Mangia di stagione: interessante iniziativa della Provincia di Roma

Vi siete mai chiesti perché la frutta estiva è ricca d’acqua e quella invernale è più asciutta? Semplice: perché se quella estiva fosse asciutta si surriscalderebbe, mentre se quella invernale fosse ricca d’acqua gelerebbe.Cesec-CondiVivere 2014.10.14 Agriasilo 004Non manca inoltre un’importante ragione nutrizionale, come vedremo al termine di questa premessa, necessaria per inquadrare la questione: come gran parte degli Italiani della mia generazione provengo da una famiglia di antiche origini contadine. Gli ultimi furono i miei nonni paterni: tra il Polesine e il Delta del Po si occupavano di agricoltura ed allevamento di bovini e anguille sino alla devastante alluvione del 1951, quando vendettero le terre e si ritirarono. Ma le tradizioni rimasero ed io, pur essendo nato in epoca successiva, ricordo che in concomitanza delle festività natalizie una delle prelibatezze era “l’uva di Natale”, bianca e decisamente dolce a causa dell’appassimento. Da quel momento e fino a settembre di uva non se ne parlava più. In primavera arrivavano a rotazione fragole, nespole, albicocche, ciliegie, fino all’apoteosi di pesche, meloni, angurie, lamponi, more e mirtilli, questi ultimi invero presenti tutto l’anno poiché opportunamente conservati venivano usati anche in cucina. Si chiudeva con pere, fichi, noci e uva, per passare a castagne, mele, arance e cachi.
Onnipresenti datteri, banane, ananas e frutta secca ma avocado, mango, tamarindo e via tropicando chi li ha mai visti sino ai primi anni Settanta?
Di pomodori e melanzane in inverno nemmeno a parlarne; cetrioli si, ma conservati in aceto e spezie all’uso tedesco. Crauti quanti ne volevamo: freschi in stagione, bianchi e rossi, in salamoia durante il resto dell’anno insieme con conserve di verdure miste sottaceto e barattoli di salsa di pomodoro. Le insalate, infine, marcavano le stagioni con i loro colori: il tarassaco – da noi detto pissacan – nelle sue progressionii di verde da marzo a ottobre, consumabile crudo e successivamente cotto; le lattughe, la riccia, la rucola sino al rosso del radicchio di Chioggia o di Treviso, o al bianco di quello mantovano.
Menzione speciale infine per la rucola, erba povera e spontanea sdoganata come si dice ora nelle preparazioni della cucina pseudopopolare riscoperta dall’intellighenzia ecochic degli anni Settanta. Quando mia nonna leggeva di certe ricette immancabilmente commentava con un “I g’ha scoverto l’acqua in canal” che sapeva di vetriolo…CC 2015.09.13 Mangia di stagione 001Oggi andiamo al supermercato ed in ogni momento dell’anno troviamo qualunque cosa, peraltro dalle provenienze più disparate.
Paleontologi ed archeologi fissano in 10mila anni fa la fine del Paleolitico con l’introduzione di agricoltura e allevamento presso alcune società euroasiatiche.
Ma ancora oggi tali pratiche non sono universalmente condivise: Pigmei, Boscimani, Indios amazzonici, Semang malesi vivono tuttora di quanto la natura offre loro spontaneamente. Per essere più precisi resistono all’apparentemente inesorabile avanzata delle società agricole e industrializzate. Il fatto che, ancora oggi, riescano a sopravvivere di sola caccia e raccolta significa che in determinate circostanze ambientali ciò rappresenta uno stile di vita efficiente: se la natura offre spontaneamente del cibo, perché compiere sforzi per procacciarsene altro?
Alle nostre latitudini, dove la natura è stata piegata dall’Uomo per sottostare alle sue esigenze, possiamo ancora trovare numerose specie vegetali selvatiche adatte all’alimentazione. Il loro numero è però in rapida diminuzione in ragione della costante perdita di biodiversità, dovuta principalmente alle logiche di mercato dell’agricoltura intensiva e al sacrificio di interi ecosistemi a favore di aree antropizzate.
La questione sembra apparentemente slegata dalla nostra quotidianità, e invece la nostra stessa esistenza è strettamente dipendente dalla biodiversità.
E così ho anch’io pronunciato il mantra catastrofista tanto caro a chi dovrebbe avere a cuore le sorti del pianeta, nonché i mezzi per potersene occupare salvo non andare oltre il blabla dei proclami e dei convegni…KL Cesec CV 2014.03.04 Ambiente maneggiare con curaIn ogni caso e come sempre le chiacchiere stanno a zero ma i numeri parlano chiaro: dall’anno 1900 ad oggi il 75% delle varietà vegetali è andato perduto, i tre quarti delle risorse alimentari mondiali dipendono da sole 12 specie vegetali e 5 animali e delle 75.000 specie conosciute solo 7.000 vengono usate in cucina. Delle 8.000 varietà censite in Italia nel 1899 ne sono rimaste 2.000.
Dalla fine della II Guerra Mondiale ad oggi delle 400 specie di grano esistenti il 90% sono scomparse. E che dire delle mele? Oltre un migliaio di antiche varietà ha ceduto il passo nell’80% dei casi a 4 varietà: due americane, una australiana e una neozelandese. Lo stesso vale per i pomodori: delle 300 cultivar commercializzate solo 20 sono autoctone. Stessa solfa per le altre solanacee, le cucurbitacee, i legumi e via elencando.
Il nostro Paese, con 57.000 specie animali, pari a un terzo di quelle europee, e 5.600 specie floristiche (il 50% di quelle europee) il 13,5% delle quali endemiche ha un patrimonio biodiverso fra i più importanti. Bene: 138 specie, il 92% delle quali animali, sono a rischio di estinzione a causa del consumo del suolo che erode gli habitat naturali, ed in ragione dell’intensificazione dei sistemi di produzione agricola. L’Italia, capeggiata dalla Lombardia, con il 43,8% di superficie coltivata è il Paese europeo con la maggior estensione di aree agricole. Ma l’abbandono dei sistemi tradizionali e naturali in favore di quelli industriali, l’impiego di sostanze chimiche dannose per il territorio, la logica della crescita infinita stanno abbattendo drasticamente il numero delle specie esistenti e, di quelle rimanenti, le qualità nutrizionali.
La delocalizzazione produttiva, nella quale noi italiani non siamo secondi a nessuno avendo da gran tempo acquisito direttamente o attraverso holding multinazionali immense estensioni di aree nel Sud del mondo, contribuisce inoltre a dare il colpo di grazia alla biodiversità.KL-Cesec - Supermercato - OrtofruttaLe nostre abitudini alimentari, rapportate a quelle dei nostri genitori e dei nostri nonni, sono state rivoluzionate nell’ultimo quarantennio attraverso il mutamento dello stile di vita, le aumentate disponibilità di cibo ed i trattamenti di raffinazione industriale: siamo le prime generazioni della storia ad avere il problema dell’obesità e del diabete sin dalla più tenera età.Cesec-CondiVivere 2014.12.03 Zingari 003Lo sviluppo delle produzioni intensive, delle monocolture e l’evoluzione delle capacità di trasporto hanno comportato che le disponibilità agroalimentari ci consentano di avere in ogni periodo dell’anno qualsiasi prodotto o perché coltivato in serra o perché proveniente da Paesi a stagioni rovesciate rispetto alle nostre.
I prodotti vengono però raccolti con largo anticipo rispetto alla loro disponibilità al banco, e la loro maturazione e conservazione avvengono spesso durante lo stoccaggio ed il trasferimento, non di rado grazie all’impiego di prodotti potenzialmente tossici.
Tutto questo si tramuta in un maggior costo:

  • economico, in quanto il prodotto deve ripagare dei maggiori investimenti compiuti per realizzarlo fuori stagione, per conservarlo o per farlo giungere da lontano fino al nostro Paese;
  • ambientale, in quanto si ha un dispendio di energia e un maggiore sfruttamento di risorse naturali (ad esempio il gasolio usato per riscaldare le serre);
  • nutrizionale, perché ogni tipo di frutta o verdura nasce, indipendentemente dalla volontà umana, per rinfrescare d’estate e riscaldare d’inverno. Pomodori e cetrioli, per esempio, sono tipicamente estivi per tale ragione, mentre carciofi e verze sono tipicamente invernali per la ragione opposta.

Per rieducare ad un consumo alimentare responsabile, salutare ed ecosostenibile l’Assessorato alle Politiche dell’Agricoltura della Provincia di Roma ha promosso una lodevole iniziativa diffondendo un simpatico volumetto di 34 pagine, dal titolo La stagionalità dei prodotti agricoli nella provincia di Roma.CC 2015.09.13 Mangia di stagione 002Di agevole consultazione e gradevolmente illustrato descrive mese per mese i prodotti stagionali, concludendosi con un interessante capitolo sulle conserve e con uno di utili indicazioni che aiutano a consumare prodotti quanto più possibile sani e ricchi dei loro nutrienti naturali. Il volume è scaricabile in formato pdf a questo indirizzo.
Pur esulando dall’argomento della stagionalità, accenno in chiusura alla questione della filiera corta: le sue caratteristiche consentono rispetto della stagionalità, migliore qualità e freschezza del prodotto; l’assenza di intermediari permette inoltre un più adeguato compenso degli addetti, spesso schiacciati dalle politiche della grande distribuzione.

Alberto C. Steiner

Ecososteniblità dell’anima: servono ingegneri per progettare sogni

Ha scritto Franco Arminio, nel suo Geografia commossa dell’Italia interna: “Abbiamo bisogno di contadini, di poeti, di gente che sa fare il pane, di gente che ama gli alberi e riconosce il vento.
Più che l’anno della crescita, ci vorrebbe l’anno dell’attenzione.
Attenzione a chi cade, attenzione al sole che nasce e che muore, attenzione ai ragazzi che crescono, attenzione anche a un semplice lampione, a un muro scrostato.
Oggi essere rivoluzionari significa togliere più che aggiungere, significa rallentare più che accelerare, significa dare valore al silenzio, al buio, alla luce, alla fragilità, alla dolcezza.”CC 2014.04.30 Rinascere 001Questa frase mi ha indotto a rileggere l’articolo Solo attraverso profondi cambiamenti individuali il nostro Paese potrà rinascere, che pubblicai il 30 aprile 2014 su queste pagine (visionabile qui) poiché riconsiderandolo alla luce di mutamenti che non avvengono, di iniziative delle quali tanto si parla ma che sono costantemente al palo e di quella truffaldina bruttura dell’Expo 2015 mi è parso più che mai di viva attualità.
L’articolo nacque sulla scia di interessanti scritti pubblicati in quel periodo dal sito partner Consulenza Finanziaria argomentando di competitività estera e di malcostume delle aziende nostrane, oltre che di gestione del credito bancario.
Oggi più che mai il mondo, visto dal nostro Paese, appare immenso e pauroso perché i suoi equilibri stanno mutando ad una velocità inaudita, e nello scenario sono entrati di prepotenza nuovi protagonisti ben più grandi di noi, alterando antichi equilibri e stravolgendo gerarchie di potere che si credevano consolidate.
Questioni mai incontrate prima chiedono una soluzione, ma le opportunità di cambiamento vengono percepite come pericoli.
È già accaduto: per provincialismo, miopia e furbizia, quando non malafede, degli attori politici ed imprenditoriali nostrani l’Italia è arrivata impreparata alle grandi svolte, perdendo tempo prezioso. Ed anche oggi, se non saremo pronti ad intuire gli scenari del futuro, se non sapremo valutare la direzione del cambiamento nelle tendenze di lungo periodo, rischieremo di prendere una volta di più le decisioni sbagliate. Pagandole a caro prezzo.
Basti pensare che invasione è il termine più usato dagli attuali predicatori dell’Apocalisse: invasione di immigrati clandestini, di prodotti cinesi, di capitali stranieri che ci colonizzano. E non ci accorgiamo che tutto ciò che temiamo è in realtà già accaduto.
Intendiamoci: di fronte ad ogni cambiamento la paura è legittima perché le grandi novità spaventano, possono nascondere delle incognite ed il riflesso automatico ingenera un meccanismo di difesa. Oppure nega il cambiamento.
Per comprendere qualsiasi accadimento attribuendogli l’esatta misura è indispensabile non solo mutare prospettiva, ma anche osservare con distacco come l’oggetto delle nostre attenzioni risuoni dentro di noi comprendendo quali nodi da sciogliere e persino quali antiche ferite faccia vibrare. Solo così è possibile identificare la natura dei presunti pericoli che ci minacciano, stabilire se il modo per difenderci sia l’attacco – che non sempre è la miglior difesa – oppure il lasciarci morbidamente andare, per vincere la sfida senza accontentarci semplicemente di limitare i danni. Vale a dire per vivere piuttosto che accontentarci di sopravvivere.
Esistono anche da noi imprenditori illuminati: sono quelli che spesso non fanno notizia e che insieme con i più attenti osservatori possono tentare di rispondere con sano pragmatismo alle domande offrendo punti di vista nuovi e proprio per questo rivoluzionari.
Ma le scelte da fare non riguardano solo governi, classi imprenditoriali e dirigenti bensì primariamente la vita quotidiana di tutti noi: nel segno di un’Energia nuova e pulita sono tante le riforme dal basso che ciascuno di noi può avviare da subito, e costituiscono un antidoto alla lagnanza, alla rassegnazione, al senso di impotenza che non è mai nelle cose ma dentro di noi. Sono quell’impotenza, quella rassegnazione che respiriamo oggi in Italia nell’attesa sempre delusa di grandi cambiamenti, svolte, catarsi collettive, rinascite nazionali. Che dovrebbe essere sempre qualcun altro ad attuare.
Siamo invece noi che con maturata consapevolezza, impegno civile, consumi responsabili, dobbiamo incamminarci alla ricerca del nostro destino per costruire il nostro futuro. Detto in altri termini: è solo attraverso una profonda revisione dei nostri modelli produttivi, di consumo, sociali, interiori che possiamo agire per scuotere i sistemi politico e produttivo.
Ma se continuiamo a lamentarci attribuendo a chicchessia la responsabilità dei nostri fallimenti e del nostro non andare avanti, non solo resteremo al palo, ma inevitabilmente ci attende una regressione: economica, sociale, delle coscienze, intellettiva.Cesec-CondiVivere-2014.10.07-Medioevo-prossimo-venturoNon ci sono alternative: o ci risvegliamo dal sonno aprendoci ad un nuovo approccio alla qualità della vita, che presupponga un mondo nel quale il punto di riferimento non sia più il pil bensì la decrescita più o meno felice, o siamo dei morti che vagano in paesi dei balocchi, in realtà cimiteri alla portata di chiunque abbia occhi per vedere e cuore per sentire: autobus e metropolitane, centri commerciali, installazioni pseudoculturali di plastica.
Si dice che un intento individuale e decentrato non possa nulla ma non è affatto vero: dai gesti che ciascuno di noi compie ogni giorno possono nascere gli innumerevoli stimoli destinati a mutare il gradiente energetico in grado di sospingere il nostro Paese, e le nostre anime, verso l’ormai indifferibile cambiamento.Cesec-CondiVivere 2014.10.17 Appennino modenese vista suggestivaAltrimenti ci attende quello che da anni chiamo il medioevo prossimo venturo, che non considero una calamità ma un’opportunità ed al quale mi sto felicemente preparando attraverso la progettazione ecosostenibile di luoghi destinati ad accogliere piccole comunità il più possibile autosufficienti.

Alberto C. Steiner

Sharing economy: una pericolosa “alternativa”.

A fronte di 90mila italiani che affittano per brevi periodi la propria casa evitando così di essere costretti a saltare le rate del mutuo, duemila Bed & Breakfast accetterebbero di essere pagati con un baratto senza presentare il conto agli ospiti.
E se centinaia di migliaia di persone abbattono le spese di viaggio del 75% caricando in auto passeggeri che non conoscono, sette milioni di persone nel mondo dormono gratuitamente in casa d’altri al posto di pagare un albergo. Numerosissime famiglie tedesche, invece di fare la spesa, consumano alimenti da altri ritenuti superflui,  risparmiando 400 euro mensili.Cesec-CondiVivere 2015.06.06 sharing economy pericolosa alternativa 001Ma non è finita: questi sono solo alcuni esempi della sharing economy, l’economia della condivisione che sta diventando il nuovo paradigma economico basato sullo scambio, sulla condivisione e sulla collaborazione che, secondo alcune stime, sembra valga almeno 110 miliardi di euro e sia in crescita del 25 per cento ogni anno.
È la tesi sostenuta da Gea Scancarello in Mi fido di te, libro edito da Chiarelettere che si definisce un viaggio nelle opportunità create dai nuovi network che offrono servizi legati all’economia collaborativa. Il tutto raccontato direttamente da chi ha provato house sharing, carpooling, social eating, foodsaving e via condividendo.
Concordo sul fatto che, nel pieno della crisi che attanaglia sistemi produttivi e consumatori, l’economia dello scambio contribuisca a ripensare il capitalismo in una logica redistributiva, nella quale i costi si trasformano in risorse e le persone possono riappropriarsi di occasioni economiche e sociali.
Ma, a parte il fatto che sarebbe stato bello leggere questo libro in italiano invece che infarcito di inutili anglicismi, in tutto devono esserci dei limiti. Primi fra tutti la propria integrità, ovvero il proprio Spazio Sacro, e la consapevolezza che non tutto ciò che viene contrabbandato come alternativo è oro che luccica. Mi spiego: questo modello ci porta a diventare accattoni credendo di essere fuori dal coro, ci fa smarrire il senso del lavoro e della sua dignità, non ci fa alzare la mattina determinati a costruire perché qualcosa comunque accadrà.
Ovvero: non preoccupiamoci se il nostro diritto al lavoro verra’ gradualmente smantellato, del resto il lavoro è pena, costrizione e sfruttamento e, mettendo insieme un po’ di reddito di cittadinanza e un po’ di elemosina barattata in giro, dovremmo riuscire a sfangare la fine del mese.
E poi io, scusate, ma non mi fido di uno che non solo non so come guida, non so se e come sia assicurato e non so infine se nel portabagagli trasporti un quintale di fumo.
E se i gestori di B&B vogliono svilire la loro professionalità regalando il soggiorno in cambio… in cambio di che? Dormo due notti e gli ridipingo le pareti? Ma figuriamoci, loro dimostrano di non valorizzare adeguatamente la risorsa imprenditoriale sulla quale hanno investito, e io in compenso so di non valere nulla come imbianchino.
Trovo che questo libro, al di là delle buone intenzioni, sia un inno al pressapochismo ed alla mancanza di professionalità ma, se decidiamo di vivere in una comune o in una setta di matrice orientaleggiante dove la condivisione è totale abbiamo fatto bingo. Peccato che gli hippies siano morti di vecchiaia e di stenti, tranne i più furbi che son diventati guru, e siano rimasti solo gli straccioni con la presunzione di insegnare agli altri come essere alternativi.
Oltretutto seguendo il percorso indicato nel libro si fa il gioco del potere più bieco, quello che oggi non è più neppure capitalista ma iperfinanziario, che vuole una massa di beoti non pensanti, amorfi, privi di iniziativa e massificati in ogni senso verso il basso come i negri (sissignori, ho scritto negri: consultare il Devoto-Oli) ridotti a vivere in attesa degli aiuti umanitari. L’iniziativa, signori, non consiste nello svegliarsi la mattina per andare a cercare la carità mascherata da new economy. Da delettare, libro e modello.

Lorenzo Pozzi

Ci siete mai stati Oltrelasoglia?

Case Matte: non solo un progetto bellissimo, ma anche necessario. Specialmente in un momento come quello attuale dove si assiste costantemente alla creazione di figure di nemici e di diversi per alimentare quella sindrome della paura destinata a distogliere dalle questioni reali. E tutti possiamo essere o diventare diversi, se siamo fuori dal coro e non marciamo, come cantava Bennato, in fila per tre.Cesec-CondiVivere 2015.06.06 Case Matte 001Il progetto, presentato il 25 febbraio scorso presso la Camera del Lavoro di Milano si basa su un’idea di Teatro Periferico con il sostegno di enti e associazioni.Cesec-CondiVivere 2015.06.06 Case Matte 002Nasce nel 2012 con il sostegno di Fondazione Monza Brianza, Provincia di Monza e Brianza e Comune di Limbiate, raccogliendo le storie di chi ha vissuto all’interno dell’ex-ospedale psichiatrico Antonini di Limbiate: malati, medici, infermieri, assistenti sociali ricostruendo le condizioni di vita e di lavoro all’interno del manicomio, con il fine di non disperdere una preziosa memoria storica e di antropologia culturale.Cesec-CondiVivere 2015.06.06 Case Matte 003Il materiale raccolto ha consentito di mettere in scena lo spettacolo Mombello, voci da dentro il manicomio, realizzato in collaborazione con la Compagnia delle Ali che, dopo un biennio di repliche in luoghi a loro volta sedi di istituzioni totali come scuole, caserme, carceri, verrà portato in giro per l’Italia a partire dal prossimo autunno.Cesec-CondiVivere 2015.06.06 Case Matte 004Ma non verrà rappresentato nei teatri bensì negli ex-manicomi oggi chiusi e spesso nelle mire della finanza dai denti a sciabola, quella della speculazione edilizia: Limbiate, Genova, Reggio Emilia, L’Aquila, Aversa, Roma, Volterra, Firenze coinvolgendo associazioni impegnate nel recupero della memoria degli internati negli ex-manicomi.Cesec-CondiVivere 2015.06.06 Case Matte 005Ben lontana dal voler creare delle Disneyland della follia mediante la creazione di musei della tortura o allestire abiti e ambienti manicomiali, l’Associazione intende salvare dall’oblio la memoria dei pazienti psichiatrici che furono ricoverati nei manicomi italiani, dando in particolare voce a tutti quelli che subirono veri e propri crimini di pace, aprendo discussioni con i cittadini attraverso iniziative collaterali alle rappresentazioni teatrali: C’era una volta il manicomio, passeggiate all’aperto con narrazione delle storie del manicomio, presentazione del libro Atlante della città fragile di Gianluigi Gherzi, letture, mostre, narrazioni e incontri, diversi per ogni città, a cura dei soggetti coinvolti.Cesec-CondiVivere 2015.06.06 Case Matte 006L’Associazione ha pubblicato su Youtube il 12 maggio scorso un filmato molto ben fatto e  intenso, visionabile cliccando qui.
Non credo infine sia un caso se Case Matte non beneficia di finanziamenti pubblici ma solo del sostegno di associazioni, gruppi e cittadini. Gli incontri offriranno quindi anche l’occasione per promuovere la raccolta di fondi dal basso, per la sostenibilità economica del progetto.
Per chi volesse saperne di più ed eventualmente fornire il proprio sostegno: Teatro Periferico info @ teatroperiferico.it oppure Case Matte maddalena.peluso @ gmail.com.

Lorenzo Pozzi

Fear Arousing Appeal, il marketing della paura

Sta andando a ruba negli Stati Uniti il kit prodotto dalla società americana Taurus chiamato First 24 e dichiarato come indispensabile per sopravvivere ad un disastro e raggiungere un luogo sicuro. Significativo il disclaimer del produttore: “Un team di esperti del settore ha selezionato i componenti di alta qualità racchiusi in questo kit che vi permetterà di sopravvivere alle prime 24 ore, dandovi un vantaggio considerevole. Dal disastro naturale ad una apocalisse zombie, voi sopravvivrete”.Cesec-CondiVivere 2015.06.03 Marketing della paura 001Il kit comprende un revolver a cinque colpi Taurus Judge, detto il giudice supremo, camerato per le .45 Colt e per le .410 Bore e completamente personalizzabile con mirini ottici; munizioni; un coltello tattico CRKT Sting Survival a lama non riflettente; una torcia elettrica anfibia che può proiettare un fascio stroboscopico in grado di accecare la minaccia; e per finire accendino, bussola, fune, batterie ricaricabili. Il tutto contenuto in una robusta valigetta dichiarata resistente a tutto Costo: 1.499 dollari.
No, vi rendete conto? Mettiamo di trovarci alla canna del gas per una catastrofe ambientale e stiamo a pensare agli zombie… ma non crediate che accada solo a quei beoti degli americani: anche da noi la paura fa 90 e, sulla circolare filoviaria di Milano, pure 91…
È bene sapere che esiste una forma particolare di marketing strategico: il Fear Arousing Appeal, o della paura.
Chi vuole vendere un prodotto ha due possibilità: soddisfare un bisogno reale oppure crearne uno che prima non c’era. Con i cellulari, per esempio, si è creato un bisogno prima inesistente.
Ma, giusto per amor di fatturato e di controllo, ogni giorno viene fatto credere nell’esistenza di un falso problema, che spesso fa leva sugli istinti peggiori. In un mondo dove siamo sopraffatti dal superfluo la nuova frontiera è quella di insinuare paure ingiustificate, per poi proporre un prodotto risolutivo.
La tecnica consta di tre passaggi ben precisi:

  • Creazione della minaccia
  • Descrizione sempre più preoccupante del pericolo appena creato, così da generare tensione
  • Proposta della soluzione attraverso l’acquisto di un prodotto che rassicura e garantisce che, seguendo i suggerimenti forniti, non si correrà alcun rischio.

Attraverso la creazione di un problema inesistente si giustifica la spesa per difendersi da un nemico invisibile e spesso, per rincarare la dose, viene applicata un’ulteriore tecnica di marketing strategico, uno strumento legalmente legittimo, basato sul semplice meccanismo della domanda/offerta, ma che ancora una volta fa leva sulle paure. In amor vince chi fugge… ma la massima può essere applicata anche agli affari: il prodotto, reso essenziale dallo stratagemma del terrore, viene distribuito ad un prezzo ragionevole ma in quantità limitata e solo entro una certa scadenza. Inutile dire che la disponibilità limitata di un’opportunità spinge a desiderarla maggiormente proprio per paura di perderla.
Lo sanno bene aziende multate dall’Antitrust per sconti incredibili che terminavano di domenica, ma non si capiva quale, visto che ogni domenica venivano rinnovati.Cesec-CondiVivere 2015.06.03 Marketing della paura 002Pubblicità, televisione, certi siti di informazione non hanno alcun interesse a fornire informazioni corrette, unica loro finalità è attizzare il fuoco della paura per manipolare spingendo a fare quello che vogliono. Di esempi ce ne sono moltissimi, basta scorrere internet per trovarne a bizzeffe: le scie chimiche, i clandestini che stupreranno le nostre figlie e ci prenderanno le case, i giocattoli costruiti di proposito con sostanze che fanno morire i bambini e, per converso, la bacca che cura il cancro, la formula magica della tal acqua dinamizzata. Mi fermo qui che, come dice il Puffo Quattrocchi, è meglio…
Vigili, centrati, ragionare con la propria testa, infischiandosene di apparire fuori dal coro. Ecco la soluzione.
Il ben dell’intelletto è un dono straordinario, ma nella vita spesso lasciamo che sia la nostra parte irrazionale a spadroneggiare, non coltivando sufficientemente la capacità di valutare lucidamente le decisioni, ma con la pretesa che i nostri desideri siano realizzati. Da chi? Come? Dove? Quando? E soprattutto perché mai dovrebbero esserlo senza che noi facciamo un passo?
Prendiamo certi post che trovano largo consenso sui social: è tutto un blablabla, un delirio incazzato, un urlo dell’impotenza, uno sbavare di turpitudini qualunquiste, razziste, da stadio. Ma nessuno si sogna di spegnere il pc assumendosi la responsabilità di scendere in strada con mazze e bastoni. Altrimenti come farebbero a continuare a lamentarsi? No, dev’essere qualcun altro a farlo…
Inutile che ci facciamo illusioni, la massa non è senziente, la cosiddetta democrazia rappresentativa è una frode, e i social sono stati implementati per fornire un’illusione di libertà. Chi detiene il potere lo sa molto bene, come sa che l’irrazionale è la base dei vizi, della manipolazione sociale e di molti dei problemi che ci creiamo e che poi cerchiamo faticosamente di risolvere. E in questo certe infami filosofie misticheggianti che ci hanno spiegato che la mente mente non fanno altro che il gioco che apparentemente affermano di contrastare.
Seguendo il Pathos, ovvero l’irrazionale, crediamo che basti pronunciare parole positive, esercitare il peace&love incondizionato e, per converso, temere scie chimiche, complotti mondiali e contemporaneamente fabbricare acqua caricata infondendole chissà quale energia per trarre innumerevoli benefici.Cesec-CondiVivere 2015.06.03 Marketing della paura 003Se veramente esitono persone in grado di produrre effetti speciali, di muoversi nel tempo e nello spazio, non si sognerebbero mai di istituire corsi o seminari per l’apprendimento.
La verità è che mettiamo da parte la ragione perché abbiamo un gran bisogno di cambiamento e di conseguire la felicità, di non sentirci soli ed oppressi dal peso della fatica di vivere. Senza fare sforzi? Troppo comodo, gente…
Obiettivamente non si capisce perché qualcuno debba venirci a salvare prendendoci per manina e sollevandoci dalla massa di individui inconsapevoli che affollano il Pianeta. Gratis.
Una soluzione rapida e indolore che cancella ogni problema? A parte il suicidio, eventualmente anche di massa visto che siamo sette miliardi e le risorse bastano solo per due, non ne vedo altre. Dice: ma se tutti consumassimo meno, decrescessimo e balblabla… Io faccio la mia parte ma non ho nessuna intenzione di vivere allo stato brado, pur essendo ecosostenibilconsapevole. Esistono innumeri esseri che sono lì ad aspettare che la manna, manna onlus, manna ong, manna babbonatale, manna pippirinanda cada dal cielo senza essersi mai sbattuti per autodeterminarsi, autogovernarsi. Fatevene una ragione: non accadrà mai. Si, magari qualcuno potrebbe avere un grosso colpo di fortuna, ma è altamente improbabile e i furbetti del mondo lo sanno, per questo studiano come farci sognare, per riuscire a trasformarci in burattini senza cervello, che si bevono qualunque fesseria viene loro raccontata.
L’egemonia del lato irrazionale è la radice che spinge verso l’autodistruzione, è la corrente che permette al pifferaio di farsi seguire ed alle dittature di regnare, perché i politici carismatici sanno bene come esaltare la folla ignorante facendo leva su sentimenti manipolabili; è lo stesso motore della dipendenza dal gioco d’azzardo, malattia che gli stessi stati alimentano in continuazione ben sapendo quali meccanismi emozionali scatenare. La supremazia dell’irrazionale permette alla superstizione di vincere sulla ragione, e quindi a maghi, indovini, maestri e guru di vivere come parassiti sfruttando le paure delle persone, costituendo l’humus sul quale sono nate e cresciute centinaia di religioni, capaci di travalicare l’ambito spirituale nella certezza che l’ignoranza diffusa non permetterà alle persone di pensare con la propria testa.
Tutto questo non solo è noto, ma è sfruttato quotidianamente da chi ha capito che il potere si ottiene basando la propria vita sulla ragione e sfruttando le debolezze di chi invece lascia che l’impulsività e la superficialità tengano in mano le redini della sua esistenza.
Io li chiamo truffatori dell’anima, e queste stesse persone ridono quando capiscono che la massa crede nella favoletta che il sentimento, quello che spinge a compiere errori irreparabili, è caldo, mentre la ragione è fredda, triste; addirittura godono quando sentono persone farsi paladini del Pathos, del ragionare di pancia, dell’agire d’istinto, e pensano: “Ecco un altro pollo da spennare”.
Ed è la stessa modalità che muove i vari maestri, guru, illuminati e mappine varie ai quali si rivolgono persone in stato di disagio quando non disperate. Loro fra i truffatori, insieme ai politici sono i peggiori, perché insegnano che la mente mente, che occorre la pancia, occorre il cuore, che tutto il resto sono sovrastrutture: misticismo, peace&love, pacifismo. Sono tutti accorgimenti per ottundere le coscienze, per creare una pletora di beoti convinti di essere liberi. E per creare dipendenza.Cesec-CondiVivere 2015.06.03 Marketing della paura 004Fino a quando questo sarà il pensiero dominante, loro avranno vita e denaro, mentre gli altri resteranno nella mediocrità, oppressi, senza nemmeno accorgersi di chi sono i carnefici.
Spesso dimentichiamo che filosofia, quella che ci piace citare quando vogliamo dare rilevanza al nostro lato irrazionale, significa invece amore per la sapienza, esattamente l’opposto di quello che crediamo e del modo improprio con il quale la tiriamo in ballo.
Per essere felici è necessario riuscire ad essere padroni della propria vita, cioè compiere le scelte migliori per noi, in funzione di quello che vorremmo che ci accadesse, cioè usare il Logos. Nonostante l’imprevisto sia sempre dietro l’angolo, non c’è motivo per non indirizzare tutti i nostri sforzi verso i traguardi che vogliamo raggiungere, ma prima di tutto va chiarito un concetto importante: questi sono i sentimenti caldi, forti, che consolidano l’autostima rovesciando la percezione che si ha dell’uso della ragione, del pensare e dell’agire con la propria testa, senza farsi sopraffare da sentimenti irrazionali derivanti dall’ignoranza dilagante.
E’ il vero piacere, più forte di un qualsiasi cambiamento inaspettato, perché quest’ultimo lascerebbe sempre il dubbio, la paura che le cose possano cambiare nuovamente, timore che invece non esiste quando si conosce il perché degli accadimenti, si sanno valutare bene i fattori che hanno portato ad un determinato stato e come ricrearli perché le cose tornino (eventualmente) al loro posto.
Per questo, quando si vuole cambiare occorre ragionare e lasciare che la mente prevalga sulle decisioni impulsive. Fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e conoscenza scrisse l’Alighieri nel Canto XXVI dell’Inferno…
Eccessi incontrollati, scelte errate, fede nelle pseudo-scienze significano solo farsi manipolare, sono i mali che oggi impediscono alle persone di dare una svolta alla propria vita. Sono le forme peggiori di repressione della libertà perché non permettono all’individuo di accorgersi della condizione in cui versa e quindi difficilmente può liberarsene.
Ragionare con la propria testa è la chiave, per farlo il primo passo è ammettere che la ragione è più soddisfacente ed efficace dell’agire di pancia, capire che alle persone non piace usare la testa perché costa fatica, lavoro, impegno, responsabilità mentre l’illusione di soluzioni facili non richiede sforzo, ma non porta a niente, se non ad un diverso livello di schiavitù.
Vogliamo davvero cambiare vita e provare ad essere felici? Cambiamo completamente l’approccio alla vita. Ma il cambiamento richiede sforzi concreti e applicazione metodica che porti a risultati certi e ripetibili.
Ripetibili, questa è la parola chiave. La ragione produce risultati ripetibili, misurabili, che infondono sicurezza. E solo la sicurezza in noi stessi è la chiave della serenità contro lo spaventapasseri dell’ignoranza.

Alberto C. Steiner

Rinasce la Biblioteca di Alessandria

CondiVivere significa anche vivere liberamente cultura e informazione per un’ecologia della mente e dell’anima.
Al di là delle attestazioni formali Internet è sempre meno libero, sempre più oggetto di censure e manipolazioni ed a propria volta manipolatore. Intendiamoci, Internet non è che un mezzo, gestito da esseri umani.
Questa è una delle ragioni per cui bisogna prendere sempre più con le pinze le notizie che vi vengono veicolate, spesso distorte e finalizzate a far vedere e credere il peggio, in ossequio a quel divide et impera che, con ci casca, funziona sempre.
Accade però che nascano iniziative degne di nota, oltre che di encomio. Parliamo di una di queste, riprendendo la notizia dal nostro sito partner Consulenza Finanziaria.Cesec-CondiVivere 2015.05.16 Biblioteca Alessandria 001In quello che forse può essere il prossimo step nella lotta per la libertà d’informazione su internet, la blockchain startup con sede a San Diego, Blocktech, lancia una campagna di crowdfounding per sostenere Alexandria, una piattaforma decentralizzata, opensource e peer-to-peer per ogni sorta di media.
Usando la tecnologia della blockchain, Alexandria permette agli utenti di distribuire praticamente ogni sorta di media, – incluso video, musica, podcast, libri e progetti 3D-stampabili – su di un network di computer globale e incensurabile.
Parlando a Cointelegraph, il CEO di Blocktech Davon Read, ha spiegato: “Possiamo comparare Alexandria a Youtube oppure a Soundcloud, ma, grazie a diverse tecnologie peer-to-peer, la piattaforma non si appoggia a nessun server. Gli utenti possono pubblicare tutto ciò che vogliono, e hanno il pieno controllo di come vengono pubblicate le loro opere“.
Anche se Alexandria è promossa come piattaforma, bisogna sottolineare che il software Alexandria, non memorizza tecnicamente nessun contenuto, su nessun supporto digitale. Utilizza invece la blockchain per memorizzare e distribuire magnet links collegati al protocollo BitTorrent, popolare per il file-sharing peer-to-peer. Come tale, Alexandria è forse più comprensibile se descritta come una versione decentralizzata di siti torrent come Piratebay, ma con diverse funzionalità aggiuntive come lo streaming e le opzioni di pagamento integrate.
Il vantaggio maggiore di Alexandria rispetto ai normali siti di torrent è naturalmente l’assenza di server centrali, il che significa che il servizio non può essere chiuso o bloccato, come è invece avvenuto più e più volte con siti di questo genere. Finchè qualcuno farà mining sulla rete di Florincoin, Alexandria continuerà ad esistere.
Read aggiunge: “L’obiettivo era fondamentalmente quello di dare a tutti sul pianeta, il diritto alla libertà di parola. Non facendo passare leggi che possono essere abrogate, annacquate o semplicemente ignorate, ma creando un sistema direttamente sul web. Con Alexandria, un cittadino può condividere video sulla brutalità della polizia, un informatore può rilasciare prove di corruzione, un bambino prodigio può condividere la sua idea innovativa per la soluzione al riscaldamento globale, una vedova di guerra in Siria può condividere il suo documentario indipendente sulla vita in una zona di guerra e usare i proventi per aiutare a ricostruire il paese e Cody Wilson può condividere le sue armi da fuoco 3D stampabili, senza che nessuno possa censurarle.
Inoltre, Alexandria tenterà di sostituire i modelli attuali di monetizzazione, che molti creatori di contenuti utilizzano abitualmente su internet, con diverse forme di pagamento diretto da parte degli utenti. Attualmente Alexandria dà due opzioni: la possibilità di offrire mance opzionali ed un “pay-what-you-want”, ma il team sta pianificando per il futuro l’implementazione di diverse altre opzioni, come i micro-abbonamenti e un innovativo meccanismo di ‘copyright peer-to-peer’. Io personalmente odio la pubblicità sul Web, e in realtà non è molto efficace. Gli artisti fanno di questi tempi, meno di 1 dollaro da 1000 condivisioni dei loro contenuti. Pensiamo che micro tipping diretti e altre opzioni di pagamento basati sulle cryptocurrency possano fornire molto più valore agli artisti, ed una migliore esperienza per il pubblico“.Cesec-CondiVivere 2015.05.16 Biblioteca Alessandria 002Mentre la maggior parte dei tipi di pagamento in Alexandria può essere fatto in bitcoin, il software attuale è costruito sulla base di Florincoin, un altcoin lanciato nel 2013. Florincoin assomiglia a Bitcoin e soprattutto a Litecoin per molti versi, ma da questa cryptocurrency si distingue per la possibilità di collegare 528 byte di informazioni per ogni transazione. Alexandria utilizza questa opzione per memorizzare magnet links, nonché dati aggiuntivi sulla blockchain di Florincoin. Ciò significa che gli uploader di contenuti hanno bisogno di possedere alcuni florincoin per pagare le mining fees, che possono essere acquistate in Bitcoin all’interno della stessa app di Alexandria.
Read, non nega la possibilità di passare Alexandria su un’altra open blockchain, precisa però: “In questo momento, ha più senso per noi utilizzare Florincoin come nostro database e mi aspetto che questo continui ad essere la soluzione migliore per Alexandria nel lungo termine. Se dovesse però diventare evidente la necessità di cercare soluzioni migliori, quali potranno dimostrarsi le side chains o Ethereum, saremo disposti a cambiare i nostri piani“.Cesec-CondiVivere 2015.05.16 Biblioteca Alessandria 003Lo sviluppo di Alexandria è attualmente in fase α Alfa. Il team di Block Tech spera di essere in grado di raccogliere 36.000 dollari attraverso un crowdfounding per completare la beta privata in sei settimane e raccogliere ulteriori 42.000 dollari per rilasciare una beta pubblica opensource sei settimane più tardi. Il team, ha inoltre pubblicato un piano di sviluppo per dettagliare come verranno impiegati gli ulteriori fondi.

Alberto C. Steiner – Consulenza Finanziaria

L’Expo che verrà: ci sarà da mangiare…

Però riguardo alla luce tutto l’anno nulla sappiamo… Inaugurazione dell’Expo di Milano prevista per il primo maggio prossimo: 130 paesi partecipanti e centinaia di aziende si daranno appuntamento per riflettere e pianificare il futuro dell’alimentazione, con l’obiettivo di nutrire il pianeta, focalizzandosi sull’asse principale del diritto ad un’alimentazione sana, sicura e sufficiente per tutti gli abitanti della Terra.Cesec-CondiVivere 2015.03.26 Expo 002Così dicono gli slogan, ma sarà la verità? Sui media leggeremo resoconti, ma difficilmente affidabili visto che molti di questi saranno profumantamente pagati dagli stessi organizzatori di Expo. Il nostro parere, per usare un garbato eufemismo, è che i presagi non sono buoni.
Anzitutto sarà l’Expo delle multinazionali. E non potrebbe essere diversamente. Basta scorrere l’elenco dei partecipanti per capire come dietro allo slogan nutrire il pianeta si celi lo stesso clan che da decenni il pianeta lo affama o lo (mal)nutre di cibo di dubbia qualità e di sicura insostenibilità ambientale. Pensiamo solo al fatto che anche McDonald’s sarà presente a Expo come espositore e come sponsor, ed alle altre grandi firme già in prima fila: Barilla, tramite la propria fondazione Barilla Center for Food & Nutrition, si occuperà addirittura di coordinare i lavori per la stesura del protocollo mondiale sul cibo, insieme di linee guida per la produzione sostenibile di cibo per il pianeta. Come chiedere all’oste se il vino è buono…
Ma Expo ha siglato anche una partnership con Nestlè che, attraverso la controllata San Pellegrino, diffonderà 150 milioni di bottiglie di acqua con la sigla Expo in tutto il mondo; l’impronta ecologica di ogni litro di acqua in bottiglia è da 200 a 300 volte più impattante di quella del rubinetto, non ci pare quindi una grande idea sponsorizzare un’ulteriore crescita dei consumi di plastica.
Nestlè inoltre, per chi non lo sapesse, promuove da qualche anno l’istituzione di una Borsa per l’acqua, strutturata esattamente come quella del petrolio. In pratica, come andiamo da tempo sostenendo, la borsa della sete, suscettibile addirittura di innescare conflitti armati per l’appropriazione di questo bene irrinunciabile. In parte già avviene a Chicago.Cesec-CondiVivere 2015.03.26 Expo 001E veniamo agli sponsor. Poiché Expo significa visibilità numerose multinazionali hanno donato grandi quantità di denaro all’organizzazione. Tra queste Ferrero con 3,8 milioni di euro, Coca-Cola con 6 mlioni e un contributo del 12% per ogni lattina venduta nel suo padiglione, Nestlè-San Pellegrino 5 milioni di euro, Illy 4,7 milioni e persino Martini con 1,2 milioni, in quanto è noto che gli aperitivi costituiscono un ottimo metodo per smorzare i morsi della fame, soprattutto nel terzo mondo. Non poteva mancare l’ineffabile Coop, che ha speso più di tutti: 12,4 milioni di euro per aggiudicarsi la qualifica di Official Food Distribution Premium Partner. Mica pizza e fichi, la qualifica consente di allestire all’interno dell’ambito fieristico uno spazio espositivo denominato Il supermercato del futuro.
Quanto alla comunicazione si sa, giornali e televisioni puttane sono, puttane restano e da puttane si comporteranno. Ce n’è per tutti: 5 milioni di euro per mamma Rai, 2 a Feltrinelli, 850mila euro a Mondadori, mezzo milione a Corriere della Sera e Repubblica, poco meno per Ansa, e poi a scendere Mediaset, Tm News, Il Sole 24 Ore, Il Foglio, Il Giorno. Seguono altri in ordine sparso, e non siamo al Giro d’itaGlia, senza dimenticare che 55 milioni sono già stati asssegnati a vari media nazionali in una operazione che puzza palesemente di investimento mirato a comprare un miglioramento nell’immagine di Expo dopo i tanti scandali. Giusto per dovere di cronaca: non è stata indetta nessuna gara d’appalto.
E con questo il rigore giornalistico nel denunciare eventuali nuovi scandali nell’organizzazione è garantito. Possiamo stare sereni.Cesec-CondiVivere 2015.03.26 Expo 003La grancassa mediatica ha sempre parlato, addirittura, di 100mila posti di lavoro. Si, come il milione di quelli berluscoidali… addirittura 102mila secondo una ricerca dell’Università Bocconi. A quanto pare gli unici ad aver trovato da lavorare durante l’Expo sono coloro che hanno accettato di farlo gratis: un esercito di oltre 16mila volontari, rimborsati con un buono pasto al giorno. E qui, ci dispiace dirlo, ma chi vuol esser schiavo sia…
Gli assunti regolari da parte dell’organizzazione sono solamente 793, con contratti a termine per la durata della fiera e con salari tra i 400 e i 500 euro mensili.
Però qualche vantaggio l’Expo lo ha comunque portato, alle imprese che hanno cementificato selvaggiamente, infierendo l’ennesimo colpo al già devastato territorio lombardo: 1.700.000 metri quadri di superficie per gli stand, 2.100.000 per strutture di servizio e supporto sull’area ex Alfa Romeo di Arese, opere ricettive per un fabbisogno stimato di 124.000 posti letto al giorno, realizzazione della terza pista a Malpensa e collegamento diretto Malpensa-Fiera, parcheggi presso il sito Expo e in corrispondenza di nuovi centri di interscambio, nuove tangenziali per Milano, Pedemontana e BreBeMi per complessivi 11 miliardi di investimenti per progetti già completati o in corso di realizzazione. Un’immane opera di smantellamento del patrimonio agricolo lombardo, destinata a segnare per secoli quella che un tempo era una delle pianure più verdi d’Italia.
Però ci saranno il laghetto circondato da prati e un nuovo naviglio che farà assomigliare tutto alla Venezia di Las Vegas. Non è vero: a tutt’oggi pare che il lago non vedrà mai la luce, mentre per quanto riguarda i nuovi navigli si stanno ancora cercando i soldi.
Se, inoltre, a un soggetto come Vittorio Sgarbi sono stati versati quasi due milioni per imprecisati progetti culturali, alla bolognese Best Union, strettamente collegata a Comunione e Liberazione è stata attribuita la vendita in esclusiva dei biglietti on-line. Ovvio, senza gara… ma che domande fate?
Per quanto riguarda il magistrato Raffaele Cantone, nominato come commissario straordinario anticorruzione quando i buoi erano già scappati, ha certificato anche grazie alla collaborazione della DNA, l’antimafia, come ben 46 aziende collegate alla malavita, 32 delle quali affiliate alla vera padrona di Milano, la ‘ndrangheta, siano riuscite ad aggiudicarsi appalti per oltre 100 milioni di euro.Cesec-CondiVivere 2015.03.26 Expo 004E se è vero che i posti di lavoro direttamente creati dall’Expo saranno solo una manciata e mal retribuiti pare però che migliaia ne arriveranno dall’indotto, tra bar, hotel, cooperative di costruzione, eccetera e sino alle immancabili slot. Sarà… fatto sta che per ora l’unico settore che incrementerà i propri guadagni sarà quello della prostituzione. Secondo un’inchiesta del Corsera saranno addirittura 15mila le professioniste del sesso a pagamento che sbarcheranno a Milano per allietare le pause dei milioni di turisti previsti per l’evento. E anche in questo caso, ovviam,ente, ci sarà lo zampino della malavita.
Bene, questo è quanto. Sono alcuni anni che ne parliamo, per la precisione da quando Milano presentò la propria candidatura. Siamo stati trattati da cinici e retrogradi profeti di sventura, esattamente come il mondo della politica e degli affari ha trattato i vari comitati territoriali che si sono opposti all’Expo.
E parliamoci chiaro: associazioni, comitati di quartiere, centri sociali, intellettuali (quelli non mancano mai) non servono più a niente. Dovevano svegliarsi prima, rischiando e battendosi come hanno fatto i Valsusini contro la TAV, non secondo la protesta alla milanese: a chiacchiere e spritz da Radetzky o al Rosmarino.

Alberto C. Steiner

Un uomo solo nel bosco

Una delle esperienze sicuramente più significative per Luigi Ugolini, avvocato e cacciatore, scrittore e pittore, fu il carcere al quale venne condannato nel 1940 in quanto antifascista, per alcuni suoi articoli contrari all’alleanza con Hitler e all’entrata in guerra con i tedeschi, e dove trascorse due anni temendo spesso di venire fucilato.Cesec-CondiVivere 2014.03.25 Un uomo solo nel bosco 001Nato a Firenze nel 1891 da un’antica e nobile famiglia aretina, la sua versalità di scrittore lo portò a dedicarsi completamente alle lettere e al giornalismo, collaborando con Il Messaggero, La Gazzetta del Popolo, La Nazione, Il Lavoro, la Lettura, Diana, Il Cacciatore Italiano e La Nuova Antologia, la più prestigiosa delle riviste culturali del Novecento. Appassionato cacciatore scrisse romanzi e manuali venatori, novelle di caccia, eleganti libri di ricette di selvaggina, ma anche saggi sulla vita di personaggi celebri: Dante, Michelangelo, Leonardo, Raffaello, Petrarca, nonché opere teatrali e di didattica per ragazzi. La sua produzione è stimata in oltre centocinquanta opere.
Tre sue opere legate alla caccia meritano una menzione particolare: Il Nido di falasco del 1932 e Musoduro del 1934, dalle quali vennero tratti dei film, e Un uomo solo nel bosco, romanzo di un boscaiolo cacciatore del 1941.
Desidero parlare di quest’ultimo, ormai introvabile, perché la sua trama suggerisce a quello che l’Autore chiama l’Uomo Naturale, ovvero quell’uomo creato per comprendere i codici intangibili della Natura, di stabilire un legame inviolabile con l’ambiente della sua vita. Nel caso specifico gli alberi, che diventano il sentire di un’anima semplice, fatta corteccia e corpo attraverso la figura di Natale, un essere solitario al confine fra l’elfo e la creatura arboricola: egli si muove tra le foglie annotando con lo sguardo del contemplatore solitario i mormorii degli arbusti, le voci delle fronde e quelle degli uccelli in una foresta sempre misteriosa, metafora dell’inconscio, del vagare onirico. Il bosco è visto come via di fuga e rifugio, in bilico tra la prigione e la liberazione. Non mancano scene di caccia, motivata dalla necessità di sopravvivere e vissuta ed osservata in silenzio con rispetto e gratitudine.
Un libro difficile da leggere, perché gli occhi tendono a chiudersi per lasciare spazio ad immagini dell’anima, a visioni di profonda comunione con la Natura.
Un libro magico che ricorda la foresta casentinese e che per certi versi richiama la Regola Camaldolese e la nota affermazione di Bernardo di Clarvaux: troverai più nei boschi che nei libri. Un libro per ragazzi dagli 8 agli 80 anni, come recita l’Autore, che fa meditare su quanto di prezioso la Natura ci offre.
E del rispetto che ci chiede in cambio.

ACS

Hortus Urbis. Ma anche su terrazzi e balconi è boom.

Saranno anche grossolane, le incubatrici del nostro orto sul terrazzo, ma intanto da novembre ad oggi l’insalata è al quinto taglio. Ed ora abbiamo messo a dimora fragole, aromatiche, piselli e pomodori.Cesec-CondiVivere 2015.03.24 Orti urbani 002A quanto pare siamo nella media, perché sembra che sia il momento dell’orto. Secondo un’indagine condotta da Coldiretti e Censis il 46 per cento degli italiani accudisce spazi verdi nei giardini e su terrazzi e balconi. Lo fanno perché desiderano mangiare prodotti sani e genuini, per passione e per risparmiare.
Parlo quindi nuovamente di orto urbano, un mezzo piacevole e visibile per permettere la partecipazione dei cittadini alla vita pubblica, attuato grazie a scelte urbanistiche che vincolano suoli altrimenti destinati a cadere o nelle mani della speculazione edilizia o nel nulla contribuendo al degrado del paesaggio.
Per creare un orto urbano basta poco, e non servono progetti di archistar vere o presunte, come quello attuato a Firenze dove Comune e Coldiretti hanno firmato uno scenografico Community Garden nella zona di Borgo Pitti, in pieno centro della città. Per creare un orto servono la vanga e la camicia bagnata di sudore sulla schiena, non il CAd o il rendering.Cesec-CondiVivere 2015.03.24 Orti urbani 001Non dimentichiamo che nel nostro passato c’erano gli orti di guerra: spazi urbani accuditi dai cittadini e privi di qualsiasi delimitazione, recinzione o lucchetto.
L’orto privato assomma l’attenzione alla qualità del cibo, per intenderci quella che orienta buona parte delle scelte per la spesa, cura per l’ambiente attraverso un riappropriarsi di spazi altrimenti inoperosi e suscettibili di degrado ambientale e sociale, la riduzione dei costi di approvvigionamento alimentare e la soddisfazione dell’autoproduzione.
Anche il fisco è favorevole: grazie agli incentivi fiscali che possono arrivare al 65% di detrazione Irpef, i cittadini che devono ristrutturare il terrazzo possono optare per il giardino pensile: ambiente migliore, isolamento termico naturale e minori infiltrazioni di acqua piovana e possibilità di servire in tavola frutta e verdura prodotte in casa.
Se in anni recenti l’orto individuale ha segnato un salto di qualità, da hobby di una minoranza a stile di vita sempre più diffuso, l’orto urbano costituisce una vera e propria rivoluzione verde che nasce al confine tra le decisioni pubbliche e le azioni private. Dati in affidamento gratuito o in comodato ad associazioni o gruppi di cittadini, o addirittura acquistati attraverso lo strumento del GAT, Gruppo Acquisto Terreni, si sono triplicati nell’ultim biennio passando da una superficie complessiva di 1,1 milioni di metri quadrati a 3,3 milioni. Un boom favorito dai bandi dei comuni, per dovere di cronaca emessi nell’81 per cento dei casi nel Centro-Nord, e da un’idea più evoluta, concreta e meno ideologica della cittadinanza attiva. Se a Roma sono stati censiti ben 150 appezzamenti, a Bologna un bando per l’assegnazione di 108 piccoli lotti di terreno di proprietà comunale ha visto candidarsi oltre duemila famiglie.Cesec-CondiVivere 2015.03.24 Orti urbani 003Non trascurabile, inoltre, il fatto che gli spazi dell’orto urbano non vengono sottratti solo all’incuria, ma anche al controllo della microcriminalità che spesso li utilizza per spaccio ed altre attività illecite, costituendo una forma morbida di controllo del territorio.
Tornati ad essere luoghi della comunità gli orti cittadini possono addirittura diventare strumenti di politica urbanistica: modificano l’aspetto del territorio e la stessa geografia urbana, e ove adeguatamente curati contribuiscono ad attenuare l’effetto di squallore che siamo abituati a percepire approssimandoci ai grandi centri urbani, in treno o in autostrada.
Gli orti urbani costituiscono inoltre una potenziale leva per creare lavoro in uno dei pochi settori, appunto l’agricoltura, dove il trend dell’occupazione in Italia è decisamente di segno positivo.
E poi c’è l’adozione di aree verdi, parti di giardini che vengono curati dai privati anche attraverso sponsorizzazioni, con un doppio vantaggio per le amministrazioni comunali: risparmio sui costi per la manutenzione del verde e certezza di protezione del territorio. Padova e Casale Monferrato hanno deciso di ringraziare i cittadini che si occupano a proprie spese di giardini pubblici o alberi di strada con uno sconto sulla tassa per i rifiuti.
E per avere la certezza che non costituiscano solo un diletto ecochic, basta pensare che ai tavoli del breakfast del Waldorf Astoria, albergo sito in uno degli edifici-simbolo di New York, ogni mattina si serve il miele fatto in casa, ovvero sul tetto, grazie a una delibera municipale che ha ammesso l’apicoltura urbana. Sempre a New York i tetti dei grattacieli di grandi società o di istituzioni pubbliche, dalla Bank of America al Whitney Museum of Art, sono diventati orti.Cesec-CondiVivere 2015.03.24 Orti urbani 004E nelle scuole, perché no? Li chiamano Orti in Condotta, MiColtivo, Ortogonale: di fatto nelle scuole italiane si sta sperimento questo strumento di didattica ambientale. Scorrendo la lista degli orti scolastici che fanno capo al movimento Slow Food se ne contano 500, alcuni dei quali contribuiscono a coprire una parte delle forniture per la mensa, ed altri che arrivano a coltivare addirittura sette ettari, come la Principe di Piemonte a Roma.

Alberto C. Steiner

NemicoPubblico. Pecorelle, lupi e sciacalli.

Non sempre le ciambelle riescono col buco. In questo caso nella montagna, per realizzare un’opera inutile, costosissima e suscettibile di creare notevoli danni ambientali e alla salute pubblica.
Ma sbattere il mostro in prima pagina funzionava all’epoca della carta stampata e funziona ancora meglio grazie a televisione, internet, social. Funziona grazie all’incapacità di discernimento, con sempre maggiore successo indotta da chi le notizie non le riferisce ma le monta per creare flussi di opinioni e, spesso, distogliere l’attenzione dalle questioni reali generando falsi obiettivi, clima di paura, nemici inventati di sana pianta.

La copertina del libro NemicoPubblico. Pecorelle, lupi e sciacalli

               La copertina del libro NemicoPubblico. Pecorelle, lupi e sciacalli

E’ il caso del bel libro NemicoPubblico. Pecorelle, lupi e sciacalli pubblicato da Spinta dal Bass, il movimento NoTav che da anni lotta in Valle Susa per contrastare la realizzazione della linea ferroviaria ad alta velocità Torino – Lione.
In 107 pagine scritte a più mani l’analisi di un attacco mediatico in piena regola che è riuscito a creare ad arte il “mostro” per distogliere l’attenzione dalla lotta alla TAV che, nel 2012, stava riscuotendo simpatie e solidarietà in tutta Italia. Una manovra subdola e perfettamente riuscita che seppe smuovere gli istinti più bassi e beceri degli itaGliani, annebbiando le loro già scarse e residue capacità di analisi e critica sui movimenti sociali e sui meccanismi di manipolazione dell’opinione pubblica.
Una spirale di “informazione” che sacrificò intenzionalmente l’obiettività alla soggettività, mostrando la parte decontestualizzata anziché il tutto. Un vortice gelatinoso che fagocitò tutti tanto da riuscire ad imporre senza coercizione quello che alla fine si configurò come un pericoloso pensiero unico. Nel vortice caddero tristemente anche la maggioranza degli operatori dell’informazione, compresi quelli della cosiddetta sinistra progressista, che con differente livello di intenzionalità e consapevolezza scelsero di amplificare l’eco di una non-notizia, a scapito della verità.
NemicoPubblico, il libro notav che ha fatto infuriare politici e magistrati, è liberamente scaricabile in formato Pdf dal sito spintadalbass, gratuitamente ma con un’avvertenza: “Tenete presente che pur essendo scaricabile e da far girare liberamente “una mano sul cuore e una sul portafoglio” per le spese legali sono ben accette“.

Alberto C. Steiner