Agriturismo, anche no.

In ragione della mia attività professionale mi occupo di immobili ed appezzamenti di terreno suscettibili di essere interpretati nell’ambito di una visione agroalimentare, ricettiva, didattica o del cohousing rurale. Se fino a ieri non avevo alcuna ritrosia ad inventare soluzioni o progettare attività nel comparto agrituristico, oggi tendo a dissuadere clienti ed investitori che sento non particolarmente forti nell’intento dall’imbarcarsi in tale avventura, in particolare se neofiti e soprattutto se intendono acquistare un immobile ed un appezzamento di terreno appositamente per svolgerla.Cesec-CondiVivere 2014.10.08 Agriturismi anche no 002Non sono un benefattore e non vivo di prana, sia chiaro: semplicemente ritengo corretto non sottacere i rischi che inventarsi oggi tale lavoro comporta, soprattutto quello di essere costantemente presi a tirare la cinghia, non poter effettuare investimenti per restare al passo e quindi perdere terreno rischiando il fallimento. Preferisco consigliare altre opportunità, più remunerative del capitale investito e che consentano una maggiore serenità.
Non è più il tempo dello spontaneismo, bensì è piuttosto arrivato il momento delle attività polifunzionali riunite sotto lo stesso tetto da soggetti diversi, ciascuno con la propria specificità, sinergiche in un contesto pensato e progettato sulla base di una concreta analisi dei bisogni del territorio sul quale insisterà il nuovo insediamento. Ciò significa altresì che, se si vuole campare rivolgendosi al mercato, termine in un certo contesto assai vituperato ma unico giudice in grado di sentenziare se è possibile svolgere l’attività da tanto tempo sognata in modo da poterla sviluppare e consolidare, è più che mai necessario sceglierne con estrema attenzione l’ubicazione tenendo conto di numerosi fattori, in particolare di quelli logistici.Cesec-CondiVivere 2014.10.08 Agriturismi anche no 003Scrivevo il 28 febbraio scorso, in un articolo intitolato Come gestire una fattoria didattica, che secondo i dati Confcommercio-Confagri nel corso del 2013 sugli oltre 20mila agriturismi censiti ha cessato l’attività il 22% mentre il 16% risulta inoperante. Analizzando le aziende agricole in vendita giudiziaria ed i dati diffusi dalle numerose associazioni di categoria per superficie di terreno disponibile, tipo di coltivazioni o allevamenti, capacità ricettiva ed offerta di attività aggregate emergeva una constatazione: gli agriturismi che hanno chiuso erano prevalentemente alberghi di campagna con l’orticello, non aziende agricole che all’attività principale abbinavano la capacità ricettiva.
Poiché dal 2007 al 2012 la crescita degli agriturismi sembrava inarrestabile, ho voluto in quell’occasione riprendere un’indagine svolta da Agriturismo.it nel settembre 2012 su un campione di 310.000 persone e che aveva raccolto 2.778 risposte, rapportandola con una analoga svolta dall’Istat l’anno successivo, per sintetizzare un aspetto che si sta sempre più delineando nel mercato della ricettività agrituristica.
Per non appesantire il testo riporto esclusivamente i valori riferiti all’anno 2013, rimandando per nozioni più appprofondite ai siti agriturismo.it e istat.it .
Dal 53% degli intervistati l’agriturismo veniva percepito come un luogo dove trascorrere una o più notti piuttosto che come un ristorante con prodotti tipici, ed il 44% dei turisti rurali ricercava proprio l’ambiente familiare e l’ospitalità offerti dalle aziende agrituristiche. Nel 30% dei casi si ritenevano migliorate la percezione generale nei confronti dell’agriturismo e l’idea che potesse evolversi mantenendo lo spirito iniziale, pur se un preoccupante 34% lamentava menu banali e non legati al territorio ed il 24%, vale a dire quasi un quarto dei clienti, la poca chiarezza sui prezzi.
Tra le mete più gettonate calavano Toscana ed Umbria, rispettivamente dal 64% al 58% e dal 44% al 35% delle preferenze, mentre le altre restavano sostanzialmente invariate.
La crisi ha inciso sul 70% degli intervistati: nel 2007 il 69% andava in agriturismo almeno quattro volte l’anno, ma già nel 2009 solo il 54% dichiarava di soggiornarvi più di una volta, ed all’epoca dell’indagine lo faceva solo il 41 per cento, vale a dire che si è perso il 41% dei fruitori.
Nel frattempo si è elevata nel quinquennio l’età media degli agrituristi, registrando un forte aumento degli over 50 ed un sensibile calo degli under 35, che passavano dal 20 al 10% mentre i primi crescevano dal 30 al 39 per cento. Questo dato non sta a significare che l’agriturismo è una meta per vecchietti, piuttosto che tra gli under 35 risiede massimamente la fascia di coloro che hanno poco lavoro ed ancor meno denaro. Significativo infatti come gli over 50 siano caratterizzati nel 31% dalla minore attenzione al budget rispetto ai più giovani.
Che l’utenza invecchi lo dimostra anche il tipo di compagnia scelta per la vacanza: se nel 2007 il 67% privilegiava un partner anche occasionale, nel 2009 il 57% sceglieva decisamente il partner fisso ed oggi nel 65% preferisce soggiornare in agriturismo con tutta la famiglia, bambini compresi, che nel 55% dei casi hanno meno di 10 anni.
Ciò comporta che il 67% degli intervistati senza figli dichiari che preferisce evitare l’agriturismo, o quanto meno certi agriturismi, proprio per non ritrovarsi in un Kinderheim. Il dato sembra veritiero se gli stessi intervistati, rispondendo ad una domanda di verifica, dichiarano che preferiscono evitare, nel 56% dei casi, di trascorrere vacanze con amici che hanno figli, ma ciò non costituisce una novità: coloro che hanno figli tendono a frequentarsi tra loro per uniformità di tempi, argomenti ed esigenze.
Il cliente alberghiero e della ristorazione senza figli è tradizionalmente quello maggiormente disposto a spendere; l’abbandono di chi non ha figli, anche se non motivato da ragioni economiche, ma magari semplicemente perché portando il bambino a cavalcare nella fattoria sotto casa vi si trova bene trascorrendovi la giornata, costituisce pertanto un dato da osservare nella dinamica del fatturato degli agriturismi. Soprattutto considerando che numerosi pacchetti prevedono il soggiorno gratuito o semigratuito per i bambini, e che numerosi agriturismi hanno investito molto per attrarre famiglie con figli piccoli.Cesec-CondiVivere 2014.10.08 Agriturismo anche no 001Ma passiamo alle motivazioni: gli italiani scelgono l’agriturismo all’insegna del mangiar sano nell’84% dei casi e del risparmio nel 91%, mentre la possibilità di immergersi nella natura stimola il 38% degli ospiti anche se solo il 16% tende a provare un po’ tutte le possibilità offerte da questo tipo di vacanza: natura, enogastronomia, relax, attività olistiche per il benessere fisico e spirituale. Corsi ed altre iniziative proposte dentro e fuori l’agriturismo seguono a distanza, segno che chi le frequenta non le vive come una componente del pacchetto vacanza bensì come la ragione per recarsi nel luogo dove vengono tenute, indipendentemente dal fatto che si tratti o meno di un agriturismo.
Gli stranieri cercano invece nella vacanza in agriturismo la tranquillità (84%) e l’attenzione all’ambiente (79%) oltre che la possibilità di visitare attrazioni naturalistiche o storiche nei dintorni (36%) e svolgere attività nell’azienda (24%) comprese quelle legate all’agricoltura ed all’allevamento.
Italiane o straniere, le famiglie sono nel 48% dei casi  attente agli agriturismi che offrono un ambiente familiare e nel 38% spazi e attività dedicati ai bambini. Fra le attività possibili l’equitazione è quella preferita dal 34% degli intervistati mentre le altre seguono in ordine sparso.
I profili sin qui descritti non sono quelli dei trentenni con figli piccoli, bensì quelli dei 40-50enni: va tenuto presente che oggi i figli si hanno massimamente non prima dei trentacinque anni di età.Cesec-CondiVivere 2014.10.08 Agriturismi anche no 004Oggi l’agriturismo è scelto anche per festeggiare matrimoni, cresime e comunioni, purché situato in un contesto d’atmosfera e non lontano dalla città.
Nell’estate del 2013 sono stati 3 milioni gli italiani che hanno scelto di trascorrere almeno quattro giorni di vacanza in uno dei ventimila agriturismi, con una flessione del 17 per cento rispetto alle aspettative dei gestori.
I prezzi andavano dai 14 ai 27 euro per un pasto e dai 22 ai 49 per un pernottamento, con punte di 90 che riguardavano però resort assolutamente particolari. Un’analisi a campione da me svolta nello scorso mese di settembre su 109 insediamenti distribuiti fra Lombardia, Toscana e Umbria, Emilia, Veneto e Trentino Alto Adige mi ha fatto comprendere come i prezzi abbiano subito un incremento medio del 19 per cento con punte del 27 nelle province di Arezzo, Belluno, Bolzano, Brescia, Perugia e Verona.
Tornando all’indagine precedente, il 74% degli intervistati dichiarava di considerare eque tariffe giornaliere non superiori ai 36 euro comprensive di pernottamento e trattamento di mezza pensione.
Non va dimenticato che un importante indotto per l’agriturismo è rappresentato dalla vendita dei prodotti tipici: ortaggi ma soprattutto vini, formaggi, salumi e prodotti dell’artigianato locale. Ma anche in questo caso il calo delle vendite nel 2013 è stato del 39%, un abisso.
E quando finisce l’estate ci si prepara all’autunno, ancora clemente, e poi al freddo, mai amico.Cesec-CondiVivere 2014.10.08 Agriturismi anche no 005Se, secondo l’Istat, nel 2013 gli italiani hanno effettuato 63.154.000 viaggi e pernottamenti nazionali (-19,8% rispetto al 2012) e se gli agriturismi subiscono per forza di cose una sosta forzata almeno trimestrale, è chiaro come i dati delle frequentazioni e delle aspettative, parametrati ai costi, lascino intendere come l’attività di agriturismo non sia più da considerare remunerativa.
E i dati disponibili a fine settembre di quest’anno non incoraggiano: complice il tempo inclemente le aspettative estive dei gestori si sono concretizzate solo nella misura del 53 per cento. Un disastro. Di pari passo i contenziosi bancari per mutui o finanziamenti non pagati si sono incrementati del 29% in un solo quadrimestre; e l’ipotesi, per nulla irreale, che entro un anno un ulteriore quota di aziende possa chiudere e le proprietà finire nei canali delle vendite giudiziarie, dove peraltro le vendite del settore languono da anni per mancanza di acquirenti, è tutt’altro che remota.
L’unica possibilità di fare agriturismo rimane pertanto, a ben vedere, quella di abbinarla ad una reale attività agricola, agroalimentare o di allevamento costituente la fonte primaria di reddito. E ancora meglio se edifici e terreni sono di famiglia da generazioni, soprattutto se si è sorretti dall’ormai imprescindibile capacità di reinventarsi ogni giorno.
Come dire che siamo tornati all’ottocentesco detto toscano senza lilleri un si lallera? Temo sia così, in una visione non catastrofista ma soltanto improntata a maggiore consapevolezza: è meglio tenerli stretti, i lilleri, perché il tempo degli sprechi è finito. E’ arrivato il tempo di badare all’essenziale.
E questo vale a maggior ragione per chi intende aprire attività in territori impervi o di montagna non facilmente raggiungibili dai clienti.

ACS

Consapevolmente autosufficienti: vivere in piccoli borghi ci salverà dal Medioevo prossimo venturo.

Inizio citando Nietzsche: “Non vuoi oggi salire su un alto monte? L’aria è pura e puoi scorgere più mondo che mai”.
Attraverso lo sfaldamento delle identità locali e dei sentimenti nazionali parrebbe che l’Unione Europea stia attuando una strategia mirata a costituire una Paneuropa feudale propugnando simboliche eurocentriche: Euro, bandiera, passaporto, Inno alla gioia eletto ad inno europeo, passaporto e Stati artificiali.
Taluni sostengono come tale processo sia iniziato nel 1990 con la disintegrazione della ex-Yugoslavia e che sia tuttora evidente in Belgio, Francia, Germania, Regno Unito, Spagna  e persino in Italia attraverso l’ascesa dei partiti autonomisti.
A me tutto questo, detto molto semplicemente, non interessa.Cesec-CondiVivere 2014.10.07 FioreDa quando sono salito sulla cima del monte iniziando a respirare aria pulita, a camminare più lentamente – perché in montagna bisogna prestare attenzione alle asperità del terreno – ed a vivere di ciò che mi è necessario e mi fa stare bene, ho compreso quante siano le sovrastrutture che ammorbano l’esistenza umana. Tra queste l’eccessiva attenzione al giudizio, alle vicende politiche, al timore di complotti, all’identificarci in ciò che facciamo piuttosto che in ciò che siamo, cadendo nel tranello di individuare nel diverso, chiunque esso sia, un nemico per crederci migliori esorcizzando così le nostre paure più o meno ancestrali, ma soprattutto quella di non piacerci, di non accettarci, di essere abbandonati da soli di notte nella foresta. Questa è spazzatura, creata non da un Grande Vecchio ma dal basso per il basso.
Secondo me non vanno mai dimenticate le battute scambiate nel film Guardie e ladri tra Aldo Fabrizi, brigadiere dei Carabinieri, e Totò, ladro, durante un inseguimento a piedi:

Fabrizi: Fermati altrimenti ti sparo!
Totò: Non puoi … puoi sparare solo per legittima difesa: io non offendo.
Fabrizi: E allora sparo in aria a scopo intimidatorio!
Totò: E io non mi intimido.

Ecco… E’ anche per tale ragione che ho scelto di rivoltarmi come un calzino per seguire la mia Visione piuttosto che lasciarmi condizionare dai metodi di asservimento delle masse, dalle scie chimiche, dai vari deliri d’impotenza e dall’anestesia del lamento.
Limitandomi all’aspetto professionale, questo percorso mi ha portato a credere nella realizzazione di villaggi ecosostenibili e comunità coresidenziali, nel ridare vita a borghi e territori abbandonati: campo ugualmente, anzi meglio di prima perché incontro desideri, sogni, sorrisi e vibrazioni sintoniche con la mia Energia.
Diventare consapevoli, o risvegliati per usare un termine oggi tanto trendy, significa altresì essere coscienti che il peace&love ed il politicamente corretto ad ogni costo sono merce d’accatto, buona per ottundere le coscienze ed impedire che qualcuno osi alzare la testa dal trogolo. Ma soprattutto che non siamo tutti uguali: c’è chi dorme o è morto, credendo però di essere sveglio e vivo e, in difetto di drastici cambiamenti che devono promanare dall’interno, non potrà in un futuro più o meno prossimo che ingrossare le schiere di quella che sarà un’imponente massa vagante alla deriva, mossa ormai solo da pulsioni primordiali. Tra queste la ricerca del cibo.

Si vis pacem…
Desidero citare un vecchio libro, Il Medioevo prossimo venturo scritto da Roberto Vacca, che nel 1970 ipotizzò un’improvvisa regressione della civiltà umana, dovuta al blocco tecnologico e all’esplosione demografica, tali da costringere l’umanità a ritornare a forme di vita e di lotta simili a quelle medioevali.
Curiosamente, nel 1989 uscì un libro dal titolo identico, che lessi e che mi colpì molto: autore uno statunitense sul quale non sono riuscito a recuperare notizie, sembra quasi che non sia mai esistito…Cesec-CondiVivere 2014.10.07 Medioevo prossimo venturoLa tesi sostenuta è che a causa del depauperamento dissennato delle risorse non rinnovabili in tempi compatibili con l’esistenza umana – in ragione dell’utilizzo massiccio che le tecnologie ne avrebbero richiesto – nonché della deforestazione e dell’inquinamento atmosferico, idrico e del suolo, la terra non avrebbe più potuto sfamare i suoi abitanti nonostante, anzi proprio in conseguenza, del massiccio ricorso agli organismi geneticamente modificati poiché avrebbero reso definitivamente sterili molte specie ed improduttivo il suolo.
Le risorse alimentari si sarebbero vieppiù ridotte, diventando privilegio di pochi, le città si sarebbero trasformate in bolge infernali sempre più pericolose e sempre meno vivibili, e le campagne sarebbero state percorse da vere e proprie bande di predoni decisi ad assalire chiunque possedesse cibo, di qualunque natura esso fosse. All’occorrenza anche umana.
L’umanità avrebbe dovuto fare i conti con una delle più ataviche fra le paure: la fame.
L’autore ipotizzava inoltre due fenomeni che si stanno puntualmente verificando: lo scioglimento progressivo dei ghiacciai e l’innalzamento del livello degli oceani, rendendo inabitabili non solo città costiere, ma anche insediamenti lontani dal mare sino ad altitudini non trascurabili: per quanto riguarda l’Italia, secondo tale previsione non solo città come Genova, Napoli, Palermo e Venezia avrebbero cessato di esistere, ma anche Firenze, Milano, Pavia, Rovigo. La sicurezza avrebbe potuto essere conseguita a partire dai 400 metri di altitudine.Cesec-CondiVivere 2014.10.07 Venezia sommersaA quel punto gli esseri umani avrebbero avuto un’unica possibilità di sopravvivenza: riunirsi in piccoli insediamenti autosufficienti sotto il profilo energetico ed alimentare, sfruttando le risorse del territorio ed acquisendo la capacità di difendersi da eventuali attacchi.
Libro profetico, tranne che per i tempi ipotizzati: le prime avvisaglie sono già presenti in tutta la loro evidenza.
Come salvare noi, le nostre famiglie, la nostra serenità da tutto questo? La risposta esiste. Si chiama condivisione, cohousing, rispetto del territorio, utilizzo selettivo e responsabile delle risorse. Non fra trenta, cinquanta o cento anni ma ORA. Perché oggi siamo di fronte ad un’opportunità irripetibile: quella di crescere interiormente rivedendo la scala dei bisogni reali e presunti, mentre la decrescita alla quale volenti o nolenti siamo costretti può contribuire a riqualificare i rapporti tra le persone.
Oggi esiste anche una possibilità, che non so se ed in quale misura potrà presentarsi domani: scegliersi serenamente e con tranquillità fra simili per decidere chi avere come vicini, come coabitanti del nostro futuro ecovillaggio.
Tutto questo non potrà, a mio avviso, prescindere da una chiave, non solo di lettura: quel piccoli insediamenti autosufficienti di cui ho scritto sopra. Autosufficienti e, piaccia o meno, in grado di difendersi. Credo che questa sorta di neofeudalesimo, per certi aspetti somigliante ad un neomonachesimo, probabilmente non avrà più i caratteri che abbiamo studiato sui libri di storia; magari sarà un Federalesimo o un Consorzianesimo, insomma un’alleanza fra borghi, villaggi, territori, comprensori. Ma soprattutto fra Persone che avranno scelto l’autodeterminazione, grazie alla profonda consapevolezza ed alla capacità di sentire con il cuore di quelli che immagino saranno gli abitanti dei borghi sorti dal recupero di insediamenti abbandonati.
Essi terranno certamente in alta considerazione la cultura dell’accoglienza del viandante ma, mi permetto di suggerire, senza dimenticare le parole di Cromwell: “Abbiate fiducia in Dio e nel prossimo, ma tenete asciutte le polveri”.

Alberto C. Steiner

Solo catastrofismo?
Non saprei dire se Madre Terra sia irritata, per non dir di peggio, da tutte le nefandezze che stiamo combinando ma di certo sta cambiando faccia: la crosta terrestre si sta muovendo sotto i nostri piedi e in varie parti del mondo si stanno aprendo nel suolo fenditure lunghe chilometri e larghe decine di metri.
Le placche terrestri sono uscite da un’era di relativo stallo geologico e si stanno spostando abbastanza rapidamente, una inevitabile trasformazione che stiamo vivendo e che ha già causato devastanti terremoti.
Più in particolare i movimenti della placca Indo-Australiana stanno provocando l’affondamento di Bangladesh, Pakistan e di gran parte dell’Indonesia; conseguentemente, la placca Pacifica si sta spostando verso ovest ed il Sud America sta iniziando a propria volta a migrare verso occidente: lo dimostrano le fenditure nella crosta terrestre osservate in Cile, Bolivia, Perù.
Il Nord America spingerà sulle placche di Cocos, di Nazca e su quella Caraibica, determinando terremoti, eruzioni vulcaniche e tsunami in tutto il Centro America; uno di proporzioni devastanti è previsto che avvenga nella regione della New Madrid Fault Line e se ciò accadrà, oltre a svilupparsi uno tsunami che si espanderà verso l’Europa,  si verificherà anche lo spostamento della placca Africana verso sud e verso ovest, con relative conseguenze nel bacino Mediterraneo.Cesec-CondiVivere 2014.10.07 Italia innalzamento acquePropongo un link interessante: http://quakes.globalincidentmap.com/ e questa cartina, che rappresenta l’Italia allorché il livello del mare si sarà innalzato di circa 60 metri, come previsto in seguito ad uno tsunami europeo.
Ma, giusto per stare tranquilli, è inoltre previsto che il livello delle acque marine si elevi di ulteriori 200 metri nell’arco dei due anni successivi. ACS

Campo di Brenzone: una perla abbandonata sul Garda

In posizione incantevole a mezza costa sulla sponda veronese del lago di Garda, all’ombra del monte Baldo e circondato da campi di ulivi secolari, un pugno di case pressoché disabitate aspetta di essere riportato a nuova vita: è Campo, un antico borgo dal quale si gode la vista di tutto il Garda.CC 2014.10.03 Campo Brenzone 001Lontano dalla strada e non accessibile in auto, ma in quindici minuti di camminata si giunge in riva al lago. Numerosi sentieri indicati da segnavia portano in vetta al monte Baldo, per chi non vuole faticare scalabile in cabinovia dalla vicina Malcesine.
Campo, situato a 45°42′ N 10°46′ E ed il cui toponimo deriva dai campi coltivati ad ulivi, è una frazione di Brenzone, con i suoi 50 km2 di estensione territoriale il comune più vasto del Veneto, e la sua esistenza è riscontrabile sin dall’anno 1023; oggi consta di un abitante censito, in realtà i residenti sono ben… nove facenti capo a due nuclei familiari.CC 2014.10.03 Campo Brenzone 003La via che conduce a Campo sale dal lago stretta fra le antiche case, selciata e molto ripida. Appena termina l’abitato appaiono i primi ulivi, che accompagnano il rimanente percorso in una campagna curata, caratterizzata da terrazzamenti con muretti a secco e da un panorama mozzafiato: in basso si vede la chiesa di San Giovanni di Magugnano, sullo sfondo della sponda bresciana con le alte scogliere che cadono a picco sul lago ed il santuario di Montecastello.
Presto si giunge alla valle detta della Madonna dell’Aiuto, percorsa da un torrente quasi sempre in secca, e superato un ponticello in muratura, la visione che si schiude raggiungendo l’antico borgo medievale ripaga di ogni fatica.
Oltre che dalle pittoresche case in pietra arroccate, disabitate e raccolte su se stesse attorno ai resti del castello ormai ricoperto dalla vegetazione, attorno al quale si è sviluppata la frazione, Campo è caratterizzato da vasti uliveti, da un fitto bosco di lecci e faggi e dalla chiesetta romanica dedicata a San Pietro in Vincoli eretta tra il XII ed il XIV Secolo, un piccolo scrigno che conserva pregevoli affreschi d’influenza bizantina databili al 1358 e… qualche misteriosa particolarità.DCF 1.0Il borgo è raggiungibile esclusivamente a piedi poiché la stradina carrabile, recentemente realizzata grazie ai fondi regionali funzionalmente al progetto di recupero, non è percorribile dai non residenti ed è anzi provvidenzialmente sbarrata ben prima di giungere all’agglomerato. Ma ciò non impedisce a numerosi turisti di visitare Campo, noto per essere uno dei punti più spettacolari della costa lacustre veneta; trattasi fortunatamente di un turismo di nicchia attento alle sfumature della natura e felice di sapere che l’unico punto di ristoro è costituito dall’antica fontana in pietra.
Durante il periodo medioevale, Campo e tutta l’area gardesana passarono sotto varie dominazioni: scaligera, viscontea, carrarese fino ad arrivare alla Repubblica di Venezia e, a partire dal 1797, seguirono le vicende napoleoniche ed asburgiche sino al termine della I Guerra Mondiale.CC 2014.10.03 Campo Brenzone snRimarcabile il fatto che nel territorio di Brenzone non esistesse una via comoda per raggiungere Verona o Trento, poiché la stessa morfologia della catena montuosa ricca di strapiombi sui due versanti e chiusa dal lago sul versante occidentale, e dalla Val d’Adige su quello orientale, la rendeva un’immensa fortezza naturale, accessibile soltanto da nord o da sud; ciò permise a borghi come Campo di rimanere in gran parte immuni dalla penetrazione del potere cittadino.
Ancora oggi le strade che corrono a mezza costa, per lo più mulattiere selciate e delimitate per lunghi tratti da muretti a secco, ricalcano sentieri e piste antiche costituendo una fitta rete di tratturi colleganti le diverse contrade e la zona abitata con le rive del lago da una parte e, dall’altra, con la zona olivetata, i boschi e i pascoli, come ad esempio il sentiero che da Magugnano-Marniga porta, attraverso Campo, ai pascoli di Prada e a San Zeno di Montagna. Va annotato che il comune di Brenzone aveva giurisdizione sui pascoli sino a Cima Telegrafo e a Cima Coal Santo.
Questi sentieri, arterie vitali del versante occidentale del Baldo, cominciano ad essere fitti proprio a nord di Punta San Vigilio; da Garda partiva invece la strada in costa detta Cavalara, che riuniva i piccoli centri rivieraschi e quelli sopracosta.
Campo si trova al punto di confluenza di diverse mulattiere; in particolare, fino agli inizi del XX Secolo, erano importanti quella che da Castelletto, attraverso Biasa, giunge al borgo, detta strada vicinale di Campo e quella che da Magugnano-Marniga saliva verso Prada, detta strada comunale della Cà Romana o strada comunale di Campo.
Queste due arterie s’incrociavano proprio a Campo e proseguivano nella strada comunale di Caprino che attraverso Torri, Monte Motta e Pesina costituiva l’unica via di collegamento fra le contrade dell’alto lago e quelle del basso lago e dell’entroterra gardesano, in particolare Caprino, nodo delle vie di comunicazione dell’entroterra veronese e importante centro di mercati del bestiame.
Per queste mulattiere, che a tratti passano anche sotto i portici delle case, si saliva a piedi, o con animali da tiro e le tipiche slitte di fabbricazione locale, le sbarusole, sbarossole o carièle. Ancora oggi sulle pietre del selciato molto levigate si possono notare i solchi lasciati dal frequente passaggio delle slitte.CC 2014.10.03 Campo Brenzone 004I muretti di contenimento, detti marogne, costituiscono il limite perimetrale dei sentieri nelle zone a terrazzamenti o a pascolo e sono un elemento tipico del paesaggio collinare e montano non solo lacustre, ma di tutto il territorio veronese; sono realizzati in blocchi sbozzati di pietra, faccia a vista e a secco, ricavati dallo spietramento dei campi messi a coltura o a pascolo ed in alcuni punti aperti da piccoli barbacani per favorire lo scolo delle acque dai campi nei periodi di abbondanti precipitazioni.
Del resto, la ristrettezza e le asperità del territorio, confinato tra il lago e le impervie e scoscese pendici del Monte Baldo, spesso solcate da valli profonde e torrenti, hanno comportato notevoli difficoltà nel realizzare vie di comunicazione terrestre, rendendo per secoli le comunicazioni via terra praticamente impossibili e non favorendo lo sviluppo di centri abitati che non fossero, fino alla prima metà dell’Ottocento, modesti nuclei sparsi collegati da mulattiere e sentieri stretti tra muri a secco.
Proprio per tale ragione intense ed importanti furono invece le comunicazioni per via d’acqua che produssero vivaci rapporti, anche familiari, tra le opposte sponde lacustri.
La via lacustre, tra tutte le vie di transito era sicuramente quella più veloce, comoda, frequentata e, in alcuni periodi, anche meno pericolosa e quindi meno costosa, rimase fondamentale nelle diverse epoche e sotto i vari domini fino agli inizi del Novecento.
Tra l’altro la Via dell’Ambra, che aveva origine nella penisola dello Jutland e, percorrendo i corsi dell’Elba e dell’Inn, valicate le Alpi attraversava il Garda e la Val d’Adige per sfociare sulle coste del Mediterraneo e delle regioni dell’Oriente.
Sino ai primi decenni del Novecento l’economia locale, oltre che dalla pesca e dalla navigazione, dipendeva prevalentemente dalle attività legate alla terra: allevamento di bachi da seta, produzione casearia come attestano le numerose malghe tuttora esistenti, coltivazione di ulivi. Da ricordare anche la produzione di legna e di due importanti derivati: lignite e calce. Per la produzione di quest’ultima, destinata principalmente all’esportazione, venivano utilizzate particolari costruzioni in pietra di forma circolare, le calchére, alcune delle quali visibili ancora oggi.

Breve e triste historia del nostro tentativo di recupero
Tra settembre e novembre dello scorso anno 2013 abbiamo stabilito contatti finalizzati ad una proposta di recupero del borgo: costituzione di un ecovillaggio con unità abitative in cohousing, recupero dei terreni già coltivati a oliveto ed impianto di specie compatibili con il territorio e la sua storia, impianto di laboratori artigianali per il recupero di mestieri della tradizione locale erano le linee giuda del progetto, i cui oneri sarebbero stati sostenuti da investitori privati e da una banca attiva nel settore della finanza etica.
Siamo stati ricevuti con estrema cortesia e profondo interesse dall’allora Sindaco, che ci ha messo a disposizione l’Ufficio Tecnico Comunale. Abbiamo successivamente preso contatti con la Sovrintendenza di Verona poiché l’area è vincolata.
Abbiamo infine preso contatto con la Fondazione che detiene il borgo e che teoricamente ne dovrebbe curare il recupero. E qui, al di là di una richiesta economica stratosferica rispetto all’effettivo valore di edifici e terreni, abbiamo iniziato a non capire: a parte i fondi erogati da una fondazione bancaria locale e spesi per la necessaria messa in sicurezza di alcuni manufatti pericolanti, non ci risultava chiara l’attribuzione di contributi comunitari ma soprattutto non ci risultava chiaro se ed in quale misura fossero pervenuti, né come ne fosse stato pianificato l’esborso. Non da ultimo, il borgo venne acquisito dalla Fondazione rilevandolo dal Comune, il cui sindaco all’epoca dell’operazione era colui che incontrammo nella veste di Presidente della Fondazione, in cambio di un terreno edificabile. Salvo scoprire che, rispettando le distanze di legge, non vi si sarebbe potuto edificare molto e pertanto era in corso un’azione legale tra Comune e Fondazione.
Insomma, ci siamo scontrati con il più classico dei muri di gomma: cose non dette e che forse non si possono dire, nonché molta resistenza. Aggiungendo a tutto questo il disinteresse, quando non la supponenza e la nemmeno tanto larvata derisione di chi a parole si dichiarava fautore del recupero del borgo, anche attraverso la costituzione di gruppi, associazioni e movimenti, ma nella realtà dei fatti sembrava vivere nell’ignavia al fine di potersi lamentare delle occasioni perdute, abbiamo deciso di lasciar perdere, nella consapevolezza che i borghi italiani attualmente abbandonati, e che aspettano soltanto di poter favorire chi intenda darsi da fare per la loro rinascita, sono oltre tremila.
Peccato: una posizione imperdibile, una storia del territorio non qualsiasi, concrete possibilità di sviluppo in un’ottica di vita sostenibile esuscettibile di creare posti di lavoro buttata alle ortiche. Anzi, a lago.

Alberto C. Steiner

A passo d’asino, per andare lontano

Tra le attività ecosostenibili e sociali da inserire in quella che chiamiamo ormai la nostra cascina in provincia di Bergamo un posto di assoluto rilievo, insieme con l’agriasilo, è occupato dall’onoterapia, la pet-therapy effettuata utilizzando gli asini.Cesec CV 2014.07.30 A passo d'asino 002Abbiamo incontrato alcuni esponenti della Cooperativa Sociale Onlus A Passo d’Asino, formata da persone appassionate e competenti che operano in varie sedi: aziende agricole, scuole, parchi compreso quello di Monza offrendo interventi assistiti, trekking someggiato, ricerca e consulenza veterinaria, attiviutà per bambini, gruppi, singoli.
L’onoterapia riveste per noi un significato di particolare importanza per le sue componenti ecologiche, sostenibili e di condivisione nel rispetto degli animali.
L’asino è un animale accogliente, empatico ed affettuoso che ama il contatto fisico e la sua socievolezza e disponibilità lo rendono un animale dotato di notevoli capacità relazionali e l’attività di mediazione, ovvero pet-therapy, con gli asini può essere rivolta a tutte le persone di qualsiasi età, in buona salute o che presentino problematiche psicomotive, relazionali, affettive, cognitive, fisiche, organiche.
Il progetto A Passo d’Asino parte dal presupposto che l’asino ha in sé il passo come andatura naturale, un passo lento e sicuro col quale si muove verso obiettivi precisi.
Chiunque può affiancare un asino in cammino e anche le persone che vivono in situazioni di disagio avranno la possibilità di trovare nell’asino un amico a cui aggrapparsi: ciò significa procedere a passo d’asino e da qui ha origine il progetto.
Insieme con l’asino, compagno dell’uomo lungo la storia, la Cooperativa si pone come obiettivo l’essere a servizio della persona, offrendo attività che abbiano nel miglioramento della qualità della vita un comune denominatore.
L’asino non è da intendersi come strumento ma come protagonista, e prioritaria è la sua rivalutazione e tutela globale.Cesec CV 2014.07.30 A passo d'asino 003L’asino coinvolge la persona nella sua totalità fisica, cognitiva e psicologica. Mentre il cavallo reagisce alla sensazione di pericolo scappando, l’asino resta dove si trova trasmettendo sicurezza e tranquillità; per tale ragione è maggiormente indicato in situazioni che richiedono un intervento nella sfera emotivo-relazionale.
Sembra banale: l’asino ha il mantello e ciò consente di accarezzarlo trasmettendo e ricevendo sensazioni piacevoli; il tatto è legato alla dimensione emotiva, riportando ai momenti di intimità con la figura materna e concorre alla strutturazione dell’identità.
A differenza di altri animali usati per le TAA, Terapie Assistite con Animali, l’asino contiene, vale a dire che è sufficientemente dimensionato per offrire accoglienza e protezione; può essere abbracciato da terra e montato, inducendo rilassamento attraverso il contatto, ed è inoltre sufficientemente robusto per sopportare pesi in modo da accogliere e restituire accoglienza.
Infine l’asino è curioso, socievole, rispettoso e ciò lo rende adatto nei casi in cui il paziente non sopporti intrusioni nel proprio spazio vitale ed abbia bisogno di procedure di avvicinamento graduali e delicate.
Nel contempo l’asino cerca il contatto fisico, ha bisogno di essere in comunicazione emotiva con gli umani, di essere toccato e coccolato.
Per finire, quando un bambino ed un asino si incontrano nasce un legame speciale, difficile da spiegare a parole, ma così forte che sorprende tutte le volte. L’ennesima dimostrazione in tal senso si è avuta a Milano dal 7 all’11 luglio, quando dodici bambini si sono incontrati al Parco Nord per condividere esperienze e prendersi cura di Ledi, Guendalina ed Ulisse.Cesec CV 2014.07.30 A passo d'asino 001Ringraziamo Paolo Regis e Ilaria Raffa per il gradevole e proficuo incontro che abbiamo avuto presso la “nostra” cascina bergamasca come premessa alla prossima fattiva collaborazione.

Alberto C. Steiner

Polli con 4 cosce? Gina Lollobrigida li produceva nel 1968

Che la salvezza sia nell’utopia condita da humor, in questo caso nero,  perché permette di fluttuare sugli oceani della massificazione? Forse… e chissà che non costituisca addirittura un paradigma etico, in un contesto dove “la perversione sessuale costituisce l’unica via di fuga possibile” come afferma Giulio Questi: regista, scrittore, ex-partigiano, attore nel film La dolce vita e sceneggiatore Giulio Questi, bergamasco classe 1924, che nel 1968 diresse il film La morte ha fatto l’uovo.Cesec CV 2014.07.23 La morte ha fatto l'uovo 001Un dramma noir stupefacente, a suo tempo pesantemente censurato  e successivamente dimenticato, incentrato sulla figura dei protagonisti: Anna e Marco. Lei una navigata e conturbante Gina Lollobrigida, ricca imprenditrice nel settore del pollame e lui, un complesso Jean Louis Trintignant, di qualche anno più giovane, dirigente d’azienda con il vizietto di inscenare a pagamento l’accoltellamento di prostitute.
La coppia, apparentemente felice, vive in una sontuosa villa ospitando la bella e giovane cugina di lei: Gabri, interpretata da Ewa Aulin, che naturalmente ha una relazione con Marco e, contemporaneamente, con un consulente pubblicitario dal gusto tamarro fissato con l’idea di far fuori la ricca imprenditrice ed il marito per mettere le mani sull’azienda. Ma le cose non andranno esattamente come preventivato…
Nel complesso un ottimo thriller psicologico, con atmosfere degne del miglior Dario Argento, agghiacciante nel proporre situazioni folli ed inserito nell’Italia del boom, post-moderna, impersonale e alienata. Architetture futuristiche in vetro e acciaio, motel automatizzati, l’azienda di polli un mostro metallico senza più operai rendono l’immagine di in un mondo psicotico e straniante dove si consumano orrori personali: la follia è nelle macchine ma la mano è quella dell’uomo con tutto il campionario di debolezze, perversioni, regressioni, repressioni e vizi.
Perché parliamo di questo film dimenticato? Perché le macchine che macinano e distribuiscono mangine, i rulli che conducono le uova, migliaia e migliaia di galline che becchettano rumorose e ritmiche in mangiatoie di metallo tenute costantemente sveglie da una stimolazione musicale a ritmo di Samba portano direttamente al laboratorio dove chimica e genetica sono al servizio del profitto creando polli con quattro cosce e mangimi alterati nella loro composizione genetica. A nostro avviso solo un genio poteva parlare di OGM mezzo secolo fa.
In un’intervista il regista Questi affermò: “Erano gli anni del boom economico, l’industrializzazione era una marea montante che travolgeva tutto, un inno al futuro, un frenetico impacchettamento di prodotti, senza distinzione tra inanimato e animato. I prodotti ancora vivi gridavano di terrore e di dolore. I grandi allevamenti di polli ne erano un simbolo. Ogni pollo era un uomo, ogni gallina una donna, ogni pulcino un bambino. Su di loro si costruiva la ricchezza. E su tutto trionfava l’uovo, bianco, liscio, perfetto, con la vita chiusa dentro. La perversione sessuale rimaneva l’unica via di fuga possibile“.
La scena finale costituisce a nostro avviso un cult e un monito: Jean Luis Trintignant scivola nel tritacarne che serve a preparare il becchime, ed i suoi resti sbriciolati vengono mangiati dalle galline.
Fine del film: pipì, caffè, sigaretta e brivido lungo la strada di casa, presi dalla consapevolezza che oggi ci siamo. Oggi è così che funziona.

Anima in Cammino

Tra tanti fiori di lillà la bellezza riscopre la tradizione

Cesec CV 2014.07.11 Cosmesi 1Dopo l’apoteosi chimica che ha contrassegnato gli anni Ottanta e Novanta la bellezza si scopre green friendly. Fosse anche solo per opportunitstiche scelte di marketing, resta il fatto che spa a km zero, creme al tarassaco, alla salvia o alla calendula, vacanze relax in campagna stanno trovando uno spazio sempre più ampio nel settore cosmetico.
La bellezza riscopre la tradizione e i numeri delle vendite, non solo nelle erboristerie, dimostrano come sempre più spesso i clienti si orientino verso la Natura.
E non è solo il retail a dirlo, ma anche la sempre maggiore richiesta di soggiorni o anche solo di sessioni gionaliere, in campagna che, convenientemente attrezzata, torna ad essere un luogo privilegiato in cui ritrovare benessere ed equilibrio regalandosi ritmi rallentati ed appagando vista, odorato e voglia di farsi coccolare.Cesec CV 2014.07.11 Cosmesi 3Del resto i dati di Coldiretti parlano chiaro: 12 miliardi di euro spesi nel 2013 per il turismo ecologico, che nel nostro Paese offre 871 aree protette ed oltre 20.500 agriturismi, pur considerando la falcidia che lo scorso anno ne ha visti chiudere ben il 22 per cento: ma non si trattava di agriturismi, bensì poco più che di osterie di campagna, senza o con poca terra sulla quale non producevano nulla e che non avevano saputo o voluto rinnovarsi con offerte accattivanti.
L’approccio verde che oggi nella cosmetica si incontra sempre più spesso non è solo una modo, ma un preciso orientamento di consumo mutuato da una sempre più diffusa consapevolezza che i prodotti naturali sono migliori rispetto a quelli di sintesi chimica.pure drops of waterErbe officinali, aloe, olio di oliva, lavanda, l’immancabile salvia, tarassaco oltre a fieno, cortecce, radici e prodotti a base di vino, nel quale si può anche fare un bagno dalle incredibili proprietà costituiscono ormai un must irrinunciabile per chi voglia offrire un trattamento di qualità ai propri ospiti.
E’ quello che accadrà anche nella nostra cascina, nel silenzio dei campi a meno di un’ora da Milano.

Anima in Cammino

Parco delle Cascine: un sogno grande 10 milioni di metri quadri

Parliamo, com’è nostro costume, di una storia minore ma non per questo meno importante sotto il profilo di quella maturata consapevolezza che porta un numero sempre maggiore di cittadini a volersi riappropriare del territorio e conseguentemente della storia e dell’identità locali.
Dopo numerosi rinvii si è finalmente tenuto il 10 aprile il convegno dedicato al Grande Parco Martesana, rilanciando un progetto risalente all’anno 2008 finalizzato a creare un ambito protetto sotto il profilo ambientale che potrebbe sorgere dalla fusione del Parco delle Cascine di Pioltello con il Parco Cave Est di Brugherio, Carugate, Cernusco sul Naviglio, Cologno Monzese e Vimodrone: 10 milioni di metri quadri di verde agricolo, per il benessere e la salute dei cittadini della Martesana.KL Cesec CV 2014.04.23 Parco Martesana 001Cliccando su questa scritta è possibile visionare il video della durata di oltre 40′ sul futuro Grande Parco della Martesana, girato da appassionati tra i quali Marcello Moriondo, autore delle riprese, il Comitato Antinquinamento di Pioltello ed il Gruppo Arcieri Biancamano.
Ai lavori hanno partecipato Paolo Micheli, consigliere regionale del Patto Civico, Giordano Marchetti, assessore al territorio del Comune di Cernusco, Fabiano Gorla della Lista per Pioltello, Roberto Codazzi di Vivere Cernusco e Giuseppe Bottasini candidato sindaco di Pioltello con la moderazione di Ivonne Cosciotti di Vivere Pioltello.KL Cesec CV 2014.04.23 Parco Martesana 002La storia del parco inizia da lontano, esattamente dal 1983, quando il Parco delle Cascine inizia ad essere sottoposto ad aggressioni speculative che tentano di renderlo fruttuoso non con i frutti della terra bensì con quelli avvelenati del cemento, in piena contraddizione con la presenza di attività agricole e di allevamento anche di eccellenza.
Purtroppo qualche conseguenza non è mancata, particolarmente nel comuni di Segrate e Vimodrone, dove è stata cancellata ogni superficie agricola con l’abbandono e la successiva distruzione di buona parte delle cascine in previsione di volumetrie edificatorie, senza trascurare la devastazione operata dall’insediamento di gruppi di Rom con il conseguente abbattimento delle cascine Vallota e Bareggiate, quest’ultima ufficialmente distrutta da un incendio originato da un fornello acceso dai nomadi che la occupavano abusivamente, ma tollerati in quanto rappresentanti di quella cultura altra tanto cara a certi buonisti e politici.KL Cesec Cv 2014.04.23 Parco Martesana 003Il Parco delle Cascine confina a Nord, per un breve tratto nel territorio vimodronese con il Parco delle Cave Est, esteso su Brugherio, Carugate, Cernusco sul Naviglio e Cologno Monzese. Entrambi i parchi sono riconosciuti dalla Provincia come PLIS, Parchi Locali di Interesse Sovracomunale ed in entrambi è tuttora presente una significativa attività agricola. In particolare l’area pioltellese, di forma quadrata, estesa su 200 ettari e non attraversata da strade, è particolarmente pregiata dal punto di vista naturalistico. Le aree insistenti negli altri Comuni sono più frammentate ma complessivamente si estendono per 800 ettari. Fondendolo le due realtà quetse dipenderebbero da ben cinque amministrazioni comunali, alle quali dovrebbe essere sottoposta qualsiasi eventuale proposta di variazione dell’utilizzo  e sarebbe pertanto meno agevole stravolgerne la vocazione agricola e naturalistica.KL Cesec CV 2014.04.23 Parco Martesana 004Come è stato ricordato nel corso del convegno, i PLIS non nascono da una decisione statale o regionale, bensì dalla volontà della comunità locale di salvaguardare le proprie aree verdi ed agricole aggregandole a quelle dei vicini. Esattamente ciò che si propongono i promotori dell’unificazione dei due parchi.
Le tipologie di alberi che compongono i boschi inseriti nei due parchi sono quelle tipiche del nostro territorio: farnie e carpini bianchi, tigli selvatici e ciliegi, olmi campestri e rovere, meli selvatici e peri, gelsi bianchi e neri che tanta parte hanno avuto nella nostra storia anche economica per l’allevamento dei bachi da seta, pioppi nero e salici bianchi oltre a svariate tipologie di arbusti, il tutto a comporre una vegetazione forestale che riproduca ciò che era presente un tempo in vaste aree della Regio Insubrica.martesanaAd oggi il parco agricolo è stato finalmente bonificato in modo da poter tornare ad essere coltivato, grazie ad una convenzione con alcuni operatori agricoli che rende l’area facilmente e tranquillamente fruibile e quotidianamente percorsa da trattori e carri agricoli all’opera. Un bel colpo d’occhio lo si ottiene attraversando il nuovo ponte ciclopedonale sulla Statale 11 Padana nei pressi del supermercato Esselunga di Pioltello, di fronte al quale è tra l’altro sorto un gattile nato dalla passione di un pensionato. Ed è molto piacevole vedere come i cittadini si stiano riappropriando del Parco prendendo la buona abitudine di farci un giro in bicicletta o a piedi, rispettando la natura ed il lavoro dei contadini.KL Cesec CV 2014.04.23 Tram Bergamo-Albino 001E per finire, giusto per non lasciare il futuro parco ed il suo vasto territorio di riferimento alla mercè di una mobilità insostenibile, si potrebbe anche ipotizzare una tramvia che dall’aeroporto di Linate colleghi la stazione della metropolitana di Cernusco ed eventualmente quella di Cologno Nord attraverso l’Idroscalo e San Felice, Pioltello e la sua stazione ferroviaria che sta assumendo sempre maggiore importanza, da realizzare sull’esempio di quella che collega Bergamo con Albino.

Malleus

Gestire un’area agro-forestale: un’opportunità di lavoro in Natura

Tramite l’Università della Montagna di Edolo apprendiamo di un’interessante iniziativa promossa da ERSAF Lombardia: l’Ente intende procedere mediante asta pubblica alla concessione dell’area agro-forestale demaniale Montanarium, con annesso Centro Visite della Riserva del Giovetto di Paline, situata nel comune di Borno, in Valcamonica.KL Cesec CV 2014.04.18 Montanarium 001L’area consta di 2,6 ettari di terreno boschivo e comprende le pertinenze del Centro Visite per complessivi 140 mq e la durata della concessione è stabilita in cinque anni con scadenza il 10 novembre 2018.KL Cesec CV 2014.04.18 Montanarium 002Con tale atto ERSAF intende perseguire le finalità della messa a coltura delle aree agro-forestali del Montanarium anche per finalità ecomuseali, la valorizzazione delle produzioni tipiche locali anche attraverso collaborazioni con le aziende agricole del territorio, nonché la promozione di una cultura agroambientale, oltre che aprire al pubblico il Montanarium gestendo il centro visite della Riserva attraverso iniziative promozionali specifiche: laboratori, mostre, feste in collaborazione con il territorio.KL Cesec Cv 2014.04.18 Montanarium 003E’ interessante il fatto che siano ammessi a partecipare alla gara giovani in età compresa fra 18 e 40 anni che:

  • Abbiano esercitato, per almeno 2 anni, attività agricola in un’impresa agricola come coadiuvante familiare o lavoratore agricolo;
    Abbiano conseguito un diploma di scuola media superiore, di istituto professionale o di centro di formazione professionale nel campo agrario o una laurea nel campo agrario, veterinario, delle scienze naturali, biologiche, ambientali;
    Possiedano una formazione professionale specifica di almeno 3 anni.

Ai partecipanti è richiesta la presentazione di un piano di gestione pluriennale e la base economica di riferimento a base d’asta è di soli 300 Euro. La scadenza del bando è fissata per le ore 12 del 16 maggio prossimo. Per informazioni e per scaricare il bando e le altre comunicazioni relative visitare il sito dell’Ersaf Lombardia.

Malleus

Table: siamo ciò che mangiavamo

Cosa mangiavano i nostri antenati? Cosa mangiamo noi e, attraverso l’apparentemente semplice atto del mangiare, chi siamo? Ce lo racconta Table, una mostra, anzi una grande installazione artistica, realizzata dall’Assessorato alle Politiche Culturali in collaborazione con Wood*ing che dal 12 aprile all’8 giugno occuperà la sala esposizioni dell’Arengario di Monza.KL Cesec CV 2014.04.08 Table 001Spreco alimentare, agricoltura familiare, migliori pratiche di nutrizione e biodiversità saranno i temi affrontati.
L’ingresso è gratuito, come i numerosi laboratori esperienziali a tema. Ne elenchiamo alcuni fra i più interessanti: Dal seme al pane, laboratorio di panificazione artigianale con lievito madre per bambini a partire dai 6 anni; Piante spontanee in cucina, per imparare ad apprezzare e cucinare quello che la natura ci offre stagionalmente; Annusiamo! laboratorio sensoriale sulle erbe per bambini a partire dai 3 anni; La cucina sostenibile, per imparare ad utilizzare in cucina scarti di frutta e verdura; Tisane, balsami e oleoliti, per imparare l’uso delle piante aromatiche e officinali per il benessere personale. Sono previste inoltre visite guidate a cascine della zona.KL Cesec CV 2014.04.08 Table 002Wood*ing nasce dalle  passioni di Valeria Margherita Mosca: la natura, l’esplorazione e il cibo attraverso l’indagine delle biodiversità e le mutevoli caratteristiche del territorio.
Valeria ha scelto di vivere tra montagne e boschi per avere la possibilità di studiare la natura e le sue infinite possibilità in materia di scienze alimurgiche, etnobotanica e tradizioni. Riconoscendo la l’etnogeografia  come fondamento gastronomico raccoglie con rispetto ciò che è disponibile stagionalmente, esplorando così il nostro ambiente commestibile e le materie prime spontanee della nostra regione.KL Cesec CV 2014.04.08 Table 003Indagando le potenzialità nutrizionali e organolettiche, i metodi di raccolta e d’uso, di cottura e di conservazione include nel suo ambito d’interesse anche i prodotti artigianali che ci parlano della storia culinaria della nostra terra e dei metodi di lavorazione nei tempi passati. Attraverso ingredienti semplici, freschi e spontanei, si generano così sapori che parlano delle nostre origini e del nostro ambiente, creando non solo un concetto di cucina ma anche un vero e proprio modo d’essere nuovo, che ci collega a questo luogo e al nostro tempo.

Anima in Cammino

Non siamo Cassandre, siamo per la Finanza CreAttiva

Un uomo entra in banca e chiede in prestito 200 dollari per sei mesi. Il funzionario gli chiede quali garanzie può dare. L’uomo risponde: “Ho una Rolls Royce, ecco le chiavi. Tenetela finché non restituirò il prestito.”
Sei mesi dopo l’uomo torna in banca, rifonde i 200 dollari avuti in prestito più 10 dollari d’interesse e si riprende la sua Rolls. Il funzionario, incuriosito, gli domanda: “Signore, posso chiederle come mai una persona che possiede una Rolls Royce ha bisogno di chiedere in prestito 200 dollari?”
L’uomo risponde: “Dovevo andare sei mesi in Europa. Secondo lei, dove la parcheggiavo una Rolls per 10 dollari?” – da: Platone e l’ornitorinco di Thomas Cathcart e Daniel Klein, Rizzoli 2007
Finanza CreAttiva per sopravvivere al futuro
Abbiamo preso le mosse da questa storiella surreale
per parlare di povertà, flussi migratori, fame, sete e possibili iniziative finalizzate a salvarci dal futuro che ci aspetta. Il 10 ottobre presso il Teatro Dal Verme di Milano, in occasione della rassegna Meet The Media Guru, il sociologo e filosofo novantunenne Zygmunt Bauman ha affermato: “Lampedusa? Niente fermerà i migranti, persone superflue che cercano di rifarsi una vita. Qualsiasi cosa tenti di fare l’Europa, gli arrivi dall’Africa non finiranno, niente riuscirà a fermare chi è in cerca di pane e acqua potabile: né governi né tragedie del mare perché le migrazioni sono inseparabili dalla modernità. Infatti una caratteristica della modernità è la produzione di persone superflue: individui tagliati fuori dal processo produttivo che perdono la propria fonte di sussistenza. Il progresso economico consiste nel produrre la stessa quantità di cose che producevamo ieri con una minore quantità di lavoro ed a un costo più basso. Chi rimane tagliato fuori diventa una persona superflua. E non gli resta che andarsene, cercando un altrove dove ricostruirsi una vita.
Il sociologo ha aggiunto: “la popolazione dell’Unione Europea diminuirà da 400 milioni di persone a 240 nei prossimi cinquant’anni: un numero troppo basso per mantenere i nostri standard di vita, il nostro benessere. In base ad alcuni calcoli nei prossimi 20 o 30 anni sarà necessario accogliere in Europa circa 30 milioni di migranti.
Un fenomeno, sempre secondo Bauman, che gli stati nazionali, inadeguati di fronte alle sfide della contemporaneità, hanno pochi strumenti per arginare o regolare. Oltretutto i popoli non credono più che partiti e parlamenti nazionali siano ancora in grado di assolvere le funzioni per cui sono nati, non solo perché in alcuni casi i politici sono corrotti o incapaci, ma perché per queste istituzioni sarebbe strutturalmente impossibile realizzare quello che promettono agli elettori.
Per spiegarsi meglio Bauman cita Antonio Gramsci: “Viviamo in un interregno, un’epoca in cui il vecchio muore e il nuovo non può nascere: le regole e le leggi del passato sono scomparse, ma le nuove leggi non sono ancora state inventate. La sovranità degli stati nazionali è ormai in buona misura una finzione. Il potere è la capacità di fare, la politica è decidere che cosa fare. La globalizzazione ha fatto evaporare il potere degli stati nazionali verso poteri sovranazionali liberi dal controllo della politica. Se un governo provasse a realizzare ciò che davvero vogliono i suoi elettori, invece di ciò che esige la finanza, i mercati lo punirebbero con durezza“.
Sempre secondo Bauman “le economie europee hanno bisogno d’immigrati, perché senza di loro non potrebbero vivere. Se nel Regno Unito gli irregolari venissero identificati e deportati, la maggior parte degli ospedali e degli alberghi collasserebbe; credo si possa dire lo stesso per l’economia italiana.
Non è nostro intento confutare qui tali affermazioni, né lanciarci ad analizzare danni e benefici che l’immigrazione, controllata o meno, produce al tessuto sociale, all’economia, alle radici culturali.
Ci interessa semplicemente considerare un aspetto globale: le risorse alimentari e idriche non bastano per tutti, già oggi quasi un miliardo di persone muore, letteralmente, di fame mentre gli sprechi potrebbero saziare tre miliardi di persone. E almeno due miliardi di esseri umani soffrono la sete o hanno difficoltà a disporre delle risorse idriche.
Relativamente al cibo …

… pensiamo solo a frutti e ortaggi che, non rispettando le misure standard, vengono buttati via poiché agricoltura meccanizzata e vendita di massa richiedono uniformità.
Secondo Slow Food solo in Italia, dalla filiera e non dalla mancata vendita, vengono sprecate 4.400 tonnellate giornaliere di cibo, con le quali si potrebbero sfamare tre milioni di persone.
cesec,condivivere,vandanashiva,cohousing,ogm,biodiversità,ecosostenibilità,orobluVandana Shiva, vicepresidente di Slow Food e presidente del movimento ambientalista Navdanya ha recentemente dichiarato: “Il 50 per cento del cibo prodotto negli Stati Uniti viene gettato o non utilizzato” aggiungendo “Invece di un grande business legato alle monoculture, abbiamo bisogno di fattorie che preservino la biodiversità. Monoculture come la soia non risolvono i problemi legati al cibo, ma li creano. Si tratta di un circolo vizioso” ha concluso “perché il circuito della produzione industriale ha bisogno dello spreco per creare surplus“.
Le multinazionali delle sementi, oltre a guardarsi bene dal favorire la biodiversità e la tutela di un’agricoltura locale non invasiva, rispettosa delle specie e del territorio, sono quelle che già oggi ed ancor più nel prossimo futuro avranno letteralmente in mano le chiavi della dispensa: il massiccio ricorso agli OGM, organismi geneticamente modificati, che rendono definitivamente sterili molte specie ed improduttivo il suolo, crea un’ineluttabile dipendenza negli approvigionamenti consentendo a queste aziende di decidere chi mangerà e chi no. Ci sembra doveroso rammentare quanto allarme abbia suscitato la proposta di una legge europea, denominata Plant reproductive material law, il cui scopo è quello di creare un mercato regolamentato degli ortaggi e delle verdure a livello comunitario, ufficialmente per garantire la qualità dei prodotti e la salute dei consumatori. Partendo dalla premessa che ogni vegetale, frutto, albero debba essere testato e registrato prima di essere riprodotto e distribuito a fini commerciali si stava delineando uno scenario orwelliano che faceva addirittura paventare la proibizione di coltivare un orto per uso personale. Non potendo provare che il fine della norma fosse quello di svendere ogni zolla coltivabile alle multinazionali dell’agricoltura ci asteniamo dal commentare, non senza però registrare lo stato di notevole allarme suscitato nei mesi scorsi.
Fortunatamente, non sappiamo se e quanto in seguito all’imponente movimento di opinione creatosi, il testo della legge specifica chiaramente che il provvedimento non è applicabile a chi produce ortaggi o verdure per uso personale, nonché ad organizzazioni di volontariato, piccoli produttori con meno di 10 addetti, banche del seme ed istituti scientifici, organizzazioni rivolte alla conservazione delle risorse genetiche nonché al materiale riproduttivo scambiato tra persone che non siano operatori professionali. Si starebbe anche  lavorando a deroghe per  produttori di sementi destinati a coltivazioni biologiche, prodotti con valenza specifica locale e produzioni di nicchia. Una rondine non fa primavera, si dice, ma in questo caso il proverbio ci sembra debba essere letto al contrario. Chi vivrà – nel senso che non sarà morto di fame nel frattempo – vedrà…
In ogni caso giova ricordare che le varietà da conservazione sono entrate nel panorama legislativo sementiero già nel 1998 con la direttiva 98/95/CE. Successivamente sono state emanate altre tre direttive: la 2008/62/CE relativa a piante agricole e patate, la 2009/145/CE  sulle specie ortive e la 2010/60/CE dedicata alle miscele di sementi di piante foraggere destinate a essere utilizzate per la preservazione dell’ambiente naturale.
Due di queste direttive sono state recepite in Italia con i decreti legislativi 149 del 29 ottobre 2009 (piante agricole e patate) 267 del 30 dicembre 2010 (specie ortive). Entrambi i decreti sono tuttora vigenti.

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E veniamo alle risorse idriche …
… Il 17 giugno scorso rilanciammo un trafiletto pubblicato sabato 15 giugno su IO Donna, supplemento settimanale de il Corriere della Sera, che sintetizzava significativamente attraverso i numeri una considerazione di fondo: l’acqua, bene primario che dovrebbe essere considerata pubblica e agevolmente disponibile, lo è invece sempre più in funzione delle capacità economiche e tecnologiche. Di seguito il testo:

La terra trema – NUOVA MAPPA: UN TERZO DEL MONDO E’ ASSETATO
Migliora la situazione in Cina e in India. Ma si degrada nell’Africa subsahariana e in Ucraina. Il rapporto 2013 dell’Oms aggiorna la mappa dello “stress idrico”. Ed eleva la cifra ufficiale di chi nel mondo non ha accesso all’acqua potabile a 2,4 miliardi. Aumenta il numero di impianti che veicolano acqua buona nelle case, ma anche la popolazione cresce. E paradossalmente, ci sono meno rubinetti oggi che nel XX Secolo. Tra le aree critiche: il Nilo (l’Egitto la fa da padrone, rispetto a Sudan, Eritrea, Etiopia e Kenya), il Mekong (il Vietnam preleva per abitante più di Thailandia, Birmania, Laos) e Israele, gestore unico delle risorse idriche anche nei territori occupati. (P.P.)

Esiste una terra di nessuno …
cesec,condivivere,oroblu,sete,ecosostenibilità,cohousing,finanza… chiamata finanza creativa della quale i mezzi di informazione parlano poco, e solo superficialmente o in toni scandalistici quando accade qualche disastro: terra dei derivati e dell’utilizzo spregiudicato e pericolosissimo che se ne fa nei chiaroscuri dell’alta finanza. Un modo per fare soldi a palate scommettendo sulle nostre paure più ancestrali. Nulla è più catastrofico che scommettere sulle riserve mondiali di cibo ed acqua. Infatti l’Acqua è da tempo nel mirino della speculazione: banche d’affari, fondi di investimento, multinazionali ed altri attori economici mondiali, compresi FMI e Banca Mondiale, sono già pronti a mettere la mani su questa fonte primaria per la vita umana.
Friedrick Kaufman, professore presso la City University di New York, in un articolo apparso sulla testata britannica Nature e ripreso il 21 dicembre 2012 da Internazionale sostiene che la prossima grande risorsa mondiale non sarà costituita da oro, grano o petrolio bensì da acqua. L’acqua potabile, poiché entro un ventennio almeno tre miliardi di persone avranno problemi a reperire quella necessaria per vivere.
Questo scenario, scandito dall’ossessione per la penuria idrica mentre estati interminabili e caldissime si ripetono con cadenza allarmante rappresenta il massimo che uno speculatore possa desiderare. Gli investitori adorano le situazioni apocalittiche: violenza e caos nascondono sempre possibilità di guadagno e creare denaro speculando sulla mancanza d’acqua in un’area geografica o in un settore, non è una previsione fantascientifica bensì una realtà molto vicina.
E per la finanza creativa, che produce molto di più del Pil mondiale ed è passata dai 500 miliardi di dollari del 1980 agli oltre 60 trilioni di dollari di oggi – cifra che molti hanno sentito pronunciare solo da Zio Paperone – la paura è sempre un ottimo affare. Oggi i grandi profitti, generati da strumenti finanziari totalmente separati dalla realtà, non nascono più dalla compravendita di case, grano, materie prime, auto ma dalla manipolazione di concetti eterei come rischio e collateralizzazione del debito. Ed a quanto pare investire in un indice del mercato dell’acqua sta diventando un’idea sempre più appetibile.

Torniamo per un istante a Zygmund Bauman …
… poiché riteniamo interessante riportare quanto da egli scritto in Modus Vivendi (Laterza, 2008) a proposito delle nostre prospettive di vita:
Il terreno su cui poggiano le nostre prospettive di vita è notoriamente instabile, come sono instabili i nostri posti di lavoro e le società che li offrono, i nostri partner e le nostre reti di amicizie, la posizione di cui godiamo nella società in generale e l’autostima e la fiducia in noi stessi che ne conseguono. Il progresso, un tempo la manifestazione più estrema dell’ottimismo radicale e promessa di felicità universalmente condivisa e duratura, si è spostato all’altra estremità dell’asse delle aspettative, connotata da distopia e fatalismo: adesso progresso sta ad indicare la minaccia di un cambiamento inesorabile e ineludibile che invece di promettere pace e sollievo non preannuncia altro che crisi e affanni continui, senza un attimo di tregua. Il progresso è diventato una sorta di gioco delle sedie senza fine e senza sosta, in cui un momento di distrazione si traduce in sconfitta irreversibile ed esclusione irrevocabile. Invece di grandi aspettative di sogni d’oro, il progresso evoca un’insonnia piena di incubi di essere lasciati indietro, di perdere il treno, o di cadere dal finestrino di un veicolo che accelera in fretta.
Per parte nostra aggiungiamo che se si producono risorse impiegando un sempre minore numero di addetti che, di fatto estromessi dal processo produttivo e dalle attività collaterali, non dispongono più delle risorse per acquistare non solo i beni voluttuari, ma anche quelli necessari alla sopravvivenza, si crea una popolazione di affamati.
Ma se la gente non ha soldi per mangiare chi compra i beni prodotti? La risposta c’è: come da più parti si afferma è in atto un mercato della sostituzione: i vecchi acquirenti nordamericani ed europei lasciano il posto a cinesi, indiani, brasiliani, centroafricani di quei paesi dove il trend di sviluppo è attualmente in corsa.
I migranti, i disperati, provengono da paesi con conflitti in atto e da paesi con una miseria endemica. In non pochi casi, però, questi paesi sono ricchi di risorse naturali, i cui proventi rimangono strettamente saldi nelle mani di oligarchi, di veri e propri satrapi e non vengono affatto utilizzati per il benessere di quelle popolazioni. Gli stessi satrapi sono altresì i gestori delle derrate umanitarie che, non infrequentemente, costituiscono la principale risorsa alimentare di quelle genti. Nei paesi dei quali stiamo parlando, giova rammentarlo, si estraggono spesso petrolio e minerali preziosi, si esportano varietà alimentari, spezie e legni di pregio.
Queste orde di esseri umani, peraltro, non sono mai state educate a vivere di lavoro bensì di sussistenza e, come primitivi nomadi predatori, si spingono ovunque vi possa essere una fonte di sostentamento. Ma esportando il loro modello, quello dell’assistenzialismo passivo.

E veniamo al medioevo prossimo venturo …
… Non casualmente era il titolo di un libro che Roberto Vacca scrisse addirittura nel 1970 ipotizzando un’improvvisa regressione della civiltà umana, dovuta ad un blocco tecnologico e all’esplosione demografica, tali da costringere l’umanità a ritornare a forme di vita e di lotta simili a quelle medioevali.
Poco tempo fa l’Autore, in occasione di una riedizione del libro, ebbe a dichiarare che – essendo ingegnere – aveva basato su modelli matematici molte delle sue previsioni, non avveratesi soprattutto perché non si è (ancora) verificato il blocco tecnologico ipotizzato come base della crisi mondiale; per contro si è rivelato esatto il calcolo dell’incremento della popolazione della Terra, stimata in oltre sei miliardi di individui all’inizio del terzo millennio.
Curiosamente, nel 1989 uscì un libro analogo e dal titolo identico: l’Autore, uno statunitense del quale si sono perse le tracce, ipotizzò che a causa del depauperamento dissennato delle risorse non rinnovabili in tempi compatibili con l’esistenza umana – in ragione dell’utilizzo massiccio che le tecnologie ne avrebbero richiesto – nonché della deforestazione e dell’inquinamento atmosferico, idrico e del suolo, la terra non avrebbe più potuto sfamare i suoi abitanti nonostante anzi proprio in conseguenza del massiccio ricorso agli OGM, organismi geneticamente modificati, che avrebbero definitivamente reso sterili molte specie ed improduttivo il suolo.
Le risorse alimentari si sarebbero pertanto vieppiù ridotte diventando privilegio di pochi, le città si sarebbero trasformate in bolge infernali sempre più pericolose e sempre meno vivibili, e le campagne sarebbero state percorse da bande di predoni decisi a tutto pur di assalire chiunque possedesse cibo, qualunque esso fosse. Anche carne umana? non sappiamo, e speriamo di non saperlo mai.
L’umanità avrebbe dovuto fare i conti con una delle più ataviche fra le paure: la fame.
L’ignoto autore del libro scritto nel 1989 ipotizzava altresì due fenomeni che si stanno puntualmente verificando: lo scioglimento progressivo dei ghiacciai e l’innalzamento del livello degli oceani, rendendo inabitabili non solo città costiere, ma anche insediamenti lontani dal mare sino ad altitudini non trascurabili: per quanto riguarda l’Italia, secondo tale previsione non solamente città come Genova, Napoli, Palermo e Venezia cesserebbero di esistere, ma anche Firenze, Milano, Pavia, Rovigo. La sicurezza potrà essere conseguita a partire dai 600 metri di altitudine.
Gli esseri umani avranno un’unica possibilità di sopravvivenza: riunirsi in piccoli insediamenti autosufficienti sotto il profilo energetico ed alimentare, sfruttando le risorse del territorio ed acquisendo la capacità di difendersi da eventuali attacchi.
Decrescita, condivisione, co-housing, rispetto per il territorio, chilometro zero, utilizzo selettivo e responsabile delle risorse: in pratica ci stiamo arrivando mentre le difficoltà economiche ci costringono a rivedere la scala dei bisogni reali o presunti. Che la decrescita alla quale volenti o nolenti saremo costretti possa contribuire a riqualificare il nostro rapporto con la Natura e con i nostri simili?

Se fossimo tutti consapevoli …
… della limitata disponibilità delle risorse, e se tutti ci sforzassimo di portare ciascuno il proprio contributo produttivo, senza sprechi e nel rispetto dell’ambiente – e questa potrebbe essere la logica del villaggio globale in un mondo perfetto – forse potremmo anche salvarci da ciò che ci aspetta. Invece non sarà così.
Per cominciare il concetto di villaggio globale è stato a suo tempo creato partendo dall’idea di uniformare i popoli nella direzione di una monocultura appiattente e massificatrice. L’unico esito tangibile di questo è che in ogni angolo del mondo troviamo un McDonald’s ed almeno una via dello shopping con negozi tutti uguali a quelli di qualsiasi altra città. Ma nulla è stato fatto per una reale integrazione, anzi si sono vieppiù fomentati nazionalismi o divisioni in nome di fedi religiose. Mistificazioni, notizie inventate, credenze che grazie ai mezzi di comunicazione si espandono in modo virale non giovano al concetto di pace, convivenza e reciproca tolleranza.
L’oligarchia, sia essa occulta o meno non ha importanza, che detiene il potere mondiale ha inoltre interesse a focalizzare l’attenzione delle masse verso falsi obiettivi e verso una conflittualità crescente, per distoglierla da ciò che dovrebbe invece essere sotto gli occhi di tutti: la manipolazione delle coscienze finalizzata ad occultare giochi di potere economici e finanziari su scala mondiale.
Poiché la Storia, nonché la nostra modesta esperienza di Vita, ci hanno insegnato a non fidarci della capacità umana di ricompattarsi sotto un’unica bandiera di amorevolezza, collaborazione e valori condivisi, saremo pessimisti ma sicuramente realisti ritenendo che il futuro che ci aspetta, stanti queste premesse, sia semplicemente spaventoso.
Considerato che le politiche comunitarie, nazionali, locali e persino le ventate autonomiste ed indipendentiste hanno sin qui dimostrato di non perseguire l’interesse di chi dichiarano di rappresentare bensì le ambizioni di chi le guida ed interessi finanziari ed economici di parte, anche qui più o meno occulti, non resta a nostro avviso che ipotizzare due soluzioni, non disgiunte l’una dall’altra bensì fra loro indissolubilmente complementari.
Recuperare spazi di condivisione abitativa per piccoli nuclei autonomi il più possibile autosufficienti;
Acquisire il possesso delle fonti d’acqua affinché l’acqua stessa sia salvata dalla speculazione e resa disponibile a costi accettabili per la comunità locale che ne farà uso;
Questo presuppone di non assaltare i santuari della finanza in stile ecologisti arrabbiati di lusso (e ciascuno metta il nome che preferisce) ma combatterli con le loro stesse armi, in una logica di tante public-companies strutturate per l’autoconsumo ed eventualmente federate tra loro per garantire un’economia di scala, una forza contrattuale di base ed un’uniformità normativa.
Questo presuppone di non sottrarre più neppure un metro quadro di suolo a Madre Terra, bensì di recuperare borghi e villaggi dismessi (e solo in Italia sono oltre un migliaio) per farne unità condivise di vita e di lavoro.
Questo consente che, come vedremo più avanti, sia tutelata e salvaguardata l’unicità locale non solo in termini di cultura, origini e tradizioni ma anche di specie autoctone, saperi e sapori; un po’ come avvenne nel medioevo grazie alle abbazie, per intenderci.
Questo significa non farsi illusioni sul Peace&Love cui ci ha abituati una cultura promanata sin dagli anni Sessanta del secolo scorso, sostanziata sia dalla chiesa cattolica sia dalle varie filosofie di matrice orientale che predicano un pacifismo di maniera più teorico che reale. Non farsi illusioni significa, in buona sostanza, che queste comunità dovranno essere in grado di difendersi da inevitabili attacchi e scorrerie di predoni.
Significa che dal concetto di villaggio globale, dal concetto di unione di stati, dal concetto di nazione passeremo a quello di Borgo in un neofeudalesimo, in una nuova età dei comuni? Non sarà proprio così, ed ora ne esplichiamo le ragioni.

Per cominciare citiamo una frase evangelica …
siate pronti, perché non conoscete né il giorno né l’ora. Quest’esortazione è più che mai attuale. Partendo dal dissesto geopolitico, sociale ed idrogeologico iniziamo citando Nietzsche per illustrare uno scenario tutt’altro che fantascientifico, collocato in un niente affatto remoto Medioevo prossimo venturo: Non vuoi oggi salire su un alto monte? L’aria è pura e puoi scorgere più mondo che mai.
Ci limitiamo ai fatti di casa nostra per affermare come sia ormai palese quanto l’Unione Europea propugni una strategia mirata a costituire una Paneuropa feudale partendo dallo sfaldamento della cultura locale di un qualunque popolo europeo o del cosiddetto sentimento nazionale anche attraverso la simbolica eurocentrica: Euro, bandiera, Erasmus, Inno alla gioia di Beethoven eletto ad inno europeo, passaporto, parlamento e Stati artificiali, Alpen-Adria, AER, CCRE in esecuzione di quel processo disintegrativo che taluni sostengono iniziato nel 1990 con lo sfaldamento dell’ex-Yugoslavia e che è tuttora visibile in Germania, Belgio, Spagna, Francia e persino Italia attraverso l’ascesa dei partiti autonomisti.

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L’unica forma di difesa possibile …
… da tutto questo non potrà, a nostro avviso e secondo una ben precisa chiave di lettura, che portare in una direzione: quel piccoli insediamenti autosufficienti di cui abbiamo scritto sopra, autosufficienti e – piaccia o meno – in grado di difendersi. Il feudalesimo probabilmente non avrà più i caratteri che abbiamo studiato sui libri di storia, magari sarà un Federalesimo o un Consorzianesimo, insomma un’alleanza fra borghi, villaggi, territori, comprensori.
Che, grazie alla profonda consapevolezza ed alla capacità di sentire con il cuore di quelli che immaginiamo saranno gli abitanti dei borghi risorti dal recupero di insediamenti abbandonati, avrà in alta considerazione la cultura dell’accoglienza del Viandante che viene in pace. Ma riprenderà nel contempo finalmente ad onorare la figura del Guerriero.
Per parte nostra ci permettiamo di raccomandare, citando Cromwell: abbiate fiducia in Dio e nel prossimo, ma tenete asciutte le polveri. Anche se, passateci la battuta, alle polveri preferiamo di gran lunga l’arco: silenzioso, fulmineo, letale, ecologico.
La formula vincente per ottenere tutto questo si chiama cohousing, che non è solo un modo di abitare ma di cambiare abito mentale: dal lavoro come produzione, che vede solo crescite esponenziali senza ragione, al lavoro come servizio dove la produzione non ha in vista solo beni e merci, di cui non sapremmo neppure cosa fare se non fosse per bisogni e desideri indotti, ma anche erogazione di tempo, cura, relazione. In una parola: Condivisione.
Il cohousing è un nuovo modo di abitare con spazi e servizi condivisi tra persone amiche che si sono scelte e che insieme hanno progettato la propria comunità residenziale. Chi vive in cohousing – e sono già più di mille gli insediamenti di questo tipo nel mondo – vive una vita più semplice, meno costosa e meno faticosa decidendo innanzitutto cosa condividere: un micronido per i bambini, un orto o una serra, un living condominiale, un servizio di car sharing o una portineria intelligente che paga le bollette e ritira la spesa. Solo per fare qualche esempio.
Naturalmente, sulla scorta delle nostre competenze professionali, stiamo organizzando l’ampio ventaglio di risorse necessarie a realizzare i progetti di cohousing: ricerca delle aree idonee, progettazione sostenibile degli interventi, formazione dei gruppi promotori e loro evoluzione in comunità organizzate, design di spazi e servizi comuni.
Il cohousing non è più da vedere come una comune più o meno hippy, rifugio di strafatti e sbandati, anche se sopravvivono iniziative di questo tipo: di solito vere e proprie topaie che lasciano molto a desiderare anche sotto i profili organizzativo, delle relazioni fra gli abitanti e persino igienico-sanitario. Siamo certi che scompariranno entro breve tempo.
Le comunità di cohousing combinano l’autonomia dell’abitazione privata con i vantaggi di servizi, risorse e spazi condivisi (micronidi, laboratori per il fai da te, auto in comune, palestre, stanze per gli ospiti, orti e giardini…) con benefici dal punto di vista sia sociale che ambientale.
Tipicamente consistono in un insediamento di 20-40 unità abitative, per famiglie e single, che si sono scelti tra loro e hanno deciso di vivere come una comunità di vicinato per poi dar vita – attraverso un processo di progettazione partecipata – alla realizzazione di un villaggio dove coesistono spazi privati (la propria abitazione) e spazi comuni (i servizi condivisi).
La progettazione partecipata riguarda sia il progetto edilizio vero e proprio – dove il design stesso facilita i contatti e le relazioni sociali – sia il progetto di comunità: cosa e come condividere, come gestire i servizi e gli spazi comuni, mentre le motivazioni che portano alla coresidenza sono l’aspirazione a ritrovare dimensioni perdute di socialità, di aiuto reciproco e di buon vicinato e contemporaneamente il desiderio di ridurre la complessità della vita, dello stress e dei costi di gestione delle attività quotidiane.

Questo scritto nasce anche come premessa …
… all’illustrazione di progetti, raccolta di idee, condivisioni e adesioni in una logica che intende essere sin dall’inizio partecipativa e con una particolarità che è un po’ il nostro Manifesto: nessun metro quadro in più sottratto alla Natura con nuove costruzioni, bensì il recupero di luoghi esistenti e dismessi. In Italia se ne contano oltre mille: borghi abbandonati che possono tornare a nuova vita, in una logica di decrescita e rispetto dell’ambiente.
Ma chi, già oggi,  desidera vivere in cohousing? Un identikit del cohouser parte dalla storia di un’utopia diventata realtà ed ha a che fare con il vivere insieme condividendo spazi e servizi con i vicini di casa: lavanderia e stireria, ludoteca, biblioteca, orto, giardino, palestra, mezzi di trasporto e chi più ne ha più ne metta pur mantenendo la privacy nel proprio appartamento.
L’idea non è così nuova per chi ha vissuto la ventata degli anni a cavallo tra i Sessanta e i Settanta, ma le neotribù attuali non sono certamente formate né da nipoti dei Figli dei Fiori né da idealisti New Age, piuttosto da un panorama eterogeneo di singles giovani e meno giovani, coppie senza figli e famiglie più o meno numerose, anziani in cerca di socialità.
E l’attuale cohouser non è tipo da comune o casa collettiva ma è per l’abitare insieme in modo organizzato, vivendo in edifici pensati o recuperati per più nuclei, scegliendosi i vicini di casa. Si abbattono i costi fissi di alcune aree perché uso e proprietà sono ripartiti su più persone, la convivenza intergenerazionale è facilitata, e sono favoriti gli scambi di vicinato.
Altro valore forte, il basso impatto: gli edifici sono pensati per consumare poco o addirittura pochissimo attraverso tecniche costruttive o ricostruttive che vanno sotto la denominazione di casa clima, casa passiva, bioarchitettura.
Abitare in cohousing vuol dire molte cose, una in particolare: ritrovarsi tra persone interessate a un modo comune di concepire la vita a partire dalla dimensione quotidiana; ogni gruppo fa storia a sè e il percorso intrapreso è sempre su misura.

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Vivere in un ecovillaggio …
… non è quindi una protesta verso il sistema, non è un sogno romantico o un’utopia, ma una scelta razionale e motivata di dare priorità nella propria vita ad aspetti quali il senso di comunità e l’ecologia.
Storicamente vivere in un villaggio in armonia con la natura non era una scelta consapevole ma l’unica possibilità; ora invece gli ecovillaggi diventano comunità intenzionali di persone pienamente consapevoli di vivere in modo che rema in direzione contraria alla spinta della società circostante. Il sentimento di appartenenza ad una comunità viene da lontano, è innato nella natura umana. La tecnologia, l’organizzazione sociale, la nascita delle metropoli, la corsa verso il successo individuale han dato l’illusione che il nuovo essere umano non avesse più bisogno dell’appoggio di una comunità, creando la tendenza verso una vita sempre più individualista e solitaria. Evoluzione ben rappresentata dall’anonimo palazzone cittadino, dove un numero svariato di vite sono rinchiuse tra queste mura, cercando una nicchia di intimità dietro spesse porte blindate di appartamenti tutti uguali, ignorando completamente l’esistenza di vicini sovente visti solo come una molestia. La vita di comunità è l’opposto, è il compromesso di vivere in un gruppo, di solito non troppo numeroso in modo che tutti i membri si conoscano personalmente. Pur praticando una parziale comunione dei beni, la vera essenza di comunità è esaltata nell’appoggio reciproco.
Un gruppo su cui contare vuol dire miglioramento della qualità di vita, con esempi pratici quali la cura condivisa dei bambini, la possibilità di facilitare e rendere più attraenti lavori comunitari, la creazioni di posti di lavoro all’interno della comunità stessa. Inoltre la vita comunitaria è un costante stimolo alla crescita personale, in quanto persone a stretto contatto quotidiano sono obbligate a confrontarsi su scelte in comune, a discutere, a parlare apertamente dei problemi che invariabilmente sorgono e questo migliora la comunicazione con gli altri e con se stessi ed aiuta a vedere con più chiarezza il nostro misterioso mondo interiore. L’armonia della vita comunitaria si ripercuote conseguentemente nella cura dell’ambiente circostante. La concezione di tutela ambientale è variabile, ma principalmente si attua nel tentativo di produrre la maggior parte del cibo che si consuma, coltivando orti vicino alle case, di affidarsi a energie rinnovabili, di ridurre i consumi e di limitare l’utilizzo delle automobili. I bambini di un ecovillaggio possono trascorrere le giornate scorazzando per strade prive di auto, giocando nei giardini comunitari, nei campi e nei boschi senza necessità della miriade di giochi che popolano la vita dei bambini cresciuti negli appartamenti. Infine la spiritualità, che racchiude aspetti controversi perché storicamente è stata ingabbiata dalla religione. La spiritualità si accompagna in modo naturale al rallentamento dei ritmi, al contatto con la natura, poiché il materialismo non è sufficiente a saziare l’innata curiosità dell’essere umano. La spiritualità significa arte, musica, contemplazione, meditazione, riflessioni. Il tutto si associa spesso ad altri movimenti quali la permacultura, la decrescita, termini che evocano ancora in tanta gente uno scenario di ristrettezze, un ritorno all’età della pietra e una rinuncia. Ma non è questo il punto, tutt’altro, l’obiettivo è lo stesso di tutte le attività umane, la felicità e il benessere, che vengono ricercate, però in una forma che predilige l’armonia con la natura e l’ambiente.

Il cohousing rurale montano …
… costituirà in futuro la reale e più adeguata forma di salvaguardia del territorio, oltre che di protezione dagli accidenti climatici e dalle scorribande dei predoni di cui si diceva più sopra.
Niente folclore da cartolina: prati fioriti di mille colori, alte vette che fanno da quinta, aria cristallina, mucche sparse a brucare che sembrano messe lì come in un presepe, il mandriano, i cani, le baite, il formaggio saporito, il burro giallo che si conserva nell’acqua gelida del torrente mentre la polenta brontola nel paiolo sul fuoco del camino…
L’agricoltura in montagna non è per tutti. E’ fatica, è lavoro duro, è gestione, manutenzione, valorizzazione di territorio e paesaggio frutto di un’attività economica e produttiva che per millenni ha costituito la principale fonte di sostentamento e il centro identitario e culturale del territorio e delle popolazioni.
Le tracce di questa cultura e di queste attività improntano tuttora in modo indelebile e diffuso il territorio, il paesaggio, i modi di vivere, le tradizioni, l’architettura, i cibi, i prodotti alimentari ed i manufatti artigianali lasciando, in montagna forse più che altrove, i segni di un’identità forte che agli occhi degli estranei viene percepita come luogo di tradizioni senza tempo. Costituiscono la nostra matrice culturale, le nostre radici, attraverso una storia millenaria ha costruito in Alpe il paesaggio di cui oggi godiamo come straordinario testimone che ci racconta la vita delle sue genti e ci apre alle bellezze di ambienti frutto di fatiche secolari poiché, all’interno di questo sistema che ha funzionato perfettamente fino ad alcuni decenni fa, la valorizzazione delle risorse pastorali è stata una delle chiavi di successo e di sopravvivenza delle popolazioni, armonico ed equilibrato rapporto tra risorse del fondovalle e degli alpeggi che ha permesso lo sviluppo di forme integrate di economia agricola con l’allevamento permanente di bestiame da latte.
Naturalmente senza il ricorso ad antibiotici, estrogeni ed altre schifezze od allo spreco di milioni di litri d’acqua per produrre una bistecca. Significa tornare alle origini, quando il latte veniva dato caldo con il miele per combattere le affezioni bronchiali, non come ora che è un mucogeno, non come ora che se i bambini mangiano un hot dog o un hamburger richiano la femminilizzazione.
L’attività degli agricoltori montani ha costruito nel tempo un paesaggio variegato fatto di aperture tra i boschi, prati e maggenghi, pascoli di alta quota, nuclei rurali ed architetture tipiche che costituiscono il pregio di tante località montane. Certo anche la montagna è cambiata e sta cambiando, anche se questo può non apparire agli occhi dei frequentatori occasionali, primariamente per la riduzione dell’agricoltura e con essa, pur se a più lungo termine, della biodiversità e della bellezza paesaggistica dei luoghi. Alle quote più elevate e meno accessibili i terreni vengono spesso abbandonati, e prima o poi riconquistati dal bosco. Se il ritorno del bosco può apparire positivo perché riduce l’impatto negativo dell’uomo su natura e paesaggio, costituisce in realtà un pericolo perché spesso le zone abbandonate sono proprio quelle più importanti ai fini della conservazione della biodiversità florofaunistica, oltre che per la diversità dei paesaggi. E senza trascurare l’incontrollato proliferare di animali selvatici che, non trovando di che nutrirsi, devono necessariamente essere abbattute. Innegabilmente, il ritorno del bosco migliora la stabilità delle pendici.
In questo senso il cohousing montano svolge anche una insostituibile funzione di salvaguardia del territorio.
Naturalmente
l’atteggiamento più sbagliato che una comunità coresidenziale può assumere allorché si stabilisce in un luogo, e maggiormente in un contesto orograficamente difficile quale quello montano, è quello di apparire e sentirsi enucleata dalla società locale ivi residente, attuando non un inserimento bensì una sorta di colonialismo isolazionista.
Non nascondiamo che i cohouser provenienti, come in massima parte accadrà, dal vissuto urbano potranno incontrare situazioni particolarmente difficili; chi vive da generazioni strappando con fatica alla montagna di che sostentarsi ha maturato una scorza dura. Perché duro è il loro lavoro: in montagna non servono le mastodontiche mietitrebbia che vediamo in pianura, tutt’al più i trattorini ed i trenini delle vigne, anch’esse faticosamente ricavate terrazzando a mano la montagna, dove i raccolti e le merci viaggiano per gli alpeggi nella gerla, a dorso di mulo o con la teleferica.
Gli scenari futuri mettono in luce un sistema rurale alpino senza domani, con una perdita progressiva e costante delle note caratteristiche e delle specificità che l’hanno finora contraddistinto. Solo una diversa considerazione del ruolo dell’agricoltura di montagna rispetto alla conservazione dei paesaggi colturali tipici, alle produzioni alimentari di qualità, alla tutela degli spazi, alla difesa dell’ambiente e del territorio potrà garantire nuove forme di sopravvivenza e di sviluppo. Questo significa spazio disponibile per nuove opportunità coresidenziali, complici i numerosi borghi abbandonati presenti sulle Alpi e sugli Appennini.

Riscoprire l’Acqua …
… non casualmente chiamata Oroblu perché, non semplicemente in margine alla nozione di cohousing ed agli aspetti connessi all’autosostentamento alimentare, lavorativo ed energetico delle comunità coresidenziali che si svilupperanno dai nostri progetti, dobbiamo ora affrontare un argomento relativamente al quale desideriamo portare alcune considerazioni, sintetiche ma imprescindibili.
Abbiamo visto precedentemente come sul nostro Pianeta l’acqua costituisca indiscutibilmente il bene più importante, purtroppo non dappertutto risulta essere quello più economico o disponibile.
Nel secolo scorso l’acqua era, salvo casi particolari, abbondante, economica e pulita. Ma, trascorso il primo decennio di questo XXI Secolo, ci stiamo accorgendo di quanto l’acqua stia diventando sempre più preziosa, talvolta non scarsa bensì mal utilizzata, preda di ecomafie, trasportata da viadotti o condotte fatiscenti che la rendono difficile da gestire, sempre più costosa e inevitabilmente da purificare. Nel prossimo trentennio la situazione è destinata a peggiorare, non da ultimo a causa dei sempre più intricati trend geopolitici in atto e di un boom demografico senza precedenti nella storia dell’umanità, che incrementerà la popolazione terrestre di circa tre miliardi di unità, prevalentemente concentrate in un unico continente.
Particolare attenzione riveste la questione della sicurezza:  che si tratti di troppa poca acqua per lunghi periodi di tempo, o di troppa acqua tutta in una volta rappresenta una delle sfide tecniche, ambientali, sociali, politiche ed economiche più tangibili ed a più rapida crescita che è necessario affrontare da subito.
Non trascurabile è inoltre la crisi ambientale in rapido svolgimento: in ogni settore, la domanda di acqua è destinata ad aumentare e le analisi suggeriscono che entro il 2030 il mondo dovrà affrontare un deficit globale del 40% tra previsione della domanda ed offerta disponibile. E qui non è possibile ragionare per localismi: per loro stessa natura acqua, vapore acqueo, correnti, falde sono transnazionali.
Questa prospettiva eleva il potenziale di crisi e di conflitto poiché l’acqua è centrale per tutto quanto è importante per la vita umana: cibo, servizi igienico-sanitari, energia, produzione di merci, trasporto e biosfera. Come tale l’acqua non solo garantisce la mera sopravvivenza degli esseri umani, ma anche benessere sociale e crescita economica. Inoltre, l’acqua è una risorsa rinnovabile ma non inesauribile. Sarà per l’acqua, oltre che per il cibo, che in un futuro nemmeno tanto lontano si combatteranno guerre cruente.
Per tali ragioni già nel prossimo ventennio ci attendono sfide senza precedenti, soprattutto allorché la questione non sarà più appannaggio di ristrette cerchie di esperti ma diverrà aspra parte del dibattito politico e dovranno essere decise enormi allocazioni di risorse finanziarie a livello nazionale e internazionale. Già ora stiamo assistendo a tentativi, neppure troppo sommessi per privatizzare l’acqua funzionalmente al business che se ne potrà ricavare.

La nostra posizione è assolutamente controcorrente …
… Anziché arroccarci in posizioni di protesta ed esecrazione, eticamente sacrosante ma strategicamente indifendibili, perché non combattere il nemico con le sue stesse armi? Perché non beneficiare in modo etico e vantaggioso di questa irripetibile congiuntura storica, compiendo azioni la cui ricaduta vada nella direzione del bene comune?
Vale a dire: vogliono privatizzare l’acqua? Ebbene, compriamola! compriamola come cittadini, come fruitori, come proprietari degli impianti, come investitori.
Siamo assolutamente concordi con chi sostiene che gli esseri umani non sono i proprietari del pianeta, ed esecriamo il fatto che la terra possa essere ed essere stata nei millenni compravenduta, recintata, delimitata, sfruttata, conquistata. Ma le posizioni rigide, di fronte ad un problema di questa portata, non sono solo inutili: sono dannose perché oggi è quanto mai opportuna una nuova visione.
Non si tratta, naturalmente, di comprare acqua: lo consideriamo semplicemente impensabile. Si tratta di diventare concessionari delle numerosissime fonti inutilizzate esistenti, oltre che comproprietari di tutto ciò che attiene al servizio, vale a dire impianti, rete distributiva e strutture accessorie.
Per farlo è indispensabile costituire delle società, i cui soci siano gli utilizzatori del servizio ed estremamente rappresentative del concetto di democrazia partecipata. Le società opereranno a livello locale e potranno essere confederate in un organismo in grado di fornire servizi a valore aggiunto: assistenza normativa, rapporti con le istituzioni, consulenza finanziaria e progettuale.
Il tutto potrà essere accorpato in un Fondo, strumento che potrà garantire la maggior tutela ammnistrativa, normativa, finanziaria
I benefici per i soci consisteranno prevalentemente nella garanzia di non dover corrispondere a terzi il costo dell’acqua in un contesto che potrebbe andare fuori controllo e, grazie ad opportune economie di scala, attuare delle politiche economiche e normative affinché il costo corrisponda agli oneri del servizio: manutenzione, depurazione, ammortamento degli impianti.
Il fenomeno, precipuamente locale,
potrebbe via via interessare luoghi, territori e bacini di utenza sempre più estesi, non solo a livello nazionale e non solo legati a realtà di cohousing, autogenerando aree su cui creare valore: in questo campo, la start up giusta al momento giusto avrà infatti risultati che non esitiamo a definire impensabili. Le questioni relative all’utilizzo dell’acqua sono e saranno per un bel pezzo – almeno fino a quando e se i mega acquadotti saranno costruiti – su base locale e ci sarà spazio per notevoli interventi.
Detto in altri termini: finanza, Si, finanza, ma con una connotazione sociale, etica. Si, ma come, e in quali nicchie, è possibile trovare il modo di generare valore?
La prima e più semplice nicchia da sviluppare sarebbe sicuramente quella dello stock picking sul settore, dato dal sicuro e gigantesco afflusso di denaro in un comparto relativamente immobile, che potrà ove incontrollato generare importanti fenomeni speculativi che potremo così contribuire ad arginare.
I trend su cui agire potrebbero essere i seguenti:
– riunificazione delle utilities di settore, da una base locale e via via in crescendo; puntare sul cavallo vincente sarà persino facile e su questo punto ci sarà anche l’opportunita’ di soddisfare gli investitori più conservativi perché queste nuove mega utility dovranno necessariamente finanziarsi con obbligazioni ad alto rendimento: per fare un esempio, come fa oggi SNAM che emette obbligazioni al 3 per cento netto, che gli investitori istituzionali si strappano di mano come fossero oro! E noi, in un’economia allargata e multifunzionale che comprende l’acqua ed il suo indotto, i cohousing e le loro produzioni, oltre a tutte le attività collaterali, potremo garantire molto di più.
– sviluppo di infrastrutture sovranazionali, altrimenti definibili Mega Water Projects. E qui siamo all’anno zero. Ma anche questo sarà un trend inevitabile. Portare l’acqua da dove c’è a dove non c’è in maniera radicale. Persino in America qualche analista del settore sta incominciando a proporre un mega acquadotto nord-sud, dalla regione dei Grandi Laghi (Erie, per capirci) a New Orleans ma le resistenze sono ovviamente immense. In Europa non osiamo neanche pensare, in Asia poi sarà da ridere visti le storiche rivalità. Ma anche qui, prima o poi chi potrà dovrà farlo. E qui ovviamente lo stock picking potrà essere incredibilmente efficiente e capace di generare grandi risultati.
Il problema dell’acqua però oggi come oggi non si manifesta su base nazionale. Gli esempi che abbiamo avuto nell’ultimo quindicennio riguardano problemi nati su base regionale o addirittura a livello di singola città, in cui le autorità, non essendo state previdenti prima, hanno incominciato a razionare l’acqua e a proporre soluzioni tampone sull’utilizzo quotidiano.
In questo momento stiamo ancora parlando di stock picking e anche in quest’area ci sono grandi opportunita’, da parte di start up che si occupano di specifici problemi: depurazione – fondamentale, specialmente dell’acqua di mare – purificazione da contaminazione esterna o da tracce di medicinali ed altre sostanze, ridotto utilizzo. Nicchie specifiche, insomma.
La componente finanziaria è sicuramente degna di nota, ma non rappresenta un motivo sufficiente per sviluppare una struttura tecnica in grado di sostenere un flusso informativo del tipo finora descritto. Occorre qualcosa di più. Cioè, che cosa?
Una parte educational di tipo classico dedicata al grande pubblico? Sicuramente interessante, ma insufficiente, vista la difficoltà di creare calore in questo ambito, fatta salva, ammesso di trovarli, la presenza di sponsor interessati a creare consapevolezza nel pubblico.
La nostra risposta è: p
artiamo da un concetto di base: sul problema acqua esistono al momento relativamente poche competenze che sono state sviluppate in un numero relativamente basso di aree a livello mondiale. Aree dove situazioni di siccità’ di lungo periodo hanno richiesto la gestione di soluzioni spesso altamente innovative.
Ma questo know-how base non è stato condiviso in maniera significativa e anzi è stato spesso confinato nei ristretti ambiti locali di attuazione. Per fare un esempio, certe soluzioni incredibilmente innovative sviluppate in numerose città australiane od israeliane, veri laboratori a cielo aperto dei problemi dell’acqua, non sono minimamente conosciute in Europa o nel resto del mondo occidentale, per esempio impianti di desalinizzazione dell’acqua marina con caratteristiche uniche.
Considerata l’importanza delle immagini, spesso prevalenti rispetto alle parole in quanto maggiormente efficaci, è nostro intento sviluppare una trasmissione video settimanale rivolta ad un pubblico professionale di settore, tecnico ed a politici (non serve che siano illuminati, è sufficente che siano onesti e non pressapochisti, e già trovane sarà un’impresa, almeno sic stantibus rebus…), che parli delle soluzioni innovative già sviluppate, descrivendole nei dettagli, e che illustri come i problemi che potrebbero presentarsi siano già stati risolti altrove.
La trasmissione potrebbe essere sviluppata in più lingue, magari attraverso un canale interattivo e con la possibilità di interazione da parte degli abbonati.

Ricapitoliamo quindi brevemente quali e quante attività potrebbero, se unite adeguatamente e coordinate sotto un’unica piattaforma di comunicazione video/interattiva, generare valore in questo settore:
Area finanziaria, stock picking, ricerca
Area servizi su start up innovative con possibilità di contatto
Area educational e di responsabilita sociale rivolta al grande pubblico
Area knowledge base e best practices  internazionali, rivolta a tutti gli operatori del settore
Questi quattro pilastri, se ben coordinati e sviluppati armonicamente, potrebbero garantire nel lungo periodo una base di servizi promozionali in grado di generare adeguato valore per i potenziali investitori.

Alberto C. Steiner