BreBeMi, un fallimento annunciato

Secondo i dati diffusi da Legambiente e Aiscat nel 2015 la media dei passaggi non avrebbe superato i 35mila veicoli giornalieri. Che la BreBeMi fosse un’autostrada non molto frequentata era apparso chiaro sin dai primi giorni della sua apertura, ed ora i numeri ne certificano il fallimento. CC 2016.02.25 BreBeMi 001Addirittura un tracollo, visto che l’autostrada non solo non raggiunge i 120mila veicoli giornalieri preventivati in sede di progetto, ma neppure quei 60mila auspicati dai vertici della Società per garantirne il minimo fisiologico. A fare da contraltare i numeri in crescita sulla A4, dove  il traffico è aumentato fino a toccare nel tratto Milano-Brescia i 290 mila veicoli/giorno.
“Sono numeri imbarazzanti per un’autostrada che doveva essere pagata tutta dai privati ma che invece è già costata alla collettività 2,4 miliardi contro gli 800 milioni preventivati” ha dichiarato il responsabile trasporti di Legambiente Dario Balotta, aggiungendo che “si tratta di soldi ai quali vanno aggiunti i 280 milioni, 60 dal Pirellone e 180 dallo Stato, che BreBeMi riceverà nei prossimi 20 anni.”
La Società concessionaria però smentisce, dichiarando sul proprio sito una media giornaliera di 40mila veicoli nei giorni feriali e ricordando che il volume di traffico prefissato sarà raggiunto una volta terminati i lavori sul nodo di Brescia.
Per Balotta la soluzione è una sola: lo Stato attraverso l’Anas deve riprendersi la concessione e offrire il servizio gratis ai cittadini che l’autostrada l’hanno pagata già tre volte: con le tasse, con le tariffe e con i 900 ettari di suolo cementificato.
“Il fallimento di BreMeMi lo dovranno pagare i privati, i costruttori e le banche perché BreBeMi è l’emblema di un disastro economico e ambientale voluto dai privati e dalla connivenza con amministratori complici del potente di turno”, ha commentato il consigliere regionale M5S Violi.CC 2016.02.25 BreBeMi 002Sin qui la notizia, che può essere verificata con una semplice ricerca su Google e non necessita di commenti. Mi sorgono però spontanee alcune considerazioni: circa il trasporto merci su strada Siemens ha condotto a termine con successo l’esperimento di trazione elettrica, attrezzando alcuni autocarri Mercedes con motore elettrico bimodale ed un tratto stradale con bifilare per l’alimentazione. Nulla di nuovo, intendiamoci: da noi esisteva dal 1940 al 1958 la Filovia dello Stelvio, impiantata in Valtellina dall’AEM, Azienda Elettrica Milanese, da Tirano a Bormio e sino al bacino artificiale di Cancano per la costruzione delle dighe. Una volta conclusasi l’attività cantieristica l’impianto, della lunghezza di circa 40 km ed in grado di superare pendenze proibitive venne smantellato nonostante ipotesi per un suo riutilizzo.pirippiQuanto al concetto di trasporto, mentre in altri Paesi vengono potenziate linee ferroviarie e tramviarie anche al servizio di centri minori, da noi si insiste nell’illusione personalistica del trasporto individuale, camuffandolo con veicoli ibridi e car-sharing, chiudendo o lasciando andare in malora strutture esistenti.

Alberto C. Steiner

E il Maestro disse: in Real Estate we trust

Fu un’operazione immobiliare condotta magistralmente. La leggenda dice che grazie ad uno dei soci fondatori, di famiglia benestante, che monetizzò un prezioso dipinto presso Sotheby’s, fu possibile acquistare alla fine degli anni ’90 un vasto appezzamento di terreno sulle colline dell’entroterra romagnolo recuperando gli edifci e creando un centro di meditazione che aveva tutte le caratteristiche del resort di lusso: ristorante, pizzerie, lounge bar, discoteca, piscine. Oltre agli spazi dedicati alla meditazione beninteso.
Il lavoro svolto da volontari che, in cambio della propria opera godevano di vitto, alloggio, argent de poche ed accesso alle meditazioni contribuì a contenere i costi, i programmi interessanti e l’apertura del centro anche ad esterni mantennero alto il fatturato.CC 2016.02.17 in Real Estate we trust 001Oggi il complesso chiude: necessità strutturali alle quali non è possibile far fronte, insostenibilità dei costi, difficoltà di reperire woofers faranno sì che a primavera, in luogo della riapertura, verrà celebrata una festa di addio e il sito verrà definitivamente trasformato in un luogo di ricettività alberghiera con una quota di superficie pensata per una residenza in cohousing e per attività collaterali di stampo editoriale, formativo ed artigianale.
Mi dispiace. Perché era un posto bellissimo e perché uno dei fondatori mi piaceva molto: era un vero e proprio zanza, un furbacchione come si dice a Milano, ma sincero. Con i suoi baffetti da sparviero ed il suo sguardo da tombeur de femmes ti diceva che ti stava fregando, e te lo diceva con chiarezza. Stava a te decidere se credere o meno a ciò che lui si divertiva a proporre, compresi i costosissimi corsi della light impulsive university of love che si era inventato, riconosciuta da se stessa e, si vabbè, dal solito Sicool e da Conacreis….
Tra la fine del 2015 e l’inizio di questo 2016 circostanze legate alla mia professione mi hanno condotto ad interessarmi di immobili circostanti i più affermati centri di meditazione della Penisola: sino a non molti anni fa c’era la corsa all’accaparramento di case vicine allo spirito ed all’energia del Maestro, chiunque egli fosse.
Non infrequentemente il maestro in questione, previdente e – oh poppacco, illuminato! – aveva fatto incetta di edifici e terreni, normalmente rurali, vicini al centro. Spesso veri e propri ruderi ma i cui prezzi subivano un’impennata grazie alle richieste ed agli scambi tra adepti. Ristrutturazione e arredamento erano spesso pilotati attraverso imprese di altri confratelli, sodali, correligionari o come li vogliamo chiamare. E il bisnèss era assicurato, portando non infrequentemente benefici anche all’indotto degli immobili e delle attività sul territorio, quelle gestite da coloro che i meditazionisti militanti definiscono i normali.
Oggi, come cantava Battisti, tutto questo non c’è più: gli scambi immobiliari languono, nessuno riesce a vendere immobili spesso infognati in boschi privi di servizi e comode vie d’accesso. E quindi ciao.CC 2016.02.17 in Real Estate we trust 002Mi limito ad enumerare i casi della cittadella di Cisternino, l’ashram aperto negli anni Settanta da Lisetta Carmi in valle d’Itria, nel nome del maestro Babaji che in India l’aveva fulminata: “Ci occorrono mano d’opera, risorse economiche. Benvenuto chiunque voglia aiutare per le ristrutturazioni e con donazioni in denaro” dichiarava nel febbraio 2015 alla Gazzetta del Mezzogiorno.
O quello della comunità di Damanhur, a Baldissero Canavese: deceduto il fondatore e dominus sta facendo la fine della Jugoslavia del dopo Tito.
O il villaggio Hare Krishna di Medolago, nella Bassa Bergamasca, per non parlare di Ananda, il centro vicino Assisi creato dai seguaci di Paramahansa Yogananda.
O il centro di Osho a Miasto, o l’Istituto Lama Tzong Khapa di Pomaia, per finire con l’Albagnano Healing Meditation fondato nel 1999 dal Lama tibetano Gangchen Rinpoche, affacciato sul Lago Maggiore in provincia di Verbania.CC 2016.02.17 in Real Estate we trust 003Anche in ambito urbano si assisteva, sino a non molti anni fa, al fenomeno di chi acquistava casa in prossimità del centro di meditazione: a Milano presso due centri di Osho, a Firenze gravitando attorno ad una delegazione della comunità di Damanhur, a Roma nei pressi di numerose congreghe.
Intendiamoci: il fenomeno era presente anche a San Giovanni Rotondo o alla Verna, per citare solo due fra i maggiori luoghi di aggregazione della fede cattolica.
Le motivazioni sono diverse, ciascuna connotata da un’impronta personale, e non sta a me fare sociologia d’accatto. Io mi limito ad evidenziare un fenomeno immobiliare e, lo ammetto, non senza un lieve sorrisino sardonico.
Ma le mie considerazioni personali sono fatti miei. Per quanto mi consta, in questo ambito ho progettato con successo, alcuni anni fa, la ristrutturazione finanziaria ed immobiliare di un complesso mistico sciamanico in provincia di Verona che stava andando alla malora in ragione delle manie di grandezza delle titolari; ho sudato le proverbiali sette camicie per ottenere mille euro di fondo spese in luogo delle diecimila che a chiunque altro avrei fatturato per il progetto di recupero di un centro milanese: ma i suoi promotori erano convinti che cemento, infissi, scossaline ed oneri di urbanizzazione potessero essere pagati attraverso l’infusione dello spirito del Maestro ed ovviamente non si è combinato nulla; ho proposto il recupero di un appezzamento nell’Alessandrino e fui guardato con malcelato disprezzo quando spiegai che intendevo solo svolgere il mio ruolo di progfessionista ma non partecipare: è stato bello, teniamoci in contatto, chiamo io. Queste tre esperienze mi sono state sufficienti.
Un caso a parte, assolutamente controcorrente proprio perché non promana dall’energia mistica od estatica di qualche guru bensì dall’unione di risorse laiche in un ambito olistico marcato da profonda professionalità, si trova in provincia di Piacenza: ecovillaggio, cohousing, centro di formazione senza la pretesa di fornire lauree od attestati di dubbia efficacia, complesso agrituristico di notevole qualità, vasto appezzamento coltivato all’insegna della concretezza e della cultura del lavoro. E questo è quanto. Peace&love.

Alberto C. Steiner

Torino: coabitare nel bosco a pochi passi dalla città

Sotto la basilica di Superga un lungo sentiero percorre i boschi della collina torinese: è l’Anello Verde, che collega la valle di Reaglie con quella del Cartman. Un percorso amato dagli escursionisti ed un sistema del verde che unisce fiumi e collina valorizzando il bellissimo ambiente naturale.CC 2016.02.14 Reaglie 001
Reaglie è facilmente raggiungibile con i mezzi pubblici dalle stazioni di Porta Nuova e Porta Susa, e in questa località – amministrativamente compresa nel territorio comunale torinese – un’associazione ha individuato un’antica casa di campagna risalente al XVIII Secolo nella quale realizzare un’esperienza di coabitazione.
Accade raramente di incontrare persone che desiderano vivere il più possibile immerse nella natura pur mantenendo la normalità della vicinanza e dei legami con la città, preservando l’indipendenza degli spazi abitativi privati al fine di tutelare l’intimità.
L’immobile, inserito nel Parco della Collina di Superga – con la sua superficie di 88.000 m2 di terreno collinare e boschivo uno dei più grandi di Torino – dista meno di cinque chilometri dal centro cittadino e l’agevole accessibilità dalla città permetterà la creazione di sinergie con associazioni e privati torinesi nello sviluppo di progetti.
Il parco, che offre un pozzo ed una valletta pianeggiante nelle immediate vicinanze dell’edificio, è visto come una risorsa agricola, energetica, per iniziative socio-culturali e tra queste attività per bambini nel bosco e forse anche un cinema all’aperto. È in progetto l’impianto di orti, piante da frutto, vitigni, arnie.
L’immobile, in corpo unico della superficie abitativa di circa 600 m2 calpestabili, è attualmente frazionato in cinque appartamenti in buone condizioni. Dispone inoltre di circa 250 m2 di locali accessori: androne coperto, box, magazzino, tettoia, legnaia, di una cantina di 70 m2 e di una soffitta che si sviluppa per metà della pianta.
Il progetto prevede di rimodulare l’edificio in sei o sette unità abitative, migliorandone l’efficienza energetica ma evitando ristrutturazioni troppo onerose, ed un ampio spiazzo esterno verrà adibito a parcheggio capace di accogliere venti auto.
Relativamente agli spazi comuni coperti, l’idea attuale prevede una cucina per cene in comune e feste, un’area bimbi, uno spazio aperto ad esterni da adibire a B&B o per accogliere l’attività di associazioni, workshop, laboratori, coworking, il recupero della legnaia in cui è presente un forno ed uno spazio polivalente di circa 100 m2 per uso interno.
Per chi volesse approfondire l’argomento questo è il link al sito dell’Associazione Coabitare, promotrice dell’iniziativa.

Alberto C. Steiner

Ulivi salentini: il resto è silenzio

Ce lo aveva chiesto l’Europa, ovvio, e scrivendone il 27 marzo 2015 nell’articolo Gli ulivi? Li abbiamo finiti… leggibile qui esprimevo la mia opinione: “Secondo me si dovrebbe procedere ad un nuovo ratto di Europa, tenendola segregata in qualche buco in Aspromonte o in Sardegna, ma questo è un altro discorso, della serie chi vuol esser servo sia….”
Inquadro questo scritto, oltre che nell’ambito dell’ecosostenibilità, nel mio concetto di quanto sia prossimo il Medioevo prossimo venturo e di quanto sempre più farsesco appaia – e senza bisogno di scomodare Platone – il concetto di democrazia rappresentativa.CC 2016.01.27 Salento 001E vengo al dunque. Ho lasciato trascorrere oltre un mese dal 19 dicembre scorso, quando venne emanato il provvedimento giudiziario che bloccava l’eradicazione degli ulivi salentini malati. L’ho fatto per poter, letteralmente, contare gli articoli e gli spazi video dedicati dai media a diffusione nazionale a questo accadimento di portata indiscutibilmente epocale. A parte alcune notizie della prima ora, le solite critiche ai violenti manifestanti (che di violento non avevano proprio nulla, tanto è vero che venivano inquadrate tranquille casalinghe scese in strada imbracciando rami di ulivo) ed alcuni trafiletti sparsi il conto è presto fatto: zero.
Mi limito alla stampa cartacea: ne hanno parlato il francese Le Monde e lo statunitense Washington Post (con un bellissimo articolo), il tedesco Der Spiegel e il britannico The Guardian, lo svizzero Neue Zürcher Zeitung e persino The Australian Financial Review, senza dimenticare i canadesi Vancouver Sun e Le Soleil de Quebec.
Da noi gli scritti su portali, siti, blog e social a tema ecosostenibile si sono sprecati, è naturale. Ma, per quanto vasto possa apparire, si tratta di un fenomeno di nicchia.
Resto convinto che i media a grande diffusione abbiano ignorato l’avvenimento perché l’indagine che ha bloccato le eradicazioni degli ulivi non sarebbe mai partita senza la nascita del Popolo degli Ulivi: un movimento territoriale eterogeneo, trasversale, senza leader, senza bandiere, senza padrini e senza padroni, creativo e per questa ragione da tanti ignorato e aggredito. Quelli non erano clientes di nessuno, schifavano anzi sia la Nomenklatura sia i Masaniello in cachemire, perché occuparsene?
Resta il fatto che la Procura di Lecce ha indagato dieci persone, tra queste il commissario straordinario Giuseppe Silletti, ipotizzando svariati reati e tra questi violazione dolosa delle disposizioni in materia ambientale e falso, ed è illuminante un passaggio dell’ordinanza redatta dagli inquirenti: “… la sintomatologia del grave disseccamento degli alberi di ulivo non è necessariamente associata alla presenza del batterio, così come d’altronde non è ancora dimostrato che sia il batterio, e solo il batterio, la causa del disseccamento …”CC 2016.01.27 Salento 002Eppure dall’alto del Palazzo e persino dei Palazzotti abitati dai vari Don Rodrigo numerose sono state le aggressioni, le denigrazioni, le denunce, gli ostacoli con cui si è tentato di ignorare le ragioni di questa gente (non ho scritto questo movimento, ho scritto questa gente) perché, pur tra inevitabili limiti e contraddizioni, quello salentino è uno dei più interessanti fenomeni territoriali apparsi negli ultimi anni.
Lo è perché ha coinvolto persone comuni di età, percorsi culturali, sociali e politici differenti, che non hanno cercato padrini o padroni politici ai quali delegare la soluzione del problema e neppure capipopolo dai quali farsi guidare. Le persone si sono autoorganizzate, scegliendo di intervenire, in molti modi e direttamente.
Non si sono appecoronate al mantra ce lo chiede l’Europa, ed hanno utilizzato non solo strumenti tradizionali: assemblee, incontri, manifestazioni, presidi, azioni di pressione a livello europeo, ricorsi al Tar, ma anche social network, feste e pic-nic nei paesi e nelle campagne, creando e rendendo visibile la possibilità di un mondo nuovo, connotato da relazioni sociali effettive e concrete.
E poi ci sono state le azioni di disobbedienza creativa, come quando sono stati piantati a sorpresa centinaia di ulivi. E non dimentichiamo fiaccolate e momenti di informazione e formazione dedicati ai sistemi naturali di cura delle piante ed all’agroecologia. Si, ci sono stati anche blocchi stradali e ferroviari. Normale, quando si protesta.
Ma queste persone hanno contemporaneamente, e forse senza saperlo, fatto una cosa veramente importante: hanno evidenziato e proposto un’idea diversa di agricoltura e un rapporto diverso tra comunità e ambiente naturale, contribuendo non solo a rompere la gabbia di silenzio e bugie costruita intorno agli ulivi malati, ma anche costringendo a ridurre il numero di alberi da abbattere e dando un senso al termine Comunità.
Non importa quindi se i grandi media hanno cercato di rendere il tutto innocuo, invisibile e persino ridicolo: quelle persone hanno dimostrato che, senza gli eccessi e la strumentalizzazione dei NoTav piemontesi, è possibile lottare, che è il tempo del fare e che si sta tornando al concetto di Comunità locale dove ciascuno è responsabile del proprio operato di fronte a se stesso ed ai concittadini.
E mi fermo qui perché di questo mi interessava parlare. Altrimenti dovrei addentrarmi in un ginepraio di domande a sfondo economico finanziario circa la sorte dell’ulivicoltura salentina una volta eradicati gli ulivi, da dove sarebbero arrivate le olive per la spremitura, quali sarebbero state le compagini societarie delle imprese interessate, quali banche le avrebbero finanziate e come, quali finanziamenti pubblici sarebbero stati emanati e da dove avrebbero preso i soldi, e chi li avrebbe gestiti… altro che il virus creato in vitro dalla demoniaca Monsanto! no grazie, preferisco parlare di bellezza piuttosto che di spazzatura.

Alberto C. Steiner

Sempre più affilati i denti a sciabola della finanza etica

Il 9 luglio scorso pubblicavamo l’articolo Analisi del portafoglio di Banca Etica Sgr leggibile qui che argomentava, dati alla mano, come il portafoglio dei titoli componenti i fondi che detto istituto di credito offriva ai propri clienti non fosse affatto etico.Cesec-CondiVivere 2015.07.09 Io odio la finanza sostenibileL’articolo riprendeva, aggiornandolo ed integrandolo, quanto scrivemmo il 7 novembre 2013 leggibile qui nonché il breve saggio: Attenti! ora la finanza speculativa si traveste di verde, pubblicato addirittura il 18 novembre 2009 sul sito TGCom24 a firma Fiori & Foglie, linkato all’interno dell’articolo citato sopra.
A confortare ciò che scrivemmo giunge il 30 dicembre scorso l’articolo Possiamo fare a meno dei fondi etici? pubblicato su Comune-Info a firma di Paolo Trezzi e leggibile qui: un punto di vista assolutamente critico e dettagliato su Etica sgr, la società di gestione del risparmio che, scrive l’autore, “corre sempre di più il rischio di amministrare portafogli di società quotate piuttosto discutibili” affermando perentoriamente: “Etica Sgr, la società di gestione del risparmio di Banca etica (e altri), dovrebbe chiudere, essere chiusa. In forza delle stesse ragioni per cui è nata Banca etica.”
Per parte nostra lasciamo volentieri la lettura dell’articolo, dove si parla di armi, autostrade, sfruttamento di lavoro minorile e chi più ne ha più ne metta, a chi fosse interessato. Senza ulteriori commenti. Quel che avevamo da dire lo abbiamo già detto.

Alberto C. Steiner

Acqua pubblica: alla piccola Marta hanno tolto il diritto di sognare

“Toglieranno l’acqua da sotto la pancia delle anatre? Metteranno il cartellino con il prezzo a ogni goccia di pioggia? E quanto costerà la rugiada?” Queste ed altre domande se le poneva Marta, la bimba protagonista di Marta e l’acqua scomparsa, la favola bella, intelligente ed ecologica scritta da Emanuela Bussolati, della quale scrissi in uno degli articoli che considero più belli e toccanti: Quanto costerà guardare l’arcobaleno? pubblicato nel giugno 2013 sulla home page di Kryptos Life&Water e richiamato in queste pagine il 6 ottobre 2014.CC - 2015.12.23 Acqua pubblica 001Anche se da tempo non ne parlo, non ho mai abbandonato studi e progetti tendenti a favorire un uso consapevole dell’Oro Blu.
Torno oggi sull’argomento per il desiderio di fare una sorta di punto della situazione, per verificare dove siamo, come ci siamo arrivati, cosa accadrà nell’immediato futuro e quali saranno le ricadute economiche e sociali nel lungo termine. Nell’ultimo biennio il governo ha varato numerosi provvedimenti tendenti a perseguire l’evidente finalità di rilanciare la cessione al mercato dei servizi pubblici locali e dei beni comuni: decreto Sblocca Italia, legge di stabilità, riforma della pubblica amministrazione, spinta impressa a livello internazionale a favore dei trattati T-tip e Tisa.
Il decreto Sblocca Italia evidenzia un piano complessivo di aggressione ai beni comuni tramite il rilancio di grandi opere, misure per favorire la dismissione del patrimonio pubblico, nuove regolamentazioni concernenti l’incenerimento dei rifiuti, ammissione delle perforazioni per la ricerca di idrocarburi, costruzione di gasdotti, semplificazione e deregolamentazione della procedura delle bonifiche.
Nell’ambito edilizio, quello che mi interessa più da vicino, lo stesso programma che verrà discusso a gennaio in materia di consumo del suolo è già superato nei fatti da numerose norme regionali – Lombardia e Piemonte costituiscono in questo senso un chiaro esempio – che ammettono nei fatti il disboscamento selvaggio, ampliando le superfici fruibili riducono le distanze e statuendo un’autocertificazione farsa.
Limitando l’analisi all’acqua, si impone una precisazione: cresce lo stress idrico e oltre due miliardi di persone non hanno acqua, poiché questo bene primario che dovrebbe essere considerato pubblico e agevolmente disponibile, lo è invece sempre più in funzione delle capacità economiche e tecnologiche. Mi astengo da commenti e giudizi politici o di merito, mi limito a segnalare che alla Borsa di Chicago sono quotate società finanziarie che speculano, letteralmente, sulla sete. E non sono io a dirlo: girovagate nel Web e troverete innumerevoli riferimenti, oltre a proposte di investimento nei paesi del Sud del mondo.Cesec-CondiVivere 2014.09.30 Marta e l'acqua scomparsa 003Bene, anzi male. Ciò premesso tutte le norme e le direttive presenti e future sono destinate a creare un meccanismo per cui, attraverso processi di aggregazione e fusione, i quattro colossi multiutilities attuali collocati in Borsa: la milanese A2A, le emiliane Iren e Hera, la romana Acea potranno inglobare tutte le società di gestione dei servizi idrici, ambientali ed energetici, divenendo i campioni nazionali in grado di competere sul mercato globale. In pratica regrediremmo ai primi del Novecento, quando a gestire acqua, elettricità e servizi pubblici erano pochi monopoli privati.Cesec-Condivivere 2014.10.20 Squali della finanza sostenibileIntendiamoci: rimango un sostenitore del modello più impresa e meno stato, e non certamente dei carrozzoni pubblici o, peggio, pseudo cooperativistici marcatamente ispirati al modello paternalistico tanto caro a preti ed ex-comunisti. Ma il mio è un concetto di impresa etica, un concetto che prevede la responsabilità morale dell’imprenditore.
Lasciamo stare le utopie, e torniamo a considerare come sia evidente che il governo intenda indicare la direzione della privatizzazione dei servizi pubblici, attraverso esplicite dismissioni di quote detenute dalle amministrazioni locali comuni e favorendo economicamente soggetti privati e processi di aggregazione. Detto in altri termini: costruendo il palinsesto di un ricatto nei confronti degli enti locali che, una volta strangolati dai tagli, verrebbero spinti alla cessione delle loro quote al mercato azionario e relegati ad un esclusivo ruolo di controllo: esterno, formale, inutile.
Se qualcuno pensa che io esageri, basta guardare i numeri per avere la certezza del colpo mortale inferto all’esito referendario del giugno 2011, nel totale disprezzo per la volontà dei cittadini e – va detto – nella totale indifferenza dei cittadini zombies. Della serie: ciascuno raccoglie quel che semina.
Sto parlando dell’aprile scorso, quando passò sotto silenzio la mirabile sintonia fra Hera, Acea, governo  e orientamenti della grande maggioranza delle amministrazioni locali incentrate sul Pd, in primis quelle emiliane del triangolo rosso, nell’intento di procedere entro la fine di quel mese, con il piè veloce che sembra essere la cifra di questa stagione controriformatrice, a far scendere la quota di proprietà pubblica dal 57 per cento al 38, arrivando così per la prima volta sotto la maggioranza assoluta, da sempre propagandata come elemento di garanzia per il controllo pubblico delle aziende.
Queste manovre creano un muro destinato a dividere la società: da una parte le grandi aziende, i mercati finanziari e gli istituti bancari, dall’altra i cittadini non più degni di tale appellativo ma tornati ad essere servi della gleba. E non trascuriamo di osservare come, all’interno di questa divisione, sia evidente come le istituzioni nazionali ed europee si prodighino diligentemente nell’applicare politiche di austerità che si traducono in tagli al welfare e ai diritti, ed in cessione di porzioni di sovranità al mercato.
In questi anni i vari movimenti per l’acqua hanno combattuto quotidianamente per affermare il diritto all’acqua pubblica, ponendo la massima attenzione al ciclo integrato di questo bene e costruendo il referendum attraverso il quale la cittadinanza si è espressa contro la privatizzazione e per una gestione pubblica dell’acqua e dei servizi pubblici locali. Da noi non se ne parla, presi dall’interesse per qualche bifolco miliardario in mutande che tira calci ad un pallone o dal perché Belen e Stefano si siano lasciati, ma anche negli altri paesi europei vi sono persone che continuano ostinatamente ad affermare quei principi, costruendo nuovi legami e relazioni sui territori, costruendo una conoscenza diffusa, studiando e progettando modelli alternativi, ponendo le basi per un modello sociale che superi la dicotomia tra pubblico e privato.
Sulla base di queste considerazioni è stato organizzato l’evento nel quale il 7 e 8 novembre scorsi si è argomentato, non per slogan ma scientificamente e come momento di confronto e riflessione di “Diritto all’acqua, diritto al futuro – Agorà dell’acqua e dei beni comuni”. Ne avete sentito parlare? No, vero? Ne ero sicuro.CC - 2015.12.23 Acqua pubblica 002Ma è ovvio: alla stampa serva non serviva riferire che qualche suonato ha affermato a livello europeo la necessità della fuoriuscita dalla finanziarizzazione dell’economia e della società, ad intendere un sistema naturale in maniera olistica, che va tutelato specialmente di fronte ad una crisi ambientale senza precedenti come quella attuale. E a che serve la serva se non serve? recita una famosissima battuta di Totò.
Insomma, tanto per cambiare concludo con una delle affermazioni che mi sono tanto care: il medioevo prossimo venturo è già iniziato. Però questa volta parlo del medioevo delle coscienze.
Pipipì-pì-pì-pò-sgnòff-tirititì-ping-ping-ping-sbrang …. no scusate è un’interferenza: è il fanciullo che è in me, ha sette anni e sta pistolando in metrò sull’i-phone sotto lo sguardo amorevole di mammà, tronfia di guardare fingendo di nulla se qualcuno osserva invidioso il fiammante ritrovato tecnologico in mano al creaturo. Così è, se vi pare.

Alberto C. Steiner

Guardate queste foto: potrebbero essere le ultime

Le cascate valtellinesi dell´Acquafraggia potrebbero scomparire: la finanza dai denti a sciabola, travisata con la mascherina dell’ecosostenibilità, le ha puntate funzionalmente alla realizzazione dell’ennesimo bacino imbrifero valtellinese destinato alla produzione di energia idroelettrica.CC 2015.12.17 Acquafraggia 001La comunità potrà tornare a beneficiare delle acque reflue, opportunamente depurate, però dietro pagamento di un canone in barba al referendum del 2011 attraverso il quale gli italiani hanno scelto che l’acqua, considerata bene primario irrinunciabile, non possa essere oggetto di acquisizioni e speculazioni.
Sono state naturalmente fornite ampie rassicurazioni che il canone sarà calmierato, che il suo ammontare coprirà solo i costi dell’ordinaria gestione e che nessuno guadagnerà o, peggio, speculerà sull’acqua. Come no.
Non dimentichiamo che la Valtellina gode di una legge speciale di salvaguardia, pensata proprio per le sue acque funzionalmente all’utilizzo per finalità produttive. Verrà puntualmente disattesa, ne siamo certi.CC 2015.12.17 Acquafraggia 002Le cascate si trovano a Borgonuovo, e le parti visibili dalla strada sono solamente le più suggestive, ma certamente non le uniche.
Il bacino dell´Acqua Fraggia costituisce un patrimonio ambientale, energetico e scenografico senza eguali: è situato all´imbocco ovest della Val Bregaglia, solcata dal torrente omonimo che nasce dal Pizzo di Lago a quota 3.050 in un punto di spartiacque alpino fondamentale per l’ecosistema europeo poiché vi sgorgano e discendono fiumi che sfociano nel mare del Nord, nel mar Nero e nel Mediterraneo. Nel suo percorso verso il fondovalle il fiume percorre due valli sospese di origine glaciale, la prima situata a quota duemila e l´altra sui mille metri di altitudine. Ed ecco l´Acqua Fraggia, che forma una serie di cascate, di cui quelle più in basso con il loro doppio salto sono solo le più suggestive. Deriva da qui il toponimo di Acqua Fraggia, da acqua fracta, vale a dire torrente continuamente interrotto da cascate.CC 2015.12.17 Acquafraggia 003Le cascate, con il loro maestoso spettacolo, impressionarono pure Leonardo da Vinci che trovandosi a passare per Valle di “Ciavenna” ne ammirò la bellezza selvaggia e così le menzionò nel suo Codice Atlantico: “Su per detto fiume si truova chadute di acqua di 400 braccia le quale fanno belvedere…”
Dalla sommità delle cascate si può percorrere un sentiero attrezzato tra castagni, ginestre e rocce, dal quale è possibile ammirare da vicino questo stupendo spettacolo naturale, unico nel suo genere per bellezza e imponenza. Una breve deviazione sulla destra porta ad un ampio terrazzo, a pochi metri dal fragoroso turbinio delle acque.
Ma questo alle varie Edison, A2A, Électricité de France, Intesa San Paolo, Unicredit, Crédit Immobilier de France, Cariparma Crédit Agricole non interessa un accidente.

Alberto C. Steiner

Natale in Valsesia: Venite adoremus, il Botteghin Gesù

Ho un legame particolare con la Valsesia per avervi trascorso anni, durante l’adolescenza. Sono inoltre un fautore del trasporto ecosostenibile, in particolare di quello ferroviario.
Per queste ragioni un amico mi ha girato la notizia pubblicata dal quotidiano La Stampa il 27 corrente: Varallo, sotto l’albero c’è il treno.CC 2015.11.28 Varallo 002Il sommario declama: “La linea torna a vivere per Natale, a partire dal 13 dicembre” ma, leggendo il pezzo a firma Maria Cuscela, è scritto chiaramente che la ferrovia tornerà a vivere il 13 dicembre. Segue il programma dettagliato del treno storico a vapore che partirà da Milano Centrale all’ora tale per poi fermare a Novara, Vignale, Briona, Fara, Sizzano, Ghemme, Romagnano, Grignasco, Borgosesia, Quarona e arrivo a Varallo all’ora X per ripartire all’ora Y. Il biglietto, oltre al viaggio in treno, comprende la degustazione di prodotti tipici e la salita al Sacro Monte in funivia.
A Varallo, rende inoltre noto il sindaco nell’articolo, sono allestiti mercatini natalizi ed una pista di pattinaggio sul ghiaccio. Insomma, una marchetta.CC 2015.11.28 Varallo 001Per chi non la conoscesse, la realtà è che quella ferrovia – inaugurata l’11 aprile 1886 – è stata chiusa al traffico viaggiatori nel settembre 2014 nel quadro di quella macelleria messicana altrimenti chiamata intervento di risanamento che ha visto il Piemonte sbarazzarsi di oltre un terzo delle proprie ferrovie locali. Il Cuneese, in particolare, ha subito una vera mattanza. Tornando alla nostra linea, per un certo periodo i pendolari che da Varallo dovevano recarsi verso Novara non ebbero a disposizione neanche gli autobus.
Ma nel maggio scorso un treno storico apparve all’orizzonte, lanciando il proverbiale fil di fumo come nella Butterfly: era organizzato da Fondazione FS in occasione di Expo 2015.CC 2015.11.28 Varallo 003Infatti proprio Fondazione FS vorrebbe ripristinare la ferrovia. Attenzione: per soli fini turistici. Per arrivare a questo, dopo che sono stati spesi fior di denari pubblici per il completo rifacimento della ferrovia avvenuto nel 2012, si sono ridotte le corse, il servizio è stato sospeso e poi ripreso con un orario dissennato che non teneva conto di eventuali coincidenze a Novara, si è dapprima ridotto e poi soppresso il servizio nei giorni festivi.
È una tattica ben nota nel mondo dei trasporti: si crea scontento e disinformazione, si allontana l’utenza – che non ritiene più il servizio affidabile – e si giustifica così l’esiguo numero dei viaggiatori come pretesto per sopprimere la ferrovia. E spesso trasformarla in pista ciclabile.
In questo caso Fondazione FS, che ha raccolto un certo numero di rotabili d’epoca e gestisce (in modo pessimo) il Museo Ferroviario Nazionale, ambisce evidentemente la linea per le sue caratteristiche ambientali e paesaggistiche che ne farebbero un ottimo scenario per treni turistici: della polenta, delle castagne, di questa e quella sagra. Tutta roba che fa cassetta con buona pace della cultura vera e del rispetto del territorio.CC 2015.11.28 Varallo 004Ma quello che interessa qui rimarcare è come viene distorta una notizia: un evento legato a puro marketing spacciato come il rifiorire di una linea ferroviaria. E non c’è solo questo: c’è la fossa comune pronta ad accogliere tutte le chiacchiere sull’ecosostenibilità, sull’attenzione, sul ruolo imprescindibile, sul rilancio del trasporto ferroviario. Meno inquinante e costoso, e indiscutibilmente più veloce, rispetto a quello pubblico su gomma che sulle relazioni non urbane deve necessariamente condividere lo spazio con i veicoli privati.

Alberto C. Steiner

764 -1 Bolzano: i numeri della speranza e del rispetto

Roma Termini, ore 23:00 di una sera qualsiasi: al binario 1 è pronto alla partenza l’Intercity Notte 764 che arriverà a Bolzano il mattino successivo alle 08:05 (qui un filmato della partenza da Roma).
Composto da cinque vetture a cuccette e da una con letti, fino a qualche mese fa era gremito da migranti e profughi che hanno una meta: la Germania. Oggi sono solo cinquanta, cento ogni volta.CC 2015.11.23 Bolzano 004Per queste persone la Germania non è una connotazione geografica o politica ma un’idea: “Germany, we go to Germany”, ripetono ossessivamente in tono serio, determinato, curioso con lo sguardo di chi ne ha viste troppe, ma nel contempo da prede braccate timorose degli inevitabili controlli della polizia che normalmente scorta il treno.
Non sanno bene com’è la Germania, come funziona la domanda d’asilo, che leggi troveranno ad aspettarli, dove dormiranno. Eppure il loro obiettivo è un chiodo fisso.
Arrivano mentre Bolzano, circondata dai monti color muschio, è avvolta da una nebbiolina grigia e lattiginosa. Scendono dal treno lentamente, a piccoli gruppi, e vengono, letteralmente, presi per mano da persone di ogni età che indossano una pettorina azzurra con scritte in inglese ed arabo: sono i volontari dell’Associazione Volontarius Binario 1 che porgono loro spazzolini da denti, sapone, salviette rinfrescanti, biscotti, scatolette di tonno, pane, frutta e acqua, latte, caffè, the o li accompagnano nella piccola infermeria o presso il minuscolo magazzino che custodisce abiti.CC 2015.11.23 Bolzano 002“Ogni giorno ne arrivano circa cinquanta, qualche mese fa ne arrivavano anche cento, centoventi”, spiega Luca De Marchi dell’associazione.
La polizia osserva a distanza e lascia fare, specialmente da quando le Ferrovie hanno concesso all’associazione l’uso di alcuni locali.
Questi volontari sono gente comune, una maggioranza silenziosa che si ribella a chi semina odio e paura dai giornali e dalle poltrone dei talk show, che non si sente rappresentata dalla politica, ma che di fatto fa le veci dello stato. Fanno quello che è giusto, e lo fanno bene.
È un servizio di assistenza a tutti gli effetti, completamente finanziato da privati cittadini, testimoni di un’immensa e spontanea solidarietà che si sono organizzati in turni, arrivano con spesa, soldi, vestiti,medicine, giocattoli per i bambini.
I migranti più impazienti, dopo essersi rifocillati, tornano immediatamente sui binari: il regionale 20710 per Brennero parte alle 09:01; gli altri sostano alla stazione per qualche ora prima di ripartire.CC 2015.11.23 Bolzano 001Il quotidiano locale Alto Adige tiene ossessivamente la conta degli arrivi, non mancando di evidenziare l’impiego delle forze di polizia, riferire di tensioni o risse, di gente che vaga per la città. Ma non può non scrivere anche della collaborazione ormai fissa prestata da Croce Rossa, Caritas e San Vincenzo, dei corsi di formazione istituiti in città per fornire informazioni di base, e persino di un concerto organizzato recentemente.
Tutto qui, un fatto semplice, una notizia che non viene diffusa a livello nazionale perché potrebbe interferire con il marketing della paura e sulla quale, in chiusura, propongo questo breve filmato pubblicato su Youtube da Video33video.

Alberto C. Steiner

Che paese meraviglioso l’India! ma com’è amaro questo the…

L’India, il paese che esercita tuttora un incredibile appeal sui rottami del ’68, anche se costoro in quegli anni formidabili si pisciavano ancora nei pannolini o stavano decidendo se reincarnarsi o meno.
L’India, il paese della spiritualità, della meditazione, degli Ashram per occidentali, dei guru, dei maestri, degli illuminati e degli Swami Quacquarapanda.
Harrods, la catena di distribuzione del Regno Unito, ha tolto dagli scaffali alcuni marchi di tè e, tra questi, Lipton, Twining’s, Tetley e persino l’ecosolidalbiobau Rainforest Alliance, quello identificato con il logo della rana e che dovrebbe garantire condizioni produttive controllate.CC 2015.11.23 The India 001Come mai, si chiederanno i nostri piccoli lettori, specialmente quelli che ci accusano di parlare di india (minuscolo, errore di dirigibiritazione…) solo in riferimento ai trogloditi?
Un’inchiesta di Justin Rowlatt della BBC – leggibile qui sul sito dov’è pubblicato anche un interessante filmato – prova anzitutto l’abituale ricorso al lavoro minorile.
Ma, quel che – come se non bastasse – è ancora peggio è che questi marchi, dopo aver affermato pubblicamente che lavorano per migliorare le piantagioni di tè indiane, favoriscono in nome del profitto attività pericolose e in generale condizioni di lavoro disgustose e degradanti.
Abitazioni miserabili, servizi igienici disastrosi, massiccio ricorso ai pesticidi, stipendi così bassi da non garantire neppure un nutrimento sufficiente, nessun tipo di assistenza normativa o sanitaria, ricatti e sparizioni di chi aLza troppo la cresta per rivendicare i propri diritti.
Colpa delle multinazionali imperialiste, rasiste e fasiste? Sicuramente, specialmente da quando l’India ha conquistato l’indipendenza dal giogo britannico nel 1947 ed oggi, insieme con la Cina, è una delle protagoniste del land grabbing (letteralmente: rapina del suolo) nel continente africano, come scrivemmo nell’articolo Land grabbing e vergini dai candidi manti pubblicato su queste pagine il 29 novembre 2013 e leggibile qui.
In margine a questo articolo segnaliamo infine: Bruciati vivi due padroni di piantagioni in India, Dipendendenti inferociti per i mancati stipendi pubblicato il 26 dicembre 2012 da Lettera 43 e leggibile qui.

Alberto C. Steiner