CESEC, Centro Studi Ecosostenibili: chi siamo

Per una volta parliamo di noi, spendendo solo poche parole. Anzitutto siamo una microstruttura, perché l’interlocutore abbia risposte immediate e certe direttamente da chi possiede le facoltà decisionali. Questo ci consente la massima efficacia.CC 2016.06.28 Chi siamoProgettiamo il recupero strutturale e funzionale di realtà territoriali dismesse e, più in particolare, in stato di pregiudizio finanziario: aziende agricole, terreni, edifici rurali, borghi abbandonati per riportarli a nuova vita impiantandovi attività agrosilvopastorali, di trasformazione agroalimentare, artigianali, ricettive, didattiche, residenziali attuate preferibilmente secondo la formula del cohousing. Crediamo nella comunità ma non nella comune.
Attenti al rispetto del territorio ed alle sue tradizioni, relativamente ai recuperi edilizi poniamo particolare cura nell’utilizzo di materiali locali e naturali quali, per esempio, paglia e terra cruda, calce e pozzolana, beole, carpenterie in legno ed infissi e serramenti certificati non trattati con agenti chimici.
Attenti all’impatto ambientale privilegiamo l’utilizzo di energie a bassa intensità e rinnovabili: fotovoltaica e idraulica, recupero delle acque piovane e riutilizzo di quelle domestiche, minimizzazione degli sprechi anche attraverso il riutilizzo dei rifiuti.
Ove possibile tendiamo a non installare impianti di riscaldamento, diversamente ci atteniamo alle specifiche note come KlimaHaus, fissate originariamente dalla Provincia di Bolzano con il DPGP 34 del 29 settembre 2004 e che fissano in Classe A un valore di fabbisogno energetico per riscaldare efficacemente per un anno la superficie di 1 m² ≤30 kWh/m²a (parametrate a 3 litri/m² di gasolio), e in Classe Gold ≤10 kWh/m²a (1 litro/m²).
Attenti alle istanze sociali tendiamo ad insediare, nelle strutture oggetto di recupero, quote residenziali e lavorative destinate a soggetti deboli o portatori di disagio sociale, non come attività caritativa bensì creando realtà in grado di autoalimentarsi finanziariamente.
Crediamo che l’ecosostenibilità e l’iniziativa privata possano sostenersi vicendevolmente e che siano anzi maggiormente efficaci senza etichette o sponsor politici; per tale ragione la nostra attività si sviluppa preferibilmente grazie al ricorso a risorse finanziarie private: business angels e investitori ai quali, nel medio periodo, siamo in grado di riconoscere remunerazioni adeguate.
La nostra esperienza lavorativa specifica data da oltre un ventennio e attraverso le nostre sedi operative di Milano e Verona siamo attivi nel Nord e Centro Italia.

Alberto C. Steiner

Se la consapevolezza è un optional

Ho sul tavolo la perizia di un trilocale in via Cesare Correnti, a Milano, della superficie commerciale pari a 107 m2. Risale all’anno scorso e l’arguto collega lo ha valutato 750mila Euro.CC 2016.06.23 Correnti 001Notare in alto a sinistra nella planimetria qui sopra riportata quella specie di L rovesciata: è una balconata che affaccia nel cortile, alla quale si accede dal vano scala. Misura complessivamente m2 6,3308.
Se la proprietà è valutata 750.000 Euro parametrati ad una superficie commerciale di 107 m2, vale a dire 7009,34 €/m2 la balconata varrebbe 7.009,34 x 6,3308 =  44.374. Più di 44mila Euro per un pezzo di ringhiera?
L’esimio collega chiosa altresì, nella descrizione tecnica, che la proprietà è in un contesto elegante di metà Ottocento (vero) ben abitato (meglio verificare, l’esperienza mi ha insegnato che le sorprese sono in agguato) ed in un quartiere di pregio e tranquillo. Come no: dietro l’angolo ci sono le Colonne di San Lorenzo, il Parco delle Basiliche e il Ticinese ed ogni milanese sa cosa significhi ad ogni ora del giorno e soprattutto della notte: strafatti, accattoni, balordi, schiamazzi, bottiglie di birra schiantate a terra, vomito ed ogni forma di deiezione umana e disumana.CC 2016.06.23 Correnti 002La stessa via Correnti è un maleoelente corridoio impestato da auto in coda ad ogni ora del giorno, alla mattina in direzione centro ed alla sera in direzione periferia; per percorrere i suoi trecento metri scarsi ci si impiega più di mezzora.
Supermercati, scuole, servizi di quartiere? Ma non diciamo cazzate… beh, no: c’è San Vittore, non lontano. L’appartamento si trova al secondo piano, quindi nemmeno ad un piano alto: vi lascio immaginare. Inoltre, stando alla planimetria, l’accesso è da una specie di disimpegno adiacente alla cucina, il bagno affaccia sulle scale e la camera da letto padronale, considerato che non può esserlo il loculo di m 4,27 x 2,21 in alto a sinistra, è ricavata necessariamente in uno dei due locali che affacciano sulla strada. Insomma, un appartamento tagliato malissimo.CC 2016.06.23 Correnti 003Non occorrono altri commenti, dico solo che se un mio cliente disponesse di quella cifra e fosse sano di mente, con 125mila Euro gli troverei un bilocale d’appoggio in città (e non necessariamente a Ponte Lambro), con 550mila una tenuta della madonna nel Piacentino o sui colli bergamaschi o bresciani, forse addirittura sulla sponda lecchese del Lario. E gli rimarrebbero in tasca 75mila Euro da impiegare, tolto il mio compenso, come preferisce.

Alberto C. Steiner

In quel tempo… in 250mila camminarono sulle acque

Non è successo sul lago di Tiberiade ma su quello d’Iseo, grazie ad una passerella galleggiante a pelo d’acqua, installata da uno dei più grandi esponenti di una corrente artistica detta Land Art che, guarda caso, si chiama Christo.
No, pare che ai panini per la folla non abbia pensato nessuno. E in verità in verità vi dico che questo non è bene.CC 2016.06.22 Floating 001Tutti osannano la geniale installazione, Lombardia da Vedere si spinge addirittura ad affermare che «vale proprio la pena provare l’emozione di far parte di un’opera d’arte di livello internazionale.»
Io la trovo un’oscenità ributtante in ragione dell’impatto ambientale, del pericolo che può costituire per natanti e visitatori e della sua assolutà inutilità culturale.
E intanto leggo su Il Giornale di Brescia di oggi (ieri per chi legge – NdA): «In quattro giorni di apertura di The Floating Piers si sono registrati circa 250mila visitatori. E la passerella, fa sapere la cabina di regia, necessita di lavori di manutenzione straordinaria.
Ci sarà quindi una selezione nei punti di ingresso: Il residuo ponte fruibile – spiega l’organizzazione – consentirà la presenza di non oltre 1.000 persone, mentre la parte di terraferma interessata consentirà l’accesso di sole 1.000 persone.»CC 2016.06.22 Floating 002Struttura solida, non c’è che dire. Dopo 40 anni Christo, l’imballatore compuilsivo di origine bulgara definito artista per aver impacchettato qualsiasi cosa gli capitasse a tiro compresi la Porta Pinciana e il Reichstag, ritorna in Italia: confesso di non averne sentito la mancanza.
Dall’intellighenzia inculturale nostrana gli è stato concesso di scegliere il Sebino per imbrattarlo con detta passerella che, dal 18 giugno al 3 luglio, permette anche ai non credenti di camminare sulle acque per una lunghezza di tre chilometri. Realizzata con 200mila cubi di polietilene ad alta densità che formano pontili galleggianti larghi 16 metri, è rivestita da 70mila metri quadrati di scintillante tessuto arancione. Il percorso, da Sulzano a Monte Isola, si svolge tra terra e acqua includendo l’Isola di San Paolo.
Rispondendo alle lamentele dovute alle estenuanti file per poter accedere all’impagabile opera l’artista ha chiosato, stando a quanto riportato dal quotidiano La Repubblica:  “L’attesa è parte della mia opera, o avete pazienza o non venite.” Vale, come sempre, il mai abbastanza usato gavte la nata citato da Eco nel Pendolo.

ACS

Seawer: è coreano il mostro marino che mangia la plastica

L’idea mi colpì e ne scrissi l’11 aprile 2014 su Kryptos Life and Water – Investire nel futuro del pianeta Terra, ma sembrava dovesse finire relegata nel cassetto dei sogni. E invece una società finanziaria cinese sta oggi mostrando interesse per il progetto del coreano Sung Jin Cho.
Il suo nome è Seawer: si tratta di un grattacielo al contrario, galleggiante e di forma conica del diametro di base pari a 550 metri, immerso nelle acque marine da pelo d’acqua e sino a 300 metri di profondità.CC 2016.06.13 Seawer 001La struttura, in grado di funzionare come stazione di riciclaggio per l’oceano, è in realtà un foro di aspirazione al cui interno verrebbe inglobata la spazzatura affiorante sulla superficie dell’acqua.CC 2016.06.13 Seawer 002La plastica, raccolta da appositi filtri, verrebbe dapprima frantumata e successivamente micronizzata attraverso cinque filtri consecutivi in modo da poter essere recuperata e, una volta ridotta in particelle e risalita verso la superficie per effetto della leggerezza, potrebbe essere raccolta e riutilizzata una volta separata dall’acqua e da qualsiasi eventuale residuo organico.
Quella dei residui organici è una questione alla quale si sta lavorando: l’impianto, nella sua attuale configurazione, non può evitare l’assorbimento di piccoli animali marini, che allo stato attuale del progetto verrebbero rilasciati in mare costituendo una forma di nutrimento per la fauna ittica.
L’acqua raccolta invece, filtrata una prima volta, verrebbe convogliata nelle profondità della struttura finendo in appositi bacini di sedimentazione e decantazione per essere ulteriormente purificata e, una volta ripulita, verrebbe rilasciata nuovamente in mare.
Per dare un’idea dell’eventuale ricaduta del progetto, i marinai che solcano le acque del Pacifico sempre più frequentemente si trovano a navigare in un vero e proprio mare di spazzatura, originato dal fatto che ogni anno milioni di tonnellate di rifiuti plastici finiscono negli oceani, arrivando a formare vere e proprie isole di pattume non biodegradabile denominate GPGP, Great Pacific Garbage Patch; alcune di queste sono di dimensioni superiori ad un paese come la Francia e, guidate dalle correnti oceaniche, hanno più volte compiuto il giro del mondo costituendo una grave minaccia per l’ecosistema e per gli animali marini.CC 2016.06.13 Seawer 003I rifiuti navigano talmente compatti, com’è visibile nello schema a corredo riportato qui sotto, da impedire all’aria ed alla luce del sole di penetrare nell’acqua, con tutte le immaginabili nefaste conseguenze.CC 2016.06.13 Seawer 004L’impianto non solo sfrutterebbe l’energia solare per il funzionamento e per gli spostamenti, ma sarebbe in grado di produrre energia elettrica.
Nonostante la menzione d’onore che guadagnò al concorso eVolo Skyscraper 2014 il progetto, sicuramente futuristico, venne però definito visionario.
A nostro parere una sola cosa è certa: il notevole costo di realizzazione, che se fossimo più civili e consapevoli avremmo potuto risparmiare destinando le risorse ad altre iniziative. Ma ormai siamo alla polmonite, e quella non si cura con l’aspirina (Le immagini provengono da Kryptos Life and Water).

Alberto C. Steiner

La ricetta contro lo spopolamento dei piccoli borghi? La banda larga. Parola di Legambiente.

Un recentissimo dossier di Legambiente lo definisce disagio insediativo riferendosi a quelli che stanno sempre più diventando comuni fantasma: 2.430 secondo le stime dell’associazione ambientalista, piccoli borghi dove un cittadino su 7 è andato via e ci sono due anziani per ogni giovane, una casa su tre vuota.Castello TorrechiaraPer corroborare la propria tesi che, almeno per quanto ci riguarda, è la scoperta dell’acqua calda, Legambiente infarcisce la relazione con dati numerici che, oltre a renderla leggibile con difficoltà (ma a ciò contribuiscono anche l’assoluta mancanza di scorrevolezza del testo e l’utilizzo di una lingua che assomiglia soltanto all’italiano) spesso fuori contesto e che si contraddicono fra loro. Eccone un esempio: «Due anziani per ogni giovane, una casa su tre vuota, 36 abitanti per ogni chilometro quadrato, un ragazzo su sette che è scappato altrove: ecco perché rischiano di sparire, letteralmente, 2.430 Comuni italiani. Piccoli o piccolissimi borghi, spesso incantevoli, che soffrono di forte disagio demografico ed economico. Pur avendo bellezze e caratteristiche uniche che potrebbero renderli attraenti dal punto di vista turistico, infatti, mancano di servizi, e così l’ospitalità ricettiva è cresciuta appena del 21% negli ultimi 25 anni, passando da 1,12 milioni di posti letto a 1,36. Per capirci, mentre le presenze turistiche aumentavano del 15% in questi piccoli centri, in città arrivavano al 35%. Anche la popolazione straniera, pur cresciuta negli ultimi 15 anni, è rimasta inferiore del 22,1% rispetto alla media nazionale. Dato ribadito dal deficit di imprese straniere, pari a -25.6%. È come dire che l’attrattività economica e le opportunità lavorative sono mediamente inferiori.»KL Cesec CV 2014.03.12 Agriturismi 001Afferma Legambiente che mentre le città del triangolo industriale (nostra osservazione: che non esiste più da decenni), del Nord-Est (ancora nostra osservazione: dove i miracoli sono finiti da tempo), della Pianura Padana e di alcune aree marchigiane, toscane e campane crescevano consolidando la propria identità e trascinando anche i paesini dell’hinterland, il 30% dei comuni italiani, concentrati nelle aree interne dell’Appennino e del Sud – in particolare Campania, Puglia e Sicilia – nell’ultimo quarto di secolo restava al palo.
Con redditi bassi, tassi di disoccupazione alti non solo per i ragazzi tra i 20 e i 30 anni, ma anche per i 30-54enni, e una riduzione impressionante dei giovani: gli ultra 65enni in questi paesini sono aumentati dell’83% rispetto ai giovani fino a 14 anni. Se i cittadini italiani crescevano del 7%, nei piccolissimi borghi i residenti diminuivano del 6,3%, con 675 mila abitanti in meno.
Questione di condizioni ambientali? si chiede Legambiente. Non sempre, si risponde, perché se è vero che la montagna soffre, ma non dappertutto, ci sono centinaia di piccoli comuni a disagio in collina e pianura, segno che «più che le condizioni altimetriche sono le condizioni di collegamento e innervatura delle reti a governare lo sviluppo». Eccola qui la chiave di lettura: l’innervatura delle reti. Ci torneremo fra poco.KL Cesec CV 2014.03.16 Agrinido 001Come evitare che questi comuni diventino paesi fantasma? E pronta, l’associazione ambientaiola, fornisce la risposta:
Anzitutto sfruttando le opportunità residenziali, perché «Se solo un quarto delle 500 mila abitazioni non utilizzate lo fossero, potremmo addirittura ospitare fino a 1,5 milioni di nuovi cittadini, e se solo un quarto dei posti letto fossero utilizzati secondo le medie urbane, il turismo creerebbe benessere diffuso: 123 milioni di presenze ogni anno, un fatturato di quasi 10 milioni di euro con oltre 300 mila nuovi posti di lavoro».
Perfetto, e ci siamo costruiti un’identità disneyana di santi, navigatori, ristoratori, barman e camerieri.
E conseguentemente valorizzando l’agricoltura: «Se solo un quarto delle superfici agricole abbandonate negli ultimi 20 anni fosse riutilizzato, potremmo avere oltre 125mila nuove aziende agricole, con una media di 12 ettari ognuna» vale a dire 1.500.000 ettari complessivi, vale a dire 15.000 km2, insomma un po’ più della Calabria (15.221,90) e un po’ meno del Lazio (17.232,29). Non male, considerando che l’intera superficie italiana è pari a 302.072,84 km2.
E tutto questo grazie alle nuove forze di giovani laboriosi e capaci, «che scelgano di andare o tornare a vivere in posti molto più salutari, genuini, belli e semplici, potendo nello stesso tempo svolgere il proprio lavoro da casa, grazie a reti internet veloci e smartworking.» Insomma, parliamoci chiaro, qui non servono bamboccioni.
Ma occhio all’incongruenza, sostanziata da quel: svolgere il lavoro da casa grazie a reti internet veloci e smartworking. Spiegateci, cari ambientazionalisti: ma questi giovani vanno a recuperare le terre abbandonate per svolgervi attività agricola o cosa? E se svolgono attività agricola è ovvio che “lavorano da casa”, come è altrettanto ovvio che una rete internet veloce fa comodo ma non è un imprescindibile strumento per pacciamare, spollonare, mungere capre o voltare fieno. E la campagna è proprio il posto meno adatto per pensare ad uno “smart”working. C’è il working, e basta e avanza.CC 2016.06.09 Smartworking 001Ed ecco che Legambiente tira fuori la soluzione, corroborata da una proposta di legge a cura del piddino Ermete Realacci, attualmente in discussione alle Commissioni riunite Ambiente, Territorio e Lavori Pubblici e Bilancio della Camera. Dichiara il parlamentare: «L’intenzione è di approvare questa proposta di legge per andare presto in Aula; è una legge su cui con Legambiente lavoriamo da tempo anche con la campagna Voler Bene all’Italia.»
Tra le misure principali del provvedimento la diffusione della banda larga e misure di sostegno per l’artigianato digitale (lo vogliamo vedere l’artigianato digitale: i bit fatti a mano uno per uno con materiali ecocompatibili, magari da portatori di disagio sociale? Chissà…).
Naturalmente il disegno di legge parla anche di semplificazione per il recupero dei centri storici in abbandono o a rischio spopolamento, al fine di convertirli “anche” in alberghi diffusi (attenzione: “anche”); di interventi di manutenzione del territorio con priorità alla tutela dell’ambiente; di messa in sicurezza di strade e scuole e interventi di efficientamento energetico del patrimonio edilizio pubblico, nonché di acquisizione e riqualificazione di terreni e edifici in abbandono.
Bene, evviva. E il recupero del territorio, e l’agricoltura rinata grazie ai giovani operosi? Boh…
Il nostro sospetto è che, come suol dirsi, alla fine della fiera i piccoli borghi montani e collinari potranno in primo luogo beneficiare della banda larga a spese pubbliche. E che la riqualificazione ecosostenibile del territorio passi attraverso opere di cantieristica: case, strade, edifici pubblici, alberghi diffusi presumibilmente affidati a carrozzoni cooperativi e che, vedendo ben pochi clienti, dovranno prima o poi essere sostenuti da interventi di finanza pubblica.
Che ve lo diciamo a fare: se Legambiente non esistesse bisognerebbe inventarla.

Alberto C. Steiner

Storie di sodomiti e sodomizzati: Veneto Banca

E così siamo arrivati al dunque: anche Veneto Banca, come Popolare di Vicenza, è costretta ad azzerare il valore delle azioni. Pare comunque disposta ad andare in conciliazione con gli azionisti. Questa si che è una consolazione…CC 2016.06.01 Venetobanca 001Non avendo trovato sottoscrittori “di peso”, e non sappiamo da cosa sia dipeso, Veneto Banca è stata costretta ad azzerare, o quasi, il valore delle azioni.
Una storia che ricorda fin troppo da vicino Banca Popolare di Vicenza, che come è ormai noto ha fallito il tentativo di quotazione ed è stata “salvata” dal fondo Atlante.
E a cosa stanno pensando i cervelloni della banca? A convincere gli investitori a mettere nuovi capitali nella banca, è ovvio.
Più probabilmente sarà ancora una volta il fondo Atlante a mettere una pezza.
Secondo un comunicato dello stesso istituto di credito, Veneto Banca si dice disponibile ad andare in conciliazione con tutti i suoi clienti possessori di azioni, di fatto ormai talmente svalutate da essere invendibili. La nostra speranza è che non sia solo un’arma a disposizione della banca per chiudere la vicenda a poco prezzo, ma che le condizioni della conciliazione siano eque e garantiscano un giusto risarcimento ai risparmiatori coinvolti. Tanto più che pesa il sospetto che le azioni siano state vendute senza informare i consumatori dei possibili rischi, abbassandone poi il valore dell’80-90% rispetto solo a pochi mesi prima e rendendo di fatto nulla la possibilità di rivederle.
Un po’ di storia: a dicembre 2015 Veneto Banca aveva fissato il prezzo di recesso delle azioni a 7,30 euro, obbligando di fatto gli azionisti che avessero voluto liberarsi delle azioni a perdere l’81% del valore di ogni azione (solo ad aprile il valore era a 39,50 euro). Per queste ragioni l’istituto di credito è stato diffidato per aver violato i diritti e gli interessi dei consumatori stabiliti dal Codice del Consumo e dalla normativa dei settori bancario e finanziario, vale a dire dalla Consob, l’organismo di controllo in seno alla Banca d’Italia, la banca della quale sono proprietarie le maggiori banche nazionali.
Ed ora, cosa sta per accadere agli azionisti?
Semplice: trattandosi di una banca non quotata, dopo aver acquistato le azioni i clienti non hanno la possibilità di liquidarle. L’unico modo di liberarsene, infatti, è quello di rivenderle alla banca stessa, che però non è tenuta a riacquistarle. E la banca  non solo ha tagliato il prezzo dell’81% Veneto Banca ma impedisconoe ufficialmente agli azionisti di avvalersi del diritto di recesso. Infatti se anche i risparmiatori fossero disposti a subire le perdite, le normative varate guarda caso qualche mese fa da Bankitalia permettono alle banche popolari di escludere il diritto di uscita ai soci nel caso in cui la banca non rispetti il capitale minimo richiesto dalla Bce.
Ma le brutte sorprese non sono finite: il rischio che siano gli azionisti a pagare le difficoltà della banca è alto. Se non dovesse andare in porto la ricapitalizzazione e nessuno degli investitori istituzionali, come pare, fosse intenzionato a mettere soldi nel fondo Atlante per salvare la banca, potrebbe scattare il meccanismo del bail-in; in questo caso proprio i possessori di azioni e obbligazioni sarebbero obbligati a mettere soldi di tasca propria per tenere a galla l’istituto di credito. Difficile uscirne, il nostro consiglio è: chi ha la possibilità di andarsene – titolari di obbligazioni quotate e correntisti – farebbe bene a migrare altrove il prima possibile.
E per la serie: le favole della buona notte, la banca (e questo vale anche per Popolare Vicenza) avrebbe intenzione di quotarsi in Borsa nei prossimi mesi. Grazie a questo gli investitori dovrebbero (dovrebbero) riuscire a rivendere le azioni. Si ma, a che prezzo?
Conti in rosso e aumento di capitale imposto dalla Banca Centrale Europea entro il primo semestre 2016 sono due premesse poco incoraggianti, che porteranno certamente la banca ad offrire le nuove azioni a prezzi stracciati, penalizzando così i vecchi azionisti.
E poi c’è chi dice via dall’Europa… Certo, perché così anche quel minimo di controllo verrebbe a cadere.

Alberto C. Steiner