Africa: quando i regali sono inutili

Accade che ci venga chiesto: cosa fate per le risorse idriche dei paesi africani? La nostra risposta è inequivocabile: Niente.
La ragione la spieghiamo con un esempio. Etiopia, non occorre specificare la località: ecco un pozzo rimesso a nuovo grazie al contributo di ben tre Ong, Voss Fondation, Gsta, Sahelco con tanto di targhe apposte per indicare al mondo il meraviglioso lavoro eseguito, per dire: io ho fatto tanto, io ho speso tanto.KL Cesec CV 2014.03.14 Acqua Africa 004Cartelli simili hanno invaso ogni sorta di paese povero africano. Ovviamente non ne trovate in Libia, Tunisia, Marocco, Egitto, Sudafrica. A proposito, proprio perché non c’entra niente con i pozzi, questa è l’immagine della nuova linea tramviaria di Tunisi.KL Cesec CV 2014.03.14 Acqua Africa 001Torniamo al pozzo etiope. L’ultimo ripristino risale all’anno 2011, tre anni fa. Con i soldi spesi per le targhe si sarebbe potuta comprare un po’ più di malta cementizia, viste le crepe che decorano la struttura e che sono comparse pressoché immediatamente dopo l’ultimazione dei lavori.
Ma diciamolo chiaramente: non è tutta colpa di chi fa lavori come se suonasse un trombone stonato e, con ancora il colonialismo dentro – si perché il colonialismo è come il viaggio: è nella testa – arriva in Africa pensando di sapere che cosa è meglio per questa gente.KL Cesec CV 2014.03.14 Acqua Africa 005KL Cesec CV 2014.03.14 Acaua Africa 003Ce lo conferma desiderando rimanere anonimo il presidente, originario di un paese centroafricano, di un’associazione che tenta di dare una mano alle popolazioni dell’Africa più povera: “La responsabilità è anche di certe popolazioni africane, e non hanno nessun significato certe frasi buoniste che sento spesso ripetere quando mi ritrovo a riunioni, convegni o seminari e che suonano sempre di compassione verso il povero negretto: che è colpa dell’occidente colonialista. No, non è colpa dell’occidente colonialista se a Milano, dove vivo, vedo squadre di operai che effettuano riparazioni stradali in cinque: uno sovrintende e gli altri lavorano sapendo esattamente cosa fare. Al mio paese, ed anche in altri dell’Africa equatoriale, non è così: otto sovrintendono creando un casino infernale mentre altri quindici lavorano sovrapponendosi a vicenda.” E aggiunge: “Tra i molti di noi che, spesso con grandi sacrifici economici delle famiglie, hanno studiato e si sono laureati c’era il sogno di tornare a casa e dare una mano. Alcuni ci hanno provato, ma solo chi è entrato nel vortice della politica grazie ad agganci tribali e di parentela si è sistemato, ma non sta di certo lavorando per il bene della gente. Gli altri hanno cercato spazio in Europa e negli Stati Uniti, ritrovandosi spesso frustrati e quindi rancorosi.“. E conclude con un’affermazione sconsolata che suona come un anatema: “L’Africa morirà. Morirà come il resto del pianeta, ma questa non è una consolazione.
Ma tornando ai pozzi, anzi al pozzo etiope delle immagini, le sue condizioni di utilizzo sembrano dar ragione al nostro amico intervistato. La sua acqua viene inquinata proprio dai secchi utilizzati per attingere il prezioso liquido, poiché i contenitori personali vengono appoggiati in terra, tra fango, urina ed escrementi animali. Gli animali girano liberi nei villaggi africani ed il suolo non è certo dei più puliti, e ci rifiutiamo di pensare che nessuno, tra missionari, volontari, pasionarie abbia mai insegnato a questa gente le più elementari regole igieniche. E così terra, urina ed escrementi solidi, si attaccano al fondo esterno del secchio che viene immerso nel pozzo per pescare l’acqua, piena di batteri fecali ed altre colonie batteriche dannose per la salute umana. Ed anche le crepe strutturali, sinceramente non ci vuole molto per chiuderle, in attesa di più significativi interventi, utilizzando terra paglia e fango ed evitando, magari, di usare nell’impasto la merda di vacca.
Ma come sono protetti i pozzi? Semplice: non lo sono. Vengono lasciati aperti con tutte le conseguenze di contaminazione. Troppo faticoso richiudere le lamiere incernierate dei quali sono provvisti.
Certo, il pozzo a larga bocca è sbagliato come concetto, va bene per l’idraulica pastorale, vale a dire per abbeverare gli animali. Per l’utilizzo umano sarebbe più opportuna la bocca stretta, dal diametro atto a lasciar passare un solo secchio, quello assicurato con una catena al pozzo stesso, e senza altre possibilità intrusive. Magari con un portello lucchettato. Risposta: lucchettato… ma dove vivete, nel paese delle meraviglie?
Allora proviamo con la domanda di riserva: ma perché anziché utilizzare questo metodo primitivo non si è mai pensato di installare una pompa a mano, come quelle che non mancavano mai nelle nostre campagne?
Risposta: perché non verrebbe utilizzata, nemmeno dai bambini per giocare. Troppa fatica. Verrebbe scalzata alla base e poi via di secchi, o bicchieri, o caraffe considerato il diametro inestirpabile della condotta di adduzione.
Il tubo metallico che si vede ai piedi di un bambino in una delle foto avrebbe dovuto servire per incanalare l’acqua in una vasca per abbeverare gli animali: mai usato. La giustificazione dei buonisti ecosolidalworkerallsaints: perché chi lo ha progettato non conosce gli usi e costumi locali… No comment.KL Cesec CV 2014.03.14 Acaua Africa 002Le foto sono un esempio di spreco di soldi dei donatori. E non pensiamo che la tanto vagheggiata costituzione di un’agenzia europea che gestisca gli aiuti destinati ai popoli africani possa arginare il fiume di denaro che verrà comunque gettato al vento.
Perché anche di questo si tratta: gettare al vento denaro e risorse preziose, favorendo ulteriore corruzione destinata ad ingrassare i soliti satrapi locali. Non ci ribelliamo noi che abbiamo i social, i blog, le piazze dove non ci prendono (non ancora) a fucilate e tutti gli altri strumenti per urlare il nostro impotente blablabla nella stanza imbottita, volete che si ribellino loro?
Non riteniamo che gli africani siano dei minus habens bisognosi di tutela, ma che ciascuno sia artefice del proprio destino. E’ per questa ragione che preferiamo dedicare le nostre energie per tutelare il territorio e le risorse idriche di casa nostra.

ACS

Progettare edifici in modo responsabile

Il titolo originario di questo articolo avrebbe dovuto essere: Dritte semiserie per una progettazione responsabile.KL Cesec CV 2014.03.05 Progettare 001Un mio maestro, un anziano geometra titolare di una piccola impresa di costruzioni nell’Oltrepo’ pavese con il quale ebbi occasione di collaborare, mi insegnò tantissimo anche se a volte aveva dei convincimenti stravaganti. Per esempio questo: “Quando vendi sbagli sempre, perché se avessi venduto prima avresti potuto risparmiare sui costi finanziari, e perché se avessi venduto dopo avresti potuto spuntare un prezzo maggiore.” Ma forse era solo una delle sue infinite battute…
Però una cosa mi disse, in tempi non ancora segnati dalla consapevolezza ecosostenibile, e che porto sempre dentro di me: “Quando ristrutturi una cascina, rispetta il suo stile originario senza abbatterla completamente per ricostruirla come fanno oggi i barbari dell’ edilizia. Prima di ristrutturarla filmala e fotografala per avere una testimonianza di come era, e non variarne cubatura, dimensioni, materiali. Recupera fin dove puoi i materiali originali” e aggiunse: “Quando costruisci una nuova casa fallo rispettando lo stile delle cascine e dei rustici lombardi. Un paesaggio nel quale si costruisce rispettando lo stile tradizionale appare più in armonia con le altre case e con la natura circostante. Lo stile tradizionale è più bello e caratteristico. Dà la possibilità di vivere meglio, in un ambiente più sano e più familiare. Si evitano quegli obbrobriosi scatoloni di cemento, perché la casa non è solo un posto dentro al quale mangiare e dormire, ma è anche una scultura che trasmette valori al mondo esterno.
Nonostante la crisi che attanaglia ogni settore, e che ha dato un colpo di freno anche all’edilizia, mi sono spesso domandato se i lombardi, e non solo loro, non si stiano autodistruggendo attraverso la visione di un contesto che non conduce al senso del bello, bensì al suo opposto.KL Cesec CV 2014.03.05 Progettare 002Credo che sia molto importante, prima di costruire o recuperare un edificio pensare di farlo con centratura, consapevolezza ed attenzione perchè il pensiero e l’intento possano tradursi in una casa fatta bene che contribuirà ad acuire il senso del bello, della solidità e del risparmio.
E’ anche per questa ragione che cerco di essere sempre aggiornato sull’architettura bioclimatica, sulla bioarchitettura e la bioedilizia, sulle nuove modalità per smaltire i reflui e per risparmiare energia leggendo libri in biblioteca e navigando in internet. Prima ancora di progettare cerco di comprendere consistenza e direzione delle correnti fresche e calde, ed in base a questo stabilisco, per esempio, dove realizzare la cucina affinché vi batta corrente calda e le camere perché vi batta corrente fresca.
Cerco di ottenere dalla Natura il meglio relativamente a luce, fresco, caldo, umidità. Nei progetti inserisco sempre alberi a foglia caduca e sempreverdi in modo da posizionarli per avere ombra d’inverno che rinfreschi alcune zone della casa, e che fungano da barriera porotettiva contro le correnti fredde invernali, oltre che da quinta per occultare viste poco gradevoli.
Tanto il costo del progetto non varia, i metri cubi sono i medesimi, ma una disposizione adatta all’ambiente farà risparmiare riscaldamento durante l’inverno ed evitare un climatizzatore in estate. E, prima ancora di pensare a come produrre energia elettrica e riscaldamento, penso a come risparmiarli tramite l’utilizzo di materiali appropriati a garantire l’isolamento termico, che posso ottenere con cappotto esterno tramite pannelli a incastro, soprattutto quando l’edificio esiste già, oppure inserendo tra due muri di argilla o sassi dei materiali a  basso λ, Lambda, che avrò avuto cura di conservare durante la demolizione: così l’isolante spesso è praticamente gratis.
Se sono in montagna posso costruire una casa in legno e poi, contro il rischio di incendi, rivestirla con sassi reperiti in loco ed utilizzando isolanti traspiranti e naturali: costano un po’ più degli altri, ma chi vivrà in quella casa non respirerà schifezze sotto forma di nanoparticelle di essenze aromatiche cancerogene.
Soprattutto penso ad isolare gli infissi, attraverso i quali entrano spifferi, correnti d’aria, caldo e freddo posando finestre a doppia e tripla vetrocamera con gas a basso λ, dotandole di ante in legno che non lasciano passare spifferi e, chiudendosi, includono una superficie superiore a quella dell’infisso stesso.KL Cesec CV 2014.03.05 Progettare 003Quanto all’allestimento interno è possibile realizzare armadi a muro in legno a ridosso delle pareti a contatto con il freddo esterno, perché così facendo si contribuisce ad  isolare la parete, magari posando un materiale isolante tra muro e armadio.
L’ isolamento comporta un doppio vantaggio:

  • Fa risparmiare gas ed energia, e questo è ovvio
  • Fa spendere la metà per acquistare le quote di partecipazione di fonti idriche, centrali e mulini ad acqua ed eletrici, e questa è una battuta che ha però un senso quando, come fa Kryptos Life&Water, si parla di acquistare l’acqua per salvare l’acqua
  • Fa acquistare metà dei pannelli fotovoltaici perché servirà metà energia rispetto ad una casa non isolata
  • Fa spendere meglio il denaro destinato ad acquistare un climatizzatore
  • Parlando di risparmio energetico posso aggiungere la parzializzazione programmabile dell’impianto in modo da avere caldo solo dove e quando serve.

Lampadine a basso consumo, elettrodomestici in classe A, riscaldamento mirato sono tutti accorgimenti che prendo in considerazione per evitare di acquistare ed installare impianti energetici e termici inutilmente sovradimensionati. Sinceramente, propendo per la totale assenza dell’impianto di riscaldamento, ma non sempre i committenti sono così avanti… e se temono il freddo io non posso fare la suffragetta per convicerli che può essere un timore infondato.
Qualche volta mi sono ritrovato a recuperare vecchi mulini ad acqua, e mi sono divertito ad applicarvi, quando le norme me lo consentivano, dinamo ed inverter per produrre energia elettrica e, in un caso, disponendo del terreno, del corso d’acqua, dello spazio e del salto adeguati, addirittura una piccola turbina a caduta libera acquistata per quattro soldi da una piccola centrale dismessa dall’Enel in Toscana.
I miei nonni dicevano sempre: mangiare al caldo e dormire al freddo, e non dimentico mai questa semplice norma di saggezza. E di tenere a portata di mano qualche maglione.
A proposito di riscaldamento: applicare un motore Stirling alla caldaia costa relativamente poco e serve per produrre energia.
E poi penso che ogni abitazione debba avere almeno un metro quadrato di verde per ogni metro cubo di edificato, per poter disporre di giardini il più possibile ampi, salutari per il corpo e per la mente.
Dice: “E bravo, tu recuperi case di campagna, applausi! dove lo metto io il giardino nel mio bilocale nel condominio di quattordici piani?” La risposta è semplice: “Da nessuna parte, a meno che non vi mettiate d’accordo per trasformare il più a verde possibile gli spazi comuni, i tetti dei box, creando platee, rilievi, angoli, che ne so. E’ il concetto del condominio di quattordici piani ad esser sbagliato, e io non posso farci niente, Ciccio“.
Bene, verde… verde verde verde… ah, ecco: orto! Non ci vuole molto, e poi è utile per lo spirito, oltre che per la tavola e per contribuire ad eliminare dalle strade ingombranti camion che trasportano frutta e verdura.
Eh già, arriva lui adesso! io con tre pomodori e quattro patate contribuisco ad eliminare i camion dalle strade. Ma dove vivi?
Uffa, mai sentito parlare del proverbio che dice che le gocce riempiono il bicchiere? Ciascuno fa il suo, quello che può, senza aspettarsi che sia qualcun altro a farlo, e senza aspettarsi cha sia qualcun altro a cominciare.
A proposito di orto, e di giardino: perché non annaffiare con l’acqua piovana immagazzinata in apposite cisterne esterne? Meglio ancora se, prima di usarla, viene fatta confluire in cisterne non isolate sotto terra, e in estate fatta transitare attraverso dei tubi a contatto con i muri per rinfrescare la casa. I tubi poi escono e vanno a finire nella cisterna esterna che serve per annaffiare il giardino. Se ne trovano di economicissime nel mercato dell’usato, e si possono coprire con piante che contribuiscono a loro volta a mantenere un adeguato gradiente igrometrico. Si tratta solo di progettare adeguatamente.
Eh già, e con tutta quell’acqua in giro d’estate zanzare a gogò!
Che palle! dai un alloggio a qualche pipistrello e vedrai che di zanzare non ne vedi più.
Per finire, non sono particolarmente a favore del geotermico, non mi piace l’idea di perforare il terreno per cento metri e inserire tubi che scambiano calore che, a quella profondità, è di circa 16° Celsius. Non mi piace l’idea del buco, del vuoto nel sottosuolo, della roccia non perforata adeguatamente e della potenziale fuoriuscita di gas velenosi. Ma, lo riconosco, ho le mie fisse.
Oh, a proposito di riscaldamento voglio parlare per un attimo delle stufe a pellets. A parte che ormai c’è in giro tanto di quel veleno che la metà basta e non puoi mai sapere in anticipo cosa ti metti in casa al di là delle attestazioni verbali, ed anche scritte, dei produttori, ho letto di una macchinetta che mi ha fatto tanto ridere: realizza pellets dalla segatura secca o dalla spremitura dei nocciolini dell’ uva, che in aggiunta crea olio alimentare. Mi immagino l’intera famiglia che a tavola sputazza semi d’uva in un’apposita ciotola…
E poi ne ho letta un’altra. La riassumo: “Non dividete le famiglie con il divorzio, perché dove una famiglia inquinava per una casa, adesso inquina per due.” Ma, secondo voi, cosa si fuma la gente? Ah giusto, il pellet, forse…

Malleus

A Berceto vogliono che l’acqua sia limpida. In ogni senso.

Nel piazzale della stazione ferroviaria di Ghiare di Berceto campeggia dal 2012 un erogatore di acqua del sindaco, naturale e gassata, molto apprezzata dai cittadini e dai numerosi villeggianti e che si aggiunge a quello presente dal 2010 nella piazza del duomo.
L’acqua ha un nome, Fonte Romea, dal toponimo della strada che ripercorre il tracciato dell’antica via Francigena.
Luigi Lucchi, per diverse ragioni decisamente un sindaco con le palle pur se  nascoste nelle mutande – unico capo di abbigliamento da lui indossato unitamente alla fascia tricolore d’ordinanza facendosi in tale mise fotografare per protestare contro l’insostenibile aggravio fiscale deciso dal governo romano – ha dichiarato: “L’installazione serve anche per far riflettere sul consumismo, gli sprechi e le cattive abitudini che impoveriscono l’ambiente. C’è stata e ci sarà una notevole riduzione delle bottiglie di plastica e anche un apprezzamento dei prodotti a chilometro zero.KL Cesec CV 2014.02.13 Berceto Acqua pubblica 001In ragione dell’attività che svolgiamo relativamente alla tutela delle risorse idriche ben sappiamo come l’Acqua sia destinata a diventare motivo di conflitto nel mondo e bottino dei sostenitori della finanza creativa: sono previsioni formulate da tempo. Non a caso il motto di Kryptos Life&Water è: Compriamo l’acqua per salvare l’acqua.
Non siamo nell’area subsahariana, pertanto da noi i conflitti per l’acqua non si combattono a colpi di Kalashnikov, non ancora,  bensì di carta bollata.
Ma non per questo sono meno accese e drammatiche le battaglie legali fra le comunità locali che accampano l’assurda pretesa di gestire a modo loro la loro acqua, e organismi sovraordinati che difendono altri interessi.
Nel principale centro della Val di Taro, ricchissima d’acqua e per tale ragione estremamente appetibile, sta accadendo proprio questo: un progetto avviato già nel 2010, che con il referendum pro acqua pubblica del 2011, oltretutto corroborato da un secondo referendum locale (754 voti contro 169 su poco più di duemila abitanti tra i quali infanti e minori che non hanno ancora diritto al voto rappresenta un dato estremamente significativo) aveva chiesto di interrompere il rapporto con Montagna 2000, la multiutility locale, e passare ad una gestione autonoma delle risorse idriche. Sembrava prossimo alla realizzazione, ma a sbarrare la strada a Berceto è sceso in campo Atersir di Bologna, ente regionale che ha assunto le competenze degli Ato, l’agenzia che regola i servizi idrici e i rifiuti. Un conflitto istituzionale sul quale è stato chiamato ad esprimersi il Tar di Parma. Atersir ha fatto ricorso contro gli atti dell’amministrazione bercetese, contestando la sua decisione di chiudere i rapporti con Montagna 2000.
Fra Comune di Berceto e Montagna 2000 c’è una convenzione che scadrà solo nel 2025, come deciso dall’Atesir (ex Ato) per uniformare la durata di tutte le convenzioni analoghe nel parmense. Ma l’amministrazione comunale bercetese sostiene che quella convenzione, scaduta nel 2007, è stata prolungata da Ato senza chiedere il parere del Comune. Quindi il contratto è a pena di nullità.
Sembra che il sindaco Lucchi ed i suoi assessori vaneggino, in realtà pretendono che Montagna 2000 riconosca 1,6 milioni di euro a rimborso di mutui pagati per coprire i costi di investimento nella rete idrica usata dalla utility, che a sua volta contesta la richiesta, sulla base dei contenuti della convenzione che ha con Ato. Il Comune sostiene poi che Montagna 2000 non ha fatto gli investimenti promessi e che diversi suoi cittadini siano malamente serviti. Infine, che gestendo da soli la loro acqua, ai bercetesi costerà meno.
Tutte motivazioni certamente strumentali e capziose, si dirà: in effetti i bercetesi accampano l’assurda pretesa di ritorane a riprendersi la propria acqua egestirla in autonomia. Ma il ritorno ad una gestione in autonomia dell’acqua è possibile solo superando diverse dighe giuridiche. Ce la farà Berceto a risalire la corrente degli interessi del ciclo idrico?KL Cesec CV 2014.02.13 Berceto Acqua pubblica 002Interessante il testo, che qui riportiamo pressoché integralmente, di una lettera chiarificatrice a firma del sindaco, inviata ad una testata online che argomenta di questioni locali:
“Signor direttore,
mi permetta di chiarire la posizione del Comune di Berceto nei confronti di Montagna 2000 s.p.a che gestisce la distribuzione dell’acqua in tutto il territorio comunale.
Ho piacere, come premessa, di ripetere, ancora una volta e pubblicamente, la mia stima come persona, tecnico e dirigente all’arch. Gloria Resteghini che è presidente della società. Stima che me la accomuna con il direttore Mauro Bocciarelli.
Come montanaro ho modo di assicurare che ce ne vorrebbero di dirigenti come questi per aiutare a far rinascere la montagna. Nulla, quindi, di personale ma una battaglia, la mia e dei bercetesi, per sopravvivere e cercare di migliorare grazie alle nostre risorse e nostre forze. Il giorno 16 aprile, con grande e giusto risalto, la Presidente è intervenuta in difesa della società e ha anche sminuito, per doveri d’ufficio, i gravi fatti che mi hanno indotto ad emettere, come Sindaco, ordinanze per i cittadini di Castellonchio e Roccaprebalza che imponevano, in considerazione delle analisi dell’Ufficio d’Igiene, di bollire l’acqua prima dell’uso. Questo divieto è l’ultimo di una grande serie di disservizi che i cittadini del Comune di Berceto subiscono da anni per una gestione che è impossibilitata a migliorare e il cui destino è solo quello di peggiorare e continuare ad essere una palla al piede, come tutti i carrozzoni pubblici nati da miopi visioni politiche, per la montagna e per il Comune di Berceto in particolare.
E’ doveroso che io riaffermi, con profonda convinzione, che l’acqua non deve essere, in nessun modo e per alcun motivo, privatizzata. I cittadini hanno dei diritti inalienabili e tra questi l’uso dell’acqua e dell’aria. Montagna 2000 nata nei primi anni 90 come società pubblico/privata per gestire la distribuzione dell’acqua nei 15 comuni della Comunità Montana s’è rivelata, ben presto, come gli acquedotti del meridione, più adatta a dare da “mangiare” piuttosto che da bere. Sarebbe interessante conoscere e sommare i costi, lo spreco del nostro denaro, il ruolo di freno in ambito degli investimenti e programmazione che questa società ha avuto per le Terre Alte. In lire sono cifre mostruose e tali restano anche in euro.
Ora, per volontà dell’ex Presidente della Comunità Montana Carlo Berni, Montagna 2000 è una società interamente pubblica. Per combattere la casta, ora, i politici hanno ridotto drasticamente l’appannaggio del Presidente e degli Amministratori e Gloria Resteghini, primo Presidente del nuovo corso pubblico, può essere presa a male parole, almeno nelle riunioni pubbliche di Berceto, per pochi euro com’è, in effetti, il suo emolumento. In pratica è una masochista.
Avere ridotto gli appannaggi, però, è un imbellimento da sepolcri imbiancati proprio perché Montagna 2000, come posso dimostrare per il Comune di Berceto, è una società che costa tantissimo e pare fatta apposta per peggiorare i servizi. In definitiva i cittadini, anche per l’acqua, si trovano a dover pagare, in pochi anni, anche aumenti del 200% (duecento x 100) rispetto alla gestione comunale del passato, con servizi nettamente peggiori: Corchia è servita da autocisterne come il Castello di Lozzola e altre località; la depurazione del 70% del capoluogo, nonostante un depuratore, è affidata al vecchio sistema delle fosse Himoff che giustamente rigettano anche nei Paesi Africani e in quelli dell’Est; strade come quella principale di Via Marconi, come altre, attendono il rifacimento dell’acquedotto e della rete fognaria dal 2002; gli agglomerati urbani di Case Brusini e altri scaricano a cielo aperto in canali che poco sotto alimentano nuovi acquedotti che distribuiscono un’acqua imbevibile; la manutenzione dell’intera rete acquedottistica è affidata a due pensionati che per fortuna essendo stati operai del comune conoscono il loro mestiere ma debbono lesinare i metri di tubo da sostituire ancor più di quando facevano lavorando per il Comune e c’erano i famigerati decreti Stammati; l’ordinaria pulizia dei bacini e delle prese d’acqua rientra in lotterie che hanno meno probabilità d’essere prescelte rispetto al sei milionario del super enalotto. Ho evidenziato, vi assicuro, solo pochi casi e neppure quelli più clamorosi. E’ una situazione insostenibile e non resterò, come Sindaco, passivo.
Ho la fortuna di non essere ricattabile n’è politicamente, n’è personalmente e allora posso e debbo fare solo gli interessi dei miei amministrati e del mio Comune. A ben vedere questo diventa una forza enorme che i miei predecessori e i miei oppositori non possono mettere in campo e non hanno messo in campo altrimenti, nel 2001, avrebbero, nel contratto di servizio a Montagna 2000, delibera n. 2 del 12 gennaio 2001, fatto rispettare la Legge Galli. Il mancato rispetto della Legge danneggia notevolmente ogni bercetese e crea una situazione ridicola simile a quella che avrà provato l’ignaro turista dopo aver acquistato la Fontana di Trevi da Toto.
In effetti, regaliamo l’acqua, regaliamo gli investimenti fatti dal Comune che ancora gravano per circa 90.000 euro l’anno sul nostro bilancio come hanno gravato dal 2001 ad oggi (1.000.000 d’euro regalati dai bercetesi a Montagna 2000 e ai borgotaresi), paghiamo gli aumenti come se fossero state fatte migliorie agli impianti che non sono state fatte e aggiungiamo, inoltre, come quest’anno, 392.000 d’euro per pagare le bollette dell’acqua. 392.000 che diventeranno, tenuto conto dell’ulteriore aumento del 5% sul 2010 euro 411.000. Questi 411.000 euro, nello scalcinato e drammatico bilancio del Comune di Berceto, per quello che riguarda le entrate dei primi tre titoli rappresenterebbero il 10% E’ tantissimo.
Tutte queste cose che affermo e posso dimostrare, già nei primi giorni dopo la mia elezione a Sindaco dell’8 giugno 2009, essendo un uomo di compromesso, le ho illustrate a Gloria Resteghini e Mauro Bocciarelli in diversi e amichevoli incontri voluti per arrivare a qualche soluzione meno gravosa per il Comune e i bercetesi. Ho avuto un muro. Un niet come quelli per cui era famoso il ministro degli esteri Sovietico ai tempi di Breznev. Ora serve, com’è suo dovere, l’intervento del Presidente della Provincia, dell’Assessore Provinciale all’Ambiente, del Presidente dell’Ato (Ambito territoriale ottimale) per arrivare ad una soluzione che smetta di penalizzare in modo tanto gravoso ogni singolo utente di Berceto. Per mettere fine, insomma, ad un’ingiustizia che non possiamo più accettare. Ho cercato e cerco di far intervenire Luigi Bassi Presidente della Comunità Montana ma è del tutto sordo, muto e non vedente come le famose tre scimmiotte. A Bassi, però, come Sindaco di Varano, tenuto conto che lui è portato ad esaltare tanto Montagna 2000 e ad affidargli anche la raccolta e smaltimento dei rifiuti oltre i finanziamenti che dovevano andare ai singoli comuni proprio nel settore rifiuti, chiedo di comprare, come Comune, le quote di Montagna 2000 detenute da Berceto tenuto conto che lo considera un affare.
Un affare che come Berceto facciamo volentieri meno di fare. Possiamo anche regalargliele. Per concludere faccio pubblicamente, a voce alta, due conti: I cittadini di Berceto, nel 2010, pagheranno 411.000 euro per le bollette dell’acqua, a questo importo sottraggo 56.000 euro che immagino il costo di due operai comunali nel settore acquedottistico al 5° livello, detraggo, inoltre, anche il costo del mutuo oggi ingiustamente pagato dal Comune al posto di Montagna 2000, euro 90.044, resterebbero, per fare investimenti circa 264.955 euro l’anno. Cifra molto, ma molto efficace per il nostro drammatico bilancio comunale al quale si aggiungerebbero i benefici d’avere più cespiti, di presentare meno ricorso all’anticipazione di cassa della Tesoreria e l’aumento dell’occupazione in loco oltre ad un giro virtuoso e locale del denaro dei bercetesi. Volendo fare, per la grande passione, bene il Sindaco di Berceto mi prefiggo, in ogni modo, di raggiungere questi risultati oltre il risultato strategico di captare e accumulare molta buona acqua da vendere anche agli altri Comuni. Sono un fautore degli aiuti alle Terre Alte ma visto che non ci sono quantomeno non privateci delle nostre risorse. Non fateci mantenere carrozzoni inutili come la Comunità Montana, Montagna 2000, l’ASP, l’ACER, l’ATO. Continuate pure, insomma, a non darci nulla, a tenerci nel sottosviluppo, ma non rubateci più e come bercetesi saremmo ricchi. – Luigi Lucchi
Non aggiungiamo nemmeno un sospiro, una virgola, un’interpunzione a questa lettera, che ci sembra oltremodo significativa di un sentire, e che non riteniamo affatto frutto di localismi esasperati.

Malleus

L’Insubria c’è. E ci osserva dall’alto delle vette prealpine.

Nel territorio compreso fra Milano e i laghi prealpini esistono legami antichi che il tempo non ha mai cancellato: stessa lingua e stessa storia, nonostante le dominazioni e le frontiere politiche susseguitesi nei secoli.
Paradossalmente, e fortunatamente aggiugiamo, la globalizzazione e la crescente integrazione fra stati hanno comportato che le regioni riacquistassero importanza. E la regione dei laghi ha ritrovato questo nome, a lungo dimenticato e che suona strano: Insubria. KL Cesec CV 2014.02.03 Insubria 002Ma ci sono tante Insubrie. C’è quella storica, che si riferisce al territorio compreso fra il Po e i laghi prealpini abitato sin dall’antichità da una popolazione di origine celtica, successivamente conglobata nell’Impero Romano. C’è quella politica, nata negli anni Novanta e della quale, poiché nasconde spesso fuffa e giochi strumentali, non ci interessa proprio nulla. Del resto, se è vero che non crediamo più alla favola della democrazia rappresentata e delegata, figuriamoci se crediamo a icone e bandiere inventate di sana pianta per raccattare voti.
C’è infine l’Insubria delle persone, quella che ben conoscono i frontalieri: italiani che lavorano in Vallese e in Ticino e svizzeri che lavorano in Piemonte e Lombardia. Oppure artigiani e imprenditori, che grazie all’entrata in vigore dei trattati bilaterali possono affrontare con maggiore libertà attività economiche dalle due parti della frontiera. E infine i consumatori, interessati a spendere in modo oculato i loro soldi, o semplicemente intenzionati ad approfittare pienamente dell’offerta culturale e di svago offerta da una regione estremamente ricca, interessante e che non ce la fa proprio a nascondersi sotto il tappeto, a fingere di non possedere la propria profonda radice culturale.KL Cesec CV 2014.02.03 Insubria 001Ciò premesso andiamo a Lecco, città della quale abbiamo parlato la scorsa estate a proposito del Movimento per l’Acqua Pubblica e che nel 2013 è stata insignita del titolo di Città Alpina attribuitole da una giuria internazionale e consegnatole in una cerimonia pubblica, ed entrando così a far parte di un ristretto gruppo al quale appartengono città italiane, slovene, austriache, tedesche, svizzere e francesi.
Noi, quella sera, c’eravamo. Da furestèe, forestieri, infiltrati, ma non abbiamo dimenticato quanto ci siamo fatti coinvolgere da quel clima da stadio e nel contempo di profonda commozione e da prima della Scala.
E oggi vogliamo ricordare qui le parole del sindaco Virginio Brivio, pronunciate allorché ricevette il testimone dalle mani di Jean Luc Rigaut, sindaco di Annecy, Città alpina 2012: “E’ un onore e al contempo una particolare responsabilità e noi, insieme ai nostri concittadini, dobbiamo dimostrarci all’altezza“.
Non sta a noi giudicare se l’Amministrazione lecchese sia stata o meno all’altezza. Per chi volesse approfondire i risultati sono sul sito del Comune.
Sappiamo però che Lecco ha puntato a temi come la mobilità dolce, il risparmio energetico e, con particolare focalizzazione, la tutela della risorse idriche.
Relativamente alla mobilità dolce, oltre all’istituzione del bike-sharing, è stato allargato alla fascia pomeridiana il servizio del Piedibus, grazie al quale i 650 alunni che andavano a scuola evitando che i loro genitori emettessero tonnellate di CO2 sono diventati oltre mille. Non male.
Quanto al risparmio di energia, il comune ha speso un sacco di soldi investendo nell’incentivazione di costruzioni a elevata efficienza energetica e nell’introduzione dell’illuminazione pubblica a led. Anche qui non male.
Ma il vero punto che ha focalizzato la nostra attenzione non poteva che essere rappresentato da Sora Acqua: non solo educazione a consumi più consapevoli tramite la sensibilizzazione dei cittadini e l’installazione di erogatori di acqua alla spina, ma anche la lotta all’inquinamento, con l’ammodernamento e l’ampliamento del depuratore cittadino, la cui inadeguatezza era stata più volte sottolineata. E tutela dei corsi d’acqua, attraverso la rinaturalizzazione di tre torrenti che sfociano a lago, ed un convegno tenutosi lo scorso ottobre sui mutamenti climatici. Non da ultimo la riconsiderazione del contratto per la distribuzione cittadina dell’acqua potabile.
Certo, i lavori non sono conclusi, i soldi come sempre sono pochi – anzi sono sempre di meno – e si cerca di spenderli oculatamente.

Malleus

Metropolitana Milanese? Una meraviglia: fa acqua da tutte le parti.

Questo articolo nasce dalla nostra partecipazione al Forum per l’Acqua Pubblica, che ha avuto luogo a Milano sabato 18 gennaio, a dimostrazione che a volte pubblico non è affatto bello.KL-Cesec - MM Acqua 003
L’acqua di Milano, tra le più buone d’Italia, arriva in città da una falda alimentata dalle acque che scendono a valle dalle Prealpi. Oltre 2.295 km di tubi, 28 centrali e 400 pozzi portano nelle case un’acqua controllata ogni due settimane dai gestori del servizio idrico ed approvata mensilmente dalla Asl attraverso 190mila analisi per il controllo dei parametri chimici, chimico-fisici e microbiologici. Vogliamo mettere la differenza tra aprire il rubinetto e la fatica di dover portare fino a casa le bottiglie acquistate al supermercato, senza trascurare il costo e lo smaltimento una volta svuotate?
Paradossalmente però i milanesi hanno scoperto l’Acqua del Sindaco solo in concomitanza della crisi economica, che ha fatto lievitare i consumi con impennate anche del 40 per cento.
Ma com’è veramente l’acqua milanese e, soprattutto, chi sono gli uomini in blu che se ne occupano, spesso mentre i cittadini dormono?KL-Cesec - Acqua 006Dal 2003 il servizio idrico è gestito da Metropolitana Milanese, la stessa che si occupa delle quattro linee metropolitane cittadine a livello tecnico ed impiantistico, ma che non ha competenza sull’esercizio, affidato ad Atm.
MM pianifica, progetta e realizza nuove reti e impianti, curando la manutenzione di quelli esistenti nonché la captazione, la potabilizzazione e la distribuzione dell’acqua. Raccoglie infine le acque dagli scarichi fognari coordinandone la depurazione prima del rilascio all’ambiente.
Dal 6 dicembre 2012 è on line MilanoBlu, il sito dell’acqua di Milano dove i cittadini, digitando il proprio indirizzo, possono conoscere in tempo reale la qualità dell’acqua che arriva alle loro case.KL-Cesec - MM Acqua 001Perseguendo criteri di efficienza ed economicità, MM ha la finalità di gestire il servizio idrico integrato di Milano per soddisfare i fabbisogni idrici dei cittadini, in modo quantitativamente adeguato e qualitativamente ottimale, operando responsabilmente nel rispetto dell’ambiente, con una struttura organizzata in tre direzioni: Acquedotto e Acque Reflue si occupano della gestione del ciclo dell’acqua, mentre Strategia e Pianificazione garantisce la realizzazione del Piano investimenti e gestisce i rapporti con enti terzi.
Il Comune di Milano, proprietario di reti e impianti, è responsabile dell’operato di MM, che pubblica un Bilancio di Sostenibilità volto a rendere trasparente le dimensioni economica, sociale e ambientale al fine di condividere con il pubblico i principi che governano l’atteggiamento e le azioni della società nel ruolo di gestore e custode del patrimonio idrico della città e di erogatore di servizi fondamentali per la persona.
MM, e conseguentemente l’acqua milanese, ha acquisito nel 2011 la certificazione UNI EN ISO 14001:2004 Sistema di Gestione Ambientale e, nel luglio 2013, la Certificazione Energetica Uni EN ISO 50001:2011 Certificazione di Sostenibilità di Prodotto Make it Sustainable Plus relativamente alla gestione del servizio idrico integrato.
La rete di distribuzione idrica ha una lunghezza complessiva di circa 2.295 km e l’acquedotto assicura l’approvvigionamento idrico della città, attingendo dalla falda sotterranea mediante un sistema a doppio sollevamento costituito da 28 stazioni di pompaggio e da 400 pozzi mediamente attivi che alimentano la rete di adduzione e distribuzione, per un totale di 230 milioni di metri cubi di acqua potabile distribuita annualmente.
Le centrali dell’Acquedotto sono tutte telecomandate mediante un complesso sistema di telemetria composto da quattro centri, ciascuno dei quali comanda mediamente 7-8 centrali. E’ possibile controllare e comandare l’avviamento dei pozzi e dei gruppi di spinta, oltre a regolare la portata distribuita in funzione della richiesta dei clienti.KL-Cesec - MM Acqua 002Milano è sempre stata una città d’acqua, anche sotterranea, se il Bonvesin della Riva riporta la notizia che già nel 1200 esistessero 6.000 pozzi di “acqua viva” nel territorio di Milano grazie all’abbondanza e alla superficialità della falda, a soli 2 o 3 metri dal piano campagna, la cui scarsa profondità li esponeva però a contaminazioni umane e animali.
Fu però solo durante l’epopea dei massicci insediamenti industriali che la città ebbe necessità di coordinare e regolamentare la gestione idrica, oltre che di individuare fonti di approvvigionamento. Nel 1877 venne indetto un concorso pubblico per la realizzazione di un acquedotto e, nel 1881 fu prescelto il progetto della Società Italiana Condotte d’acqua che prevedeva di trasportare a Milano le acque sorgive del fiume Brembo.
Ma i bergamaschi si opposero ed il progetto venne abbandonato a favore di quello proposto dall’Ufficio Tecnico comunale, che proponeva di proseguire nell’attingimento dalla falda sotterranea con pozzi di idonea profondità.
I primi due pozzi sperimentali vennero realizzati nel 1888 presso l’Arena a servizio del quartiere residenziale che stava sorgendo fra piazza Castello, Foro Bonaparte e via Dante. Per regolarizzare la pressione di erogazione furono costruiti due grandi serbatoi di accumulo, nascosti all’interno dei torrioni del Castello Sforzesco.
La municipalità decise che la falda sotterranea doveva restare l’unica fonte di rifornimento idropotabile, scartando altre ipotesi di approvvigionamento da fontanili extraurbani, allora molto numerosi e alcuni anche con portate elevate, o da sorgenti montane. Fu in quel periodo che, grazie all’abbondante disponibilità idrica, vennero realizzati i primi bagni e servizi pubblici: consentivano l’accesso a prezzi popolari a stabilimenti balneari non proprio eleganti, ma funzionalmente non diversi da quelli che la popolazione milanese più agiata già da molti anni utilizzava, per esempio il prestigioso Kursaal Diana a Porta Venezia.
Venne presto costruito il secondo impianto di pompaggio, presso l’attuale piazza Firenze, al quale nel 1903 si aggiunsero la centrale Parini, presso l’attuale piazza della Repubblica, e la Armi: edificata nel 1904 è la più antica tra quelle ancora esistenti.
Alla fine degli anni ’20, quando gli impianti erano 17 con una capacità di pompaggio complessiva di circa 6.000 l/s, cominciò un modesto abbassamento della falda che costrinse a modificare il sistema di estrazione. Attraverso elettropompe ad asse, l’acqua veniva immensa in apposite vasche, da dove veniva successivamente pompata in rete.
Nel 1948 entra in funzione la centrale di San Siro su progetto di Gio Ponti e, negli anni Sessanta, iniziò ad evidenziarsi il problema relativo alla qualità dell’acqua, pesantemente contaminata da scarichi industriali non depurati. Col passare degli anni a causa del progressivo indiscriminato sfruttamento pubblico e privato, la falda cominciò a dar segni di “affaticamento“, fenomeno che si sarebbe invertito a partire dal 1975, conseguentemente alla chiusura degli stessi grandi stabilimenti che erano stati la causa principale del deterioramento dell’acqua di falda. In questo periodo nascono problemi legati all’innalzamento della falda, che ha portato fra l’altro a fenomeni di allagamento di sotterranei, parcheggi, metrò.
Citiamo di passaggio il caso Olona, che da decenni costituisce un grave problema in occasione di allagamenti dovuti a piene o piogge abbondanti.
Nel 1988, nel centennale della nascita della rete idropotabile, esistevano 34 centrali per una potenzialità di spinta di circa 30.000 l/s e l’acquedotto inizia ad introdurre tecnologie di potabilizzazione per garantire la qualità dell’acqua e assolvere agli adempimenti sempre più restrittivi della normativa europea in tema di limiti alla concentrazione di sostanze inquinanti nell’acqua. Il primo impianto di filtrazione, a carbone attivo, viene costruito nella centrale Vialba ed entra in funzione nel febbraio del 1992, e nel 1994 entrano in funzione le torri di aerazione nelle centrali Novara, Comasina, Suzzani, Chiusabella e Cimabue. Risale invece al settembre 2007 l’introduzione dell’impianto a osmosi inversa presso la centrale Gorla.
MM è responsabile della qualità dell’acqua distribuita e agisce nel rispetto delle disposizioni previste dal D.Lgs 31/01 del 2003. Attraverso il suo laboratorio di analisi, Metropolitana Milanese analizza ogni anno circa 190.000 parametri. I risultati vengono messi a disposizione dei clienti ogni trimestre attraverso la bolletta e il sito web. Il controllo continuo della qualità dell’acqua, principalmente in uscita dalle centrali e l’attuazione delle procedure interne consentono di attuare tempestivamente gli interventi necessari a garantire con ampio margine il rispetto dei valori di parametro prescritti.
Attraverso il sito milanoblu.com i cittadini possono prenotare una visita gratuita alle centrali di potabilizzazione o ai manufatti fognari:  vi assicuro che è un’esperienza emozionante che non ha nulla da invidiare all’analoga parigina!
KL-Cesec - MM Acqua 004Per finire, in organico ai servizi idrici milanesi vi sono ben 481 draghi: sono verdi e invece che fuoco e fiamme buttano acqua. Si, sono le fontanelle pubbliche, chiamate draghi verdi o vedovelle per il fatto che piangono costantemente dai cittadini ambrosiani, decisamente pudibondi rispetto ai piacentini che le appellano in ben altro modo…
Sono realizzate in ghisa nel tipico colore verde ramarro e vennero disegnate nel 1931 in concomitanza all’inaugurazione della Stazione Centrale. La prima venne posta in piazza della Scala e, tuttora esistente, differisce dalle altre per il fatto di essere in bronzo.
Non disponendo di rubinetto molti pensano che i draghi verdi generino spreco, ma non è così anzitutto poiché la quantità d’acqua erogata è irrisoria in confronto alla portata d’acqua distribuita dall’acquedotto: a fronte di un flusso totale istantaneo medio erogato di circa 7500 litri/secondo, la portata dell’insieme delle fontanelle è pari a circa soli 10 litri al secondo, inoltre il flusso d’acqua continuo dei draghi svolge l’importante funzione di mantenere l’acqua sempre in movimento, preservandone la freschezza e la buona qualità in corrispondenza delle tubazioni terminali cieche, le cosiddette “teste morte”.
Ricordo infine che la portata in uscita dalle fontanelle non viene inutilmente dispersa ma, attraverso la fognatura, raggiunge i depuratori e viene impiegata dai consorzi agricoli per l’irrigazione dei campi a sud della città.

Malleus

Milano: Per il diritto all’acqua, convegno promosso dal Forum Italiano Movimenti per l’Acqua

KL-Cesec VedovellaMilano: domani 18 gennaio dalle ore 14:30 alle 18:30 presso la sala convegni della sede provinciale ACLI in via Della Signora 3 avrà luogo il convegno Per il diritto all’acqua, promosso dal Forum Italiano Movimenti per l’Acqua e dedicato alla costituzionalizzazione del diritto all’acqua mediante la piena attuazione dei referendum del 2011. Durante i lavori, che prevedono di concludersi con un dibattito pubblico, si parlerà anche di un nuovo e legittimo sistema tariffario oltre che delle forme di finanziamento del servizio idrico.
Secondo gli organizzatori: “oggi, con l’approfondimento della crisi economica e sociale, il tema del diritto all’accesso all’acqua torna ad essere di stringente attualità anche in Italia. L’applicazione dei referendum, oltre ad essere elemento sostanziale del rispetto della volontà popolare, è un primo passo fondamentale nella direzione della piena realizzazione di tale diritto.
Per questo risulta decisivo avviare la discussione parlamentare e approvare la legge d’iniziativa popolare “Principi per la tutela, il governo e la gestione pubblica delle acque e disposizioni per la ripubblicizzazione del servizio idrico” e constestualmente ridefinire un sistema di finanziamento del servizio idrico integrato che utilizzi, oltre alla leva tariffaria, anche la fiscalità generale e la finanza pubblica“.
Il convegno si propone pertanto da una parte l’obiettivo di denunciare come il diritto all’accesso all’acqua sia, anche in Italia, messo in discussione a partire da un sistema tariffario illegittimo e da un sistema di finanziamento del servizio idrico non equo e insostenibile e, dall’altra, di avviare un ragionamento sulla costituzionalizzazione di tale diritto.
Previo saluto di un rappresentante del Comune di Milano e del Comitato Milanese Acqua Pubblica, al convegno interverranno:
Emilio Molinari, presidente del Comitato Italiano del Contratto Mondiale dell’Acqua, sul tema:
Il diritto all’acqua come battaglia globale
Corrado Oddi, del Coordinamento nazionale Forum Italiano dei Movimenti per l’Acqua, sul tema:
Contro il sistema tariffario dell’AEEG, per il riconsocimento dell’esito referendario
Marco Bersani, giornalista e scrittore autore fra gli altri di Acqua in movimento, ripubblicizzare un bene comune e CatasTroika, le privatizzazioni che hanno ucciso la società, sul tema:
Il ruolo della finanza pubblica nel diritto all’acquaCome raggiungere il convegno

Mosè salvato dalle acque. E le acque, chi le salva?

 Presso il museo del Louvre è conservata una diorite dell’altezza di circa mezzo metro detta la Stele della vittoria di Sargon, in accadico Sharru-kin, che significa re legittimo.
Fondatore della dinastia di Akkad e grande conquistatore  vissuto tra il XXIV e il XXIII secolo a.C. a lui vennero dedicate queste parole: Sono Sargon, non conobbi mio padre, mia madre era una sacerdotessa, mi concepì e mi dette alla luce in segreto. Mi mise in una cesta di giunchi e sigillò il coperchio con del bitume. Mi depose sul fiume che non mi sommerse ma mi sospinse fino all’irrigatore Aqqi, che mi accolse come un figlio, mi allevò e fece di me un frutticoltore.
La vicenda di Sargon è praticamente identica a quella di altre due figure di salvati dalle acque tra il mito e la storia, nella cultura occidentale e cristiana molto note: Mosè e Romolo.
Sargon era figlio di una sacerdotessa, come Romolo lo era della vestale Rea Silvia: entrambe avevano fatto voto di castità e per questa ragione partorirono segretamente.
Sargon e Romolo ufficialmente non conobbero il padre ed entrambi, ed in questo la leggenda li accomuna a Mosè, vennero abbandonati in un fiume dentro una cesta impermeabilizzata con bitume.
Diversa la vicenda di Mosè, il cui nome deriverebbe dalla radice משה che starebbe a significare colui che è stato estratto dall’acqua: salvato nientemeno che dalla figlia del faraone divenne pastore dopo aver commesso un omicidio che lo costrinse alla fuga.
In queste tre vicende l’acqua, se non come elemento di potenziale morte, viene comunque vista come veicolo di allontanamento, occultamento, separazione e, indirettamente, trasformazione e rinascita ad una nuova vita.Cesec - Francis Danby DiluvioL’acqua come minaccia, addirittura come castigo divino che è anche purificazione, la troviamo nel diluvio universale e ancora, sempre come elemento minaccioso, da dominare e trasformare, nelle vicende di Gesù che cammina sull’acqua o che la muta in vino. E, naturalmente, non poteva mancare nell’Apocalisse, nonché nelle attuali vicende legate alle correnti migratorie destinate, che lo si voglia o meno, ad introdurre un profondo cambiamento nei costumi della nostra società.Cesec - Salvataggio nel MediterraneoMa l’acqua è vista anche come elemento purificatore per eccellenza: nel battesimo cristiano e nelle abluzioni ebraiche, islamiche, induiste.
L’acqua vista infine come elemento da sfidare: da Ulisse a navigatori come Vespucci, Magellano, Colombo, Cook per citarne solo alcuni.
Il fuoco lo fermi l’acqua no, recita un antico proverbio a significarne l’inarrestabile potenza …
Anche le nostre terre, nel loro piccolo, sono collegate a miti legati all’acqua. Valga per tutte la leggenda di san Gerardo dei Tintori, il co-patrono di Monza, fondatore nel 1174 di uno dei più antichi ospedali italiani investendovi tutta la fortuna ereditata dal padre e del quale si racconta che abbia arrestato una piena del fiume Lambro, salvando così l’ospedale dall’inondazione.Cesec - Sauvé des EauxAbbiamo sin qui accennato, senza nessuna pretesa di completezza, a note vicende per dire che, se miti e leggende parlano di salvezza dalle acque, oggi è giunto il momento di salvare l’acqua.
Acqua: un bene prezioso tutt’altro che inesauribile, sempre meno puro ed al tempo stesso sempre più prezioso per l’esistenza umana. L’acqua sempre più oggetto di mire speculative, dalle quali – ed è questo il punto – dev’essere salvata.
Stiamo assistendo ad una virata nelle politiche dell’alimentazione mondiale tendente al monopolio: dei semi, delle coltivazioni ed oggi anche dell’acqua. Detto in altre parole: qualcuno ha deciso di decidere chi avrà il diritto di nutrirsi e dissetarsi, e chi no. E l’asservimento alimentare è peggio delle peggiori carestie: porta alla schiavitù.
Per questa ragione noi, nella modestia delle nostre potenzialità o, se preferite, in una logica di nicchia che altro non è se non consapevolezza di, giustappunto come si suol dire, in quante spanne d’acqua possiamo muoverci,  siamo attivi nell’individuazione di fonti e bacini per fare in modo, attraverso opportuni strumenti finanziari e societari, che l’acqua sia di proprietà dei diretti utilizzatori, vale a dire di coloro che, in un’area territorialmente delimitata, in un comprensiorio, in un contesto locale hanno interesse diretto a fruire della loro acqua.
Se il nostro sogno, progetto, chiamatelo come volete, in ogni caso non utopia, si espanderà a macchia d’olio o a macchia di leopardo non lo sappiamo. In fondo nemmeno ci interessa: quello che ci preme è agire, presto, bene e concretamente nell’interesse di tutti.
Compriamo l’acqua per salvare l’acqua, è uno dei nostri slogan. Con la collaborazione di tutti coloro che sentono l’esigenza di salvaguardare il proprio futuro attraverso un profondo lavoro, è il caso di dirlo, sul qui-e-ora.

Quando l’acqua non muore: la scelta di Rochefort

Nelle piccole Comunità le idee nascono per essere applicate. E noi pensiamo che il futuro risieda nelle piccole Comunità autonome ed autosufficienti, pur se fra loro interconnesse.
L’acqua, ormai definita oroblu, costituirà sempre più un bene primario e dovrà essere messa al riparo dalle mani adunche della speculazione internazionale, in special modo se camuffata con il vestitino etico. Non con bombe, barricate o manifestazioni di piazza destinate ad essere strumentalizzate, bensì con l’unica arma veramente rivoluzionaria: il notaio.
Si, proprio quel professionista che serve a stilare gli atti necessari a costituire associazioni, consorzi, società. Per entrare legalmente nel sistema attuando interventi di finanza etica attraverso società, niente affatto marginali, di proprietà dei diretti utilizzatori dell’acqua. Vale a dire i cittadini di comuni, comprensori, aree territoriali più o meno estese.Cesec-CondiVivere 2013.10.20 Rochefort 002E che l’acqua non rappresenti solo un costo ma un utile potenziale persino nei suoi utilizzi apparentemente marginali, lo dimostra un’iniziativa partita sperimentalmente due anni fa nella città francese di Rochefort e che oggi conferma la validità della scelta di trasformare il costo di un depuratore delle acque reflue in risorsa per la collettività.
Ricordate quando i nostri nonni ci insegnavano che buttare è sbagliato? Bene, nella città francese affacciata sull’Atlantico hanno pensato bene di non buttare nemmeno… la cacca, Evitando di fingere che la recessione non esista ed aguzzando l’ingegno poiché i soldi erano pochi, quell’amministrazione comunale ha pensato a come mutare le difficoltà in opportunità trasformando i costi di un depuratore in introiti per la collettività. Va detto che il costo di depurazione delle acque reflue, generalmente piuttosto alto, è quantificabile in circa 60 euro annui pro-capite.Cesec-CondiVivere 2013.10.20 Rochefort 003A Rochefort, presso il fiume Charente, hanno quindi realizzato un impianto che depura le acque con la tecnica detta del lagunaggio: prima di raggiungere il fiume i liquami passano attraverso un sistema di bacini dove vengono ripuliti utilizzando luce solare e degradazione batterica; infine vengono fatti fermentare per produrre gas. Da ultimo acque e fanghi vengono separati.
Questo sistema ha ridotto dell’85% i consumi energetici rispetto ai depuratori tradizionali; i silos per la fermentazione dei fanghi posti a valle del sistema producono gas per autotrazione, venduto tramite distributori allestiti presso l’impianto medesimo generando in tal modo introiti per la collettività.Cesec-CondiVivere 2013.10.20 Rochefort 001Esaurita la notizia veniamo ora alla nostra realtà e, per un attimo, immaginiamo che esista una legge che consente l’utilizzo di detersivi, saponi e shampoo solo se biodegradabili al 100%. In questo modo anche i residui solidi potrebbero essere utilizzati senza nessun problema.
Non è impossibile, perché già oggi sono disponibili prodotti per l’igiene biodegradabili completamente e il loro costo, leggermente più elevato in ragione della relativamente modesta diffusione, diminuirebbe sensibilmente in ragione di un utilizzo massiccio, e verrebbe inoltre compensato ampiamente dai vantaggi economici derivanti dal binomio risparmio energetico + introito di un sistema come quello in uso nella cittadina francese.
Aggiungiamo che a Rochefort l’acqua è un bene comune e tale è rimasto, in barba ai furbetti, alle società multiutility colluse con le multinazionali speculative ed ai trasformisti capaci di dire contemporaneamente no ma anche sì.
E’ la dimostrazione che ha senso privatizzare il servizio idrico, facendo però in modo che tale privatizzazione sia pubblica, vale a dire che i soci della società proprietaria dell’acqua a livello di distribuzione locale siano i diretti fruitori. Non è affatto una contraddizione se tale atto, compiuto secondo le regole e le possibilità offerte dalla legge, costituisce una forma di autodetrrminazione ben più rivoluzionaria ed efficace di rivolte o blocchi stradali: rompe il sistema usando le regole stesse del sistema.
Acquistare l’acqua per salvare l’acqua non diventa più solo uno slogan, ma la dimostrazione che è possibile. I nostri Comuni devono solo modificare il proprio statuto inserendo una volta per tutte l’acqua come bene primario della comunità, appoggiando e sostenendo le iniziative tese a preservarla da speculazioni. Contribuendo così a cancellare quel capitolo dolente che, nel nostro Paese, viene mal-inteso come sviluppo, parola usata ed abusata spesso in abbinamento a pil.

ACS

Non siamo Cassandre, siamo per la Finanza CreAttiva

Un uomo entra in banca e chiede in prestito 200 dollari per sei mesi. Il funzionario gli chiede quali garanzie può dare. L’uomo risponde: “Ho una Rolls Royce, ecco le chiavi. Tenetela finché non restituirò il prestito.”
Sei mesi dopo l’uomo torna in banca, rifonde i 200 dollari avuti in prestito più 10 dollari d’interesse e si riprende la sua Rolls. Il funzionario, incuriosito, gli domanda: “Signore, posso chiederle come mai una persona che possiede una Rolls Royce ha bisogno di chiedere in prestito 200 dollari?”
L’uomo risponde: “Dovevo andare sei mesi in Europa. Secondo lei, dove la parcheggiavo una Rolls per 10 dollari?” – da: Platone e l’ornitorinco di Thomas Cathcart e Daniel Klein, Rizzoli 2007
Finanza CreAttiva per sopravvivere al futuro
Abbiamo preso le mosse da questa storiella surreale
per parlare di povertà, flussi migratori, fame, sete e possibili iniziative finalizzate a salvarci dal futuro che ci aspetta. Il 10 ottobre presso il Teatro Dal Verme di Milano, in occasione della rassegna Meet The Media Guru, il sociologo e filosofo novantunenne Zygmunt Bauman ha affermato: “Lampedusa? Niente fermerà i migranti, persone superflue che cercano di rifarsi una vita. Qualsiasi cosa tenti di fare l’Europa, gli arrivi dall’Africa non finiranno, niente riuscirà a fermare chi è in cerca di pane e acqua potabile: né governi né tragedie del mare perché le migrazioni sono inseparabili dalla modernità. Infatti una caratteristica della modernità è la produzione di persone superflue: individui tagliati fuori dal processo produttivo che perdono la propria fonte di sussistenza. Il progresso economico consiste nel produrre la stessa quantità di cose che producevamo ieri con una minore quantità di lavoro ed a un costo più basso. Chi rimane tagliato fuori diventa una persona superflua. E non gli resta che andarsene, cercando un altrove dove ricostruirsi una vita.
Il sociologo ha aggiunto: “la popolazione dell’Unione Europea diminuirà da 400 milioni di persone a 240 nei prossimi cinquant’anni: un numero troppo basso per mantenere i nostri standard di vita, il nostro benessere. In base ad alcuni calcoli nei prossimi 20 o 30 anni sarà necessario accogliere in Europa circa 30 milioni di migranti.
Un fenomeno, sempre secondo Bauman, che gli stati nazionali, inadeguati di fronte alle sfide della contemporaneità, hanno pochi strumenti per arginare o regolare. Oltretutto i popoli non credono più che partiti e parlamenti nazionali siano ancora in grado di assolvere le funzioni per cui sono nati, non solo perché in alcuni casi i politici sono corrotti o incapaci, ma perché per queste istituzioni sarebbe strutturalmente impossibile realizzare quello che promettono agli elettori.
Per spiegarsi meglio Bauman cita Antonio Gramsci: “Viviamo in un interregno, un’epoca in cui il vecchio muore e il nuovo non può nascere: le regole e le leggi del passato sono scomparse, ma le nuove leggi non sono ancora state inventate. La sovranità degli stati nazionali è ormai in buona misura una finzione. Il potere è la capacità di fare, la politica è decidere che cosa fare. La globalizzazione ha fatto evaporare il potere degli stati nazionali verso poteri sovranazionali liberi dal controllo della politica. Se un governo provasse a realizzare ciò che davvero vogliono i suoi elettori, invece di ciò che esige la finanza, i mercati lo punirebbero con durezza“.
Sempre secondo Bauman “le economie europee hanno bisogno d’immigrati, perché senza di loro non potrebbero vivere. Se nel Regno Unito gli irregolari venissero identificati e deportati, la maggior parte degli ospedali e degli alberghi collasserebbe; credo si possa dire lo stesso per l’economia italiana.
Non è nostro intento confutare qui tali affermazioni, né lanciarci ad analizzare danni e benefici che l’immigrazione, controllata o meno, produce al tessuto sociale, all’economia, alle radici culturali.
Ci interessa semplicemente considerare un aspetto globale: le risorse alimentari e idriche non bastano per tutti, già oggi quasi un miliardo di persone muore, letteralmente, di fame mentre gli sprechi potrebbero saziare tre miliardi di persone. E almeno due miliardi di esseri umani soffrono la sete o hanno difficoltà a disporre delle risorse idriche.
Relativamente al cibo …

… pensiamo solo a frutti e ortaggi che, non rispettando le misure standard, vengono buttati via poiché agricoltura meccanizzata e vendita di massa richiedono uniformità.
Secondo Slow Food solo in Italia, dalla filiera e non dalla mancata vendita, vengono sprecate 4.400 tonnellate giornaliere di cibo, con le quali si potrebbero sfamare tre milioni di persone.
cesec,condivivere,vandanashiva,cohousing,ogm,biodiversità,ecosostenibilità,orobluVandana Shiva, vicepresidente di Slow Food e presidente del movimento ambientalista Navdanya ha recentemente dichiarato: “Il 50 per cento del cibo prodotto negli Stati Uniti viene gettato o non utilizzato” aggiungendo “Invece di un grande business legato alle monoculture, abbiamo bisogno di fattorie che preservino la biodiversità. Monoculture come la soia non risolvono i problemi legati al cibo, ma li creano. Si tratta di un circolo vizioso” ha concluso “perché il circuito della produzione industriale ha bisogno dello spreco per creare surplus“.
Le multinazionali delle sementi, oltre a guardarsi bene dal favorire la biodiversità e la tutela di un’agricoltura locale non invasiva, rispettosa delle specie e del territorio, sono quelle che già oggi ed ancor più nel prossimo futuro avranno letteralmente in mano le chiavi della dispensa: il massiccio ricorso agli OGM, organismi geneticamente modificati, che rendono definitivamente sterili molte specie ed improduttivo il suolo, crea un’ineluttabile dipendenza negli approvigionamenti consentendo a queste aziende di decidere chi mangerà e chi no. Ci sembra doveroso rammentare quanto allarme abbia suscitato la proposta di una legge europea, denominata Plant reproductive material law, il cui scopo è quello di creare un mercato regolamentato degli ortaggi e delle verdure a livello comunitario, ufficialmente per garantire la qualità dei prodotti e la salute dei consumatori. Partendo dalla premessa che ogni vegetale, frutto, albero debba essere testato e registrato prima di essere riprodotto e distribuito a fini commerciali si stava delineando uno scenario orwelliano che faceva addirittura paventare la proibizione di coltivare un orto per uso personale. Non potendo provare che il fine della norma fosse quello di svendere ogni zolla coltivabile alle multinazionali dell’agricoltura ci asteniamo dal commentare, non senza però registrare lo stato di notevole allarme suscitato nei mesi scorsi.
Fortunatamente, non sappiamo se e quanto in seguito all’imponente movimento di opinione creatosi, il testo della legge specifica chiaramente che il provvedimento non è applicabile a chi produce ortaggi o verdure per uso personale, nonché ad organizzazioni di volontariato, piccoli produttori con meno di 10 addetti, banche del seme ed istituti scientifici, organizzazioni rivolte alla conservazione delle risorse genetiche nonché al materiale riproduttivo scambiato tra persone che non siano operatori professionali. Si starebbe anche  lavorando a deroghe per  produttori di sementi destinati a coltivazioni biologiche, prodotti con valenza specifica locale e produzioni di nicchia. Una rondine non fa primavera, si dice, ma in questo caso il proverbio ci sembra debba essere letto al contrario. Chi vivrà – nel senso che non sarà morto di fame nel frattempo – vedrà…
In ogni caso giova ricordare che le varietà da conservazione sono entrate nel panorama legislativo sementiero già nel 1998 con la direttiva 98/95/CE. Successivamente sono state emanate altre tre direttive: la 2008/62/CE relativa a piante agricole e patate, la 2009/145/CE  sulle specie ortive e la 2010/60/CE dedicata alle miscele di sementi di piante foraggere destinate a essere utilizzate per la preservazione dell’ambiente naturale.
Due di queste direttive sono state recepite in Italia con i decreti legislativi 149 del 29 ottobre 2009 (piante agricole e patate) 267 del 30 dicembre 2010 (specie ortive). Entrambi i decreti sono tuttora vigenti.

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E veniamo alle risorse idriche …
… Il 17 giugno scorso rilanciammo un trafiletto pubblicato sabato 15 giugno su IO Donna, supplemento settimanale de il Corriere della Sera, che sintetizzava significativamente attraverso i numeri una considerazione di fondo: l’acqua, bene primario che dovrebbe essere considerata pubblica e agevolmente disponibile, lo è invece sempre più in funzione delle capacità economiche e tecnologiche. Di seguito il testo:

La terra trema – NUOVA MAPPA: UN TERZO DEL MONDO E’ ASSETATO
Migliora la situazione in Cina e in India. Ma si degrada nell’Africa subsahariana e in Ucraina. Il rapporto 2013 dell’Oms aggiorna la mappa dello “stress idrico”. Ed eleva la cifra ufficiale di chi nel mondo non ha accesso all’acqua potabile a 2,4 miliardi. Aumenta il numero di impianti che veicolano acqua buona nelle case, ma anche la popolazione cresce. E paradossalmente, ci sono meno rubinetti oggi che nel XX Secolo. Tra le aree critiche: il Nilo (l’Egitto la fa da padrone, rispetto a Sudan, Eritrea, Etiopia e Kenya), il Mekong (il Vietnam preleva per abitante più di Thailandia, Birmania, Laos) e Israele, gestore unico delle risorse idriche anche nei territori occupati. (P.P.)

Esiste una terra di nessuno …
cesec,condivivere,oroblu,sete,ecosostenibilità,cohousing,finanza… chiamata finanza creativa della quale i mezzi di informazione parlano poco, e solo superficialmente o in toni scandalistici quando accade qualche disastro: terra dei derivati e dell’utilizzo spregiudicato e pericolosissimo che se ne fa nei chiaroscuri dell’alta finanza. Un modo per fare soldi a palate scommettendo sulle nostre paure più ancestrali. Nulla è più catastrofico che scommettere sulle riserve mondiali di cibo ed acqua. Infatti l’Acqua è da tempo nel mirino della speculazione: banche d’affari, fondi di investimento, multinazionali ed altri attori economici mondiali, compresi FMI e Banca Mondiale, sono già pronti a mettere la mani su questa fonte primaria per la vita umana.
Friedrick Kaufman, professore presso la City University di New York, in un articolo apparso sulla testata britannica Nature e ripreso il 21 dicembre 2012 da Internazionale sostiene che la prossima grande risorsa mondiale non sarà costituita da oro, grano o petrolio bensì da acqua. L’acqua potabile, poiché entro un ventennio almeno tre miliardi di persone avranno problemi a reperire quella necessaria per vivere.
Questo scenario, scandito dall’ossessione per la penuria idrica mentre estati interminabili e caldissime si ripetono con cadenza allarmante rappresenta il massimo che uno speculatore possa desiderare. Gli investitori adorano le situazioni apocalittiche: violenza e caos nascondono sempre possibilità di guadagno e creare denaro speculando sulla mancanza d’acqua in un’area geografica o in un settore, non è una previsione fantascientifica bensì una realtà molto vicina.
E per la finanza creativa, che produce molto di più del Pil mondiale ed è passata dai 500 miliardi di dollari del 1980 agli oltre 60 trilioni di dollari di oggi – cifra che molti hanno sentito pronunciare solo da Zio Paperone – la paura è sempre un ottimo affare. Oggi i grandi profitti, generati da strumenti finanziari totalmente separati dalla realtà, non nascono più dalla compravendita di case, grano, materie prime, auto ma dalla manipolazione di concetti eterei come rischio e collateralizzazione del debito. Ed a quanto pare investire in un indice del mercato dell’acqua sta diventando un’idea sempre più appetibile.

Torniamo per un istante a Zygmund Bauman …
… poiché riteniamo interessante riportare quanto da egli scritto in Modus Vivendi (Laterza, 2008) a proposito delle nostre prospettive di vita:
Il terreno su cui poggiano le nostre prospettive di vita è notoriamente instabile, come sono instabili i nostri posti di lavoro e le società che li offrono, i nostri partner e le nostre reti di amicizie, la posizione di cui godiamo nella società in generale e l’autostima e la fiducia in noi stessi che ne conseguono. Il progresso, un tempo la manifestazione più estrema dell’ottimismo radicale e promessa di felicità universalmente condivisa e duratura, si è spostato all’altra estremità dell’asse delle aspettative, connotata da distopia e fatalismo: adesso progresso sta ad indicare la minaccia di un cambiamento inesorabile e ineludibile che invece di promettere pace e sollievo non preannuncia altro che crisi e affanni continui, senza un attimo di tregua. Il progresso è diventato una sorta di gioco delle sedie senza fine e senza sosta, in cui un momento di distrazione si traduce in sconfitta irreversibile ed esclusione irrevocabile. Invece di grandi aspettative di sogni d’oro, il progresso evoca un’insonnia piena di incubi di essere lasciati indietro, di perdere il treno, o di cadere dal finestrino di un veicolo che accelera in fretta.
Per parte nostra aggiungiamo che se si producono risorse impiegando un sempre minore numero di addetti che, di fatto estromessi dal processo produttivo e dalle attività collaterali, non dispongono più delle risorse per acquistare non solo i beni voluttuari, ma anche quelli necessari alla sopravvivenza, si crea una popolazione di affamati.
Ma se la gente non ha soldi per mangiare chi compra i beni prodotti? La risposta c’è: come da più parti si afferma è in atto un mercato della sostituzione: i vecchi acquirenti nordamericani ed europei lasciano il posto a cinesi, indiani, brasiliani, centroafricani di quei paesi dove il trend di sviluppo è attualmente in corsa.
I migranti, i disperati, provengono da paesi con conflitti in atto e da paesi con una miseria endemica. In non pochi casi, però, questi paesi sono ricchi di risorse naturali, i cui proventi rimangono strettamente saldi nelle mani di oligarchi, di veri e propri satrapi e non vengono affatto utilizzati per il benessere di quelle popolazioni. Gli stessi satrapi sono altresì i gestori delle derrate umanitarie che, non infrequentemente, costituiscono la principale risorsa alimentare di quelle genti. Nei paesi dei quali stiamo parlando, giova rammentarlo, si estraggono spesso petrolio e minerali preziosi, si esportano varietà alimentari, spezie e legni di pregio.
Queste orde di esseri umani, peraltro, non sono mai state educate a vivere di lavoro bensì di sussistenza e, come primitivi nomadi predatori, si spingono ovunque vi possa essere una fonte di sostentamento. Ma esportando il loro modello, quello dell’assistenzialismo passivo.

E veniamo al medioevo prossimo venturo …
… Non casualmente era il titolo di un libro che Roberto Vacca scrisse addirittura nel 1970 ipotizzando un’improvvisa regressione della civiltà umana, dovuta ad un blocco tecnologico e all’esplosione demografica, tali da costringere l’umanità a ritornare a forme di vita e di lotta simili a quelle medioevali.
Poco tempo fa l’Autore, in occasione di una riedizione del libro, ebbe a dichiarare che – essendo ingegnere – aveva basato su modelli matematici molte delle sue previsioni, non avveratesi soprattutto perché non si è (ancora) verificato il blocco tecnologico ipotizzato come base della crisi mondiale; per contro si è rivelato esatto il calcolo dell’incremento della popolazione della Terra, stimata in oltre sei miliardi di individui all’inizio del terzo millennio.
Curiosamente, nel 1989 uscì un libro analogo e dal titolo identico: l’Autore, uno statunitense del quale si sono perse le tracce, ipotizzò che a causa del depauperamento dissennato delle risorse non rinnovabili in tempi compatibili con l’esistenza umana – in ragione dell’utilizzo massiccio che le tecnologie ne avrebbero richiesto – nonché della deforestazione e dell’inquinamento atmosferico, idrico e del suolo, la terra non avrebbe più potuto sfamare i suoi abitanti nonostante anzi proprio in conseguenza del massiccio ricorso agli OGM, organismi geneticamente modificati, che avrebbero definitivamente reso sterili molte specie ed improduttivo il suolo.
Le risorse alimentari si sarebbero pertanto vieppiù ridotte diventando privilegio di pochi, le città si sarebbero trasformate in bolge infernali sempre più pericolose e sempre meno vivibili, e le campagne sarebbero state percorse da bande di predoni decisi a tutto pur di assalire chiunque possedesse cibo, qualunque esso fosse. Anche carne umana? non sappiamo, e speriamo di non saperlo mai.
L’umanità avrebbe dovuto fare i conti con una delle più ataviche fra le paure: la fame.
L’ignoto autore del libro scritto nel 1989 ipotizzava altresì due fenomeni che si stanno puntualmente verificando: lo scioglimento progressivo dei ghiacciai e l’innalzamento del livello degli oceani, rendendo inabitabili non solo città costiere, ma anche insediamenti lontani dal mare sino ad altitudini non trascurabili: per quanto riguarda l’Italia, secondo tale previsione non solamente città come Genova, Napoli, Palermo e Venezia cesserebbero di esistere, ma anche Firenze, Milano, Pavia, Rovigo. La sicurezza potrà essere conseguita a partire dai 600 metri di altitudine.
Gli esseri umani avranno un’unica possibilità di sopravvivenza: riunirsi in piccoli insediamenti autosufficienti sotto il profilo energetico ed alimentare, sfruttando le risorse del territorio ed acquisendo la capacità di difendersi da eventuali attacchi.
Decrescita, condivisione, co-housing, rispetto per il territorio, chilometro zero, utilizzo selettivo e responsabile delle risorse: in pratica ci stiamo arrivando mentre le difficoltà economiche ci costringono a rivedere la scala dei bisogni reali o presunti. Che la decrescita alla quale volenti o nolenti saremo costretti possa contribuire a riqualificare il nostro rapporto con la Natura e con i nostri simili?

Se fossimo tutti consapevoli …
… della limitata disponibilità delle risorse, e se tutti ci sforzassimo di portare ciascuno il proprio contributo produttivo, senza sprechi e nel rispetto dell’ambiente – e questa potrebbe essere la logica del villaggio globale in un mondo perfetto – forse potremmo anche salvarci da ciò che ci aspetta. Invece non sarà così.
Per cominciare il concetto di villaggio globale è stato a suo tempo creato partendo dall’idea di uniformare i popoli nella direzione di una monocultura appiattente e massificatrice. L’unico esito tangibile di questo è che in ogni angolo del mondo troviamo un McDonald’s ed almeno una via dello shopping con negozi tutti uguali a quelli di qualsiasi altra città. Ma nulla è stato fatto per una reale integrazione, anzi si sono vieppiù fomentati nazionalismi o divisioni in nome di fedi religiose. Mistificazioni, notizie inventate, credenze che grazie ai mezzi di comunicazione si espandono in modo virale non giovano al concetto di pace, convivenza e reciproca tolleranza.
L’oligarchia, sia essa occulta o meno non ha importanza, che detiene il potere mondiale ha inoltre interesse a focalizzare l’attenzione delle masse verso falsi obiettivi e verso una conflittualità crescente, per distoglierla da ciò che dovrebbe invece essere sotto gli occhi di tutti: la manipolazione delle coscienze finalizzata ad occultare giochi di potere economici e finanziari su scala mondiale.
Poiché la Storia, nonché la nostra modesta esperienza di Vita, ci hanno insegnato a non fidarci della capacità umana di ricompattarsi sotto un’unica bandiera di amorevolezza, collaborazione e valori condivisi, saremo pessimisti ma sicuramente realisti ritenendo che il futuro che ci aspetta, stanti queste premesse, sia semplicemente spaventoso.
Considerato che le politiche comunitarie, nazionali, locali e persino le ventate autonomiste ed indipendentiste hanno sin qui dimostrato di non perseguire l’interesse di chi dichiarano di rappresentare bensì le ambizioni di chi le guida ed interessi finanziari ed economici di parte, anche qui più o meno occulti, non resta a nostro avviso che ipotizzare due soluzioni, non disgiunte l’una dall’altra bensì fra loro indissolubilmente complementari.
Recuperare spazi di condivisione abitativa per piccoli nuclei autonomi il più possibile autosufficienti;
Acquisire il possesso delle fonti d’acqua affinché l’acqua stessa sia salvata dalla speculazione e resa disponibile a costi accettabili per la comunità locale che ne farà uso;
Questo presuppone di non assaltare i santuari della finanza in stile ecologisti arrabbiati di lusso (e ciascuno metta il nome che preferisce) ma combatterli con le loro stesse armi, in una logica di tante public-companies strutturate per l’autoconsumo ed eventualmente federate tra loro per garantire un’economia di scala, una forza contrattuale di base ed un’uniformità normativa.
Questo presuppone di non sottrarre più neppure un metro quadro di suolo a Madre Terra, bensì di recuperare borghi e villaggi dismessi (e solo in Italia sono oltre un migliaio) per farne unità condivise di vita e di lavoro.
Questo consente che, come vedremo più avanti, sia tutelata e salvaguardata l’unicità locale non solo in termini di cultura, origini e tradizioni ma anche di specie autoctone, saperi e sapori; un po’ come avvenne nel medioevo grazie alle abbazie, per intenderci.
Questo significa non farsi illusioni sul Peace&Love cui ci ha abituati una cultura promanata sin dagli anni Sessanta del secolo scorso, sostanziata sia dalla chiesa cattolica sia dalle varie filosofie di matrice orientale che predicano un pacifismo di maniera più teorico che reale. Non farsi illusioni significa, in buona sostanza, che queste comunità dovranno essere in grado di difendersi da inevitabili attacchi e scorrerie di predoni.
Significa che dal concetto di villaggio globale, dal concetto di unione di stati, dal concetto di nazione passeremo a quello di Borgo in un neofeudalesimo, in una nuova età dei comuni? Non sarà proprio così, ed ora ne esplichiamo le ragioni.

Per cominciare citiamo una frase evangelica …
siate pronti, perché non conoscete né il giorno né l’ora. Quest’esortazione è più che mai attuale. Partendo dal dissesto geopolitico, sociale ed idrogeologico iniziamo citando Nietzsche per illustrare uno scenario tutt’altro che fantascientifico, collocato in un niente affatto remoto Medioevo prossimo venturo: Non vuoi oggi salire su un alto monte? L’aria è pura e puoi scorgere più mondo che mai.
Ci limitiamo ai fatti di casa nostra per affermare come sia ormai palese quanto l’Unione Europea propugni una strategia mirata a costituire una Paneuropa feudale partendo dallo sfaldamento della cultura locale di un qualunque popolo europeo o del cosiddetto sentimento nazionale anche attraverso la simbolica eurocentrica: Euro, bandiera, Erasmus, Inno alla gioia di Beethoven eletto ad inno europeo, passaporto, parlamento e Stati artificiali, Alpen-Adria, AER, CCRE in esecuzione di quel processo disintegrativo che taluni sostengono iniziato nel 1990 con lo sfaldamento dell’ex-Yugoslavia e che è tuttora visibile in Germania, Belgio, Spagna, Francia e persino Italia attraverso l’ascesa dei partiti autonomisti.

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L’unica forma di difesa possibile …
… da tutto questo non potrà, a nostro avviso e secondo una ben precisa chiave di lettura, che portare in una direzione: quel piccoli insediamenti autosufficienti di cui abbiamo scritto sopra, autosufficienti e – piaccia o meno – in grado di difendersi. Il feudalesimo probabilmente non avrà più i caratteri che abbiamo studiato sui libri di storia, magari sarà un Federalesimo o un Consorzianesimo, insomma un’alleanza fra borghi, villaggi, territori, comprensori.
Che, grazie alla profonda consapevolezza ed alla capacità di sentire con il cuore di quelli che immaginiamo saranno gli abitanti dei borghi risorti dal recupero di insediamenti abbandonati, avrà in alta considerazione la cultura dell’accoglienza del Viandante che viene in pace. Ma riprenderà nel contempo finalmente ad onorare la figura del Guerriero.
Per parte nostra ci permettiamo di raccomandare, citando Cromwell: abbiate fiducia in Dio e nel prossimo, ma tenete asciutte le polveri. Anche se, passateci la battuta, alle polveri preferiamo di gran lunga l’arco: silenzioso, fulmineo, letale, ecologico.
La formula vincente per ottenere tutto questo si chiama cohousing, che non è solo un modo di abitare ma di cambiare abito mentale: dal lavoro come produzione, che vede solo crescite esponenziali senza ragione, al lavoro come servizio dove la produzione non ha in vista solo beni e merci, di cui non sapremmo neppure cosa fare se non fosse per bisogni e desideri indotti, ma anche erogazione di tempo, cura, relazione. In una parola: Condivisione.
Il cohousing è un nuovo modo di abitare con spazi e servizi condivisi tra persone amiche che si sono scelte e che insieme hanno progettato la propria comunità residenziale. Chi vive in cohousing – e sono già più di mille gli insediamenti di questo tipo nel mondo – vive una vita più semplice, meno costosa e meno faticosa decidendo innanzitutto cosa condividere: un micronido per i bambini, un orto o una serra, un living condominiale, un servizio di car sharing o una portineria intelligente che paga le bollette e ritira la spesa. Solo per fare qualche esempio.
Naturalmente, sulla scorta delle nostre competenze professionali, stiamo organizzando l’ampio ventaglio di risorse necessarie a realizzare i progetti di cohousing: ricerca delle aree idonee, progettazione sostenibile degli interventi, formazione dei gruppi promotori e loro evoluzione in comunità organizzate, design di spazi e servizi comuni.
Il cohousing non è più da vedere come una comune più o meno hippy, rifugio di strafatti e sbandati, anche se sopravvivono iniziative di questo tipo: di solito vere e proprie topaie che lasciano molto a desiderare anche sotto i profili organizzativo, delle relazioni fra gli abitanti e persino igienico-sanitario. Siamo certi che scompariranno entro breve tempo.
Le comunità di cohousing combinano l’autonomia dell’abitazione privata con i vantaggi di servizi, risorse e spazi condivisi (micronidi, laboratori per il fai da te, auto in comune, palestre, stanze per gli ospiti, orti e giardini…) con benefici dal punto di vista sia sociale che ambientale.
Tipicamente consistono in un insediamento di 20-40 unità abitative, per famiglie e single, che si sono scelti tra loro e hanno deciso di vivere come una comunità di vicinato per poi dar vita – attraverso un processo di progettazione partecipata – alla realizzazione di un villaggio dove coesistono spazi privati (la propria abitazione) e spazi comuni (i servizi condivisi).
La progettazione partecipata riguarda sia il progetto edilizio vero e proprio – dove il design stesso facilita i contatti e le relazioni sociali – sia il progetto di comunità: cosa e come condividere, come gestire i servizi e gli spazi comuni, mentre le motivazioni che portano alla coresidenza sono l’aspirazione a ritrovare dimensioni perdute di socialità, di aiuto reciproco e di buon vicinato e contemporaneamente il desiderio di ridurre la complessità della vita, dello stress e dei costi di gestione delle attività quotidiane.

Questo scritto nasce anche come premessa …
… all’illustrazione di progetti, raccolta di idee, condivisioni e adesioni in una logica che intende essere sin dall’inizio partecipativa e con una particolarità che è un po’ il nostro Manifesto: nessun metro quadro in più sottratto alla Natura con nuove costruzioni, bensì il recupero di luoghi esistenti e dismessi. In Italia se ne contano oltre mille: borghi abbandonati che possono tornare a nuova vita, in una logica di decrescita e rispetto dell’ambiente.
Ma chi, già oggi,  desidera vivere in cohousing? Un identikit del cohouser parte dalla storia di un’utopia diventata realtà ed ha a che fare con il vivere insieme condividendo spazi e servizi con i vicini di casa: lavanderia e stireria, ludoteca, biblioteca, orto, giardino, palestra, mezzi di trasporto e chi più ne ha più ne metta pur mantenendo la privacy nel proprio appartamento.
L’idea non è così nuova per chi ha vissuto la ventata degli anni a cavallo tra i Sessanta e i Settanta, ma le neotribù attuali non sono certamente formate né da nipoti dei Figli dei Fiori né da idealisti New Age, piuttosto da un panorama eterogeneo di singles giovani e meno giovani, coppie senza figli e famiglie più o meno numerose, anziani in cerca di socialità.
E l’attuale cohouser non è tipo da comune o casa collettiva ma è per l’abitare insieme in modo organizzato, vivendo in edifici pensati o recuperati per più nuclei, scegliendosi i vicini di casa. Si abbattono i costi fissi di alcune aree perché uso e proprietà sono ripartiti su più persone, la convivenza intergenerazionale è facilitata, e sono favoriti gli scambi di vicinato.
Altro valore forte, il basso impatto: gli edifici sono pensati per consumare poco o addirittura pochissimo attraverso tecniche costruttive o ricostruttive che vanno sotto la denominazione di casa clima, casa passiva, bioarchitettura.
Abitare in cohousing vuol dire molte cose, una in particolare: ritrovarsi tra persone interessate a un modo comune di concepire la vita a partire dalla dimensione quotidiana; ogni gruppo fa storia a sè e il percorso intrapreso è sempre su misura.

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Vivere in un ecovillaggio …
… non è quindi una protesta verso il sistema, non è un sogno romantico o un’utopia, ma una scelta razionale e motivata di dare priorità nella propria vita ad aspetti quali il senso di comunità e l’ecologia.
Storicamente vivere in un villaggio in armonia con la natura non era una scelta consapevole ma l’unica possibilità; ora invece gli ecovillaggi diventano comunità intenzionali di persone pienamente consapevoli di vivere in modo che rema in direzione contraria alla spinta della società circostante. Il sentimento di appartenenza ad una comunità viene da lontano, è innato nella natura umana. La tecnologia, l’organizzazione sociale, la nascita delle metropoli, la corsa verso il successo individuale han dato l’illusione che il nuovo essere umano non avesse più bisogno dell’appoggio di una comunità, creando la tendenza verso una vita sempre più individualista e solitaria. Evoluzione ben rappresentata dall’anonimo palazzone cittadino, dove un numero svariato di vite sono rinchiuse tra queste mura, cercando una nicchia di intimità dietro spesse porte blindate di appartamenti tutti uguali, ignorando completamente l’esistenza di vicini sovente visti solo come una molestia. La vita di comunità è l’opposto, è il compromesso di vivere in un gruppo, di solito non troppo numeroso in modo che tutti i membri si conoscano personalmente. Pur praticando una parziale comunione dei beni, la vera essenza di comunità è esaltata nell’appoggio reciproco.
Un gruppo su cui contare vuol dire miglioramento della qualità di vita, con esempi pratici quali la cura condivisa dei bambini, la possibilità di facilitare e rendere più attraenti lavori comunitari, la creazioni di posti di lavoro all’interno della comunità stessa. Inoltre la vita comunitaria è un costante stimolo alla crescita personale, in quanto persone a stretto contatto quotidiano sono obbligate a confrontarsi su scelte in comune, a discutere, a parlare apertamente dei problemi che invariabilmente sorgono e questo migliora la comunicazione con gli altri e con se stessi ed aiuta a vedere con più chiarezza il nostro misterioso mondo interiore. L’armonia della vita comunitaria si ripercuote conseguentemente nella cura dell’ambiente circostante. La concezione di tutela ambientale è variabile, ma principalmente si attua nel tentativo di produrre la maggior parte del cibo che si consuma, coltivando orti vicino alle case, di affidarsi a energie rinnovabili, di ridurre i consumi e di limitare l’utilizzo delle automobili. I bambini di un ecovillaggio possono trascorrere le giornate scorazzando per strade prive di auto, giocando nei giardini comunitari, nei campi e nei boschi senza necessità della miriade di giochi che popolano la vita dei bambini cresciuti negli appartamenti. Infine la spiritualità, che racchiude aspetti controversi perché storicamente è stata ingabbiata dalla religione. La spiritualità si accompagna in modo naturale al rallentamento dei ritmi, al contatto con la natura, poiché il materialismo non è sufficiente a saziare l’innata curiosità dell’essere umano. La spiritualità significa arte, musica, contemplazione, meditazione, riflessioni. Il tutto si associa spesso ad altri movimenti quali la permacultura, la decrescita, termini che evocano ancora in tanta gente uno scenario di ristrettezze, un ritorno all’età della pietra e una rinuncia. Ma non è questo il punto, tutt’altro, l’obiettivo è lo stesso di tutte le attività umane, la felicità e il benessere, che vengono ricercate, però in una forma che predilige l’armonia con la natura e l’ambiente.

Il cohousing rurale montano …
… costituirà in futuro la reale e più adeguata forma di salvaguardia del territorio, oltre che di protezione dagli accidenti climatici e dalle scorribande dei predoni di cui si diceva più sopra.
Niente folclore da cartolina: prati fioriti di mille colori, alte vette che fanno da quinta, aria cristallina, mucche sparse a brucare che sembrano messe lì come in un presepe, il mandriano, i cani, le baite, il formaggio saporito, il burro giallo che si conserva nell’acqua gelida del torrente mentre la polenta brontola nel paiolo sul fuoco del camino…
L’agricoltura in montagna non è per tutti. E’ fatica, è lavoro duro, è gestione, manutenzione, valorizzazione di territorio e paesaggio frutto di un’attività economica e produttiva che per millenni ha costituito la principale fonte di sostentamento e il centro identitario e culturale del territorio e delle popolazioni.
Le tracce di questa cultura e di queste attività improntano tuttora in modo indelebile e diffuso il territorio, il paesaggio, i modi di vivere, le tradizioni, l’architettura, i cibi, i prodotti alimentari ed i manufatti artigianali lasciando, in montagna forse più che altrove, i segni di un’identità forte che agli occhi degli estranei viene percepita come luogo di tradizioni senza tempo. Costituiscono la nostra matrice culturale, le nostre radici, attraverso una storia millenaria ha costruito in Alpe il paesaggio di cui oggi godiamo come straordinario testimone che ci racconta la vita delle sue genti e ci apre alle bellezze di ambienti frutto di fatiche secolari poiché, all’interno di questo sistema che ha funzionato perfettamente fino ad alcuni decenni fa, la valorizzazione delle risorse pastorali è stata una delle chiavi di successo e di sopravvivenza delle popolazioni, armonico ed equilibrato rapporto tra risorse del fondovalle e degli alpeggi che ha permesso lo sviluppo di forme integrate di economia agricola con l’allevamento permanente di bestiame da latte.
Naturalmente senza il ricorso ad antibiotici, estrogeni ed altre schifezze od allo spreco di milioni di litri d’acqua per produrre una bistecca. Significa tornare alle origini, quando il latte veniva dato caldo con il miele per combattere le affezioni bronchiali, non come ora che è un mucogeno, non come ora che se i bambini mangiano un hot dog o un hamburger richiano la femminilizzazione.
L’attività degli agricoltori montani ha costruito nel tempo un paesaggio variegato fatto di aperture tra i boschi, prati e maggenghi, pascoli di alta quota, nuclei rurali ed architetture tipiche che costituiscono il pregio di tante località montane. Certo anche la montagna è cambiata e sta cambiando, anche se questo può non apparire agli occhi dei frequentatori occasionali, primariamente per la riduzione dell’agricoltura e con essa, pur se a più lungo termine, della biodiversità e della bellezza paesaggistica dei luoghi. Alle quote più elevate e meno accessibili i terreni vengono spesso abbandonati, e prima o poi riconquistati dal bosco. Se il ritorno del bosco può apparire positivo perché riduce l’impatto negativo dell’uomo su natura e paesaggio, costituisce in realtà un pericolo perché spesso le zone abbandonate sono proprio quelle più importanti ai fini della conservazione della biodiversità florofaunistica, oltre che per la diversità dei paesaggi. E senza trascurare l’incontrollato proliferare di animali selvatici che, non trovando di che nutrirsi, devono necessariamente essere abbattute. Innegabilmente, il ritorno del bosco migliora la stabilità delle pendici.
In questo senso il cohousing montano svolge anche una insostituibile funzione di salvaguardia del territorio.
Naturalmente
l’atteggiamento più sbagliato che una comunità coresidenziale può assumere allorché si stabilisce in un luogo, e maggiormente in un contesto orograficamente difficile quale quello montano, è quello di apparire e sentirsi enucleata dalla società locale ivi residente, attuando non un inserimento bensì una sorta di colonialismo isolazionista.
Non nascondiamo che i cohouser provenienti, come in massima parte accadrà, dal vissuto urbano potranno incontrare situazioni particolarmente difficili; chi vive da generazioni strappando con fatica alla montagna di che sostentarsi ha maturato una scorza dura. Perché duro è il loro lavoro: in montagna non servono le mastodontiche mietitrebbia che vediamo in pianura, tutt’al più i trattorini ed i trenini delle vigne, anch’esse faticosamente ricavate terrazzando a mano la montagna, dove i raccolti e le merci viaggiano per gli alpeggi nella gerla, a dorso di mulo o con la teleferica.
Gli scenari futuri mettono in luce un sistema rurale alpino senza domani, con una perdita progressiva e costante delle note caratteristiche e delle specificità che l’hanno finora contraddistinto. Solo una diversa considerazione del ruolo dell’agricoltura di montagna rispetto alla conservazione dei paesaggi colturali tipici, alle produzioni alimentari di qualità, alla tutela degli spazi, alla difesa dell’ambiente e del territorio potrà garantire nuove forme di sopravvivenza e di sviluppo. Questo significa spazio disponibile per nuove opportunità coresidenziali, complici i numerosi borghi abbandonati presenti sulle Alpi e sugli Appennini.

Riscoprire l’Acqua …
… non casualmente chiamata Oroblu perché, non semplicemente in margine alla nozione di cohousing ed agli aspetti connessi all’autosostentamento alimentare, lavorativo ed energetico delle comunità coresidenziali che si svilupperanno dai nostri progetti, dobbiamo ora affrontare un argomento relativamente al quale desideriamo portare alcune considerazioni, sintetiche ma imprescindibili.
Abbiamo visto precedentemente come sul nostro Pianeta l’acqua costituisca indiscutibilmente il bene più importante, purtroppo non dappertutto risulta essere quello più economico o disponibile.
Nel secolo scorso l’acqua era, salvo casi particolari, abbondante, economica e pulita. Ma, trascorso il primo decennio di questo XXI Secolo, ci stiamo accorgendo di quanto l’acqua stia diventando sempre più preziosa, talvolta non scarsa bensì mal utilizzata, preda di ecomafie, trasportata da viadotti o condotte fatiscenti che la rendono difficile da gestire, sempre più costosa e inevitabilmente da purificare. Nel prossimo trentennio la situazione è destinata a peggiorare, non da ultimo a causa dei sempre più intricati trend geopolitici in atto e di un boom demografico senza precedenti nella storia dell’umanità, che incrementerà la popolazione terrestre di circa tre miliardi di unità, prevalentemente concentrate in un unico continente.
Particolare attenzione riveste la questione della sicurezza:  che si tratti di troppa poca acqua per lunghi periodi di tempo, o di troppa acqua tutta in una volta rappresenta una delle sfide tecniche, ambientali, sociali, politiche ed economiche più tangibili ed a più rapida crescita che è necessario affrontare da subito.
Non trascurabile è inoltre la crisi ambientale in rapido svolgimento: in ogni settore, la domanda di acqua è destinata ad aumentare e le analisi suggeriscono che entro il 2030 il mondo dovrà affrontare un deficit globale del 40% tra previsione della domanda ed offerta disponibile. E qui non è possibile ragionare per localismi: per loro stessa natura acqua, vapore acqueo, correnti, falde sono transnazionali.
Questa prospettiva eleva il potenziale di crisi e di conflitto poiché l’acqua è centrale per tutto quanto è importante per la vita umana: cibo, servizi igienico-sanitari, energia, produzione di merci, trasporto e biosfera. Come tale l’acqua non solo garantisce la mera sopravvivenza degli esseri umani, ma anche benessere sociale e crescita economica. Inoltre, l’acqua è una risorsa rinnovabile ma non inesauribile. Sarà per l’acqua, oltre che per il cibo, che in un futuro nemmeno tanto lontano si combatteranno guerre cruente.
Per tali ragioni già nel prossimo ventennio ci attendono sfide senza precedenti, soprattutto allorché la questione non sarà più appannaggio di ristrette cerchie di esperti ma diverrà aspra parte del dibattito politico e dovranno essere decise enormi allocazioni di risorse finanziarie a livello nazionale e internazionale. Già ora stiamo assistendo a tentativi, neppure troppo sommessi per privatizzare l’acqua funzionalmente al business che se ne potrà ricavare.

La nostra posizione è assolutamente controcorrente …
… Anziché arroccarci in posizioni di protesta ed esecrazione, eticamente sacrosante ma strategicamente indifendibili, perché non combattere il nemico con le sue stesse armi? Perché non beneficiare in modo etico e vantaggioso di questa irripetibile congiuntura storica, compiendo azioni la cui ricaduta vada nella direzione del bene comune?
Vale a dire: vogliono privatizzare l’acqua? Ebbene, compriamola! compriamola come cittadini, come fruitori, come proprietari degli impianti, come investitori.
Siamo assolutamente concordi con chi sostiene che gli esseri umani non sono i proprietari del pianeta, ed esecriamo il fatto che la terra possa essere ed essere stata nei millenni compravenduta, recintata, delimitata, sfruttata, conquistata. Ma le posizioni rigide, di fronte ad un problema di questa portata, non sono solo inutili: sono dannose perché oggi è quanto mai opportuna una nuova visione.
Non si tratta, naturalmente, di comprare acqua: lo consideriamo semplicemente impensabile. Si tratta di diventare concessionari delle numerosissime fonti inutilizzate esistenti, oltre che comproprietari di tutto ciò che attiene al servizio, vale a dire impianti, rete distributiva e strutture accessorie.
Per farlo è indispensabile costituire delle società, i cui soci siano gli utilizzatori del servizio ed estremamente rappresentative del concetto di democrazia partecipata. Le società opereranno a livello locale e potranno essere confederate in un organismo in grado di fornire servizi a valore aggiunto: assistenza normativa, rapporti con le istituzioni, consulenza finanziaria e progettuale.
Il tutto potrà essere accorpato in un Fondo, strumento che potrà garantire la maggior tutela ammnistrativa, normativa, finanziaria
I benefici per i soci consisteranno prevalentemente nella garanzia di non dover corrispondere a terzi il costo dell’acqua in un contesto che potrebbe andare fuori controllo e, grazie ad opportune economie di scala, attuare delle politiche economiche e normative affinché il costo corrisponda agli oneri del servizio: manutenzione, depurazione, ammortamento degli impianti.
Il fenomeno, precipuamente locale,
potrebbe via via interessare luoghi, territori e bacini di utenza sempre più estesi, non solo a livello nazionale e non solo legati a realtà di cohousing, autogenerando aree su cui creare valore: in questo campo, la start up giusta al momento giusto avrà infatti risultati che non esitiamo a definire impensabili. Le questioni relative all’utilizzo dell’acqua sono e saranno per un bel pezzo – almeno fino a quando e se i mega acquadotti saranno costruiti – su base locale e ci sarà spazio per notevoli interventi.
Detto in altri termini: finanza, Si, finanza, ma con una connotazione sociale, etica. Si, ma come, e in quali nicchie, è possibile trovare il modo di generare valore?
La prima e più semplice nicchia da sviluppare sarebbe sicuramente quella dello stock picking sul settore, dato dal sicuro e gigantesco afflusso di denaro in un comparto relativamente immobile, che potrà ove incontrollato generare importanti fenomeni speculativi che potremo così contribuire ad arginare.
I trend su cui agire potrebbero essere i seguenti:
– riunificazione delle utilities di settore, da una base locale e via via in crescendo; puntare sul cavallo vincente sarà persino facile e su questo punto ci sarà anche l’opportunita’ di soddisfare gli investitori più conservativi perché queste nuove mega utility dovranno necessariamente finanziarsi con obbligazioni ad alto rendimento: per fare un esempio, come fa oggi SNAM che emette obbligazioni al 3 per cento netto, che gli investitori istituzionali si strappano di mano come fossero oro! E noi, in un’economia allargata e multifunzionale che comprende l’acqua ed il suo indotto, i cohousing e le loro produzioni, oltre a tutte le attività collaterali, potremo garantire molto di più.
– sviluppo di infrastrutture sovranazionali, altrimenti definibili Mega Water Projects. E qui siamo all’anno zero. Ma anche questo sarà un trend inevitabile. Portare l’acqua da dove c’è a dove non c’è in maniera radicale. Persino in America qualche analista del settore sta incominciando a proporre un mega acquadotto nord-sud, dalla regione dei Grandi Laghi (Erie, per capirci) a New Orleans ma le resistenze sono ovviamente immense. In Europa non osiamo neanche pensare, in Asia poi sarà da ridere visti le storiche rivalità. Ma anche qui, prima o poi chi potrà dovrà farlo. E qui ovviamente lo stock picking potrà essere incredibilmente efficiente e capace di generare grandi risultati.
Il problema dell’acqua però oggi come oggi non si manifesta su base nazionale. Gli esempi che abbiamo avuto nell’ultimo quindicennio riguardano problemi nati su base regionale o addirittura a livello di singola città, in cui le autorità, non essendo state previdenti prima, hanno incominciato a razionare l’acqua e a proporre soluzioni tampone sull’utilizzo quotidiano.
In questo momento stiamo ancora parlando di stock picking e anche in quest’area ci sono grandi opportunita’, da parte di start up che si occupano di specifici problemi: depurazione – fondamentale, specialmente dell’acqua di mare – purificazione da contaminazione esterna o da tracce di medicinali ed altre sostanze, ridotto utilizzo. Nicchie specifiche, insomma.
La componente finanziaria è sicuramente degna di nota, ma non rappresenta un motivo sufficiente per sviluppare una struttura tecnica in grado di sostenere un flusso informativo del tipo finora descritto. Occorre qualcosa di più. Cioè, che cosa?
Una parte educational di tipo classico dedicata al grande pubblico? Sicuramente interessante, ma insufficiente, vista la difficoltà di creare calore in questo ambito, fatta salva, ammesso di trovarli, la presenza di sponsor interessati a creare consapevolezza nel pubblico.
La nostra risposta è: p
artiamo da un concetto di base: sul problema acqua esistono al momento relativamente poche competenze che sono state sviluppate in un numero relativamente basso di aree a livello mondiale. Aree dove situazioni di siccità’ di lungo periodo hanno richiesto la gestione di soluzioni spesso altamente innovative.
Ma questo know-how base non è stato condiviso in maniera significativa e anzi è stato spesso confinato nei ristretti ambiti locali di attuazione. Per fare un esempio, certe soluzioni incredibilmente innovative sviluppate in numerose città australiane od israeliane, veri laboratori a cielo aperto dei problemi dell’acqua, non sono minimamente conosciute in Europa o nel resto del mondo occidentale, per esempio impianti di desalinizzazione dell’acqua marina con caratteristiche uniche.
Considerata l’importanza delle immagini, spesso prevalenti rispetto alle parole in quanto maggiormente efficaci, è nostro intento sviluppare una trasmissione video settimanale rivolta ad un pubblico professionale di settore, tecnico ed a politici (non serve che siano illuminati, è sufficente che siano onesti e non pressapochisti, e già trovane sarà un’impresa, almeno sic stantibus rebus…), che parli delle soluzioni innovative già sviluppate, descrivendole nei dettagli, e che illustri come i problemi che potrebbero presentarsi siano già stati risolti altrove.
La trasmissione potrebbe essere sviluppata in più lingue, magari attraverso un canale interattivo e con la possibilità di interazione da parte degli abbonati.

Ricapitoliamo quindi brevemente quali e quante attività potrebbero, se unite adeguatamente e coordinate sotto un’unica piattaforma di comunicazione video/interattiva, generare valore in questo settore:
Area finanziaria, stock picking, ricerca
Area servizi su start up innovative con possibilità di contatto
Area educational e di responsabilita sociale rivolta al grande pubblico
Area knowledge base e best practices  internazionali, rivolta a tutti gli operatori del settore
Questi quattro pilastri, se ben coordinati e sviluppati armonicamente, potrebbero garantire nel lungo periodo una base di servizi promozionali in grado di generare adeguato valore per i potenziali investitori.

Alberto C. Steiner