Vorrei uno chalet svizzero. Mi dispiace, si è inceppata la stampante.

L’avevamo già letto l’anno scorso su Livescience e su Daily, ed ora lo ritroviamo su Focus di gennaio.
Nei laboratori dell’Università della Southern California giurano che si può: stampare case in 3D non è una missione impossibile. Infatti hanno creato un robot in grado di stampare (leggasi costruire) in 3D un’intera abitazione.
In un futuro neanche tanto lontano l’intero comparto dell’edilizia potrebbe essere totalmente rivoluzionato da questa gigantesca macchina dotata di due braccia meccaniche capaci, mediante un procedimento detto countour crafting, di creare in sole 24 ore una casa a due piani di circa 240 metri quadrati.
Le braccia meccaniche si muovono su due binari come una gru aggiungendo strato per strato tutti i componenti edili dell’edificio e riducendo al minimo gli sprechi, senza l’ausilio di muratori, manovali, falegnami, lattonieri o carpentieri. La macchina riceve istruzioni computerizzate per interagire con una pompa per il getto del materiale usato per edificare, composto da due parti di calcestruzzo standard, due parti di sabbia e una parte d’acqua. Un software avrà cura di guidare la gettata lungo i profili dei tracciati che si basano su elaborati planimetrici, realizzati dai progettisti e convertiti in codice per essere interpretati dal software. Una volta terminata la realizzazione dei muri, agli operai umani resterebbero le finiture: posa dei pavimenti, impianti idroelettrici e sanitari, infissi e serramenti, riscaldamento.
Il robot sarebbe addirittura socialmente utile: in caso di calamità naturali potrebbe essere facilmente trasportato sui luoghi dei disastri ed essere impiegato per la rapida realizzazione di rifugi di emergenza.
Relativamente alla robustezza ed all’antisismicità l’inventore ed il suo team di ingegneri sostengono che le case costruite in questo modo sono molto più robuste di quelle tradizionali, poiché i muri stampati dalla Contour Crafting sono formati da due profili di cemento separati da un distanziale, e lo spazio interno viene riempito con altro cemento sagomato a S. No comment…KL Cesec CV 2014.01.30 Case 3DL’inventore, il professor Behrokh Khoshnevis, ha dichiarato: “L’obiettivo finale è quello di automatizzare la costruzione delle case senza necessità di impiegare manovalanza. Il vantaggio di questa tecnologia permetterà di costruire alloggi d’alta qualità a basso costo. Questa nuova tecnologia, secondo le mie previsioni, migliorerà l’economia perché darà impulso al settore dell’edilizia con nuove opportunità d’investimento“.
Il novello Stranamore è convinto che l’utilizzo della sua tecnologia durerà nel tempo e si proietterà nel futuro, quando i suoi macchinari robotizzati verranno portati nello spazio guidati da terra, per costruire sulla Luna e persino su Marte le città che accoglieranno i futuri colonizzatori. L’idea di un robot che può essere inviato su un pianeta extraterrestre per costruire autonomamente un edificio apre a scenari da fantascienza, e non poteva non incuriosire la Nasa, che avrebbe avviato studi per renderla realizzabile).
Questa tecnologia è come una roccia in equilibrio in cima alla montagna” ha spiegato l’inventore “basta una spintarella per provocare un’inarrestabile valanga di idee“. Già, anche con i castelli di carta succede così. Però, esimio professor-ingegnere-inventore, una roccia che cade da una montagna si chiama frana… ci dia retta, si sputtana se va in un cantiere a parlare di valanga. Già ma, esimio, c’è mai stato, lei, in un cantiere?

Mosè salvato dalle acque. E le acque, chi le salva?

 Presso il museo del Louvre è conservata una diorite dell’altezza di circa mezzo metro detta la Stele della vittoria di Sargon, in accadico Sharru-kin, che significa re legittimo.
Fondatore della dinastia di Akkad e grande conquistatore  vissuto tra il XXIV e il XXIII secolo a.C. a lui vennero dedicate queste parole: Sono Sargon, non conobbi mio padre, mia madre era una sacerdotessa, mi concepì e mi dette alla luce in segreto. Mi mise in una cesta di giunchi e sigillò il coperchio con del bitume. Mi depose sul fiume che non mi sommerse ma mi sospinse fino all’irrigatore Aqqi, che mi accolse come un figlio, mi allevò e fece di me un frutticoltore.
La vicenda di Sargon è praticamente identica a quella di altre due figure di salvati dalle acque tra il mito e la storia, nella cultura occidentale e cristiana molto note: Mosè e Romolo.
Sargon era figlio di una sacerdotessa, come Romolo lo era della vestale Rea Silvia: entrambe avevano fatto voto di castità e per questa ragione partorirono segretamente.
Sargon e Romolo ufficialmente non conobbero il padre ed entrambi, ed in questo la leggenda li accomuna a Mosè, vennero abbandonati in un fiume dentro una cesta impermeabilizzata con bitume.
Diversa la vicenda di Mosè, il cui nome deriverebbe dalla radice משה che starebbe a significare colui che è stato estratto dall’acqua: salvato nientemeno che dalla figlia del faraone divenne pastore dopo aver commesso un omicidio che lo costrinse alla fuga.
In queste tre vicende l’acqua, se non come elemento di potenziale morte, viene comunque vista come veicolo di allontanamento, occultamento, separazione e, indirettamente, trasformazione e rinascita ad una nuova vita.Cesec - Francis Danby DiluvioL’acqua come minaccia, addirittura come castigo divino che è anche purificazione, la troviamo nel diluvio universale e ancora, sempre come elemento minaccioso, da dominare e trasformare, nelle vicende di Gesù che cammina sull’acqua o che la muta in vino. E, naturalmente, non poteva mancare nell’Apocalisse, nonché nelle attuali vicende legate alle correnti migratorie destinate, che lo si voglia o meno, ad introdurre un profondo cambiamento nei costumi della nostra società.Cesec - Salvataggio nel MediterraneoMa l’acqua è vista anche come elemento purificatore per eccellenza: nel battesimo cristiano e nelle abluzioni ebraiche, islamiche, induiste.
L’acqua vista infine come elemento da sfidare: da Ulisse a navigatori come Vespucci, Magellano, Colombo, Cook per citarne solo alcuni.
Il fuoco lo fermi l’acqua no, recita un antico proverbio a significarne l’inarrestabile potenza …
Anche le nostre terre, nel loro piccolo, sono collegate a miti legati all’acqua. Valga per tutte la leggenda di san Gerardo dei Tintori, il co-patrono di Monza, fondatore nel 1174 di uno dei più antichi ospedali italiani investendovi tutta la fortuna ereditata dal padre e del quale si racconta che abbia arrestato una piena del fiume Lambro, salvando così l’ospedale dall’inondazione.Cesec - Sauvé des EauxAbbiamo sin qui accennato, senza nessuna pretesa di completezza, a note vicende per dire che, se miti e leggende parlano di salvezza dalle acque, oggi è giunto il momento di salvare l’acqua.
Acqua: un bene prezioso tutt’altro che inesauribile, sempre meno puro ed al tempo stesso sempre più prezioso per l’esistenza umana. L’acqua sempre più oggetto di mire speculative, dalle quali – ed è questo il punto – dev’essere salvata.
Stiamo assistendo ad una virata nelle politiche dell’alimentazione mondiale tendente al monopolio: dei semi, delle coltivazioni ed oggi anche dell’acqua. Detto in altre parole: qualcuno ha deciso di decidere chi avrà il diritto di nutrirsi e dissetarsi, e chi no. E l’asservimento alimentare è peggio delle peggiori carestie: porta alla schiavitù.
Per questa ragione noi, nella modestia delle nostre potenzialità o, se preferite, in una logica di nicchia che altro non è se non consapevolezza di, giustappunto come si suol dire, in quante spanne d’acqua possiamo muoverci,  siamo attivi nell’individuazione di fonti e bacini per fare in modo, attraverso opportuni strumenti finanziari e societari, che l’acqua sia di proprietà dei diretti utilizzatori, vale a dire di coloro che, in un’area territorialmente delimitata, in un comprensiorio, in un contesto locale hanno interesse diretto a fruire della loro acqua.
Se il nostro sogno, progetto, chiamatelo come volete, in ogni caso non utopia, si espanderà a macchia d’olio o a macchia di leopardo non lo sappiamo. In fondo nemmeno ci interessa: quello che ci preme è agire, presto, bene e concretamente nell’interesse di tutti.
Compriamo l’acqua per salvare l’acqua, è uno dei nostri slogan. Con la collaborazione di tutti coloro che sentono l’esigenza di salvaguardare il proprio futuro attraverso un profondo lavoro, è il caso di dirlo, sul qui-e-ora.

Campo, un progetto che non decolla

 Con Deliberazione Regionale n.2802 del 23 novembre 2010 avente come oggetto: Comune di Brenzone – Recupero e valorizzazione storico-culturale, paesaggistica, turistica e ambientale di Brenzone – località Campo; Approvazione della Convenzione relativa alle modalità di attuazione dell’intervento ai sensi della L.R. 13/1999 venne stanziato un importo di 760.000 €.
cesec,condivivere,campodibrenzone,borgo,cohousing,lagodigardaNell’agosto 2011, fu approvata dal Consiglio Europeo, e conseguentemente ritenuta finanziabile, la proposta di massima finalizzata al salvataggio di Campo per farne un’accademia del restauro ed un centro di eccellenza per la tutela delle tradizioni artigianali locali, eventualmente non disgiunto da un’attività di albergo diffuso sulla scorta di quanto realizzato in altri borghi abbandonati italiani e previo parere favorevole della Soprintendenza dei Beni Ambientali di Verona. All’uopo venne costituita appositamente la
Fondazione Campo – Campo Stiftung ed alcuni studi di massima furono redatti dall’Accademia del Restauro di Raesfeld, in Germania, e da Edilscuola di Verona con il parziale sostegno economico della Fondazione Cariverona.
Numerose le ipotesi progettuali legate al riuso del sito, previo un recupero che nei fatti non è ancora iniziato, non solo per mancanza di fondi.
Se un eventuale plesso museale può avere buone possibilità teoriche di essere realizzato in ragione dell’esiguità degli spazi e degli investimenti occorrenti, così non sembra essere per un centro che salvaguardi l’eccellenza artigiana: “
la gente vuole arrivare in auto, diversamente potremo contare solo su un’utenza occasionale” affermava in un’intervista rilasciata tempo fa all’Arena, il quotidiano veronese, un esponente della Confartigianato locale, aggiungendo: “e questo a fronte di investimenti finanziari non indifferenti che, in un momento economico difficile come l’attuale, sarebbe molto arduo recuperare. Certo, sarebbe bello poter educare la gente a non usare l’auto, alle passeggiate nella natura ed ai silenzi, ma il turismo mordi e fuggi non è tarato su questa lunghezza d’onda. E oggi più che mai dobbiamo prendere quello che c’è”. Pessimismo o sano pragmatismo? Sta di fatto che, oltre a qualche convegno e ad alcune pubblicazioni non si è andati.
Un’altra ipotesi sulla quale punta il recupero di Campo è la costituzione di un albergo diffuso, una soluzione che, rispettando e valorizzando il territorio ed i suoi caratteri naturalistici ed antropologici, offre un’ospitalità, generalmente di ottimo livello qualitativo.
Esempi in Italia non ne mancano. Come scrive Giancarlo Dall’Ara nel suo sito www.albergodiffuso.com un albergo diffuso è sostanzialmente due cose:
·
 un modello di ospitalità originale
·
 un modello di sviluppo turistico del territorio.
In estrema sintesi si tratta di una proposta concepita per offrire agli ospiti l’esperienza di vita di un centro storico di una città o di un paese, potendo contare su tutti i servizi alberghieri, cioè su accoglienza, assistenza, ristorazione, spazi e servizi comuni per gli ospiti, alloggiando in case e camere che distano non oltre 200 metri dal “cuore” dell’albergo diffuso: lo stabile nel quale sono situati la reception, gli ambienti comuni, l’area ristoro.
cesec,condivivere,cohousing,campodibrenzone,lagodigarda,borgo,recuperoMa l’AD è anche un modello di sviluppo del territorio che non crea impatto ambientale. Per dare vita ad un Albergo Diffuso infatti non è necessario costruire niente, dato che ci si limita a recuperare/ristrutturare e a mettere in rete quello che esiste già. Inoltre un AD funge da “presidio sociale” e anima i centri storici stimolando iniziative e coinvolgendo i produttori locali considerati come componente chiave dell’offerta. Un AD infatti, grazie all’autenticità della proposta, alla vicinanza delle strutture che lo compongono, e alla presenza di una comunità di residenti riesce a proporre più che un soggiorno, uno stile di vita. Proprio per questo un AD non può nascere in borghi abbandonati.
E poiché offrire uno stile di vita è spesso indipendente dal clima, l’AD è fortemente destagionalizzato, può generare indotto economico e può offrire un contributo per evitare lo spopolamento dei borghi.
La prima idea italiana di Albergo Diffuso nacque dal terremoto che sconvolse il Friuli nel 1976 utilizzando a fini ricettivi turistici le case ristrutturate con i fondi destinati alla ricostruzione. Il progetto-pilota, a firma dell’architetto Carlo Toson, risalente al 1982 e relativo al Borgo Maranzanis di Comeglians nacque da un’idea del poeta e scrittore Leonardo Zanier. All’epoca, in una logica di
marketing l’approccio iniziale poteva essere definito product oriented: si tenevano cioè in considerazione le prospettive di sviluppo del territorio e le aspettative dei proprietari delle case, ma si trascuravano le esigenze degli ospiti. Oggi il modelo dell’Albergo Diffuso, normato da 13 regioni italiane come modello orizzontale sostenibile, attrattore per i centri storici ed i borghi, non offre solo posti letto bensì il concetto di albergo che non si costruisce, respirando lo stile di vita del borgo grazie alla possibilità di alloggiare in case che si trovano in mezzo a quelle dei residenti, vale a dire nell’ambito di una comunità viva. Diversamente si tratterebbe di un villaggio per turisti.
Esistono attualmente diversi alberghi diffusi, attivi con successo; ai primi costituitisi in Friuli a Sauris, in Sardegna a Bosa, in Puglia ad Alberobello se ne sono aggiunti nelle Marche, in Abruzzo, nel Lazio, in Molise, in Toscana, in Trentino Alto Adige ed in Basilicata dove una particolare menzione merita l’albergo diffuso
Grotte della Civita di Matera, realizzato ricavando residenze dagli storici Sassi, mentre di quello denominato Sextantio, in Abruzzo, riferiamo a parte in ragione delle sue caratteristiche di unicità.

Alberto C. Steiner

 

Campo, la nostra ipotesi di Recupero

 In quanto rispettosi del territorio e delle identità culturali suggeriamo un’ipotesi su cui lavorare: non albergo diffuso sic et simpliciter, bensì l’attuazione di una realtà residenziale in cohousing e, tra gli spazi di proprietà comune, quelli destinati all’attività ricettiva.

cesec,borgo,cohousing,albergodiffuco,campodibrenzoneCohousing, ovvero comunità coresidenziale, significa che ciascun nucleo familiare vive in uno spazio di proprietà esclusiva, condividendo spazi comuni pensati per lo svolgimento di un’attività collettiva: biblioteca, ludoteca, lavanderia e via enumerando. Perché non un albergo diffuso? o, addirittura, la possibilità per chi lo desidera di aprire la propria casa ad un’attività di Bed & Breakfast, con l’albergo diffuso a coprire un ventaglio di esigenze ulteriormente ampio.
In buona sostanza, alcune persone o nuclei familiari acquisterano una casa o un appartamento (dipende dalle singole esigenze e dalle possibilità che emergeranno relativamente alla suddivisione degli spazi in sede progettuale) condividendo nel contempo la proprietà degli spazi destinati all’attività alberghiera. Questa soluzione potrà altresì consentire la creazione di posti di lavoro, tutelando nel contempo l’ambito territoriale ed evitando che l’iniziativa assuma la connotazione di un presepe o di una
Disneyland avulsa dal contesto come fin troppe ormai ne esistono, per esempio in Toscana.
Ci rendiamo conto che panorama, antiche case arroccate ed ulivi secolari non bastano ad attirare persone. Windsurf, vela, mountain-bike possono essere praticati non essendo necessariamente residenti a Campo. Che fare quindi per attrarre turisti, possibilmente non
mordi-e-fuggi? L’idea è quella di strutturare percorsi di benessere fisico e spirituale: attività olistiche, meditative e naturopatiche, preparazione e vendita di prodotti naturali a base di olive, olio, miele, risorse del bosco (per alimentazione, erboristica, cosmetica e via enumerando) organizzazione di eventi, disponibilità di spazi per singoli e gruppi che intendano organizzarvi convegni, incontri e seminari tematici, e magari un luogo dove, favorendo l’avvicinamento all’alimentazione naturale, ritrovare i sapori della tradizione locale, beninteso senza dimenticare quel prezioso corpo fruttifero ipogeo, come viene definito nei trattati naturalistici, che gli intenditori sanno bene dove trovare sulle pendici del Monte Baldo: il tartufo.

cesec,condivivere,campodibrenzone,borgo,cohousing,lagodigardaQuesta possibilità si sposa, a nostro avviso, con un’ipotesi a suo tempo ventilata: costituzione di un nucleo permanente di artisti, in una fucina di creatività a contatto con la natura e lontana quanto basta da traffico veicolare, rumori ed altre fonti di disturbo.
Se, infine, la distanza tra Campo ed i principali centri limitrofi: Rovereto e Trento, Verona, Desenzano e persino Brescia, potrà consentire ai residenti di recarsi agevolmente al lavoro, la connotazione ecosostenibile del borgo potrà permettere lo sviluppo di un mercato
a km zero che promuova i prodotti locali, magari attraverso l’accorpamento ad uno dei numerosi Gruppi di Acquisto Solidale presenti sul territorio.
Le idee non mancano, noi stiamo buttando qualche sasso… vedremo se e quali forme prenderanno le onde nello stagno.

Alberto C. Steiner