Ulivi salentini: il resto è silenzio

Ce lo aveva chiesto l’Europa, ovvio, e scrivendone il 27 marzo 2015 nell’articolo Gli ulivi? Li abbiamo finiti… leggibile qui esprimevo la mia opinione: “Secondo me si dovrebbe procedere ad un nuovo ratto di Europa, tenendola segregata in qualche buco in Aspromonte o in Sardegna, ma questo è un altro discorso, della serie chi vuol esser servo sia….”
Inquadro questo scritto, oltre che nell’ambito dell’ecosostenibilità, nel mio concetto di quanto sia prossimo il Medioevo prossimo venturo e di quanto sempre più farsesco appaia – e senza bisogno di scomodare Platone – il concetto di democrazia rappresentativa.CC 2016.01.27 Salento 001E vengo al dunque. Ho lasciato trascorrere oltre un mese dal 19 dicembre scorso, quando venne emanato il provvedimento giudiziario che bloccava l’eradicazione degli ulivi salentini malati. L’ho fatto per poter, letteralmente, contare gli articoli e gli spazi video dedicati dai media a diffusione nazionale a questo accadimento di portata indiscutibilmente epocale. A parte alcune notizie della prima ora, le solite critiche ai violenti manifestanti (che di violento non avevano proprio nulla, tanto è vero che venivano inquadrate tranquille casalinghe scese in strada imbracciando rami di ulivo) ed alcuni trafiletti sparsi il conto è presto fatto: zero.
Mi limito alla stampa cartacea: ne hanno parlato il francese Le Monde e lo statunitense Washington Post (con un bellissimo articolo), il tedesco Der Spiegel e il britannico The Guardian, lo svizzero Neue Zürcher Zeitung e persino The Australian Financial Review, senza dimenticare i canadesi Vancouver Sun e Le Soleil de Quebec.
Da noi gli scritti su portali, siti, blog e social a tema ecosostenibile si sono sprecati, è naturale. Ma, per quanto vasto possa apparire, si tratta di un fenomeno di nicchia.
Resto convinto che i media a grande diffusione abbiano ignorato l’avvenimento perché l’indagine che ha bloccato le eradicazioni degli ulivi non sarebbe mai partita senza la nascita del Popolo degli Ulivi: un movimento territoriale eterogeneo, trasversale, senza leader, senza bandiere, senza padrini e senza padroni, creativo e per questa ragione da tanti ignorato e aggredito. Quelli non erano clientes di nessuno, schifavano anzi sia la Nomenklatura sia i Masaniello in cachemire, perché occuparsene?
Resta il fatto che la Procura di Lecce ha indagato dieci persone, tra queste il commissario straordinario Giuseppe Silletti, ipotizzando svariati reati e tra questi violazione dolosa delle disposizioni in materia ambientale e falso, ed è illuminante un passaggio dell’ordinanza redatta dagli inquirenti: “… la sintomatologia del grave disseccamento degli alberi di ulivo non è necessariamente associata alla presenza del batterio, così come d’altronde non è ancora dimostrato che sia il batterio, e solo il batterio, la causa del disseccamento …”CC 2016.01.27 Salento 002Eppure dall’alto del Palazzo e persino dei Palazzotti abitati dai vari Don Rodrigo numerose sono state le aggressioni, le denigrazioni, le denunce, gli ostacoli con cui si è tentato di ignorare le ragioni di questa gente (non ho scritto questo movimento, ho scritto questa gente) perché, pur tra inevitabili limiti e contraddizioni, quello salentino è uno dei più interessanti fenomeni territoriali apparsi negli ultimi anni.
Lo è perché ha coinvolto persone comuni di età, percorsi culturali, sociali e politici differenti, che non hanno cercato padrini o padroni politici ai quali delegare la soluzione del problema e neppure capipopolo dai quali farsi guidare. Le persone si sono autoorganizzate, scegliendo di intervenire, in molti modi e direttamente.
Non si sono appecoronate al mantra ce lo chiede l’Europa, ed hanno utilizzato non solo strumenti tradizionali: assemblee, incontri, manifestazioni, presidi, azioni di pressione a livello europeo, ricorsi al Tar, ma anche social network, feste e pic-nic nei paesi e nelle campagne, creando e rendendo visibile la possibilità di un mondo nuovo, connotato da relazioni sociali effettive e concrete.
E poi ci sono state le azioni di disobbedienza creativa, come quando sono stati piantati a sorpresa centinaia di ulivi. E non dimentichiamo fiaccolate e momenti di informazione e formazione dedicati ai sistemi naturali di cura delle piante ed all’agroecologia. Si, ci sono stati anche blocchi stradali e ferroviari. Normale, quando si protesta.
Ma queste persone hanno contemporaneamente, e forse senza saperlo, fatto una cosa veramente importante: hanno evidenziato e proposto un’idea diversa di agricoltura e un rapporto diverso tra comunità e ambiente naturale, contribuendo non solo a rompere la gabbia di silenzio e bugie costruita intorno agli ulivi malati, ma anche costringendo a ridurre il numero di alberi da abbattere e dando un senso al termine Comunità.
Non importa quindi se i grandi media hanno cercato di rendere il tutto innocuo, invisibile e persino ridicolo: quelle persone hanno dimostrato che, senza gli eccessi e la strumentalizzazione dei NoTav piemontesi, è possibile lottare, che è il tempo del fare e che si sta tornando al concetto di Comunità locale dove ciascuno è responsabile del proprio operato di fronte a se stesso ed ai concittadini.
E mi fermo qui perché di questo mi interessava parlare. Altrimenti dovrei addentrarmi in un ginepraio di domande a sfondo economico finanziario circa la sorte dell’ulivicoltura salentina una volta eradicati gli ulivi, da dove sarebbero arrivate le olive per la spremitura, quali sarebbero state le compagini societarie delle imprese interessate, quali banche le avrebbero finanziate e come, quali finanziamenti pubblici sarebbero stati emanati e da dove avrebbero preso i soldi, e chi li avrebbe gestiti… altro che il virus creato in vitro dalla demoniaca Monsanto! no grazie, preferisco parlare di bellezza piuttosto che di spazzatura.

Alberto C. Steiner

Sempre più affilati i denti a sciabola della finanza etica

Il 9 luglio scorso pubblicavamo l’articolo Analisi del portafoglio di Banca Etica Sgr leggibile qui che argomentava, dati alla mano, come il portafoglio dei titoli componenti i fondi che detto istituto di credito offriva ai propri clienti non fosse affatto etico.Cesec-CondiVivere 2015.07.09 Io odio la finanza sostenibileL’articolo riprendeva, aggiornandolo ed integrandolo, quanto scrivemmo il 7 novembre 2013 leggibile qui nonché il breve saggio: Attenti! ora la finanza speculativa si traveste di verde, pubblicato addirittura il 18 novembre 2009 sul sito TGCom24 a firma Fiori & Foglie, linkato all’interno dell’articolo citato sopra.
A confortare ciò che scrivemmo giunge il 30 dicembre scorso l’articolo Possiamo fare a meno dei fondi etici? pubblicato su Comune-Info a firma di Paolo Trezzi e leggibile qui: un punto di vista assolutamente critico e dettagliato su Etica sgr, la società di gestione del risparmio che, scrive l’autore, “corre sempre di più il rischio di amministrare portafogli di società quotate piuttosto discutibili” affermando perentoriamente: “Etica Sgr, la società di gestione del risparmio di Banca etica (e altri), dovrebbe chiudere, essere chiusa. In forza delle stesse ragioni per cui è nata Banca etica.”
Per parte nostra lasciamo volentieri la lettura dell’articolo, dove si parla di armi, autostrade, sfruttamento di lavoro minorile e chi più ne ha più ne metta, a chi fosse interessato. Senza ulteriori commenti. Quel che avevamo da dire lo abbiamo già detto.

Alberto C. Steiner