CESEC, Centro Studi Ecosostenibili: chi siamo

Per una volta parliamo di noi, spendendo solo poche parole. Anzitutto siamo una microstruttura, perché l’interlocutore abbia risposte immediate e certe direttamente da chi possiede le facoltà decisionali. Questo ci consente la massima efficacia.CC 2016.06.28 Chi siamoProgettiamo il recupero strutturale e funzionale di realtà territoriali dismesse e, più in particolare, in stato di pregiudizio finanziario: aziende agricole, terreni, edifici rurali, borghi abbandonati per riportarli a nuova vita impiantandovi attività agrosilvopastorali, di trasformazione agroalimentare, artigianali, ricettive, didattiche, residenziali attuate preferibilmente secondo la formula del cohousing. Crediamo nella comunità ma non nella comune.
Attenti al rispetto del territorio ed alle sue tradizioni, relativamente ai recuperi edilizi poniamo particolare cura nell’utilizzo di materiali locali e naturali quali, per esempio, paglia e terra cruda, calce e pozzolana, beole, carpenterie in legno ed infissi e serramenti certificati non trattati con agenti chimici.
Attenti all’impatto ambientale privilegiamo l’utilizzo di energie a bassa intensità e rinnovabili: fotovoltaica e idraulica, recupero delle acque piovane e riutilizzo di quelle domestiche, minimizzazione degli sprechi anche attraverso il riutilizzo dei rifiuti.
Ove possibile tendiamo a non installare impianti di riscaldamento, diversamente ci atteniamo alle specifiche note come KlimaHaus, fissate originariamente dalla Provincia di Bolzano con il DPGP 34 del 29 settembre 2004 e che fissano in Classe A un valore di fabbisogno energetico per riscaldare efficacemente per un anno la superficie di 1 m² ≤30 kWh/m²a (parametrate a 3 litri/m² di gasolio), e in Classe Gold ≤10 kWh/m²a (1 litro/m²).
Attenti alle istanze sociali tendiamo ad insediare, nelle strutture oggetto di recupero, quote residenziali e lavorative destinate a soggetti deboli o portatori di disagio sociale, non come attività caritativa bensì creando realtà in grado di autoalimentarsi finanziariamente.
Crediamo che l’ecosostenibilità e l’iniziativa privata possano sostenersi vicendevolmente e che siano anzi maggiormente efficaci senza etichette o sponsor politici; per tale ragione la nostra attività si sviluppa preferibilmente grazie al ricorso a risorse finanziarie private: business angels e investitori ai quali, nel medio periodo, siamo in grado di riconoscere remunerazioni adeguate.
La nostra esperienza lavorativa specifica data da oltre un ventennio e attraverso le nostre sedi operative di Milano e Verona siamo attivi nel Nord e Centro Italia.

Alberto C. Steiner

Guardate queste foto: potrebbero essere le ultime

Le cascate valtellinesi dell´Acquafraggia potrebbero scomparire: la finanza dai denti a sciabola, travisata con la mascherina dell’ecosostenibilità, le ha puntate funzionalmente alla realizzazione dell’ennesimo bacino imbrifero valtellinese destinato alla produzione di energia idroelettrica.CC 2015.12.17 Acquafraggia 001La comunità potrà tornare a beneficiare delle acque reflue, opportunamente depurate, però dietro pagamento di un canone in barba al referendum del 2011 attraverso il quale gli italiani hanno scelto che l’acqua, considerata bene primario irrinunciabile, non possa essere oggetto di acquisizioni e speculazioni.
Sono state naturalmente fornite ampie rassicurazioni che il canone sarà calmierato, che il suo ammontare coprirà solo i costi dell’ordinaria gestione e che nessuno guadagnerà o, peggio, speculerà sull’acqua. Come no.
Non dimentichiamo che la Valtellina gode di una legge speciale di salvaguardia, pensata proprio per le sue acque funzionalmente all’utilizzo per finalità produttive. Verrà puntualmente disattesa, ne siamo certi.CC 2015.12.17 Acquafraggia 002Le cascate si trovano a Borgonuovo, e le parti visibili dalla strada sono solamente le più suggestive, ma certamente non le uniche.
Il bacino dell´Acqua Fraggia costituisce un patrimonio ambientale, energetico e scenografico senza eguali: è situato all´imbocco ovest della Val Bregaglia, solcata dal torrente omonimo che nasce dal Pizzo di Lago a quota 3.050 in un punto di spartiacque alpino fondamentale per l’ecosistema europeo poiché vi sgorgano e discendono fiumi che sfociano nel mare del Nord, nel mar Nero e nel Mediterraneo. Nel suo percorso verso il fondovalle il fiume percorre due valli sospese di origine glaciale, la prima situata a quota duemila e l´altra sui mille metri di altitudine. Ed ecco l´Acqua Fraggia, che forma una serie di cascate, di cui quelle più in basso con il loro doppio salto sono solo le più suggestive. Deriva da qui il toponimo di Acqua Fraggia, da acqua fracta, vale a dire torrente continuamente interrotto da cascate.CC 2015.12.17 Acquafraggia 003Le cascate, con il loro maestoso spettacolo, impressionarono pure Leonardo da Vinci che trovandosi a passare per Valle di “Ciavenna” ne ammirò la bellezza selvaggia e così le menzionò nel suo Codice Atlantico: “Su per detto fiume si truova chadute di acqua di 400 braccia le quale fanno belvedere…”
Dalla sommità delle cascate si può percorrere un sentiero attrezzato tra castagni, ginestre e rocce, dal quale è possibile ammirare da vicino questo stupendo spettacolo naturale, unico nel suo genere per bellezza e imponenza. Una breve deviazione sulla destra porta ad un ampio terrazzo, a pochi metri dal fragoroso turbinio delle acque.
Ma questo alle varie Edison, A2A, Électricité de France, Intesa San Paolo, Unicredit, Crédit Immobilier de France, Cariparma Crédit Agricole non interessa un accidente.

Alberto C. Steiner

Mangia di stagione: interessante iniziativa della Provincia di Roma

Vi siete mai chiesti perché la frutta estiva è ricca d’acqua e quella invernale è più asciutta? Semplice: perché se quella estiva fosse asciutta si surriscalderebbe, mentre se quella invernale fosse ricca d’acqua gelerebbe.Cesec-CondiVivere 2014.10.14 Agriasilo 004Non manca inoltre un’importante ragione nutrizionale, come vedremo al termine di questa premessa, necessaria per inquadrare la questione: come gran parte degli Italiani della mia generazione provengo da una famiglia di antiche origini contadine. Gli ultimi furono i miei nonni paterni: tra il Polesine e il Delta del Po si occupavano di agricoltura ed allevamento di bovini e anguille sino alla devastante alluvione del 1951, quando vendettero le terre e si ritirarono. Ma le tradizioni rimasero ed io, pur essendo nato in epoca successiva, ricordo che in concomitanza delle festività natalizie una delle prelibatezze era “l’uva di Natale”, bianca e decisamente dolce a causa dell’appassimento. Da quel momento e fino a settembre di uva non se ne parlava più. In primavera arrivavano a rotazione fragole, nespole, albicocche, ciliegie, fino all’apoteosi di pesche, meloni, angurie, lamponi, more e mirtilli, questi ultimi invero presenti tutto l’anno poiché opportunamente conservati venivano usati anche in cucina. Si chiudeva con pere, fichi, noci e uva, per passare a castagne, mele, arance e cachi.
Onnipresenti datteri, banane, ananas e frutta secca ma avocado, mango, tamarindo e via tropicando chi li ha mai visti sino ai primi anni Settanta?
Di pomodori e melanzane in inverno nemmeno a parlarne; cetrioli si, ma conservati in aceto e spezie all’uso tedesco. Crauti quanti ne volevamo: freschi in stagione, bianchi e rossi, in salamoia durante il resto dell’anno insieme con conserve di verdure miste sottaceto e barattoli di salsa di pomodoro. Le insalate, infine, marcavano le stagioni con i loro colori: il tarassaco – da noi detto pissacan – nelle sue progressionii di verde da marzo a ottobre, consumabile crudo e successivamente cotto; le lattughe, la riccia, la rucola sino al rosso del radicchio di Chioggia o di Treviso, o al bianco di quello mantovano.
Menzione speciale infine per la rucola, erba povera e spontanea sdoganata come si dice ora nelle preparazioni della cucina pseudopopolare riscoperta dall’intellighenzia ecochic degli anni Settanta. Quando mia nonna leggeva di certe ricette immancabilmente commentava con un “I g’ha scoverto l’acqua in canal” che sapeva di vetriolo…CC 2015.09.13 Mangia di stagione 001Oggi andiamo al supermercato ed in ogni momento dell’anno troviamo qualunque cosa, peraltro dalle provenienze più disparate.
Paleontologi ed archeologi fissano in 10mila anni fa la fine del Paleolitico con l’introduzione di agricoltura e allevamento presso alcune società euroasiatiche.
Ma ancora oggi tali pratiche non sono universalmente condivise: Pigmei, Boscimani, Indios amazzonici, Semang malesi vivono tuttora di quanto la natura offre loro spontaneamente. Per essere più precisi resistono all’apparentemente inesorabile avanzata delle società agricole e industrializzate. Il fatto che, ancora oggi, riescano a sopravvivere di sola caccia e raccolta significa che in determinate circostanze ambientali ciò rappresenta uno stile di vita efficiente: se la natura offre spontaneamente del cibo, perché compiere sforzi per procacciarsene altro?
Alle nostre latitudini, dove la natura è stata piegata dall’Uomo per sottostare alle sue esigenze, possiamo ancora trovare numerose specie vegetali selvatiche adatte all’alimentazione. Il loro numero è però in rapida diminuzione in ragione della costante perdita di biodiversità, dovuta principalmente alle logiche di mercato dell’agricoltura intensiva e al sacrificio di interi ecosistemi a favore di aree antropizzate.
La questione sembra apparentemente slegata dalla nostra quotidianità, e invece la nostra stessa esistenza è strettamente dipendente dalla biodiversità.
E così ho anch’io pronunciato il mantra catastrofista tanto caro a chi dovrebbe avere a cuore le sorti del pianeta, nonché i mezzi per potersene occupare salvo non andare oltre il blabla dei proclami e dei convegni…KL Cesec CV 2014.03.04 Ambiente maneggiare con curaIn ogni caso e come sempre le chiacchiere stanno a zero ma i numeri parlano chiaro: dall’anno 1900 ad oggi il 75% delle varietà vegetali è andato perduto, i tre quarti delle risorse alimentari mondiali dipendono da sole 12 specie vegetali e 5 animali e delle 75.000 specie conosciute solo 7.000 vengono usate in cucina. Delle 8.000 varietà censite in Italia nel 1899 ne sono rimaste 2.000.
Dalla fine della II Guerra Mondiale ad oggi delle 400 specie di grano esistenti il 90% sono scomparse. E che dire delle mele? Oltre un migliaio di antiche varietà ha ceduto il passo nell’80% dei casi a 4 varietà: due americane, una australiana e una neozelandese. Lo stesso vale per i pomodori: delle 300 cultivar commercializzate solo 20 sono autoctone. Stessa solfa per le altre solanacee, le cucurbitacee, i legumi e via elencando.
Il nostro Paese, con 57.000 specie animali, pari a un terzo di quelle europee, e 5.600 specie floristiche (il 50% di quelle europee) il 13,5% delle quali endemiche ha un patrimonio biodiverso fra i più importanti. Bene: 138 specie, il 92% delle quali animali, sono a rischio di estinzione a causa del consumo del suolo che erode gli habitat naturali, ed in ragione dell’intensificazione dei sistemi di produzione agricola. L’Italia, capeggiata dalla Lombardia, con il 43,8% di superficie coltivata è il Paese europeo con la maggior estensione di aree agricole. Ma l’abbandono dei sistemi tradizionali e naturali in favore di quelli industriali, l’impiego di sostanze chimiche dannose per il territorio, la logica della crescita infinita stanno abbattendo drasticamente il numero delle specie esistenti e, di quelle rimanenti, le qualità nutrizionali.
La delocalizzazione produttiva, nella quale noi italiani non siamo secondi a nessuno avendo da gran tempo acquisito direttamente o attraverso holding multinazionali immense estensioni di aree nel Sud del mondo, contribuisce inoltre a dare il colpo di grazia alla biodiversità.KL-Cesec - Supermercato - OrtofruttaLe nostre abitudini alimentari, rapportate a quelle dei nostri genitori e dei nostri nonni, sono state rivoluzionate nell’ultimo quarantennio attraverso il mutamento dello stile di vita, le aumentate disponibilità di cibo ed i trattamenti di raffinazione industriale: siamo le prime generazioni della storia ad avere il problema dell’obesità e del diabete sin dalla più tenera età.Cesec-CondiVivere 2014.12.03 Zingari 003Lo sviluppo delle produzioni intensive, delle monocolture e l’evoluzione delle capacità di trasporto hanno comportato che le disponibilità agroalimentari ci consentano di avere in ogni periodo dell’anno qualsiasi prodotto o perché coltivato in serra o perché proveniente da Paesi a stagioni rovesciate rispetto alle nostre.
I prodotti vengono però raccolti con largo anticipo rispetto alla loro disponibilità al banco, e la loro maturazione e conservazione avvengono spesso durante lo stoccaggio ed il trasferimento, non di rado grazie all’impiego di prodotti potenzialmente tossici.
Tutto questo si tramuta in un maggior costo:

  • economico, in quanto il prodotto deve ripagare dei maggiori investimenti compiuti per realizzarlo fuori stagione, per conservarlo o per farlo giungere da lontano fino al nostro Paese;
  • ambientale, in quanto si ha un dispendio di energia e un maggiore sfruttamento di risorse naturali (ad esempio il gasolio usato per riscaldare le serre);
  • nutrizionale, perché ogni tipo di frutta o verdura nasce, indipendentemente dalla volontà umana, per rinfrescare d’estate e riscaldare d’inverno. Pomodori e cetrioli, per esempio, sono tipicamente estivi per tale ragione, mentre carciofi e verze sono tipicamente invernali per la ragione opposta.

Per rieducare ad un consumo alimentare responsabile, salutare ed ecosostenibile l’Assessorato alle Politiche dell’Agricoltura della Provincia di Roma ha promosso una lodevole iniziativa diffondendo un simpatico volumetto di 34 pagine, dal titolo La stagionalità dei prodotti agricoli nella provincia di Roma.CC 2015.09.13 Mangia di stagione 002Di agevole consultazione e gradevolmente illustrato descrive mese per mese i prodotti stagionali, concludendosi con un interessante capitolo sulle conserve e con uno di utili indicazioni che aiutano a consumare prodotti quanto più possibile sani e ricchi dei loro nutrienti naturali. Il volume è scaricabile in formato pdf a questo indirizzo.
Pur esulando dall’argomento della stagionalità, accenno in chiusura alla questione della filiera corta: le sue caratteristiche consentono rispetto della stagionalità, migliore qualità e freschezza del prodotto; l’assenza di intermediari permette inoltre un più adeguato compenso degli addetti, spesso schiacciati dalle politiche della grande distribuzione.

Alberto C. Steiner

Ecososteniblità dell’anima: servono ingegneri per progettare sogni

Ha scritto Franco Arminio, nel suo Geografia commossa dell’Italia interna: “Abbiamo bisogno di contadini, di poeti, di gente che sa fare il pane, di gente che ama gli alberi e riconosce il vento.
Più che l’anno della crescita, ci vorrebbe l’anno dell’attenzione.
Attenzione a chi cade, attenzione al sole che nasce e che muore, attenzione ai ragazzi che crescono, attenzione anche a un semplice lampione, a un muro scrostato.
Oggi essere rivoluzionari significa togliere più che aggiungere, significa rallentare più che accelerare, significa dare valore al silenzio, al buio, alla luce, alla fragilità, alla dolcezza.”CC 2014.04.30 Rinascere 001Questa frase mi ha indotto a rileggere l’articolo Solo attraverso profondi cambiamenti individuali il nostro Paese potrà rinascere, che pubblicai il 30 aprile 2014 su queste pagine (visionabile qui) poiché riconsiderandolo alla luce di mutamenti che non avvengono, di iniziative delle quali tanto si parla ma che sono costantemente al palo e di quella truffaldina bruttura dell’Expo 2015 mi è parso più che mai di viva attualità.
L’articolo nacque sulla scia di interessanti scritti pubblicati in quel periodo dal sito partner Consulenza Finanziaria argomentando di competitività estera e di malcostume delle aziende nostrane, oltre che di gestione del credito bancario.
Oggi più che mai il mondo, visto dal nostro Paese, appare immenso e pauroso perché i suoi equilibri stanno mutando ad una velocità inaudita, e nello scenario sono entrati di prepotenza nuovi protagonisti ben più grandi di noi, alterando antichi equilibri e stravolgendo gerarchie di potere che si credevano consolidate.
Questioni mai incontrate prima chiedono una soluzione, ma le opportunità di cambiamento vengono percepite come pericoli.
È già accaduto: per provincialismo, miopia e furbizia, quando non malafede, degli attori politici ed imprenditoriali nostrani l’Italia è arrivata impreparata alle grandi svolte, perdendo tempo prezioso. Ed anche oggi, se non saremo pronti ad intuire gli scenari del futuro, se non sapremo valutare la direzione del cambiamento nelle tendenze di lungo periodo, rischieremo di prendere una volta di più le decisioni sbagliate. Pagandole a caro prezzo.
Basti pensare che invasione è il termine più usato dagli attuali predicatori dell’Apocalisse: invasione di immigrati clandestini, di prodotti cinesi, di capitali stranieri che ci colonizzano. E non ci accorgiamo che tutto ciò che temiamo è in realtà già accaduto.
Intendiamoci: di fronte ad ogni cambiamento la paura è legittima perché le grandi novità spaventano, possono nascondere delle incognite ed il riflesso automatico ingenera un meccanismo di difesa. Oppure nega il cambiamento.
Per comprendere qualsiasi accadimento attribuendogli l’esatta misura è indispensabile non solo mutare prospettiva, ma anche osservare con distacco come l’oggetto delle nostre attenzioni risuoni dentro di noi comprendendo quali nodi da sciogliere e persino quali antiche ferite faccia vibrare. Solo così è possibile identificare la natura dei presunti pericoli che ci minacciano, stabilire se il modo per difenderci sia l’attacco – che non sempre è la miglior difesa – oppure il lasciarci morbidamente andare, per vincere la sfida senza accontentarci semplicemente di limitare i danni. Vale a dire per vivere piuttosto che accontentarci di sopravvivere.
Esistono anche da noi imprenditori illuminati: sono quelli che spesso non fanno notizia e che insieme con i più attenti osservatori possono tentare di rispondere con sano pragmatismo alle domande offrendo punti di vista nuovi e proprio per questo rivoluzionari.
Ma le scelte da fare non riguardano solo governi, classi imprenditoriali e dirigenti bensì primariamente la vita quotidiana di tutti noi: nel segno di un’Energia nuova e pulita sono tante le riforme dal basso che ciascuno di noi può avviare da subito, e costituiscono un antidoto alla lagnanza, alla rassegnazione, al senso di impotenza che non è mai nelle cose ma dentro di noi. Sono quell’impotenza, quella rassegnazione che respiriamo oggi in Italia nell’attesa sempre delusa di grandi cambiamenti, svolte, catarsi collettive, rinascite nazionali. Che dovrebbe essere sempre qualcun altro ad attuare.
Siamo invece noi che con maturata consapevolezza, impegno civile, consumi responsabili, dobbiamo incamminarci alla ricerca del nostro destino per costruire il nostro futuro. Detto in altri termini: è solo attraverso una profonda revisione dei nostri modelli produttivi, di consumo, sociali, interiori che possiamo agire per scuotere i sistemi politico e produttivo.
Ma se continuiamo a lamentarci attribuendo a chicchessia la responsabilità dei nostri fallimenti e del nostro non andare avanti, non solo resteremo al palo, ma inevitabilmente ci attende una regressione: economica, sociale, delle coscienze, intellettiva.Cesec-CondiVivere-2014.10.07-Medioevo-prossimo-venturoNon ci sono alternative: o ci risvegliamo dal sonno aprendoci ad un nuovo approccio alla qualità della vita, che presupponga un mondo nel quale il punto di riferimento non sia più il pil bensì la decrescita più o meno felice, o siamo dei morti che vagano in paesi dei balocchi, in realtà cimiteri alla portata di chiunque abbia occhi per vedere e cuore per sentire: autobus e metropolitane, centri commerciali, installazioni pseudoculturali di plastica.
Si dice che un intento individuale e decentrato non possa nulla ma non è affatto vero: dai gesti che ciascuno di noi compie ogni giorno possono nascere gli innumerevoli stimoli destinati a mutare il gradiente energetico in grado di sospingere il nostro Paese, e le nostre anime, verso l’ormai indifferibile cambiamento.Cesec-CondiVivere 2014.10.17 Appennino modenese vista suggestivaAltrimenti ci attende quello che da anni chiamo il medioevo prossimo venturo, che non considero una calamità ma un’opportunità ed al quale mi sto felicemente preparando attraverso la progettazione ecosostenibile di luoghi destinati ad accogliere piccole comunità il più possibile autosufficienti.

Alberto C. Steiner

Ci siete mai stati Oltrelasoglia?

Case Matte: non solo un progetto bellissimo, ma anche necessario. Specialmente in un momento come quello attuale dove si assiste costantemente alla creazione di figure di nemici e di diversi per alimentare quella sindrome della paura destinata a distogliere dalle questioni reali. E tutti possiamo essere o diventare diversi, se siamo fuori dal coro e non marciamo, come cantava Bennato, in fila per tre.Cesec-CondiVivere 2015.06.06 Case Matte 001Il progetto, presentato il 25 febbraio scorso presso la Camera del Lavoro di Milano si basa su un’idea di Teatro Periferico con il sostegno di enti e associazioni.Cesec-CondiVivere 2015.06.06 Case Matte 002Nasce nel 2012 con il sostegno di Fondazione Monza Brianza, Provincia di Monza e Brianza e Comune di Limbiate, raccogliendo le storie di chi ha vissuto all’interno dell’ex-ospedale psichiatrico Antonini di Limbiate: malati, medici, infermieri, assistenti sociali ricostruendo le condizioni di vita e di lavoro all’interno del manicomio, con il fine di non disperdere una preziosa memoria storica e di antropologia culturale.Cesec-CondiVivere 2015.06.06 Case Matte 003Il materiale raccolto ha consentito di mettere in scena lo spettacolo Mombello, voci da dentro il manicomio, realizzato in collaborazione con la Compagnia delle Ali che, dopo un biennio di repliche in luoghi a loro volta sedi di istituzioni totali come scuole, caserme, carceri, verrà portato in giro per l’Italia a partire dal prossimo autunno.Cesec-CondiVivere 2015.06.06 Case Matte 004Ma non verrà rappresentato nei teatri bensì negli ex-manicomi oggi chiusi e spesso nelle mire della finanza dai denti a sciabola, quella della speculazione edilizia: Limbiate, Genova, Reggio Emilia, L’Aquila, Aversa, Roma, Volterra, Firenze coinvolgendo associazioni impegnate nel recupero della memoria degli internati negli ex-manicomi.Cesec-CondiVivere 2015.06.06 Case Matte 005Ben lontana dal voler creare delle Disneyland della follia mediante la creazione di musei della tortura o allestire abiti e ambienti manicomiali, l’Associazione intende salvare dall’oblio la memoria dei pazienti psichiatrici che furono ricoverati nei manicomi italiani, dando in particolare voce a tutti quelli che subirono veri e propri crimini di pace, aprendo discussioni con i cittadini attraverso iniziative collaterali alle rappresentazioni teatrali: C’era una volta il manicomio, passeggiate all’aperto con narrazione delle storie del manicomio, presentazione del libro Atlante della città fragile di Gianluigi Gherzi, letture, mostre, narrazioni e incontri, diversi per ogni città, a cura dei soggetti coinvolti.Cesec-CondiVivere 2015.06.06 Case Matte 006L’Associazione ha pubblicato su Youtube il 12 maggio scorso un filmato molto ben fatto e  intenso, visionabile cliccando qui.
Non credo infine sia un caso se Case Matte non beneficia di finanziamenti pubblici ma solo del sostegno di associazioni, gruppi e cittadini. Gli incontri offriranno quindi anche l’occasione per promuovere la raccolta di fondi dal basso, per la sostenibilità economica del progetto.
Per chi volesse saperne di più ed eventualmente fornire il proprio sostegno: Teatro Periferico info @ teatroperiferico.it oppure Case Matte maddalena.peluso @ gmail.com.

Lorenzo Pozzi

Acqua, fonte non inesauribile

Lunedì 16 marzo 2015 alle ore 20.30 presso l’aula magna dell’Università della Montagna, a Edolo, si terrà il seminario Energia idroelettrica e montagna: quale futuro ci aspetta?, parte del un ciclo di incontri Conoscere il Bidecalogo CAI organizzati  in collaborazione con la Commissione TAM delle Sezioni CAI Valcamonica e Sebino. Primo relatore Alessio Cislaghi dell’Università degli Studi di Milano.Cesec-CondiVivere 2015.03.12 AcquaL’acqua, risorsa preziosa e insostituibile, è da sempre la fonte rinnovabile di energia per eccellenza per l’economia montana: dai grandi impianti e sino alle mini installazioni, l’energia idroelettrica ha saputo rinnovarsi completamente nel corso del tempo dovendo far fronte sia all’aumento dei consumi che alla prepotente ascesa di altre fonti rinnovabili come solare, eolico e termico.
Tuttavia, diversi sono gli impatti ambientali sul territorio. Per questa ragione il seminario presenterà brevemente il passato, il presente e il futuro di questa tipologia di energia rinnovabile discutendo di economia energetica e sostenibilità ambientale.
In margine all’incontro l’ing. Alberto C. Steiner di Cesec-CondiVivere presenterà ed illustrerà una breve memoria dedicata all’utilizzo dell’acqua piovana e di caduta come fonte gratuita di raffrescamento domestico in ambiti territoriali dove le condizioni igrometriche lo consentono e, una volta esaurito il ciclo, per l’irrigazione di orti e giardini.
L’incontro è aperto a tutti. La partecipazione è libera e gratuita.

ACS

Green economy? L’ha inventata il Duce: si chiamava Autarchia

Premessa: se ciò che sto per scrivere sarà causa di turbamenti per i figli dei figli dei fiori, vale la risposta che Jack Nicholson, nei panni del colonnello dei Marines Nathan R. Jessep, diede al suo vice, tenente colonnello Matthew Andrew Markinson, nel film Codice d’Onore.
Ieri sera, breve attesa di un atterraggio. Deambulo presso il Careàs International Airport de Öre al Sère, Bèrghem, e in un cestone dell’edicola libreria, la modica cifra di 14 Euro oltretutto scontati del 50 per cento mi consente di illuminarmi sui temi rifiuti zero, rincorsa a un’economia a basso impatto ecologico, ricerca di una riduzione dei consumi e degli sprechi, riciclaggio totale dei rifiuti, dieta povera di carne che privilegi i vegetali, bioedilizia, città a misura di bicicletta, carburanti alternativi, energia solare…
Il programma elettorale di un partito ambientalista? La ricetta di un guru dell’ecologia? Nulla di tutto questo, sto parlando dell’Italia del 1935, quando il tema era all’ordine del giorno. E pensare che di rifiuti se ne producevano meno di un terzo rispetto a quelli attuali.Cesec-CondiVivere 2014.12.05 Autarchia Verde 001Il libro Autarchia verde, un involontario laboratorio della green economy di Marino Ruzzenenti edito da Jaca Book nel 2011 e, per quel che ne so, passato sotto assoluto silenzio (perché fuori dall’ortodossia che vede l’intellighenzia sinistrorsa-chic unica detentrice dei temi ecosostenibili? chissà…) prende semplicemente atto in meno di duecento pagine di piacevolissima lettura di come la crisi del 1929 prima e le sanzioni economiche poi abbiano fatto sì che l’Italia fascista si trovasse a dover affrontare negli anni Trenta molte di quelle sfide delle risorse, a partire dai carburanti, che ora attanagliano per ben diverse ragioni i Paesi cosiddetti avanzati.Cesec-CondiVivere 2014.12.05 Autarchia Verde 002E se in quel periodo molte nazioni, a partire dagli Stati Uniti del New Deal di Roosevelt che non faceva mistero di apprezzare le scelte economiche mussoliniane, furono costrette a mettere in campo scelte simili, solo in Italia si arrivò a una teorizzazione precisa e molto vicina agli ideali di alcuni fan della moderna sostenibilità ambientale.Cesec-CondiVivere 2014.12.05 Autarchia Verde 005“E poiché la fonte prima della produzione è la terra, la gran madre, quella che se lavorata non tradisce… combatteremo e vinceremo la battaglia dell’autarchia, intesa nel settore rurale a ricavare dalla terra prodotti che essa ci può dare” scriveva in proposito Benito Mussolini. Se è indubbio che molti esperimenti autarchici si rivelarono delle vere stupidisie, come scrive Giorgio Nebbia nella prefazione, altri avevano una solida base scientifica.Cesec-CondiVivere 2014.12.05 Autarchia Verde 006Il regime coinvolse da subito nel comparto energetico Guglielmo Marconi, il Cnr e almeno tre figure di grandi scienziati ebrei: Guido Segre dal quale nacque Carbonia, Mario Giacomo Levi per gli studi sul metano, Camillo Levi per quelli sul tessuto nazionale. Purtroppo, in quanto Ebrei vennero successivamente perseguitati ed allontanati dai loro studi e dal loro entusiasmo.Cesec-CondiVivere 2014.12.05 Autarchia Verde 007Cesec-CondiVivere 2014.12.05 Autarchia Verde 004Ma la loro eredità ebbe modo di protrarsi, come ci ricorda per esempio e niente affatto banalmente la rassegna Pitti Immagine Uomo del 2008, quando la griffe Milky Wear presentò abiti realizzati da derivati del latte, morbidi come un abbraccio, vale a dire una riedizione del Lanital realizzato in periodo fascista. Allo stesso modo moltissimi esperimenti pionieristici sull’eolico e sul solare furono cantierizzati e brevettati proprio in quegli anni. Per non parlare di una nuova visione del trasporto ferroviario.
Leggendo il libro di Marino Ruzzenenti mi sembra di sfogliare una moderna rivista ecologista: risparmio energetico, riciclaggio estremo dei rifiuti, raccolta porta a porta, lotta allo spreco, studio di nuovi materiali ecologici e sostenibili. Tutto questo lo ritroviamo nella fase autarchica degli anni ’30 in Italia, forse l’unico momento storico che, depurato dalle incrostazioni dovute all’ideologia fascista, in cui il nostro Paese ha potuto veramente definirsi una nazione sostenibile. Non solo ho riscontrato un rigoroso studio che mira a rivisitare le realizzazioni del periodo autarchico italiano, nella prospettiva di limitatezza dello sviluppo dovuto proprio alla connotazione del nostro Pianeta, ma anche la proposta di una chiave di lettura che offre interessanti spunti d’iniziativa che permetterebbero di uscire dall’impasse economico-ambientale in cui ci troviamo oggi.
Autarchia Verde mette peraltro in evidenza i limiti di alcune idee che si stanno facendo strada in alcuni settori ambientalisti come, ad esempio, una sperata autosufficienza alimentare del nostro Paese. L’Italia nel periodo antecedente alla seconda guerra mondiale contava circa 42 milioni di abitanti che riuscivano a malapena a sfamarsi, pur mettendo in campo quanto di meglio poteva offrire l’impegno autarchico. Come potrebbe essere autosufficiente oggi con 60 milioni di abitanti e con una fetta importante del territorio nazionale sacrificata alla cementificazione?
Stesso discorso vale per le materie prime. Si seppe trasformare il carbone in petrolio, tuttavia bisognava avere del carbone. Si rimpiazzò il carbone con la legna, in ogni caso bisognava averne a sufficienza. Il problema era: con che cosa ci si scaldava? Con il carbone? Ma allora, bisognava rinunciare ad utilizzarlo per fare del carburante.
Si rimpiazzò la seta con il rayon, ma bisognava avere la cellulosa. Se ne deduce quindi come l’Italia dovesse non solo pianificare delle strategie decrescenti, ma anche realizzare fitte reti di scambio con altri Paesi proponendo ciò che poteva offrire: allora come oggi eccellenze, cultura, arte e turismo senza per questo diventare un paese di ristoratori e camerieri.Cesec-CondiVivere 2014.12.05 Autarchia Verde 008Nonostante le numerose difficoltà da affrontare Giorgio Nebbia nella prefazione del libro ricorda che un’autarchia va oggi praticata perché abitiamo tutti in un’unica nazione, il Pianeta Terra, i cui confini sono chiusi: “Possiamo trarre quello che ci occorre soltanto dal suo interno e la nazione planetaria soffre degli stessi limiti che affliggevano i paesi in guerra nel XX Secolo. Contare sulle proprie forze, fare di più con meno non sono capricci, ma linee della politica economica da adottare nel XXI secolo”.
In conclusione, se è comprensibile che l’autarchia sia stata oggetto di ostracismo a causa dei suoi ccessi e del suo orientamento alla preparazione della guerra, uno dei meriti principali di questo libro è rammentarci che negli stessi anni, nei paesi democratici, le stesse politiche – come il citato New Deal di Roosevelt – avevano invece l’obiettivo di salvare la pace. Persino Keynes, nell’opuscolo intitolato La fine del laissez-faire, lo scrive chiaramente: “Inclino a credere che, quando il percorso di transizione si sarà compiuto, una certa misura di autarchia o di isolamento economico tra le nazioni, maggiore di quello che esisteva nel 1914 possa piuttosto servire che danneggiare la causa della pace”.Cesec-CondiVivere 2014.12.05 Autarchia Verde 003E gli attuali ecovillaggi non sono altro che l’emblema della ricerca di uno tile di vita rallentato all’insegna della decrescita a km zero: in altre parole comunità e autarchia.

Alberto C. Steiner

Segni particolari: Cohouser

Il cohousing è la storia di un’utopia diventata realtà. Ha a che fare con il vivere insieme condividendo spazi e servizi con i vicini di casa: lavanderia e stireria, ludoteca, biblioteca, orto, giardino, palestra, mezzi di trasporto e chi più ne ha più ne metta pur mantenendo la dimensione privata nel proprio appartamento.Cesec-CondiVivere 2014.11.21 Identikit Cohouser 001L’idea non è così nuova per chi ha vissuto la ventata degli anni a cavallo tra i Sessanta e i Settanta, ma le neotribù attuali non sono certamente formate né da nipoti dei Figli dei Fiori né da idealisti newage che praticano comunione dei beni, amore libero con chitarre e cannoni, piuttosto da un panorama eterogeneo di single giovani e meno giovani, coppie senza figli e famiglie più o meno numerose, anziani in cerca di socialità.
E non si chiamano più comune o casa collettiva ma Cohousing, che sta a significare, per l’appunto, abitare insieme in modo organizzato, vivendo in edifici pensati o recuperati per più nuclei, scegliendosi i vicini di casa.Cesec-CondiVivere 2014.11.21 Identikit Cohouser 002Si abbattono i costi fissi di alcune aree perché uso e proprietà sono ripartiti su più persone, la convivenza intergenerazionale è facilitata e sono favoriti gli scambi di vicinato.
Altro valore forte il basso impatto: gli edifici sono pensati per consumare poco o addirittura pochissimo attraverso tecniche costruttive o ricostruttive che vanno sotto la denominazione di casa clima, casa passiva, bioarchitettura.
Abitare in cohousing vuol dire molte cose, una in particolare: ritrovarsi tra persone interessate a un modo comune di concepire la vita a partire dalla dimensione quotidiana; ogni gruppo fa storia a sè e il percorso intrapreso è sempre su misura.
Il cohousing è spesso anche ecovillaggio, e tante sono le ragioni per viverci, e non certamente protesta verso il sistema, sogno romantico, utopia ma, più semplicemente, una scelta razionale motivata a dare priorità nella propria vita ad aspetti quali il senso di comunità, l’ecologia, una dimensione più spirituale.
L’idea non è né recente né innovativa trattandosi della naturale evoluzione del villaggio tradizionale, dove l’essere umano durante gran parte della sua storia ha vissuto in armonia con la natura, non consapevolmente ma in quanto ciò rappresentava l’unica possibilità. L’ecovillaggio odierno è una comunità intenzionale di persone pienamente consapevoli di vivere remando in direzione contraria alla spinta degli ultimi bagliori della società consumista e indifferente alla violenza perpetrata nei confronti della Natura. Il sentimento di appartenenza ad una comunità viene da lontano, è innato nella natura umana. Per certi aspetti, non ci stancheremo mai di dirlo, gli abitanti di un ecovillaggio si preparano ad affrontare il medioevo prossimo venturo.Cesec-CondiVivere 2014.11.21 Identikit Cohouser 004La tecnologia, l’organizzazione sociale, la nascita delle metropoli, la corsa verso il successo individuale han dato l’illusione che il nuovo essere umano non avesse più bisogno dell’appoggio di una comunità, creando la spinta verso una vita sempre più individualista e solitaria. Evoluzione ben rappresentata dall’anonimo palazzone cittadino, dove un numero svariato di vite sono rinchiuse tra queste mura, cercando una nicchia di intimità dietro spesse porte blindate di appartamenti tutti uguali, ignorando completamente l’esistenza di vicini sovente visti solo come una molestia. La vita di comunità è l’opposto, è il compromesso di vivere in un gruppo, di solito non troppo numeroso in modo che tutti i membri si conoscano personalmente.
Alcuni ecovillaggi praticano la comunione dei beni, ma la vera essenza di comunità, più che nell’ottimizzazione dei beni materiali che ovviamente è ricercata, è esaltata nell’appoggio reciproco.
Un gruppo su cui contare vuol dire migliorare la qualità di vita, per esempio attraverso la cura condivisa dei bambini, la possibilità di facilitare e rendere più attraenti lavori comunitari, la creazioni di posti di lavoro all’interno della comunità. Inoltre la vita comunitaria è un costante stimolo alla crescita personale, poiché persone a stretto contatto quotidiano sono obbligate a confrontarsi su scelte in comune, a discutere, a parlare apertamente dei problemi che invariabilmente sorgono e questo migliora la comunicazione con gli altri e con se stessi ed aiuta a vedere con più chiarezza il nostro misterioso mondo inconscio. L’armonia della vita comunitaria si ripercuote conseguentemente nella cura dell’ambiente circostante. La concezione di tutela ambientale si attua prevalentemente tentando di produrre la maggior parte del cibo che si consuma, coltivando orti vicino alle case, affidandosi a energie rinnovabili, riducendo i consumi e limitando l’utilizzo delle automobili.
Pensiamo solo ai bambini, che in un ecovillaggio possono trascorrere le giornate scorrazzando per strade prive di auto, giocando nei giardini comuni, senza necessità della miriade di giochi che popolano la vita dei bambini cresciuti negli appartamenti.
Infine la spiritualità, che racchiude aspetti controversi in quanto storicamente fraintesa con la religione. La spiritualità è ben altro: accompagna in modo naturale il rallentamento dei ritmi e il contatto con la natura, poiché il materialismo non è sufficiente a saziare l’innata curiosità dell’essere umano.Cesec-CondiVivere 2014.11.21 Identikit Cohouser 003Il movimento degli ecovillaggi, infine, si associa spesso ad altri movimenti quali la permacultura o la decrescita, termini che in tanta gente evocano scenari di ristrettezze, di ritorno all’età della pietra e di rinuncia. Nulla di tutto ciò, significa semplicemente ricercare il benessere attraverso forme che prediligono l’armonia con la natura e l’ambiente, senza escludere il ricorso a risorse tecnologiche, a condizione che non siano impattanti o invasive.

Alberto C. Steiner

EVA, un tripudio di profumi e colori dorati

Ottobre, nella Conca Aquilana, è il mese dello zafferano: uno strepitoso spettacolo di colori, odori, sapori, ed ora anche di saperi manuali attraverso il recupero della conoscenza che molti anziani hanno messo a disposizione.
Accade a EVA, l’Eco Villaggio Autocostruito dai cittadini di Pescomaggiore dopo il terremoto, stanchi di ascoltare chiacchiere ed aspettare aiuti che non arrivano. Con l’antichissima tecnica della terra cruda, del legno e della paglia che ci vede sostenitori hanno dato vita ad un esempio civico senza precedenti, utilizzando le risorse presenti sul territorio per autocostruirsi le abitazioni grazie alla loro buona volontà, ma anche a volontari che arrivano da altre parti d’Italia e d’Europa vivendo un’esperienza umana che cambierà loro per sempre la vita.Cesec-CondiVivere 2014.10.26 EVA Abruzzo 005Cesec-CondiVivere 2014.10.26 EVA Abruzzo 002Cesec-CondiVivere 2014.10.26 EVA Abruzzo 004Cesec-CondiVivere 2014.10.26 EVA Abruzzo 003Cesec-CondiVivere 2014.10.26 EVA Abruzzo 001Proponiamo qui una piccola galleria fotografica, tratta dalla pagina Facebook di EVA, come premessa ad un articolo che stiamo preparando avvalendoci anche delle conoscenze di Andrea Bertaglio, autore di Generazione decrescente edito da L’età dell’acquario, ed esperto che ha lavorato in Germania presso il Centre on Sustainable Consumption and Production, nato dalla collaborazione tra Wuppertal Institut für Klima, Umwelt, Energie e Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente.

ACS

Quando l’acqua non muore: la scelta di Rochefort

Nelle piccole Comunità le idee nascono per essere applicate. E noi pensiamo che il futuro risieda nelle piccole Comunità autonome ed autosufficienti, pur se fra loro interconnesse.
L’acqua, ormai definita oroblu, costituirà sempre più un bene primario e dovrà essere messa al riparo dalle mani adunche della speculazione internazionale, in special modo se camuffata con il vestitino etico. Non con bombe, barricate o manifestazioni di piazza destinate ad essere strumentalizzate, bensì con l’unica arma veramente rivoluzionaria: il notaio.
Si, proprio quel professionista che serve a stilare gli atti necessari a costituire associazioni, consorzi, società. Per entrare legalmente nel sistema attuando interventi di finanza etica attraverso società, niente affatto marginali, di proprietà dei diretti utilizzatori dell’acqua. Vale a dire i cittadini di comuni, comprensori, aree territoriali più o meno estese.Cesec-CondiVivere 2013.10.20 Rochefort 002E che l’acqua non rappresenti solo un costo ma un utile potenziale persino nei suoi utilizzi apparentemente marginali, lo dimostra un’iniziativa partita sperimentalmente due anni fa nella città francese di Rochefort e che oggi conferma la validità della scelta di trasformare il costo di un depuratore delle acque reflue in risorsa per la collettività.
Ricordate quando i nostri nonni ci insegnavano che buttare è sbagliato? Bene, nella città francese affacciata sull’Atlantico hanno pensato bene di non buttare nemmeno… la cacca, Evitando di fingere che la recessione non esista ed aguzzando l’ingegno poiché i soldi erano pochi, quell’amministrazione comunale ha pensato a come mutare le difficoltà in opportunità trasformando i costi di un depuratore in introiti per la collettività. Va detto che il costo di depurazione delle acque reflue, generalmente piuttosto alto, è quantificabile in circa 60 euro annui pro-capite.Cesec-CondiVivere 2013.10.20 Rochefort 003A Rochefort, presso il fiume Charente, hanno quindi realizzato un impianto che depura le acque con la tecnica detta del lagunaggio: prima di raggiungere il fiume i liquami passano attraverso un sistema di bacini dove vengono ripuliti utilizzando luce solare e degradazione batterica; infine vengono fatti fermentare per produrre gas. Da ultimo acque e fanghi vengono separati.
Questo sistema ha ridotto dell’85% i consumi energetici rispetto ai depuratori tradizionali; i silos per la fermentazione dei fanghi posti a valle del sistema producono gas per autotrazione, venduto tramite distributori allestiti presso l’impianto medesimo generando in tal modo introiti per la collettività.Cesec-CondiVivere 2013.10.20 Rochefort 001Esaurita la notizia veniamo ora alla nostra realtà e, per un attimo, immaginiamo che esista una legge che consente l’utilizzo di detersivi, saponi e shampoo solo se biodegradabili al 100%. In questo modo anche i residui solidi potrebbero essere utilizzati senza nessun problema.
Non è impossibile, perché già oggi sono disponibili prodotti per l’igiene biodegradabili completamente e il loro costo, leggermente più elevato in ragione della relativamente modesta diffusione, diminuirebbe sensibilmente in ragione di un utilizzo massiccio, e verrebbe inoltre compensato ampiamente dai vantaggi economici derivanti dal binomio risparmio energetico + introito di un sistema come quello in uso nella cittadina francese.
Aggiungiamo che a Rochefort l’acqua è un bene comune e tale è rimasto, in barba ai furbetti, alle società multiutility colluse con le multinazionali speculative ed ai trasformisti capaci di dire contemporaneamente no ma anche sì.
E’ la dimostrazione che ha senso privatizzare il servizio idrico, facendo però in modo che tale privatizzazione sia pubblica, vale a dire che i soci della società proprietaria dell’acqua a livello di distribuzione locale siano i diretti fruitori. Non è affatto una contraddizione se tale atto, compiuto secondo le regole e le possibilità offerte dalla legge, costituisce una forma di autodetrrminazione ben più rivoluzionaria ed efficace di rivolte o blocchi stradali: rompe il sistema usando le regole stesse del sistema.
Acquistare l’acqua per salvare l’acqua non diventa più solo uno slogan, ma la dimostrazione che è possibile. I nostri Comuni devono solo modificare il proprio statuto inserendo una volta per tutte l’acqua come bene primario della comunità, appoggiando e sostenendo le iniziative tese a preservarla da speculazioni. Contribuendo così a cancellare quel capitolo dolente che, nel nostro Paese, viene mal-inteso come sviluppo, parola usata ed abusata spesso in abbinamento a pil.

ACS