CESEC, Centro Studi Ecosostenibili: chi siamo

Per una volta parliamo di noi, spendendo solo poche parole. Anzitutto siamo una microstruttura, perché l’interlocutore abbia risposte immediate e certe direttamente da chi possiede le facoltà decisionali. Questo ci consente la massima efficacia.CC 2016.06.28 Chi siamoProgettiamo il recupero strutturale e funzionale di realtà territoriali dismesse e, più in particolare, in stato di pregiudizio finanziario: aziende agricole, terreni, edifici rurali, borghi abbandonati per riportarli a nuova vita impiantandovi attività agrosilvopastorali, di trasformazione agroalimentare, artigianali, ricettive, didattiche, residenziali attuate preferibilmente secondo la formula del cohousing. Crediamo nella comunità ma non nella comune.
Attenti al rispetto del territorio ed alle sue tradizioni, relativamente ai recuperi edilizi poniamo particolare cura nell’utilizzo di materiali locali e naturali quali, per esempio, paglia e terra cruda, calce e pozzolana, beole, carpenterie in legno ed infissi e serramenti certificati non trattati con agenti chimici.
Attenti all’impatto ambientale privilegiamo l’utilizzo di energie a bassa intensità e rinnovabili: fotovoltaica e idraulica, recupero delle acque piovane e riutilizzo di quelle domestiche, minimizzazione degli sprechi anche attraverso il riutilizzo dei rifiuti.
Ove possibile tendiamo a non installare impianti di riscaldamento, diversamente ci atteniamo alle specifiche note come KlimaHaus, fissate originariamente dalla Provincia di Bolzano con il DPGP 34 del 29 settembre 2004 e che fissano in Classe A un valore di fabbisogno energetico per riscaldare efficacemente per un anno la superficie di 1 m² ≤30 kWh/m²a (parametrate a 3 litri/m² di gasolio), e in Classe Gold ≤10 kWh/m²a (1 litro/m²).
Attenti alle istanze sociali tendiamo ad insediare, nelle strutture oggetto di recupero, quote residenziali e lavorative destinate a soggetti deboli o portatori di disagio sociale, non come attività caritativa bensì creando realtà in grado di autoalimentarsi finanziariamente.
Crediamo che l’ecosostenibilità e l’iniziativa privata possano sostenersi vicendevolmente e che siano anzi maggiormente efficaci senza etichette o sponsor politici; per tale ragione la nostra attività si sviluppa preferibilmente grazie al ricorso a risorse finanziarie private: business angels e investitori ai quali, nel medio periodo, siamo in grado di riconoscere remunerazioni adeguate.
La nostra esperienza lavorativa specifica data da oltre un ventennio e attraverso le nostre sedi operative di Milano e Verona siamo attivi nel Nord e Centro Italia.

Alberto C. Steiner

Ecososteniblità dell’anima: servono ingegneri per progettare sogni

Ha scritto Franco Arminio, nel suo Geografia commossa dell’Italia interna: “Abbiamo bisogno di contadini, di poeti, di gente che sa fare il pane, di gente che ama gli alberi e riconosce il vento.
Più che l’anno della crescita, ci vorrebbe l’anno dell’attenzione.
Attenzione a chi cade, attenzione al sole che nasce e che muore, attenzione ai ragazzi che crescono, attenzione anche a un semplice lampione, a un muro scrostato.
Oggi essere rivoluzionari significa togliere più che aggiungere, significa rallentare più che accelerare, significa dare valore al silenzio, al buio, alla luce, alla fragilità, alla dolcezza.”CC 2014.04.30 Rinascere 001Questa frase mi ha indotto a rileggere l’articolo Solo attraverso profondi cambiamenti individuali il nostro Paese potrà rinascere, che pubblicai il 30 aprile 2014 su queste pagine (visionabile qui) poiché riconsiderandolo alla luce di mutamenti che non avvengono, di iniziative delle quali tanto si parla ma che sono costantemente al palo e di quella truffaldina bruttura dell’Expo 2015 mi è parso più che mai di viva attualità.
L’articolo nacque sulla scia di interessanti scritti pubblicati in quel periodo dal sito partner Consulenza Finanziaria argomentando di competitività estera e di malcostume delle aziende nostrane, oltre che di gestione del credito bancario.
Oggi più che mai il mondo, visto dal nostro Paese, appare immenso e pauroso perché i suoi equilibri stanno mutando ad una velocità inaudita, e nello scenario sono entrati di prepotenza nuovi protagonisti ben più grandi di noi, alterando antichi equilibri e stravolgendo gerarchie di potere che si credevano consolidate.
Questioni mai incontrate prima chiedono una soluzione, ma le opportunità di cambiamento vengono percepite come pericoli.
È già accaduto: per provincialismo, miopia e furbizia, quando non malafede, degli attori politici ed imprenditoriali nostrani l’Italia è arrivata impreparata alle grandi svolte, perdendo tempo prezioso. Ed anche oggi, se non saremo pronti ad intuire gli scenari del futuro, se non sapremo valutare la direzione del cambiamento nelle tendenze di lungo periodo, rischieremo di prendere una volta di più le decisioni sbagliate. Pagandole a caro prezzo.
Basti pensare che invasione è il termine più usato dagli attuali predicatori dell’Apocalisse: invasione di immigrati clandestini, di prodotti cinesi, di capitali stranieri che ci colonizzano. E non ci accorgiamo che tutto ciò che temiamo è in realtà già accaduto.
Intendiamoci: di fronte ad ogni cambiamento la paura è legittima perché le grandi novità spaventano, possono nascondere delle incognite ed il riflesso automatico ingenera un meccanismo di difesa. Oppure nega il cambiamento.
Per comprendere qualsiasi accadimento attribuendogli l’esatta misura è indispensabile non solo mutare prospettiva, ma anche osservare con distacco come l’oggetto delle nostre attenzioni risuoni dentro di noi comprendendo quali nodi da sciogliere e persino quali antiche ferite faccia vibrare. Solo così è possibile identificare la natura dei presunti pericoli che ci minacciano, stabilire se il modo per difenderci sia l’attacco – che non sempre è la miglior difesa – oppure il lasciarci morbidamente andare, per vincere la sfida senza accontentarci semplicemente di limitare i danni. Vale a dire per vivere piuttosto che accontentarci di sopravvivere.
Esistono anche da noi imprenditori illuminati: sono quelli che spesso non fanno notizia e che insieme con i più attenti osservatori possono tentare di rispondere con sano pragmatismo alle domande offrendo punti di vista nuovi e proprio per questo rivoluzionari.
Ma le scelte da fare non riguardano solo governi, classi imprenditoriali e dirigenti bensì primariamente la vita quotidiana di tutti noi: nel segno di un’Energia nuova e pulita sono tante le riforme dal basso che ciascuno di noi può avviare da subito, e costituiscono un antidoto alla lagnanza, alla rassegnazione, al senso di impotenza che non è mai nelle cose ma dentro di noi. Sono quell’impotenza, quella rassegnazione che respiriamo oggi in Italia nell’attesa sempre delusa di grandi cambiamenti, svolte, catarsi collettive, rinascite nazionali. Che dovrebbe essere sempre qualcun altro ad attuare.
Siamo invece noi che con maturata consapevolezza, impegno civile, consumi responsabili, dobbiamo incamminarci alla ricerca del nostro destino per costruire il nostro futuro. Detto in altri termini: è solo attraverso una profonda revisione dei nostri modelli produttivi, di consumo, sociali, interiori che possiamo agire per scuotere i sistemi politico e produttivo.
Ma se continuiamo a lamentarci attribuendo a chicchessia la responsabilità dei nostri fallimenti e del nostro non andare avanti, non solo resteremo al palo, ma inevitabilmente ci attende una regressione: economica, sociale, delle coscienze, intellettiva.Cesec-CondiVivere-2014.10.07-Medioevo-prossimo-venturoNon ci sono alternative: o ci risvegliamo dal sonno aprendoci ad un nuovo approccio alla qualità della vita, che presupponga un mondo nel quale il punto di riferimento non sia più il pil bensì la decrescita più o meno felice, o siamo dei morti che vagano in paesi dei balocchi, in realtà cimiteri alla portata di chiunque abbia occhi per vedere e cuore per sentire: autobus e metropolitane, centri commerciali, installazioni pseudoculturali di plastica.
Si dice che un intento individuale e decentrato non possa nulla ma non è affatto vero: dai gesti che ciascuno di noi compie ogni giorno possono nascere gli innumerevoli stimoli destinati a mutare il gradiente energetico in grado di sospingere il nostro Paese, e le nostre anime, verso l’ormai indifferibile cambiamento.Cesec-CondiVivere 2014.10.17 Appennino modenese vista suggestivaAltrimenti ci attende quello che da anni chiamo il medioevo prossimo venturo, che non considero una calamità ma un’opportunità ed al quale mi sto felicemente preparando attraverso la progettazione ecosostenibile di luoghi destinati ad accogliere piccole comunità il più possibile autosufficienti.

Alberto C. Steiner

L’Africa morirà. Questo come la fa sentire? Non colpevole.

Accade di parlare della devastazione di cui sono preda i paesi del Sud del mondo e, inevitabilmente, il discorso vira puntando ai sensi di colpa che attanaglia certi occidentali: colpa nostra se sono ridotti così, li abbiamo per secoli colonizzati, sfruttati, ridotti in schiavitù.Cesec-CondiVivere 2014.12.06 Africa 001Per quanto mi riguarda mi dichiaro non colpevole. Penso anzi che per certi aspetti l’epoca delle colonie fu migliore di quella attuale, almeno le cose erano chiare e non esistevano democrazie di paglia, in realtà feudo di satrapi locali fantocci rapaci e feroci nelle mani di istituzioni finanziarie internazionali. Meglio ancora se li avessero lasciati in pace, ma questo è un altro discorso.
Oggi assistiamo ad una nuova colonizzazione di quei paesi, perpetrata da paesi che furono a loro volta colonizzati: e trattasi di una colonizzazione senza né pudore né ritegno, che va sotto il nome di land grabbing.Cesec-CondiVivere 2014.12.06 Land grabbingE la finanza dai denti a sciabola, indossato il vestitino ecosostenibile nonché solidale per non lasciarsi sfuggire il pallino e il boccone, ci marcia. Lanciando social impact investment, massiccie campagne di fund raising e via enumerando. Della serie: der Wolf, das Haar verliert… Non mi dilungo, ne ho scritto esaustivamente il 29 novembre 2013 nell’articolo Land Grabbing e vergini dai candidi manti dove, chi avrà voglia di leggerlo, ҄troverà illuminanti considerazioni sul povero negretto espresse da un amico di origine centroafricana, presidente di un’associazione che tenta di dare una mano alle popolazioni dell’Africa più povera.
E vengo al punto. Serge Latouche, avversario tra i più noti dell’occidentalizzazione del pianeta e sostenitore della decrescita e del localismo, racconta nelle sue memorie che un giorno un’anziana donna del Benin gli chiese: “Ma quando tornate voi francesi?” a significare che il paradosso africano seguiterà a congiungersi tragicamente a quello occidentale fintanto che la cultura occidentale si manterrà solo grazie al desiderio del resto del mondo di entrare a farne parte.Cesec-CondiVivere 2014.12.06 Africa 002Un progetto globale di socetà autonoma e fondata sulla decrescita deve ormai interessare anche i Paesi del Sud del mondo, considerato che oggi siamo di fronte all’evidenza di quanto Albert Tévoédjrè denunciò già nel 1978 nel volume La povertà, ricchezza dei popoli: l’assurdità del mimetismo culturale e industriale, i falsi bisogni, l’assenza di misura della società della crescita, la disumanizzazione dei rapporti sociali dominati dal denaro, la distruzione dell’ambiente elogiando nel contempo la sobrietà dell’autoproduzione delle piccole comunità tradizionali, come quella africana da lui ben conosciuta.
L’auto-organizzazione degli esclusi dalla modernità costituisce un esempio di costruzione di società autonoma, ed economa, in condizioni di infinita precarietà, che non deve quasi nulla alle élite locali. Un’alternativa autentica, costretta suo malgrado a subire la persistente minaccia di una globalizzazione arrogante e bellicosa.Cesec-CondiVivere 2014.12.06 Africa 003Dopo aver corrotto l’Africa ufficiale, la colonizzazione dell’immaginario minaccia sempre più anche quell’altra: media internazionali, radio, televisione, internet, finanza assistenzialista erodono la coesione sociale al punto che – ancora oggi – i paradisi posticci del Nord del mondo appaiono ai giovani ben più appetibili rispetto al loro inferno locale.
L’invasione di beni di consumo cinesi a prezzi stracciati mette anche qui in crisi quegli artigiani del riciclo che avevano battuto la concorrenza delle esportazioni europee, mentre i processi di emulazione minano la solidarietà che cementava l’universo alternativo.
E infine: macchine scassate, telefonini fuori uso, computer riciclati, rifiuti di ogni sorta dell’Occidente. Una società dei consumi di seconda mano che come un cancro divora le esistenze, segnata da un inquinamento dilagante senza né misura né ritegno. Chi in queste condizioni non sarebbe incazzato e divorato dal desiderio di rivalsa?
E tutto questo senza abdicare a quanto scrissi su queste stesse pagine il 14 marzo scorso nell’articolo intitolato Africa: quando i regali sono inutili.
L’unica speranza rimane la crisi in atto: che colpisca definitivamente i paesi del Nord, in tempo per lasciare al resto del mondo un po’ di speranza.
Certo, noi Occidentali non andremo più in vacanza alle Seychelles. Del resto già oggi è sempre più difficile andarci alle condizioni che ci siamo imposti nell’età dell’oro del consumismo chilometrico, che appartiene ormai al passato.
Chi si ricorda più di quando il compassato Financial Times sottotitolò Il turismo sarà considerato sempre più il nemico pubblico numero uno dell’ambiente l’articolo Welcome to the age of less a firma di Richard Tomkins pubblicato il 10 novembre 2006? Accadde allorché Richard Branson, fondatore di Virgin, lanciò l’idea dei viaggi turistici spaziali.
Che il gusto di viaggiare e il desiderio di avventura siano parte dell’animo umano va benissimo. Costituiscono una fonte di arricchimento che non deve inaridirsi, ma la curiosità legittima e il desiderio di conoscenza si sono trasformati in consumo commerciale e distruttivo dell’ambiente, della cultura e del tessuto sociale dei paesi target dell’industria turistica. Oggi qualsiasi bifolco, purché possa permetterselo, può andare ovunque e tornare sentenziando “ho fatto” lo Yucatan, piuttosto che lo Yemen o il Chenesò senza aver visto altro che il resort nel quale era confinato e il paesaggio dal finestrino del Land Cruiser che lo porta spot da qualche parte, può ammorbare vicini, conoscenti e amici con i propri inutili selfies, senza aver compreso un accidente del luogo che non ha visitato, e non lasciare nulla di suo, tranne qualche dollaro di elemosina in mance, acquisti di paccottiglia o, nei casi peggiori, uso sessuale di minorenni.
La mania di spostarsi sempre più lontano, sempre più rapidamente, sempre più spesso, e spendendo sempre meno, questo bisogno in gran parte artificiale indotto dal nulla, esacerbato dai media, sollecitato dai tour operator e da tutto l’indotto della macchina turistica deve essere ridimensionato.
Essendo di rapina, questo turismo non è rispettoso dei paesi visitati e dei loro abitanti, e non è assolutamente vero che costituisca un aiuto: per ogni 1.000 Euro spesi per una vacanza solo poco più di 150 rimangono nel paese ospite.
In futuro, anzi già sta accadendo ora, la penuria di risorse energetiche ed economiche, i cambiamenti climatici, le tensioni politiche e sociali ci imporranno di viaggiare sempre meno lontano, meno spesso e meno rapidamente. E a prezzi sempre più alti.
In realtà la prospettiva è drammatica solo per chi deve colmare il vuoto e il disincanto indotti da chi tenta di farci vivere sempre più virtualmente, viaggiando però concretamente a spese del pianeta.Cesec-CondiVivere 2014.12.06 Africa 004Forse è arrivato il momento di riappropriarci della saggezza. Ma come sempre 90/10: ci sarà chi soccomberà e chi no.
Intendiamoci, non sono un Templare della Decrescita, però possiedo una grave limitazione: penso. Oltretutto con la mia testa, e non mi importa il classico accidente se le mie opinioni, e soprattutto il mio sentire, sono fuori dal coro. Anzi.
In ogni caso non mi piacciono i fervorini annegati nella melassa dello sviluppo sostenibile, che denunciano la frenesia delle attività umane o l’imballarsi del macchinario del progresso del quale, se sicuramente non siamo il motore, siamo però gli ingranaggi e perfino i lubrificatori e gli addetti al rifornimento.
Andremo a sbattere contro il muro, prima o poi, ed io sinceramente spero più prima che poi, in modo che questo Moloch criminale e criminogeno vada in pezzi. Così potremo, con qualche utile frammento recuperato, ricostruire un mondo veramente sostenibile. Fino alla prossima volta.
Oggi ci vengono proposti obbrobri come lo sviluppo sostenibile, continuamente invocati in modo incantatorio e che mi sono stancato di chiamare ossimori ma ai quali preferisco attribuire il nome che meritano: truffe, per convincerce del cambiamento in corso attraverso una rottura tranquilla, utile solo a mascherare il non cambiamento. Per mantenere intonsi i profitti, evitare il mutare delle abitudini e cambiare rotta di pochi gradi, giusto per far vedere ai crocieristi che la scia si è modificata, mentre il pianista nel salone delle feste strimpella con sempre maggiore fervore.
Forse la verità è che si preoccupano per noi e non vogliono renderci infelici… E invece sarebbe una gran cura, addirittura la migliore delle cure possibili: una bella stramusata di realtà che ci metta una volta per tutte di fronte alla fatica di vivere, allo specchio dove riflettere tutta l’inutilità dei giocattolini dei quali ci circondiamo per compensare l’orrore del vuoto, il terrore del silenzio.

Alberto C. Steiner

Scelgo il concubinaggio!

Chi so io è appena partita per l’Olandia e, accompagnandola in aeroporto, ho provato un’insopprimibile pulsione, che mi accomuna ad innumerevoli italici maschi: vado a caccia di femmine.
Con alcune particolarità. Anzitutto devono essere quattro. E poi non ho voglia di una botta e via, perciò le ospiterò a casa mia il più a lungo possibile.Cesec-CondiVivere 2014.12.01 Galline spazzine 003Le nutrirò con scarti e avanzi di cucina ma non fraintendetemi, non sono né un micragnoso Scrooge né un cultore del sadomaso. Disporranno anzi di una casetta tutta per loro, una sorta di minuscolo gineceo, munito di ogni confort compatibilmente con il loro status.
Certo, pur non essendo affatto schiavo del giudizio altrui mi rendo conto di come non sia forse opportuno farmi vedere a passeggio con loro lungo la via principale della città dove risiedo, ma un modo perché non restino perennemente rinchiuse in casa e possano anzi praticare un po’ di moto lo escogiterò.
Presterò loro la più adeguata assistenza sanitaria ove necessario, ma ammetto che quanto ai temi culturali ho deciso di soprassedere: in fondo quest҄o genere di femmine ha pur sempre un cervello da gallina.
Non sono un santo, ed è quindi ovvio che mi aspetto qualcosa in cambio… infatti mi aspetto che le mie attenzioni siano ricompensate, possibilmente ogni giorno, con qualche uovo fresco.le uova nel nido In ogni caso avrò risolto una questione che trovo sempre più fastidiosa: la raccolta dell’umido.
Ormai viviamo in un mondo di ossimori. Tra questi il commercio equo e il prezzo giusto, senza dimenticare lo sviluppo sostenibile e l’associazione delle imprese umane. Ma, come nei famosi misteri goliardici, si contemplano imprese quasi sempre disumane, commerci iniqui, prezzi indifferenti alla giustizia e naturalmente sviluppo insostenibile, che costituisce un’autentica impostura, una presa in giro persino mentre utilizzi gli orinatoi lungo le autostrade o nei centri commerciali: “questo pisciatoio contribuisce allo sviluppo sostenibile“.
Di questa e di altre consimili menzogne ho parlato più volte su queste pagine, e pure l’argomento che sto, brevemente, per affrontare non è nuovo alla mia penna: in modo ben più esaustivo venne affrontato il 3 gennaio scorso nell’aricolo Contro la fame… a Natale 440mila tonnellate di cibo nella spazzatura che qui richiamo brevemente, giusto per ricordare che nel 2013, tra natale e capodanno, noi italiani abbiamo buttato nella spazzatura 440mila tonnellate di cibo.
Nonostante l’imperante crisi, che spesso serve solo a riempire certe bocche di parole inutili e di luoghi comuni, il periodo natalizio è quello in cui si spreca di più rispetto al resto dell’anno, e mi dà fastidio pensare a quanti potrebbero beneficiare di quel cibo, che fa parte a pieno titolo di quel 30 per cento che a livello mondiale viene perduto, considerando che quasi 900 milioni di persone soffrono, letteralmente, la fame e che i 26,4 milioni di famiglie italiane hanno buttato letteralmente nell’immondizia l’equivalente di 50 euro ciascuna, per un totale di 1,32 miliardi di euro.
Ma, pur attraverso una maggiore consapevolezza, la questione degli scarti alimentari permarrebbe. Ed ecco entrare in gioco le galline concubine: ciò che buttiamo nel sacchetto dell’umido non sono solamente gli avanzi, ma anche bucce di frutta e verdura, foglie, torsoli, noccioli, ossa, cartilagini e chi più ne ha più ne metta.Cesec-CondiVivere 2014.12.01 Galline spazzine 001Sono fermamente convinto, e gli esperimenti condotti in alcune realtà locali lo dimostrano, che disporre di semplici galline, a livello individuale o di quartiere, alle quali conferire tali scarti consentirebbe un notevole guadagno persino in termini di inquinamento ambientale: un camioncino in meno per ogni quartiere che viene a prelevare l’umido, meno emissioni per lo smaltimento. In un anno una gallina mangia circa 150 chilogrammi di rifiuti alimentari domestici (pane secco, scarti di frutta e verdura, persino piccole ossa) produce 200 uova e una discreta quantità di escrementi, utilizzabili come ottimo concime, per esempio per piccoli orti privati, condominiali o di quartiere dove abbinare autoproduzione, prossimità alla Natura ed in un certo senso anche una forma di terapia anti-stress.
Senza dimenticare l’economia dello scambio che si verrebbe a creare favorendo relazioni, in una logica di decrescita, vale a dire esattamente l’opposto di un truffaldino sviluppo sostenibile. Certo in piccolo, anzi in piccolissimo. Il piccolo di ciascuno di noi, quel piccolo controllabile, quel piccolo che, proprio in quanto non è predabile dalla democrazia rappresentativa, non può essere utilizzato per ricamarvi concioni, proclami o imbonimenti. Ditemelo: sono un sognatore?

ACS

Segni particolari: Cohouser

Il cohousing è la storia di un’utopia diventata realtà. Ha a che fare con il vivere insieme condividendo spazi e servizi con i vicini di casa: lavanderia e stireria, ludoteca, biblioteca, orto, giardino, palestra, mezzi di trasporto e chi più ne ha più ne metta pur mantenendo la dimensione privata nel proprio appartamento.Cesec-CondiVivere 2014.11.21 Identikit Cohouser 001L’idea non è così nuova per chi ha vissuto la ventata degli anni a cavallo tra i Sessanta e i Settanta, ma le neotribù attuali non sono certamente formate né da nipoti dei Figli dei Fiori né da idealisti newage che praticano comunione dei beni, amore libero con chitarre e cannoni, piuttosto da un panorama eterogeneo di single giovani e meno giovani, coppie senza figli e famiglie più o meno numerose, anziani in cerca di socialità.
E non si chiamano più comune o casa collettiva ma Cohousing, che sta a significare, per l’appunto, abitare insieme in modo organizzato, vivendo in edifici pensati o recuperati per più nuclei, scegliendosi i vicini di casa.Cesec-CondiVivere 2014.11.21 Identikit Cohouser 002Si abbattono i costi fissi di alcune aree perché uso e proprietà sono ripartiti su più persone, la convivenza intergenerazionale è facilitata e sono favoriti gli scambi di vicinato.
Altro valore forte il basso impatto: gli edifici sono pensati per consumare poco o addirittura pochissimo attraverso tecniche costruttive o ricostruttive che vanno sotto la denominazione di casa clima, casa passiva, bioarchitettura.
Abitare in cohousing vuol dire molte cose, una in particolare: ritrovarsi tra persone interessate a un modo comune di concepire la vita a partire dalla dimensione quotidiana; ogni gruppo fa storia a sè e il percorso intrapreso è sempre su misura.
Il cohousing è spesso anche ecovillaggio, e tante sono le ragioni per viverci, e non certamente protesta verso il sistema, sogno romantico, utopia ma, più semplicemente, una scelta razionale motivata a dare priorità nella propria vita ad aspetti quali il senso di comunità, l’ecologia, una dimensione più spirituale.
L’idea non è né recente né innovativa trattandosi della naturale evoluzione del villaggio tradizionale, dove l’essere umano durante gran parte della sua storia ha vissuto in armonia con la natura, non consapevolmente ma in quanto ciò rappresentava l’unica possibilità. L’ecovillaggio odierno è una comunità intenzionale di persone pienamente consapevoli di vivere remando in direzione contraria alla spinta degli ultimi bagliori della società consumista e indifferente alla violenza perpetrata nei confronti della Natura. Il sentimento di appartenenza ad una comunità viene da lontano, è innato nella natura umana. Per certi aspetti, non ci stancheremo mai di dirlo, gli abitanti di un ecovillaggio si preparano ad affrontare il medioevo prossimo venturo.Cesec-CondiVivere 2014.11.21 Identikit Cohouser 004La tecnologia, l’organizzazione sociale, la nascita delle metropoli, la corsa verso il successo individuale han dato l’illusione che il nuovo essere umano non avesse più bisogno dell’appoggio di una comunità, creando la spinta verso una vita sempre più individualista e solitaria. Evoluzione ben rappresentata dall’anonimo palazzone cittadino, dove un numero svariato di vite sono rinchiuse tra queste mura, cercando una nicchia di intimità dietro spesse porte blindate di appartamenti tutti uguali, ignorando completamente l’esistenza di vicini sovente visti solo come una molestia. La vita di comunità è l’opposto, è il compromesso di vivere in un gruppo, di solito non troppo numeroso in modo che tutti i membri si conoscano personalmente.
Alcuni ecovillaggi praticano la comunione dei beni, ma la vera essenza di comunità, più che nell’ottimizzazione dei beni materiali che ovviamente è ricercata, è esaltata nell’appoggio reciproco.
Un gruppo su cui contare vuol dire migliorare la qualità di vita, per esempio attraverso la cura condivisa dei bambini, la possibilità di facilitare e rendere più attraenti lavori comunitari, la creazioni di posti di lavoro all’interno della comunità. Inoltre la vita comunitaria è un costante stimolo alla crescita personale, poiché persone a stretto contatto quotidiano sono obbligate a confrontarsi su scelte in comune, a discutere, a parlare apertamente dei problemi che invariabilmente sorgono e questo migliora la comunicazione con gli altri e con se stessi ed aiuta a vedere con più chiarezza il nostro misterioso mondo inconscio. L’armonia della vita comunitaria si ripercuote conseguentemente nella cura dell’ambiente circostante. La concezione di tutela ambientale si attua prevalentemente tentando di produrre la maggior parte del cibo che si consuma, coltivando orti vicino alle case, affidandosi a energie rinnovabili, riducendo i consumi e limitando l’utilizzo delle automobili.
Pensiamo solo ai bambini, che in un ecovillaggio possono trascorrere le giornate scorrazzando per strade prive di auto, giocando nei giardini comuni, senza necessità della miriade di giochi che popolano la vita dei bambini cresciuti negli appartamenti.
Infine la spiritualità, che racchiude aspetti controversi in quanto storicamente fraintesa con la religione. La spiritualità è ben altro: accompagna in modo naturale il rallentamento dei ritmi e il contatto con la natura, poiché il materialismo non è sufficiente a saziare l’innata curiosità dell’essere umano.Cesec-CondiVivere 2014.11.21 Identikit Cohouser 003Il movimento degli ecovillaggi, infine, si associa spesso ad altri movimenti quali la permacultura o la decrescita, termini che in tanta gente evocano scenari di ristrettezze, di ritorno all’età della pietra e di rinuncia. Nulla di tutto ciò, significa semplicemente ricercare il benessere attraverso forme che prediligono l’armonia con la natura e l’ambiente, senza escludere il ricorso a risorse tecnologiche, a condizione che non siano impattanti o invasive.

Alberto C. Steiner

Agriturismo, anche no.

In ragione della mia attività professionale mi occupo di immobili ed appezzamenti di terreno suscettibili di essere interpretati nell’ambito di una visione agroalimentare, ricettiva, didattica o del cohousing rurale. Se fino a ieri non avevo alcuna ritrosia ad inventare soluzioni o progettare attività nel comparto agrituristico, oggi tendo a dissuadere clienti ed investitori che sento non particolarmente forti nell’intento dall’imbarcarsi in tale avventura, in particolare se neofiti e soprattutto se intendono acquistare un immobile ed un appezzamento di terreno appositamente per svolgerla.Cesec-CondiVivere 2014.10.08 Agriturismi anche no 002Non sono un benefattore e non vivo di prana, sia chiaro: semplicemente ritengo corretto non sottacere i rischi che inventarsi oggi tale lavoro comporta, soprattutto quello di essere costantemente presi a tirare la cinghia, non poter effettuare investimenti per restare al passo e quindi perdere terreno rischiando il fallimento. Preferisco consigliare altre opportunità, più remunerative del capitale investito e che consentano una maggiore serenità.
Non è più il tempo dello spontaneismo, bensì è piuttosto arrivato il momento delle attività polifunzionali riunite sotto lo stesso tetto da soggetti diversi, ciascuno con la propria specificità, sinergiche in un contesto pensato e progettato sulla base di una concreta analisi dei bisogni del territorio sul quale insisterà il nuovo insediamento. Ciò significa altresì che, se si vuole campare rivolgendosi al mercato, termine in un certo contesto assai vituperato ma unico giudice in grado di sentenziare se è possibile svolgere l’attività da tanto tempo sognata in modo da poterla sviluppare e consolidare, è più che mai necessario sceglierne con estrema attenzione l’ubicazione tenendo conto di numerosi fattori, in particolare di quelli logistici.Cesec-CondiVivere 2014.10.08 Agriturismi anche no 003Scrivevo il 28 febbraio scorso, in un articolo intitolato Come gestire una fattoria didattica, che secondo i dati Confcommercio-Confagri nel corso del 2013 sugli oltre 20mila agriturismi censiti ha cessato l’attività il 22% mentre il 16% risulta inoperante. Analizzando le aziende agricole in vendita giudiziaria ed i dati diffusi dalle numerose associazioni di categoria per superficie di terreno disponibile, tipo di coltivazioni o allevamenti, capacità ricettiva ed offerta di attività aggregate emergeva una constatazione: gli agriturismi che hanno chiuso erano prevalentemente alberghi di campagna con l’orticello, non aziende agricole che all’attività principale abbinavano la capacità ricettiva.
Poiché dal 2007 al 2012 la crescita degli agriturismi sembrava inarrestabile, ho voluto in quell’occasione riprendere un’indagine svolta da Agriturismo.it nel settembre 2012 su un campione di 310.000 persone e che aveva raccolto 2.778 risposte, rapportandola con una analoga svolta dall’Istat l’anno successivo, per sintetizzare un aspetto che si sta sempre più delineando nel mercato della ricettività agrituristica.
Per non appesantire il testo riporto esclusivamente i valori riferiti all’anno 2013, rimandando per nozioni più appprofondite ai siti agriturismo.it e istat.it .
Dal 53% degli intervistati l’agriturismo veniva percepito come un luogo dove trascorrere una o più notti piuttosto che come un ristorante con prodotti tipici, ed il 44% dei turisti rurali ricercava proprio l’ambiente familiare e l’ospitalità offerti dalle aziende agrituristiche. Nel 30% dei casi si ritenevano migliorate la percezione generale nei confronti dell’agriturismo e l’idea che potesse evolversi mantenendo lo spirito iniziale, pur se un preoccupante 34% lamentava menu banali e non legati al territorio ed il 24%, vale a dire quasi un quarto dei clienti, la poca chiarezza sui prezzi.
Tra le mete più gettonate calavano Toscana ed Umbria, rispettivamente dal 64% al 58% e dal 44% al 35% delle preferenze, mentre le altre restavano sostanzialmente invariate.
La crisi ha inciso sul 70% degli intervistati: nel 2007 il 69% andava in agriturismo almeno quattro volte l’anno, ma già nel 2009 solo il 54% dichiarava di soggiornarvi più di una volta, ed all’epoca dell’indagine lo faceva solo il 41 per cento, vale a dire che si è perso il 41% dei fruitori.
Nel frattempo si è elevata nel quinquennio l’età media degli agrituristi, registrando un forte aumento degli over 50 ed un sensibile calo degli under 35, che passavano dal 20 al 10% mentre i primi crescevano dal 30 al 39 per cento. Questo dato non sta a significare che l’agriturismo è una meta per vecchietti, piuttosto che tra gli under 35 risiede massimamente la fascia di coloro che hanno poco lavoro ed ancor meno denaro. Significativo infatti come gli over 50 siano caratterizzati nel 31% dalla minore attenzione al budget rispetto ai più giovani.
Che l’utenza invecchi lo dimostra anche il tipo di compagnia scelta per la vacanza: se nel 2007 il 67% privilegiava un partner anche occasionale, nel 2009 il 57% sceglieva decisamente il partner fisso ed oggi nel 65% preferisce soggiornare in agriturismo con tutta la famiglia, bambini compresi, che nel 55% dei casi hanno meno di 10 anni.
Ciò comporta che il 67% degli intervistati senza figli dichiari che preferisce evitare l’agriturismo, o quanto meno certi agriturismi, proprio per non ritrovarsi in un Kinderheim. Il dato sembra veritiero se gli stessi intervistati, rispondendo ad una domanda di verifica, dichiarano che preferiscono evitare, nel 56% dei casi, di trascorrere vacanze con amici che hanno figli, ma ciò non costituisce una novità: coloro che hanno figli tendono a frequentarsi tra loro per uniformità di tempi, argomenti ed esigenze.
Il cliente alberghiero e della ristorazione senza figli è tradizionalmente quello maggiormente disposto a spendere; l’abbandono di chi non ha figli, anche se non motivato da ragioni economiche, ma magari semplicemente perché portando il bambino a cavalcare nella fattoria sotto casa vi si trova bene trascorrendovi la giornata, costituisce pertanto un dato da osservare nella dinamica del fatturato degli agriturismi. Soprattutto considerando che numerosi pacchetti prevedono il soggiorno gratuito o semigratuito per i bambini, e che numerosi agriturismi hanno investito molto per attrarre famiglie con figli piccoli.Cesec-CondiVivere 2014.10.08 Agriturismo anche no 001Ma passiamo alle motivazioni: gli italiani scelgono l’agriturismo all’insegna del mangiar sano nell’84% dei casi e del risparmio nel 91%, mentre la possibilità di immergersi nella natura stimola il 38% degli ospiti anche se solo il 16% tende a provare un po’ tutte le possibilità offerte da questo tipo di vacanza: natura, enogastronomia, relax, attività olistiche per il benessere fisico e spirituale. Corsi ed altre iniziative proposte dentro e fuori l’agriturismo seguono a distanza, segno che chi le frequenta non le vive come una componente del pacchetto vacanza bensì come la ragione per recarsi nel luogo dove vengono tenute, indipendentemente dal fatto che si tratti o meno di un agriturismo.
Gli stranieri cercano invece nella vacanza in agriturismo la tranquillità (84%) e l’attenzione all’ambiente (79%) oltre che la possibilità di visitare attrazioni naturalistiche o storiche nei dintorni (36%) e svolgere attività nell’azienda (24%) comprese quelle legate all’agricoltura ed all’allevamento.
Italiane o straniere, le famiglie sono nel 48% dei casi  attente agli agriturismi che offrono un ambiente familiare e nel 38% spazi e attività dedicati ai bambini. Fra le attività possibili l’equitazione è quella preferita dal 34% degli intervistati mentre le altre seguono in ordine sparso.
I profili sin qui descritti non sono quelli dei trentenni con figli piccoli, bensì quelli dei 40-50enni: va tenuto presente che oggi i figli si hanno massimamente non prima dei trentacinque anni di età.Cesec-CondiVivere 2014.10.08 Agriturismi anche no 004Oggi l’agriturismo è scelto anche per festeggiare matrimoni, cresime e comunioni, purché situato in un contesto d’atmosfera e non lontano dalla città.
Nell’estate del 2013 sono stati 3 milioni gli italiani che hanno scelto di trascorrere almeno quattro giorni di vacanza in uno dei ventimila agriturismi, con una flessione del 17 per cento rispetto alle aspettative dei gestori.
I prezzi andavano dai 14 ai 27 euro per un pasto e dai 22 ai 49 per un pernottamento, con punte di 90 che riguardavano però resort assolutamente particolari. Un’analisi a campione da me svolta nello scorso mese di settembre su 109 insediamenti distribuiti fra Lombardia, Toscana e Umbria, Emilia, Veneto e Trentino Alto Adige mi ha fatto comprendere come i prezzi abbiano subito un incremento medio del 19 per cento con punte del 27 nelle province di Arezzo, Belluno, Bolzano, Brescia, Perugia e Verona.
Tornando all’indagine precedente, il 74% degli intervistati dichiarava di considerare eque tariffe giornaliere non superiori ai 36 euro comprensive di pernottamento e trattamento di mezza pensione.
Non va dimenticato che un importante indotto per l’agriturismo è rappresentato dalla vendita dei prodotti tipici: ortaggi ma soprattutto vini, formaggi, salumi e prodotti dell’artigianato locale. Ma anche in questo caso il calo delle vendite nel 2013 è stato del 39%, un abisso.
E quando finisce l’estate ci si prepara all’autunno, ancora clemente, e poi al freddo, mai amico.Cesec-CondiVivere 2014.10.08 Agriturismi anche no 005Se, secondo l’Istat, nel 2013 gli italiani hanno effettuato 63.154.000 viaggi e pernottamenti nazionali (-19,8% rispetto al 2012) e se gli agriturismi subiscono per forza di cose una sosta forzata almeno trimestrale, è chiaro come i dati delle frequentazioni e delle aspettative, parametrati ai costi, lascino intendere come l’attività di agriturismo non sia più da considerare remunerativa.
E i dati disponibili a fine settembre di quest’anno non incoraggiano: complice il tempo inclemente le aspettative estive dei gestori si sono concretizzate solo nella misura del 53 per cento. Un disastro. Di pari passo i contenziosi bancari per mutui o finanziamenti non pagati si sono incrementati del 29% in un solo quadrimestre; e l’ipotesi, per nulla irreale, che entro un anno un ulteriore quota di aziende possa chiudere e le proprietà finire nei canali delle vendite giudiziarie, dove peraltro le vendite del settore languono da anni per mancanza di acquirenti, è tutt’altro che remota.
L’unica possibilità di fare agriturismo rimane pertanto, a ben vedere, quella di abbinarla ad una reale attività agricola, agroalimentare o di allevamento costituente la fonte primaria di reddito. E ancora meglio se edifici e terreni sono di famiglia da generazioni, soprattutto se si è sorretti dall’ormai imprescindibile capacità di reinventarsi ogni giorno.
Come dire che siamo tornati all’ottocentesco detto toscano senza lilleri un si lallera? Temo sia così, in una visione non catastrofista ma soltanto improntata a maggiore consapevolezza: è meglio tenerli stretti, i lilleri, perché il tempo degli sprechi è finito. E’ arrivato il tempo di badare all’essenziale.
E questo vale a maggior ragione per chi intende aprire attività in territori impervi o di montagna non facilmente raggiungibili dai clienti.

ACS

Campo di Brenzone: una perla abbandonata sul Garda

In posizione incantevole a mezza costa sulla sponda veronese del lago di Garda, all’ombra del monte Baldo e circondato da campi di ulivi secolari, un pugno di case pressoché disabitate aspetta di essere riportato a nuova vita: è Campo, un antico borgo dal quale si gode la vista di tutto il Garda.CC 2014.10.03 Campo Brenzone 001Lontano dalla strada e non accessibile in auto, ma in quindici minuti di camminata si giunge in riva al lago. Numerosi sentieri indicati da segnavia portano in vetta al monte Baldo, per chi non vuole faticare scalabile in cabinovia dalla vicina Malcesine.
Campo, situato a 45°42′ N 10°46′ E ed il cui toponimo deriva dai campi coltivati ad ulivi, è una frazione di Brenzone, con i suoi 50 km2 di estensione territoriale il comune più vasto del Veneto, e la sua esistenza è riscontrabile sin dall’anno 1023; oggi consta di un abitante censito, in realtà i residenti sono ben… nove facenti capo a due nuclei familiari.CC 2014.10.03 Campo Brenzone 003La via che conduce a Campo sale dal lago stretta fra le antiche case, selciata e molto ripida. Appena termina l’abitato appaiono i primi ulivi, che accompagnano il rimanente percorso in una campagna curata, caratterizzata da terrazzamenti con muretti a secco e da un panorama mozzafiato: in basso si vede la chiesa di San Giovanni di Magugnano, sullo sfondo della sponda bresciana con le alte scogliere che cadono a picco sul lago ed il santuario di Montecastello.
Presto si giunge alla valle detta della Madonna dell’Aiuto, percorsa da un torrente quasi sempre in secca, e superato un ponticello in muratura, la visione che si schiude raggiungendo l’antico borgo medievale ripaga di ogni fatica.
Oltre che dalle pittoresche case in pietra arroccate, disabitate e raccolte su se stesse attorno ai resti del castello ormai ricoperto dalla vegetazione, attorno al quale si è sviluppata la frazione, Campo è caratterizzato da vasti uliveti, da un fitto bosco di lecci e faggi e dalla chiesetta romanica dedicata a San Pietro in Vincoli eretta tra il XII ed il XIV Secolo, un piccolo scrigno che conserva pregevoli affreschi d’influenza bizantina databili al 1358 e… qualche misteriosa particolarità.DCF 1.0Il borgo è raggiungibile esclusivamente a piedi poiché la stradina carrabile, recentemente realizzata grazie ai fondi regionali funzionalmente al progetto di recupero, non è percorribile dai non residenti ed è anzi provvidenzialmente sbarrata ben prima di giungere all’agglomerato. Ma ciò non impedisce a numerosi turisti di visitare Campo, noto per essere uno dei punti più spettacolari della costa lacustre veneta; trattasi fortunatamente di un turismo di nicchia attento alle sfumature della natura e felice di sapere che l’unico punto di ristoro è costituito dall’antica fontana in pietra.
Durante il periodo medioevale, Campo e tutta l’area gardesana passarono sotto varie dominazioni: scaligera, viscontea, carrarese fino ad arrivare alla Repubblica di Venezia e, a partire dal 1797, seguirono le vicende napoleoniche ed asburgiche sino al termine della I Guerra Mondiale.CC 2014.10.03 Campo Brenzone snRimarcabile il fatto che nel territorio di Brenzone non esistesse una via comoda per raggiungere Verona o Trento, poiché la stessa morfologia della catena montuosa ricca di strapiombi sui due versanti e chiusa dal lago sul versante occidentale, e dalla Val d’Adige su quello orientale, la rendeva un’immensa fortezza naturale, accessibile soltanto da nord o da sud; ciò permise a borghi come Campo di rimanere in gran parte immuni dalla penetrazione del potere cittadino.
Ancora oggi le strade che corrono a mezza costa, per lo più mulattiere selciate e delimitate per lunghi tratti da muretti a secco, ricalcano sentieri e piste antiche costituendo una fitta rete di tratturi colleganti le diverse contrade e la zona abitata con le rive del lago da una parte e, dall’altra, con la zona olivetata, i boschi e i pascoli, come ad esempio il sentiero che da Magugnano-Marniga porta, attraverso Campo, ai pascoli di Prada e a San Zeno di Montagna. Va annotato che il comune di Brenzone aveva giurisdizione sui pascoli sino a Cima Telegrafo e a Cima Coal Santo.
Questi sentieri, arterie vitali del versante occidentale del Baldo, cominciano ad essere fitti proprio a nord di Punta San Vigilio; da Garda partiva invece la strada in costa detta Cavalara, che riuniva i piccoli centri rivieraschi e quelli sopracosta.
Campo si trova al punto di confluenza di diverse mulattiere; in particolare, fino agli inizi del XX Secolo, erano importanti quella che da Castelletto, attraverso Biasa, giunge al borgo, detta strada vicinale di Campo e quella che da Magugnano-Marniga saliva verso Prada, detta strada comunale della Cà Romana o strada comunale di Campo.
Queste due arterie s’incrociavano proprio a Campo e proseguivano nella strada comunale di Caprino che attraverso Torri, Monte Motta e Pesina costituiva l’unica via di collegamento fra le contrade dell’alto lago e quelle del basso lago e dell’entroterra gardesano, in particolare Caprino, nodo delle vie di comunicazione dell’entroterra veronese e importante centro di mercati del bestiame.
Per queste mulattiere, che a tratti passano anche sotto i portici delle case, si saliva a piedi, o con animali da tiro e le tipiche slitte di fabbricazione locale, le sbarusole, sbarossole o carièle. Ancora oggi sulle pietre del selciato molto levigate si possono notare i solchi lasciati dal frequente passaggio delle slitte.CC 2014.10.03 Campo Brenzone 004I muretti di contenimento, detti marogne, costituiscono il limite perimetrale dei sentieri nelle zone a terrazzamenti o a pascolo e sono un elemento tipico del paesaggio collinare e montano non solo lacustre, ma di tutto il territorio veronese; sono realizzati in blocchi sbozzati di pietra, faccia a vista e a secco, ricavati dallo spietramento dei campi messi a coltura o a pascolo ed in alcuni punti aperti da piccoli barbacani per favorire lo scolo delle acque dai campi nei periodi di abbondanti precipitazioni.
Del resto, la ristrettezza e le asperità del territorio, confinato tra il lago e le impervie e scoscese pendici del Monte Baldo, spesso solcate da valli profonde e torrenti, hanno comportato notevoli difficoltà nel realizzare vie di comunicazione terrestre, rendendo per secoli le comunicazioni via terra praticamente impossibili e non favorendo lo sviluppo di centri abitati che non fossero, fino alla prima metà dell’Ottocento, modesti nuclei sparsi collegati da mulattiere e sentieri stretti tra muri a secco.
Proprio per tale ragione intense ed importanti furono invece le comunicazioni per via d’acqua che produssero vivaci rapporti, anche familiari, tra le opposte sponde lacustri.
La via lacustre, tra tutte le vie di transito era sicuramente quella più veloce, comoda, frequentata e, in alcuni periodi, anche meno pericolosa e quindi meno costosa, rimase fondamentale nelle diverse epoche e sotto i vari domini fino agli inizi del Novecento.
Tra l’altro la Via dell’Ambra, che aveva origine nella penisola dello Jutland e, percorrendo i corsi dell’Elba e dell’Inn, valicate le Alpi attraversava il Garda e la Val d’Adige per sfociare sulle coste del Mediterraneo e delle regioni dell’Oriente.
Sino ai primi decenni del Novecento l’economia locale, oltre che dalla pesca e dalla navigazione, dipendeva prevalentemente dalle attività legate alla terra: allevamento di bachi da seta, produzione casearia come attestano le numerose malghe tuttora esistenti, coltivazione di ulivi. Da ricordare anche la produzione di legna e di due importanti derivati: lignite e calce. Per la produzione di quest’ultima, destinata principalmente all’esportazione, venivano utilizzate particolari costruzioni in pietra di forma circolare, le calchére, alcune delle quali visibili ancora oggi.

Breve e triste historia del nostro tentativo di recupero
Tra settembre e novembre dello scorso anno 2013 abbiamo stabilito contatti finalizzati ad una proposta di recupero del borgo: costituzione di un ecovillaggio con unità abitative in cohousing, recupero dei terreni già coltivati a oliveto ed impianto di specie compatibili con il territorio e la sua storia, impianto di laboratori artigianali per il recupero di mestieri della tradizione locale erano le linee giuda del progetto, i cui oneri sarebbero stati sostenuti da investitori privati e da una banca attiva nel settore della finanza etica.
Siamo stati ricevuti con estrema cortesia e profondo interesse dall’allora Sindaco, che ci ha messo a disposizione l’Ufficio Tecnico Comunale. Abbiamo successivamente preso contatti con la Sovrintendenza di Verona poiché l’area è vincolata.
Abbiamo infine preso contatto con la Fondazione che detiene il borgo e che teoricamente ne dovrebbe curare il recupero. E qui, al di là di una richiesta economica stratosferica rispetto all’effettivo valore di edifici e terreni, abbiamo iniziato a non capire: a parte i fondi erogati da una fondazione bancaria locale e spesi per la necessaria messa in sicurezza di alcuni manufatti pericolanti, non ci risultava chiara l’attribuzione di contributi comunitari ma soprattutto non ci risultava chiaro se ed in quale misura fossero pervenuti, né come ne fosse stato pianificato l’esborso. Non da ultimo, il borgo venne acquisito dalla Fondazione rilevandolo dal Comune, il cui sindaco all’epoca dell’operazione era colui che incontrammo nella veste di Presidente della Fondazione, in cambio di un terreno edificabile. Salvo scoprire che, rispettando le distanze di legge, non vi si sarebbe potuto edificare molto e pertanto era in corso un’azione legale tra Comune e Fondazione.
Insomma, ci siamo scontrati con il più classico dei muri di gomma: cose non dette e che forse non si possono dire, nonché molta resistenza. Aggiungendo a tutto questo il disinteresse, quando non la supponenza e la nemmeno tanto larvata derisione di chi a parole si dichiarava fautore del recupero del borgo, anche attraverso la costituzione di gruppi, associazioni e movimenti, ma nella realtà dei fatti sembrava vivere nell’ignavia al fine di potersi lamentare delle occasioni perdute, abbiamo deciso di lasciar perdere, nella consapevolezza che i borghi italiani attualmente abbandonati, e che aspettano soltanto di poter favorire chi intenda darsi da fare per la loro rinascita, sono oltre tremila.
Peccato: una posizione imperdibile, una storia del territorio non qualsiasi, concrete possibilità di sviluppo in un’ottica di vita sostenibile esuscettibile di creare posti di lavoro buttata alle ortiche. Anzi, a lago.

Alberto C. Steiner

Non si sono mai viste in giro tante zoccole!

Si, sub crisi imperante si registra anche l’incremento di chi decide di prostituirsi, ma non è di quel fenomeno che intendiamo parlare, bensì delle zoccole altrimenti dette pantegane, ovvero topi di fogna.
Citiamo dal dizionario Treccani online: “zòccola s. f. [prob. der. di un lat. volg. *sorcula, dim. femm. del class. sorex -ĭcis «sorcio», incrociato con zoccolo1 (nel sign. fig. e spreg. del n. 1 b)], region. – 1. Topo di chiavica”.Cesec CV 2014.07.13 ZoccoleBene, esaurito il colto riferimento passiamo alle cose serie: l’aumento delle pantegane, non solo nelle città ma anche nelle campagne, è esponenziale. Vivono nelle fogne, vivono dei nostri rifiuti, si moltiplicano ad una velocità impressionante e diventano sempre più invasive, voraci ed aggressive. A Milano, il laghetto del parco Sempione ne è infestato e non è raro che qualcuna si spinga sino al sacchetto di patatine tenuto da qualcuno seduto su una panchina. E’ di qualche anno fa la notizia che uno di questi animali avrebbe ingaggiato una furiosa lotta nientemeno che con un pitbull. Corre addirittura voce che il carcere di San Vittore, sotto il quale scorre l’Olona, non abbia grandi protezioni contro le evasioni che potrebbero essere effettuate attraverso i sotterranei in quanto chi ci provasse non solo non ne uscirebbe vivo, ma di costui non si troverebbero neppure i più minuti ossicini.
Ma le grandi città: Milano, Roma, Napoli non sono le sole a vivere il fenomeno. Addirittura sui sentieri della via Francigena alcuni viandanti sono stati ad un passo dall’essere aggrediti; le guardie forestali toscane hanno addirittura ritrovato lo scorso autunno i resti di un cinghiale divorato da un gruppo di pantegane; un asilo ligure ha dovuto essere chiuso per la disinfestazione. E di casi potremmo citarne centinaia.
La costante ricerca di cibo, l’impulso a riprodursi a ritmi pazzeschi rendono da sempre le pantegane un pericolo, anche per le numerose e gravi patologie che possono trasmettere.
L’incremento della raccolta differenziata ed una consapevole gestione dei rifiuti urbani contribuiscono ad arginare il fenomeno nei centri abitati, ma il problema si sta spostando nelle campagne e nei boschi ed a farne le spese, per ora, sono piccoli animali, mammiferi e volatili.
E’ altresì noto come i topi rispondano ad un “segnale” collettivo, e le loro migrazioni assumono i contorni di un fenomeno di massa.
A livello pubblico della questione si parla poco, addirittura non se ne parla affatto, in realtà l’aumento esponenziale delle pantegane sta assumendo i contorni di un’emergenza sanitaria sempre più grave.

ACS

Tra tanti fiori di lillà la bellezza riscopre la tradizione

Cesec CV 2014.07.11 Cosmesi 1Dopo l’apoteosi chimica che ha contrassegnato gli anni Ottanta e Novanta la bellezza si scopre green friendly. Fosse anche solo per opportunitstiche scelte di marketing, resta il fatto che spa a km zero, creme al tarassaco, alla salvia o alla calendula, vacanze relax in campagna stanno trovando uno spazio sempre più ampio nel settore cosmetico.
La bellezza riscopre la tradizione e i numeri delle vendite, non solo nelle erboristerie, dimostrano come sempre più spesso i clienti si orientino verso la Natura.
E non è solo il retail a dirlo, ma anche la sempre maggiore richiesta di soggiorni o anche solo di sessioni gionaliere, in campagna che, convenientemente attrezzata, torna ad essere un luogo privilegiato in cui ritrovare benessere ed equilibrio regalandosi ritmi rallentati ed appagando vista, odorato e voglia di farsi coccolare.Cesec CV 2014.07.11 Cosmesi 3Del resto i dati di Coldiretti parlano chiaro: 12 miliardi di euro spesi nel 2013 per il turismo ecologico, che nel nostro Paese offre 871 aree protette ed oltre 20.500 agriturismi, pur considerando la falcidia che lo scorso anno ne ha visti chiudere ben il 22 per cento: ma non si trattava di agriturismi, bensì poco più che di osterie di campagna, senza o con poca terra sulla quale non producevano nulla e che non avevano saputo o voluto rinnovarsi con offerte accattivanti.
L’approccio verde che oggi nella cosmetica si incontra sempre più spesso non è solo una modo, ma un preciso orientamento di consumo mutuato da una sempre più diffusa consapevolezza che i prodotti naturali sono migliori rispetto a quelli di sintesi chimica.pure drops of waterErbe officinali, aloe, olio di oliva, lavanda, l’immancabile salvia, tarassaco oltre a fieno, cortecce, radici e prodotti a base di vino, nel quale si può anche fare un bagno dalle incredibili proprietà costituiscono ormai un must irrinunciabile per chi voglia offrire un trattamento di qualità ai propri ospiti.
E’ quello che accadrà anche nella nostra cascina, nel silenzio dei campi a meno di un’ora da Milano.

Anima in Cammino

Assegnati i premi ai Comuni Ricicloni

Assegnati ieri a Roma i premi ai comuni italiani che nel 2013 si sono distinti per il riciclaggio dei rifiuti urbani. Interessante notare come la classifica delle TopTen sia saldamente in mano al Triveneto:

  1. Ponte nelle Alpi BL
  2. Borso del Grappa TV
  3. Vattaro TN
  4. Bosentino TN
  5. San Gregorio nelle Alpi BL
  6. Asolo TV
  7. Santa Giustina BL
  8. Ovaro UD
  9. Maser TV
  10. Capriana TN

Comuni Ricicloni 1Fra le grandi città Milano spicca come prima in Italia e seconda d’Europa, dietro a Vienna. Stiamo parlando dei premi consegnati ieri a Roma nel corso della XXI edizione di Comuni Ricicloni: esclusa la Valle d’Aosta, completamente assente, assommano a 1.328 i virtuosi della raccolta differenziata dei rifiuti, corrispondenti al 16% dei comuni per un totale di 7,8 milioni di cittadini, rappresentativi del 13,7% della popolazione nazionale.
Riciclare e differenziare i rifiuti significa alimentare la Green Economy, che assomma attualmente ben 150mila posti di lavoro.
Per accedere alle classifiche i comuni devono aver raggiunto l’obiettivo di legge del 65 per cento di raccolta differenziata. La classifica è infine costruita attraverso un indice di buona gestione dei rifiuti urbani.Comuni Ricicloni 2I dati particolareggiatisono leggibili sul sito www.ricicloni.it  ma a noi interessa rimarcare come, oltre alle prime dieci posizioni conquistate dal Nord-Est, che ancora una volta si conferma l’area nazionale più attenta alla questione, si assista alla crescita di Milano che ha raggiunto il 50% di differenziata, collocandosi al secondo posto in Europa.
Analizzando infine i dati complessivi regionali, il Veneto si attesta al 66,95% con 389 comuni premiati su 581, il Trentino Alto Adige al 29% con 100 comuni su 333, la Lombardia al 18,82% con 291 comuni su 1,546, mentre tre regioni universalmente accreditate come polo della consapevolezza ecologica e dov’è tutto un fiorire di iniziative, simposi e convegni non brillano affatto: Emilia Romagna 5,45% con soli 19 comuni su 358, Toscana 9,40% con 27 comuni su 287 ed Umbria 4,34% con 4 comuni su 92.
E non intendiamo con questo aggiungere neppure un sospiro sotto il profilo dell’appartenenza politica: ai numeri la filosofia e la dietrologia non servono.
Chiudono come sempre la fila, prima della Valle d’Aosta con uno zero assoluto, Liguria, Calabria e Sicilia che non raggiungono il 2 per cento.

ACS