Nella centralissima zona Magenta, a Milano, a pochi passi dalla basilica di Sant’Ambrogio, esiste un luogo pensato per 800 coperti, ma che ogni giorno riesce invece ad allestirne 1.500. Ma non è il ristorante di un elegante resort, è il carcere di San Vittore.
Alcuni attrezzi di cucina non sono ammessi, compresi i coltelli che vengono spesso ricavati dai coperchi delle scatolette di tonno ed altre conserve e l’inventiva la fa da padrona. L’approntamento dei forni o dei frigoriferi, per esempio, costituiscono apoteosi di creatività.
Il carcere, dove non si butta via niente perché tutto serve, come paradigma del riciclo: di cibo e di oggetti.
Un libro molto più utile all’ecosostenibilità e, in una babilonia di odori, sapori e culture, all’integrazione culturale di quanto non lo siano certi testi dell’alternativa patinata.
Temo che il libro, che ha persino un premio attribuito da una giuria presieduta da umberto Eco, sia ormai introvabile: ho avuto l’opportunità di leggerlo perché me lo ha prestato un amico e… prefazione di Renato Vallanzasca, mica pizza e fichi.
Lorenzo Pozzi