La ricetta contro lo spopolamento dei piccoli borghi? La banda larga. Parola di Legambiente.

Un recentissimo dossier di Legambiente lo definisce disagio insediativo riferendosi a quelli che stanno sempre più diventando comuni fantasma: 2.430 secondo le stime dell’associazione ambientalista, piccoli borghi dove un cittadino su 7 è andato via e ci sono due anziani per ogni giovane, una casa su tre vuota.Castello TorrechiaraPer corroborare la propria tesi che, almeno per quanto ci riguarda, è la scoperta dell’acqua calda, Legambiente infarcisce la relazione con dati numerici che, oltre a renderla leggibile con difficoltà (ma a ciò contribuiscono anche l’assoluta mancanza di scorrevolezza del testo e l’utilizzo di una lingua che assomiglia soltanto all’italiano) spesso fuori contesto e che si contraddicono fra loro. Eccone un esempio: «Due anziani per ogni giovane, una casa su tre vuota, 36 abitanti per ogni chilometro quadrato, un ragazzo su sette che è scappato altrove: ecco perché rischiano di sparire, letteralmente, 2.430 Comuni italiani. Piccoli o piccolissimi borghi, spesso incantevoli, che soffrono di forte disagio demografico ed economico. Pur avendo bellezze e caratteristiche uniche che potrebbero renderli attraenti dal punto di vista turistico, infatti, mancano di servizi, e così l’ospitalità ricettiva è cresciuta appena del 21% negli ultimi 25 anni, passando da 1,12 milioni di posti letto a 1,36. Per capirci, mentre le presenze turistiche aumentavano del 15% in questi piccoli centri, in città arrivavano al 35%. Anche la popolazione straniera, pur cresciuta negli ultimi 15 anni, è rimasta inferiore del 22,1% rispetto alla media nazionale. Dato ribadito dal deficit di imprese straniere, pari a -25.6%. È come dire che l’attrattività economica e le opportunità lavorative sono mediamente inferiori.»KL Cesec CV 2014.03.12 Agriturismi 001Afferma Legambiente che mentre le città del triangolo industriale (nostra osservazione: che non esiste più da decenni), del Nord-Est (ancora nostra osservazione: dove i miracoli sono finiti da tempo), della Pianura Padana e di alcune aree marchigiane, toscane e campane crescevano consolidando la propria identità e trascinando anche i paesini dell’hinterland, il 30% dei comuni italiani, concentrati nelle aree interne dell’Appennino e del Sud – in particolare Campania, Puglia e Sicilia – nell’ultimo quarto di secolo restava al palo.
Con redditi bassi, tassi di disoccupazione alti non solo per i ragazzi tra i 20 e i 30 anni, ma anche per i 30-54enni, e una riduzione impressionante dei giovani: gli ultra 65enni in questi paesini sono aumentati dell’83% rispetto ai giovani fino a 14 anni. Se i cittadini italiani crescevano del 7%, nei piccolissimi borghi i residenti diminuivano del 6,3%, con 675 mila abitanti in meno.
Questione di condizioni ambientali? si chiede Legambiente. Non sempre, si risponde, perché se è vero che la montagna soffre, ma non dappertutto, ci sono centinaia di piccoli comuni a disagio in collina e pianura, segno che «più che le condizioni altimetriche sono le condizioni di collegamento e innervatura delle reti a governare lo sviluppo». Eccola qui la chiave di lettura: l’innervatura delle reti. Ci torneremo fra poco.KL Cesec CV 2014.03.16 Agrinido 001Come evitare che questi comuni diventino paesi fantasma? E pronta, l’associazione ambientaiola, fornisce la risposta:
Anzitutto sfruttando le opportunità residenziali, perché «Se solo un quarto delle 500 mila abitazioni non utilizzate lo fossero, potremmo addirittura ospitare fino a 1,5 milioni di nuovi cittadini, e se solo un quarto dei posti letto fossero utilizzati secondo le medie urbane, il turismo creerebbe benessere diffuso: 123 milioni di presenze ogni anno, un fatturato di quasi 10 milioni di euro con oltre 300 mila nuovi posti di lavoro».
Perfetto, e ci siamo costruiti un’identità disneyana di santi, navigatori, ristoratori, barman e camerieri.
E conseguentemente valorizzando l’agricoltura: «Se solo un quarto delle superfici agricole abbandonate negli ultimi 20 anni fosse riutilizzato, potremmo avere oltre 125mila nuove aziende agricole, con una media di 12 ettari ognuna» vale a dire 1.500.000 ettari complessivi, vale a dire 15.000 km2, insomma un po’ più della Calabria (15.221,90) e un po’ meno del Lazio (17.232,29). Non male, considerando che l’intera superficie italiana è pari a 302.072,84 km2.
E tutto questo grazie alle nuove forze di giovani laboriosi e capaci, «che scelgano di andare o tornare a vivere in posti molto più salutari, genuini, belli e semplici, potendo nello stesso tempo svolgere il proprio lavoro da casa, grazie a reti internet veloci e smartworking.» Insomma, parliamoci chiaro, qui non servono bamboccioni.
Ma occhio all’incongruenza, sostanziata da quel: svolgere il lavoro da casa grazie a reti internet veloci e smartworking. Spiegateci, cari ambientazionalisti: ma questi giovani vanno a recuperare le terre abbandonate per svolgervi attività agricola o cosa? E se svolgono attività agricola è ovvio che “lavorano da casa”, come è altrettanto ovvio che una rete internet veloce fa comodo ma non è un imprescindibile strumento per pacciamare, spollonare, mungere capre o voltare fieno. E la campagna è proprio il posto meno adatto per pensare ad uno “smart”working. C’è il working, e basta e avanza.CC 2016.06.09 Smartworking 001Ed ecco che Legambiente tira fuori la soluzione, corroborata da una proposta di legge a cura del piddino Ermete Realacci, attualmente in discussione alle Commissioni riunite Ambiente, Territorio e Lavori Pubblici e Bilancio della Camera. Dichiara il parlamentare: «L’intenzione è di approvare questa proposta di legge per andare presto in Aula; è una legge su cui con Legambiente lavoriamo da tempo anche con la campagna Voler Bene all’Italia.»
Tra le misure principali del provvedimento la diffusione della banda larga e misure di sostegno per l’artigianato digitale (lo vogliamo vedere l’artigianato digitale: i bit fatti a mano uno per uno con materiali ecocompatibili, magari da portatori di disagio sociale? Chissà…).
Naturalmente il disegno di legge parla anche di semplificazione per il recupero dei centri storici in abbandono o a rischio spopolamento, al fine di convertirli “anche” in alberghi diffusi (attenzione: “anche”); di interventi di manutenzione del territorio con priorità alla tutela dell’ambiente; di messa in sicurezza di strade e scuole e interventi di efficientamento energetico del patrimonio edilizio pubblico, nonché di acquisizione e riqualificazione di terreni e edifici in abbandono.
Bene, evviva. E il recupero del territorio, e l’agricoltura rinata grazie ai giovani operosi? Boh…
Il nostro sospetto è che, come suol dirsi, alla fine della fiera i piccoli borghi montani e collinari potranno in primo luogo beneficiare della banda larga a spese pubbliche. E che la riqualificazione ecosostenibile del territorio passi attraverso opere di cantieristica: case, strade, edifici pubblici, alberghi diffusi presumibilmente affidati a carrozzoni cooperativi e che, vedendo ben pochi clienti, dovranno prima o poi essere sostenuti da interventi di finanza pubblica.
Che ve lo diciamo a fare: se Legambiente non esistesse bisognerebbe inventarla.

Alberto C. Steiner

Ciclabile del Garda: lei è un ecoappecorato, si informi!

Se ne parla da almeno un decennio. E anche quest’anno, potenza della primavera che reca con sè tramonti incendiati e serotini afrori di pitosfori, gardenie, limoni ed elezioni amministrative, riecco il progetto dell’anello ciclabile lungo le sponde del Benaco.CC 2016.04.22 Ciclogarda 001I 190 km del progetto originario, pur rimanendo almeno dai tempi di Cecco Beppe ineguagliato il perimetro del più grande specchio lacustre nazionale, si sono inspiegabilmente ridotti a 140. Ma i giornali non ne esplicano la ragione, esattamente come sembrano ignorare che la Provincia Autonoma di Trento e le Soprintendenze atesina e veronese bocciarono più volte il progetto, in particolare tra Malcesine e Torbole per la sua pericolosità lungo passaggi particolarmente ristretti e per l’elevato rischio idrogeologico, l’ultima di queste nel 2014. E quindi plaudono perepepè all’iniziativa, inneggiando all’incontro tenutosi a Roma il 7 aprile dopo “l’idea lanciata a Milano durante la Borsa Internazionale del Turismo a febbraio scorso” come scrivono all’unisono il Corriere della Sera, Il Giornale di Brescia, L’Arena (Agenzia Stefani, se ci sei batti un colpo…) e perfino Verona Green, e questo ci stupisce non poco poiché dall’altrimenti puntuale notiziario online che stimiamo non ce lo aspettavamo: ecologico e vegano, in questa circostanza ha adottato le fette di salame, sugli occhi.CC 2016.04.22 Ciclogarda 002Naturalmente Delrio, il ministro che si taglia con un grissino, “ha espresso la sua approvazione al progetto” garantendo che si attiverà “per la possibile concretizzazione di quest’opera che potrebbe dare grande impulso all’ecoturismo del territorio” assumendosi il “preciso impegno al recepimento dei necessari fondi statali”. Statali? Facciamo ammenda, ignoravamo che albergatori e commercianti benacensi fossero dipendenti di qualche carrozzone a partecipazione pubblica…
Perfetto, sentivamo giusto la mancanza di 70 milioni di euro forniti dallo stato… e approfittiamo per fare un po’ di conti: 140 km al costo di 70 milioni fa 500mila euro a km. E invece no, di più, perché il 60% del percorso risulterebbe già completato, si tratta solo di congiungere gli spezzoni ed uniformare l’aspetto esteriore ed i sistemi di sicurezza. Due milioni e mezzo a chilometro quindi. Non male: fatte le debite proporzioni quasi quanto una TAV. A Milano le ciclabili costano 60mila euro/km, in Liguria qualche anno di galera a certi amministratori locali, ma questo è un altro discorso. Siamo certi che sul Garda non accadrà, esattamente come siamo certi dell’esistenza della Befana.CC 2016.04.22 Ciclogarda 003E intanto gli ecocicloappecorati già intonano il peana ohcchebel-chebel-chebel: “140 km di piste ciclabili esclusivamente dedicati alle biciclette, senza precedenti in Europa e con i quali l’area gardesana potrebbe diventare con ogni titolo capitale europea del cicloturismo, con importanti ricadute anche economiche sul territorio, per il richiamo che un’infrastruttura del genere potrebbe avere sui turisti di tutto il Nordeuropa.”
Eccerto, mica sono pirla nel Nordeuropa, a casa loro costruiscono o recuperano tramvie e persino antiche ferrovie forestali a scartamento ridotto o Decauville che non infrequentemente costeggiano idilliaci laghetti e toccano villaggi immersi nei boschi.CC 2016.04.22 Ciclogarda 005CC 2016.04.22 Ciclogarda 004È da noi, nel Sud del mondo, che vengono a scorrazzare arroganti e impuniti dopo aver parcheggiato monumentali camper in parcheggi che vengono all’uopo continuamente predisposti, per incentivare l’afflusso turistico vien detto.
È da noi, nel Sud del mondo, che il più grande specchio lacustre non è servito nemmeno da un metro di binario, se si escludono le stazioni di Desenzano e Peschiera lungo la Milano-Venezia, e chiunque conosca almeno un po’ il Garda sa quale incubo siano la Gardesana occidentale ed orientale, specialmente se percorse nei fine settimana o d’estate. E dire che in passato il Garda poteva avvalersi di una efficiente rete di trasporti su rotaia: la ferrovia Mori-Arco-Riva, chiusa all’esercizio nel 1936, la tranvia Brescia-Salò, soppressa nel 1954, la ferrovia Verona-Caprino-Garda smantellata a partire dal 1959, la ferrovia Mantova-Peschiera cessata nel 1967 e persino il breve tratto da Desenzano a Desenzano Porto, dismesso nel 1969.
Di più, tenendo conto del fatto che l’ampiezza delle due Gardesane è quella che è, e salvo varianti che escludono gli abitati non è ampliabile per la presenza degli edifici (alcuni dei quali sono anzi stati rastremati per permettere il transito nei centri urbani di mezzi pesanti ed autobus) la ciclabile correrà lungo le rive. Dove? In commistione con le aree pedonali, naturalmente. Addirittura, secondo i primi abbozzi del progetto, verranno realizzati tratti a sbalzo, vale a dire sospesi sull’acqua, proprio per sopperire alla carenza di spazio.
Ma, e qui viene il bello, gli standard di sicurezza prevedono che la platea ciclabile sia riservata e fisicamente protetta con apposite transenne, nelle quali verranno ricavati dei varchi di attraversamento muniti di cancelletto girevole od altri accorgimenti ogni tot decine di metri, quando non addirittura sottopassi. Detto in altri termini: una barriera invalicabile di asfalto e metallo che toglierà spazio pedonale, modificherà l’impatto visivo e costerà un botto.
E chissà se, come già accade con certi appezzamenti, circoli, complessi residenziali o locali che dovrebbero essere pubblici, vedremo affissi cartelli con la scritta parcheggio bici vietato agli italiani…
Bene, mentre al Brennero camper e suv con o senza roulottes stanno scaldando i motori in attesa di calare sul Garda noi continuiamo ad osannare il cicloturismo d’assalto spacciandolo come ecologico, in particolare quello che usurpa le sedi ferroviarie dismesse, che da sede di un trasporto al servizio della collettività assumono il ruolo di giocattolo ecochic. Quel cicloturismo che fatte le debite proporzioni è ecologico come la caccia, perché come la caccia ammorba l’ambiente e crea non di rado rischi anche mortali assicurando però un indotto che fattura milioni di euro.

Alberto C. Steiner