafiato: in basso si vede la chiesa di San Giovanni di Magugnano, sullo sfondo della sponda bresciana con le alte scogliere che cadono a picco sul lago ed il santuario di Montecastello.
Presto si giunge alla valle detta della Madonna dell’Aiuto, percorsa da un torrente quasi sempre in secca, e superato un ponticello in muratura, la visione che si schiude raggiungendo l’antico borgo medievale ripaga di ogni fatica.
Oltre che dalle pittoresche case in pietra arroccate, disabitate e raccolte su se stesse attorno ai resti del castello ormai ricoperto dalla vegetazione, attorno al quale si è sviluppata la frazione, Campo è caratterizzato da vasti uliveti, da un fitto bosco di lecci e faggi e dalla chiesetta romanica dedicata a San Pietro in Vincoli eretta tra il XII ed il XIV Secolo, un piccolo scrigno che conserva pregevoli affreschi d’influenza bizantina databili al 1358 e… qualche misteriosa particolarità.DCF 1.0Il borgo è raggiungibile esclusivamente a piedi poiché la stradina carrabile, recentemente realizzata grazie ai fondi regionali funzionalmente al progetto di recupero, non è percorribile dai non residenti ed è anzi provvidenzialmente sbarrata ben prima di giungere all’agglomerato. Ma ciò non impedisce a numerosi turisti di visitare Campo, noto per essere uno dei punti più spettacolari della costa lacustre veneta; trattasi fortunatamente di un turismo di nicchia attento alle sfumature della natura e felice di sapere che l’unico punto di ristoro è costituito dall’antica fontana in pietra.
Durante il periodo medioevale, Campo e tutta l’area gardesana passarono sotto varie dominazioni: scaligera, viscontea, carrarese fino ad arrivare alla Repubblica di Venezia e, a partire dal 1797, seguirono le vicende napoleoniche ed asburgiche sino al termine della I Guerra Mondiale.CC 2014.10.03 Campo Brenzone snRimarcabile il fatto che nel territorio di Brenzone non esistesse una via comoda per raggiungere Verona o Trento, poiché la stessa morfologia della catena montuosa ricca di strapiombi sui due versanti e chiusa dal lago sul versante occidentale, e dalla Val d’Adige su quello orientale, la rendeva un’immensa fortezza naturale, accessibile soltanto da nord o da sud; ciò permise a borghi come Campo di rimanere in gran parte immuni dalla penetrazione del potere cittadino.
Ancora oggi le strade che corrono a mezza costa, per lo più mulattiere selciate e delimitate per lunghi tratti da muretti a secco, ricalcano sentieri e piste antiche costituendo una fitta rete di tratturi colleganti le diverse contrade e la zona abitata con le rive del lago da una parte e, dall’altra, con la zona olivetata, i boschi e i pascoli, come ad esempio il sentiero che da Magugnano-Marniga porta, attraverso Campo, ai pascoli di Prada e a San Zeno di Montagna. Va annotato che il comune di Brenzone aveva giurisdizione sui pascoli sino a Cima Telegrafo e a Cima Coal Santo.
Questi sentieri, arterie vitali del versante occidentale del Baldo, cominciano ad essere fitti proprio a nord di Punta San Vigilio; da Garda partiva invece la strada in costa detta Cavalara, che riuniva i piccoli centri rivieraschi e quelli sopracosta.
Campo si trova al punto di confluenza di diverse mulattiere; in particolare, fino agli inizi del XX Secolo, erano importanti quella che da Castelletto, attraverso Biasa, giunge al borgo, detta strada vicinale di Campo e quella che da Magugnano-Marniga saliva verso Prada, detta strada comunale della Cà Romana o strada comunale di Campo.
Queste due arterie s’incrociavano proprio a Campo e proseguivano nella strada comunale di Caprino che attraverso Torri, Monte Motta e Pesina costituiva l’unica via di collegamento fra le contrade dell’alto lago e quelle del basso lago e dell’entroterra gardesano, in particolare Caprino, nodo delle vie di comunicazione dell’entroterra veronese e importante centro di mercati del bestiame.
Per queste mulattiere, che a tratti passano anche sotto i portici delle case, si saliva a piedi, o con animali da tiro e le tipiche slitte di fabbricazione locale, le sbarusole, sbarossole o carièle. Ancora oggi sulle pietre del selciato molto levigate si possono notare i solchi lasciati dal frequente passaggio delle slitte.CC 2014.10.03 Campo Brenzone 004I muretti di contenimento, detti marogne, costituiscono il limite perimetrale dei sentieri nelle zone a terrazzamenti o a pascolo e sono un elemento tipico del paesaggio collinare e montano non solo lacustre, ma di tutto il territorio veronese; sono realizzati in blocchi sbozzati di pietra, faccia a vista e a secco, ricavati dallo spietramento dei campi messi a coltura o a pascolo ed in alcuni punti aperti da piccoli barbacani per favorire lo scolo delle acque dai campi nei periodi di abbondanti precipitazioni.
Del resto, la ristrettezza e le asperità del territorio, confinato tra il lago e le impervie e scoscese pendici del Monte Baldo, spesso solcate da valli profonde e torrenti, hanno comportato notevoli difficoltà nel realizzare vie di comunicazione terrestre, rendendo per secoli le comunicazioni via terra praticamente impossibili e non favorendo lo sviluppo di centri abitati che non fossero, fino alla prima metà dell’Ottocento, modesti nuclei sparsi collegati da mulattiere e sentieri stretti tra muri a secco.
Proprio per tale ragione intense ed importanti furono invece le comunicazioni per via d’acqua che produssero vivaci rapporti, anche familiari, tra le opposte sponde lacustri.
La via lacustre, tra tutte le vie di transito era sicuramente quella più veloce, comoda, frequentata e, in alcuni periodi, anche meno pericolosa e quindi meno costosa, rimase fondamentale nelle diverse epoche e sotto i vari domini fino agli inizi del Novecento.
Tra l’altro la Via dell’Ambra, che aveva origine nella penisola dello Jutland e, percorrendo i corsi dell’Elba e dell’Inn, valicate le Alpi attraversava il Garda e la Val d’Adige per sfociare sulle coste del Mediterraneo e delle regioni dell’Oriente.
Sino ai primi decenni del Novecento l’economia locale, oltre che dalla pesca e dalla navigazione, dipendeva prevalentemente dalle attività legate alla terra: allevamento di bachi da seta, produzione casearia come attestano le numerose malghe tuttora esistenti, coltivazione di ulivi. Da ricordare anche la produzione di legna e di due importanti derivati: lignite e calce. Per la produzione di quest’ultima, destinata principalmente all’esportazione, venivano utilizzate particolari costruzioni in pietra di forma circolare, le calchére, alcune delle quali visibili ancora oggi.

Breve e triste historia del nostro tentativo di recupero
Tra settembre e novembre dello scorso anno 2013 abbiamo stabilito contatti finalizzati ad una proposta di recupero del borgo: costituzione di un ecovillaggio con unità abitative in cohousing, recupero dei terreni già coltivati a oliveto ed impianto di specie compatibili con il territorio e la sua storia, impianto di laboratori artigianali per il recupero di mestieri della tradizione locale erano le linee giuda del progetto, i cui oneri sarebbero stati sostenuti da investitori privati e da una banca attiva nel settore della finanza etica.
Siamo stati ricevuti con estrema cortesia e profondo interesse dall’allora Sindaco, che ci ha messo a disposizione l’Ufficio Tecnico Comunale. Abbiamo successivamente preso contatti con la Sovrintendenza di Verona poiché l’area è vincolata.
Abbiamo infine preso contatto con la Fondazione che detiene il borgo e che teoricamente ne dovrebbe curare il recupero. E qui, al di là di una richiesta economica stratosferica rispetto all’effettivo valore di edifici e terreni, abbiamo iniziato a non capire: a parte i fondi erogati da una fondazione bancaria locale e spesi per la necessaria messa in sicurezza di alcuni manufatti pericolanti, non ci risultava chiara l’attribuzione di contributi comunitari ma soprattutto non ci risultava chiaro se ed in quale misura fossero pervenuti, né come ne fosse stato pianificato l’esborso. Non da ultimo, il borgo venne acquisito dalla Fondazione rilevandolo dal Comune, il cui sindaco all’epoca dell’operazione era colui che incontrammo nella veste di Presidente della Fondazione, in cambio di un terreno edificabile. Salvo scoprire che, rispettando le distanze di legge, non vi si sarebbe potuto edificare molto e pertanto era in corso un’azione legale tra Comune e Fondazione.
Insomma, ci siamo scontrati con il più classico dei muri di gomma: cose non dette e che forse non si possono dire, nonché molta resistenza. Aggiungendo a tutto questo il disinteresse, quando non la supponenza e la nemmeno tanto larvata derisione di chi a parole si dichiarava fautore del recupero del borgo, anche attraverso la costituzione di gruppi, associazioni e movimenti, ma nella realtà dei fatti sembrava vivere nell’ignavia al fine di potersi lamentare delle occasioni perdute, abbiamo deciso di lasciar perdere, nella consapevolezza che i borghi italiani attualmente abbandonati, e che aspettano soltanto di poter favorire chi intenda darsi da fare per la loro rinascita, sono oltre tremila.
Peccato: una posizione imperdibile, una storia del territorio non qualsiasi, concrete possibilità di sviluppo in un’ottica di vita sostenibile esuscettibile di creare posti di lavoro buttata alle ortiche. Anzi, a lago.

Alberto C. Steiner

Signora Hobbit: pittoresca la sua casa, ma lo sterco di cavallo non è il nostro materiale da costruzione preferito

Senza né luce né acqua corrente…
cesec,emmaorbach,hobbit,ecosostenibilità,cohousing…sulle pendici del Mount Carningli, nella contea di Pembrokeshire, a ovest del Galles, Emma Orbach, sessantenne, laureata a Oxford e madre di tre figli, ha mandato l’orologio indietro a un’esistenza quasi medievale e da 15 anni vive come un hobbit, in una capanna di fango a 15 minuti a piedi dalla strada più vicina. Figlia di un ricco musicista, la signora hobbit – così l’hanno ribattezzata i giornali – frequentò fin da piccola le scuole più costose e prestigiose del Paese, addirittura insieme con le figlie di Presidenti stranieri, per poi trasferirsi a Oxford e completare i suoi studi con una laurea in cinese. Qui incontrò il marito, storico dell’architettura. Per cinque anni vissero in una casetta a Bradford, ma presto si trasferirono in un casolare abbandonato vicino a Bath, dove sono nati e cresciuti i loro figli. Da lì entrarono in una comunità hippie, con altri genitori che piuttosto di fare la spesa nei supermercati lavoravano la terra.
Ma negli anni ’90

…arriva l’illuminazione e i due comprano 175 ettari di terreno per 150.000 sterline. “La mia vocazione era quella di immergermi totalmente nella natura e allontanarmi da tutte le interferenze moderne”, racconta Mr.s Hobbit, che però non fu seguita da tutta la famiglia: “Mio marito non è mai venuto a vivere con me e ci siamo separati. Mi sono resa conto che questa era la mia vocazione e non potevo chiedere al resto della mia famiglia di fare lo stesso. È stato normale aspettarsi che degli adolescenti non volessero vivere improvvisamente senza energia elettrica”. Perché una donna brillante e laureata arriva a scegliere una strada che può sembrare quantomeno drastica? “Da bambini, non siamo mai stati incoraggiati a concentrarci sulle cose materiali” continua Emma, “Ero solita giocare nei campi“.
Ha sempre amato i fiori e la natura

…”Io e mio fratello a volte mangiavamo i nostri pasti sugli alberi. È stato idilliaco. Ho avuto la vera libertà. Sono molto grata di non aver mai dovuto vivere la sensazione di aver fatto qualcosa solo perché tutti gli altri l’hanno fatta. Ho portato avanti questo principio. Oggi, tutto ciò che riguarda la mia vita mi rende felice. Svegliarsi in un bosco e guardare i bellissimi alberi, vedere le stelle e la luna, ho un rapporto molto stretto con il mondo naturale”. Per questo Emma ha deciso di vivere prendendo l’acqua da un ruscello, tagliando la legna, coltivando le sue verdure, curando i suoi animali (sette galline, tre capre, due cavalli e due gatti) e costruendo una capanna in stile hobbit fatta di paglia, fango e sterco di cavallo. E trascorre la propria esistenza in un luogo straordinario che lei chiama casa, dove ogni tecnologia moderna è bandita e la vita è a impatto zero, con i minor danni possibili sul pianeta. E’ possibile.
Fin qui la notizia, della quale riporto la fonte:
http://www.ilfattaccio.org/2013/01/25/la-signora-hobbit-la-donna-che-vive-in-maniera-quasi-medioevale-a-impatto-zero/.
Bello, diremmo, persino idilliaco, ma a mio sommesso avviso la signora Orbach qualora dovesse essere portata ad esempio, potrebbe esserlo di ciò che, oggi, appare fuori dal tempo e fuori dal mondo. Contenta lei contenti tutti, naturalmente.

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Tanto per chiarirci, chi scrive non si ritiene un ecosostenibile da salotto: non possiede televisore, radio, lettore cd, kindle e neppure – da tempo immemore – un’auto. Vive per la maggior parte dell’anno in una contrada di montagna ad oltre un’ora di marcia dalla strada asfaltata e dalla ferrovia, ritiene che non esistano erbe infestanti e per cucinare (utilizzando per quanto possibile vegetali locali coltivati o raccolti personalmente, nonché carne e uova del posto, poiché non ha voglia, in salita, di caricarsi le spalle come un mulo) sfrutta le proprie conoscenze termotecniche divertendosi a giocare con il calore residuo. Ma mai si sognerebbe di edificare una casa con la merda di cavallo. Piuttosto con paglia e terra cruda seondo una metodologia antichissima, tra l’altro antisismica in modo naturale, e dipingendo a calce e pigmenti naturali ricavati da erbe e bacche. Forse perché, quand’anche fosse nato in una famiglia ricca, non si sentirebbe di certo addosso il fardello di chissà quali sensi di colpa da scontare. Viva la Vita.

ACS

Non è un paese per auto: Frasnedo, il borgo senza strade

Scarponcini ai piedi e camminata in salita di almeno due ore lungo una mulattiera nel bosco dominato da castagni, agevole ma che in alcuni tratti è a gradoni da togliere il fiato. Solo a queste condizioni la Valle dei Ratti si lascia scoprire.
Il toponimo origina da un’antica famiglia comasca che qui vi possedeva numerosi pregiati alpeggi, e la valle è percorsa in tutti i suoi 11 km dal torrente omonimo che sorge dal Pizzo Ligoncio, a 3.038 metri di quota per sfociare nel Lago di Mezzola.
La valle ed il suo principale nucleo abitato, Frasnedo, costituiscono un emblema di quella montagna quanto mai viva, perché ha saputo evitare l’arrembaggio di turisti in cerca di paradisi a portata di automobile. La strada carrozzabile si arresta dopo numerosi tornanti a pochi chilometri dall’abitato di Verceia ad un’altitudine di circa 600 metri. Per questa ragione la valle resta là, nascosta, alle spalle della Costiera dei Cech, con le sue ampie possibilità escursionistiche note in una comunque ampia cerchia di intenditori e appassionati, regno degli abitanti di Verceia che d’estate animano il nucleo di Frasnedo guardando gli arditi forestieri senza diffidenza ma con l’orgoglio di chi si sente sovrano di un lembo alpino denso di storia e di tradizioni.
La valle, la prima orientale che s’incontra entrando da sud in Valchiavenna, scende ripida con andamento Est-Ovest dalle vette granitiche del nodo del Ligoncio, che ha come vetta principale il pizzo omonimo dal quale si dipartono anche le valli Codera e Masino. Sul suo versante orientale si erge, tra gli altri, il monte Spluga e dalla valle si accede ad importanti passi: oltre al Piana, al Visogno ed al Colino i passi gemelli di Primalpia – etimologicamente la prima fra le Alpi ovvero l’Alpe per eccellenza – a quota 2.476, e la Bocchetta di Spluga, a 2.526, che congiungono l’alta Valle dei Ratti alla Val Masino.
Il Rifugio Volta del C.A.I. di Como ed il Bivacco Primalpia realizzato e gestito dalla Comunità locale costuiscono punti di approdo sicuri per escursioni ed arrampicate, nonché talvolta per la sosta temporanea di chi conduce agli alpeggi in quota le mandrie, dal latte delle quali si ricavano d’estate ottimi formaggi grassi.
Per salire a Frasnedo è necessario percorrere la mulattiera, indicata dal segnavia, che dopo un primo tratto scalinato, risale il fianco di una sorta di promontorio dal quale si inizia a guadagnare quota prendendo verso Est e transitando a quota 664 presso una cappelletta per traguardare, a quota 910 fra tronchi di antichi castagni, i binari del Tracciolino, particolare ferrovia decauville che con tracciato pianeggiante sviluppato per km 11,786 congiunge il bacino di carico di Codera per l’adduzione alla centrale idroelettrica di Campo di Novate, con la diga di Moledana. Venne realizzata nel 1933 per trasferire i materiali da costruzione necessari ad erigere la diga in val Codera e dal suo straordinario percorso, che taglia valloni orridi e verticali, si possono ammirare panorami mozzafiato. Meriterebbe una riqualificazione turistica, possibile a costi contenuti, ma non siamo nella vicina Svizzera.CC 2018.06.19 Cartina FrasnedoLasciando sulla destra il tratto ferroviario che finisce alla diga di Moledana, eretta all’imbocco di un orrido che scende a perpendicolo per ottanta metri, si prosegue lungo la mulattiera per Frasnedo sino a raggiungere il nucleo abitato di Casten, che deve il nome alla massiccia presenza dei castagni, incontrastati dominatori di questa parte della valle.
Salendo ancora ci si affaccia alla soglia della media valle, presidiata da una cappelletta a quota 1.171 e denominata della Val d’Inferno, dal nome del vallone laterale che precipita da nord nel solco principale della valle.
Da qui si inizia a vedere, in alto sulla sinistra, Frasnedo, il borgo a quota 1.287 che sorge sotto il crestone che divide la valle dal vallone di Revelaso e deve il toponimo ai molti frassini presenti.
Un tempo era abitato tutto l’anno ma, com’è accaduto a molti borghi montani, cadde in uno stato di pressoché completo abbandono. Oggi si anima nella stagione estiva dopo che i cittadini di Verceia, fieri del fatto che la valle sia rimasta immune dal cosiddetto progresso, hanno recuperato con le loro mani – molti sono muratori – vecchie case e fienili ereditati per venire quassù a trascorrere le ferie, falciare il fieno o portare le vacche. Gli approvvigionamenti sono assicurati da una teleferica voluta e gestita dal consorzio formato dagli stessi abitanti di Frasnedo e della quale tutti sono piuttosto fieri. Nel mese di agosto il villaggio è animato da svariate feste, alcune delle quali evocano sensazioni antiche.
Davanti alla chiesetta consacrata alla Madonna delle Nevi, alla quale è dedicata la più importante delle feste agostane con fiaccolata notturna, si erge un grande olmo montano, censito nel 1999 fra gli alberi monumentali della Provincia di Sondrio per il suo portamento, la sua eleganza ed anche la sua rarità botanica a questa quota: la circonferenza del suo tronco misura 270 cm ed è alto 10 metri. La chiesetta è posta in posizione rialzata, rispetto al corpo centrale del paese e la sua collocazione permette di vivere la sensazione di una curiosa sospensione: guardando oltre la soglia della bassa valle si scorge uno spicchio del lago di Mezzola, mentre volgendo lo sguardo alla testata della valle torreggia il monte Spluga, in una dimensione intrisa di suggestione e mistero. Anche qui, come in tanti altri luoghi remoti della montagna alpina, sono fiorite numerose leggende.
Poco discosto dall’abitato, presso la stazione di arrivo della teleferica, vi è un’accogliente struttura dotata di bar, connessione wi-fi e possibilità di pernottamento sino a trenta posti letto: è il Rifugio Frasnedo che, in questo scenario naturalistico e paesaggistico di notevole bellezza offre massima disponibilità e cordialità, ed il cui ristorante propone gustosi piatti tipici locali.
Una chicca, che la dice lunga sui valori condivisi in valle: anche quest’anno è prevista una lotteria ferragostana. I premi principali? una capra ed una motosega.

Alberto C. Steiner